52- Osceola

Erano in sella da qualche ora e la sera stava avanzando veloce. Un attacco al buio non era auspicabile: forse si sarebbero accampati nei pressi della città, pensò Jonathan. Ma neppure il capitano sapeva cosa passasse per la testa di Lane, al comando della spedizione.

Sabrina era rimasta tutto il tempo al fianco dell'ufficiale; lui sembrava servirsene come attendente, ma Jonathan si chiese se non fosse il suo modo di proteggere il ragazzino. Quella vecchia volpe agiva sempre in modo poco trasparente, ma era chiaro che avesse preso in simpatia Joseph McEnzie.

La sorella lo seguiva a testa bassa e pareva la sua ombra. Meglio così, si disse. Forse gli irlandesi l'avrebbero lasciata in pace se si fossero resi conto che era il cocco del capitano.

Il viaggio non aveva presentato problemi fino a quel punto, nessun Confederato in giro o imboscata. Il Quinto Cavalleria, insieme al Terzo e Quarto Fanteria del Kansas, si era mosso con efficienza, ma arrivati al Sac River fu subito evidente che qualcosa non andava.

La carcassa di quello che era stato un ponte faceva bella mostra di sé. Qualcuno gli aveva dato fuoco e un gruppetto di uomini era lì appostato per impedire il passaggio.

«Possiamo guadare più avanti?» sentì chiedere il capitano alla guida, ma questi scosse la testa preoccupato: non c'erano altri punti buoni per attraversare in quella stagione. Mancavano appena cinque miglia all'obiettivo, avrebbero dovuto ingaggiare battaglia prima del previsto.

Lane ordinò che una compagnia di cavalleria fosse mandata in avanscoperta per liberare il passaggio e dopo un breve tafferuglio e qualche scarica di fucileria la videro tornare con dei prigionieri al seguito.

Il comandante guardò con sprezzo i disgraziati che avevano tentato di difendere il guado – un gruppetto di sprovveduti recuperati all'ultimo, pensò – e non esitò a dare il via all'attraversamento.

Sarebbero giunti nei pressi della città al più presto.

Era ormai calata la notte e le truppe unioniste marciavano verso Osceola al seguito della guida. Una compagnia del Quarto Fanteria, capitanata dal colonnello Weer, apriva la colonna quando si trovò sotto il fuoco confederato.

I Ribelli sbucavano dai cespugli e sparavano dalle finestre delle case isolate di periferia, ma i Federali non si persero d'animo, rispondendo al fuoco in linea senza indugio, un plotone via l'altro, fino a lasciare una distesa di morti e feriti a terra.

Un silenzio irreale calò subito dopo, nel buio della notte densa di fumo e con le orecchie che ancora fischiavano per gli spari. Gli uomini rimasero in posizione, poi un boato squarciò quell'apparente tranquillità e una palla di cannone falciò il terreno ai loro piedi.

«Restate in posizione!» l'ordine arrivò repentino a frenare il panico che stava per far scivolare gli uomini uno sull'altro.

Il Quinto Cavalleria era ai lati, pronto a entrare in azione.

Il cavallo di Sabrina si impennò nitrendo a quel boato e lei riuscì a rimanere in sella con l'aiuto del capitano che afferrò prontamente le redini. Le urla dei soldati coprirono il suo gridolino di sorpresa, troppo acuto per un ragazzo, e l'uomo non sembrò farci caso. Doveva fare più attenzione.

Prese un profondo respiro e si obbligò a calmarsi, mentre guardava l'artiglieria avanzare e mettere in posizione un obice. Due uomini erano rimasti a terra, feriti, e si contorcevano in modo pietoso. Sabrina distolse lo sguardo sentendo un conato di vomito risalire in gola.

Poco dopo presero a sparare e la notte si illuminò di rosso quando un palazzo esplose e prese fuoco. Le grida erano tremende e la ragazza serrò le palpebre stringendo con forza le redini. Altre palle di cannone volarono tra gli uomini che dimostrarono grande coraggio e determinazione a non lasciare le posizioni. Poi tutto finì.

Solo buio e silenzio.

Sabrina ricevette l'ordine di perlustrare il campo in cerca di sopravvissuti da soccorrere o fare prigionieri e si avviò insieme ad altri soldati. Gli occhi bruciavano in mezzo a quel fumo e l'odore della polvere da sparo era forte, a fatica distingueva le sagome degli uomini rimasti a terra. La maggior parte erano morti.

«Non c'è più niente da fare per loro» chiosò un giovane caporale e diede l'ordine di tornare indietro.

Per il momento sembrava che fosse tutto finito, ma i Ribelli erano lì, dentro le loro case, tra le strade di quella città poco distante e i Federali si accamparono tenendosi stretti i loro fucili.

L'alba sopraggiunse come un piccolo miracolo: dopo tutto quel buio poter vedere qualcosa era un dono, almeno avrebbero capito se il nemico si stava avvicinando.

Jonathan aprì un occhio e si stiracchiò, dopodiché tese l'orecchio verso un parlottio concitato poco lontano. D'istinto controllò che la sua Colt fosse ancora nella fondina e toccò il fratello per svegliarlo. Il ragazzo si tirò a sedere di scatto come se l'avesse bruciato.

«Ehi, tranquillo. Sono io» disse Jonathan.

Robert sospirò rumorosamente e poi prese a stropicciarsi la fronte e gli occhi, non aveva dormito molto.

«Torno subito, vado a vedere che succede là» continuò alzandosi e facendo qualche passo in direzione delle voci.

Un gruppo di soldati stava discutendo in modo animato e sollevando lo sguardo in direzione dei loro gesti Jonathan vide la bandiera della Confederazione che sventolava fiera sul tetto di quello che pareva il Palazzo di Giustizia.

