62- Pronti a partire

«Ragazzo, molla quella corda e seguimi» la apostrofò il capitano passandole accanto mentre era al lavoro con altri soldati per riparare la recinzione.

Sabrina lanciò un'occhiata veloce ai compagni e si affrettò dietro all'ufficiale. Zoppicava ancora leggermente.

«Domani si parte per Camp Hunter, ci lasciamo dietro questo schifo di posto e ricominciamo seriamente con le esercitazioni. La primavera è alle porte: dobbiamo essere pronti. Altri reggimenti sono già in azione da un pezzo, tra un po' chiameranno anche noi» le comunicò l'uomo mentre gli zampettava di fianco.

«Sì, signore, l'ho sentito dire» rispose mentre tentava di non rimanere indietro nonostante il ginocchio fosse ancora dolorante.

«Come va quella gamba?» gli chiese fermandosi all'improvviso.

«Bene, signore» mentì.

Il capitano la fissò serio, poi sospirando riprese a camminare.

«Hai preso un brutto colpo, ma l'importante è che tu riesca a stare in sella. Se anche zoppichi un po', non mi preoccupo.»

«Certo, signore, nessun problema quando sono in sella. Mi dà fastidio quando cammino o sto in piedi a lungo.»

«Appunto per questo adesso ti metterai seduto e mi copierai un po' di lettere. Così potrai riposare in vista della marcia di domani e intanto ti renderai utile.»

La ragazza annuì decisa, grata per le attenzioni che quell'uomo le stava riservando, anche se la prospettiva di passare un pomeriggio con pennino e calamaio non la divertiva.

Si stava massaggiando la mano intorpidita dallo sforzo di scrivere quando vide entrare suo fratello nella tenda del capitano. Robert si guardò intorno per un attimo, poi l'apostrofò: «Dov'è il capitano?»

Sabrina diede un'alzatina di spalle e riprese a copiare i documenti.

«Che fai?» le chiese avvicinandosi e gettando un'occhiata alla pila di fogli.

«Copio dei documenti per il capitano» rispose senza alzare lo sguardo.

«Be', almeno ti ha dato un lavoretto con cui puoi riposare quel ginocchio.»

«Già, ma domani si torna in sella! Ci traferiscono» lo interruppe piena di entusiasmo, forse troppo.

Robert rimase in silenzio a scrutarla e Sabrina cambiò espressione. Il sorriso apparso di getto avvizzì come un fiore abbandonato nel vaso davanti allo sguardo duro del fratello.

«Posso capire che stare acquartierati in un campo invernale sia noioso, ma non condivido questa smania di tornare in azione. Personalmente, non ho nessuna voglia di tornare a stanare Ribelli nei paesini, saccheggiando e bruciando le case.»

Sabrina deglutì fissandolo in silenzio, sentendo che gli occhi le si gonfiavano di pianto. Come poteva suo fratello pensare che lei fosse entusiasta di una simile prospettiva?

Il capitano entrò all'improvviso.

«Che succede qui?» intervenne, vedendo il suo ufficiale livido e il ragazzo impietrito.

«Niente, signore. Scambiavo due parole con McEnzie» rispose prontamente il giovane avvicinandosi al suo superiore, mentre Sabrina chinava il viso sul foglio e riprendeva il suo lavoro in uno stato di leggera agitazione. La mano tremava e il respiro era accelerato: era da giorni che non parlava con il fratello e l'ultima cosa che desiderava era litigare con lui.

«Signor Becker, prenda con sé il caporale e stilatemi un rapporto completo sugli equipaggiamenti, sul materiale che dovrà essere trasportato nel nuovo campo dalle salmerie – tende, tavoli, sgabelli, brande, eccetera – sullo stato delle armi, le munizioni disponibili e via così. Voglio arrivare a Camp Hunter con la situazione sotto controllo.»

«Sissignore, me ne occupo subito» rispose asciutto.

«Ah, mi faccia sapere anche quanti uomini sono ancora senza stivali. Ci hanno promesso che le forniture arriveranno» concluse, non senza alludere con l'espressione del viso al suo tentativo di risolvere la situazione prima di Natale. Il giovane decise di non cogliere la provocazione e annuì serio, poi si voltò e si avviò deciso ai suoi compiti.

Il capitano rimase all'imboccatura della tenda e prese a fissare la ragazza assorbita nel suo compito. Si accese un sigaro e osservò la mano tremante, il respiro che pareva più una serie di lunghi sospiri e soprattutto il gesto sfuggente con cui si era passata un polsino sotto l'occhio, come a catturare una lacrima.

«Che ti ha detto il sottotenente?» la interrogò.

Sabrina alzò lo sguardo dal foglio e non rispose.

Il capitano entrò nella tenda e con il sigaro tra i denti si accomodò su uno sgabello davanti a lei.

«Qualcosa deve essere successo, ragazzo. Hai una faccia scura...»

Sabrina sospirò e si decise.

«Nulla di importante: mi ha ricordato che la guerra è un brutto affare, tutto qui.»

«E perché avrebbe avuto bisogno di dirtelo?»

«Forse perché ho espresso entusiasmo all'idea di lasciare questo accampamento...»

«E tornare in azione» concluse per lei.

«Già» rispose distogliendo lo sguardo e sospirando nuovamente.

«Ragazzo, è normale che tu abbia questo fuoco dentro e non veda l'ora di tornare in sella. Se non si è avventati a sedici anni, non so quando sia giusto esserlo. Però capisco il fastidio del mio ufficiale: qui molti ti hanno preso in simpatia e nessuno vorrebbe vederti stecchito. Nemmeno io» chiosò soffiando fuori il fumo. Sabrina continuava a non guardarlo.

«Avevo un figlio maschio una volta, tre femmine e un maschio» prese a raccontare malinconico. «Me l'ha portato via la tubercolosi quando aveva appena cinque anni e io ero lontano, arruolato nell'esercito. Avevo ricevuto una lettera di mia moglie datata due mesi prima e non avevo ottenuto subito una licenza per tornare. Inutile dire che sono rientrato troppo tardi... e poi mi sono congedato dall'esercito: a quel punto non volevo più lasciare la mia famiglia, troppo dolore...» fece una pausa per tirare un paio di boccate. La ragazza aveva alzato timida lo sguardo durante il racconto.

«Se oggi fosse vivo, avrebbe più o meno la tua età. E penso che se avesse espresso entusiasmo per andare in guerra, l'avrei preso a sberle» concluse facendo arrossire la ragazza.

«Quindi levati quell'espressione mortificata dalla faccia e sii grato che ci sia qualcuno che tiene a te in mezzo a questa feccia.»

Sabrina deglutì a fatica un groppo di lacrime e cercò di mantenere un'espressione dura. Il capitano si alzò e prese a passeggiare nello spazio ristretto della tenda.

«Forse non ti ricordi più cosa significhi avere qualcuno che si preoccupa per te... sei orfano, no? Cos'è successo ai tuoi genitori?»

Il respiro le si mozzò in gola e gli occhi si sgranarono appena: non aveva mai approfondito la sua bugia e tentò di improvvisare.

«Mia madre ci ha lasciati quando non avevo ancora tredici anni, mio padre ha fatto il possibile per tirarmi su da solo, ma non ha retto il colpo...» rispose con un filo di voce distogliendo lo sguardo.

Il capitano rimase in attesa di altre informazioni, ma il ragazzo sembrava aver esaurito l'argomento. Forse parlarne era troppo penoso. L'uomo si figurò una madre morta di malattia e un padre che preso dalla disperazione si dava all'alcol e cominciava a picchiare sistematicamente il figlio. Una famiglia disgraziata come ce n'erano tante. L'espressione torva del ragazzo, i suoi occhi sfuggenti e la sua rabbia mal celata forse nascondevano un passato di maltrattamenti e ciò poteva spiegare anche l'entusiasmo che metteva negli affari militari, quasi fossero una possibilità di rinascita.

«Va bene, figliolo» disse poggiandogli una mano sulla spalla, «non ti voglio obbligare a ricordare fatti spiacevoli. Adesso sei qui e questo basta, cerca solo di non commettere sciocchezze.»

Sabrina rabbrividì sentendo quella mano che stringeva la stoffa della sua giubba e rimase in silenzio mentre la sua mente frullava in cerca di altri dettagli a completare il quadro della sua bugia. Ma il capitano si avviò fuori dalla tenda e la lasciò sola.

Sabrina si concesse un profondo sospiro e si abbandonò sulla sedia, sfinita. Quel confronto l'aveva fiaccata.

La scoperta che il capitano la considerava un po' un sostituto del figlio la sconcertava, mentre la consapevolezza che il fratello si fosse risentito per la sua scarsa assennatezza in fondo non la stupiva: avrebbe potuto immaginarlo e trattenersi dal dimostrare entusiasmo... Anche se il Robert che lei conosceva le avrebbe parlato con gentilezza invece che accusarla in quel modo.

Suo fratello era cambiato.

Non riusciva a comprendere cosa fosse accaduto. Di certo la campagna di Lane l'aveva indurito, come tutti. Ma c'era qualcos'altro. Robert non era mai stato tanto stizzoso come in quel periodo. Scontroso, nervoso, pronto all'ira... Come quando si era messo in testa di smascherare i traffici di quel soldato, Gore le pareva si chiamasse. Prese a grattarsi dietro l'orecchio cercando un qualche episodio che avesse potuto scatenare una tale trasformazione nel fratello, senza successo. E più rifletteva più si grattava furiosamente fino a rendersi conto di quanto stava facendo. Si guardò le unghie velate di sangue con stupore prima di capire che era suo.

Maledetti pidocchi. Non riuscì a pensare ad altro e, sconfortata, riprese il lavoro.

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