«Maledetti Ribelli... non gli è bastata la batosta di ieri notte?»

«Issare quella bandiera... come osano?»

«Traditori!»

«Adesso andiamo là e gliela facciamo ingoiare...»

Gli animi si stavano scaldando e lo stesso Jonathan provò un moto di stizza a vedere quel simbolo ostentato con tanta sfacciataggine.

«Che succede?» chiese Robert dopo averlo raggiunto.

Il fratello si limitò a indicare con un cenno la bandiera e lui ammutolì.

«Che diamine...»

«Si devono essere organizzati, stanotte» indovinò.

«Corriamo ad avvertire il capitano» sussurrò Robert con una punta d'angoscia.

La sera prima era stato solo l'inizio, non avrebbero preso la città tanto in fretta come speravano.

Nel giro di pochi minuti l'accampamento si trovò in uno stato di agitazione, Jonathan vide la sorella avvicinarsi mentre si stropicciava le palpebre piene di sonno. Occhiaie profonde testimoniavano la notte tormentosa che doveva aver passato.

«Che succede, tenente?» chiese eseguendo il saluto militare a favore dei presenti.

Il fratello le fece segno di seguirlo avviandosi verso il capitano.

«Stamattina ne vedremo delle belle... i Confederati sembrano agguerriti» disse cercando di non far trasparire ansia dalla voce.

«Almeno non è buio...» commentò lei.

Jonathan si fermò e la fissò negli occhi, poi sospirò.

«Stai accanto al capitano e fai attenzione.»

Lei sostenne il suo sguardo, deglutendo appena.

«Me la sono cavata a Morristown...» pronunciò incerta.

Il ragazzo le poggiò le mani sulle spalle, serio.

«Sei stata in gamba... ma l'hai visto con i tuoi occhi che una pallottola può centrarti quando meno te l'aspetti.»

«Non cadono solo i novellini! Guarda ieri sera!», si scostò, piccata.

«No, certo che no! Proprio per questo devi fare attenzione e, per favore, cerca di non esporti.»

La ragazza annuì con un sospiro. Voleva sembrare forte, ma sapeva di ingannarsi: aveva paura. E anche suo fratello, ne era certa. Sarebbe stato da pazzi non averne! Non dopo aver assistito al macabro spettacolo di palle di cannone che falciavano uomini e cavalli.

Il capitano Garret la vide arrivare in compagnia del suo tenente e l'apostrofò, nervoso: «Ragazzo, vieni un po' qui ad aiutarmi con questa sciarpa.»

Sabrina si affrettò a prendere il lembo di tessuto e provvedere a girarglielo intorno alla vita con precisione.

«Quali sono gli ordini, capitano?» chiese Jonathan facendo il saluto militare.

«Attendo istruzioni, Lane si sta confrontando con Montgomery e Weer. Certo che quegli imbecilli potevano evitare di far sventolare quella maledetta bandiera stamattina, credo che l'artiglieria di Moonlight farà a pezzi quel palazzo e tanti saluti.»

Jonathan non rispose e rimase a fissarlo cercando di intuire quello che non poteva dire... stava insinuando che l'azione dei Confederati avrebbe dato adito a violenze non necessarie? Avrebbero ripetuto le scelte fatte a Morristown e dato fuoco a tutta la città? Un improvviso fastidio alla bocca dello stomaco gli impedì di fare domande e un'occhiata del capitano lo costrinse a desistere dal provarci.

«Comincio a radunare gli uomini» si limitò a dire e si tolse di torno, non prima di aver rivolto un ultimo sguardo d'avvertimento alla sorella che gli rispose con un cenno d'assenso.

La previsione del capitano si rivelò esatta e due pezzi d'artiglieria vennero fatti avanzare e messi in posizione di tiro. Dopodiché ebbe inizio il cannoneggiamento sotto il fuoco nemico. I Confederati si erano riparati dentro il palazzo e sparavano raffiche continue. Dopo una serie infinita di colpi il palazzo di giustizia fu ridotto a un cumulo di rovine fumanti, tra le urla degli uomini intrappolati al suo interno.

Grida selvagge si alzarono dalle file unioniste alla vista della bandiera che si incendiava e spariva tra le macerie. Dopo, il silenzio. Un fumo denso si levava dai resti in fiamme e la nebbia provocata dai colpi di fucile saliva pigra verso il cielo oscurando il sole.

Robert guidò un piccolo gruppo di uomini all'interno della città per valutare la situazione, ma i Ribelli sembravano essersi dati alla fuga, nessuno sparava dalle finestre degli altri edifici.

«Mettete delle sentinelle agli ingressi della città!» ordinò Lane. «Nessuno deve fuggire per cercare rinforzi.»

Gli ordini furono prontamente eseguiti mentre una compagnia di fanti si avviava verso la banca. Era corsa voce che ci fossero almeno centomila dollari là dentro e Lane non aveva intenzione di lasciarli in mano ai Ribelli. Ma l'istituto di credito era già stato preso d'assalto. Trovarono solo documenti: i cittadini dovevano aver ritirato il denaro non appena era corsa voce che stessero arrivando i Federali. Jonathan cominciò a temere il peggio.

Alla notizia che la banca era già stata svuotata, gli animi si infiammarono.

«Cercate quei traditori!» gridò Lane ai suoi, fuori di sé. E questo fu l'inizio della fine. Gruppi di soldati si riversarono per le vie della città, entrando nelle case private, nel palazzo comunale, negli empori e nei saloon. Il saccheggio era iniziato.

Sabrina stava di fianco al capitano Garret e guardava con orrore la scena. I primi incendi cominciavano a essere appiccati e le grida delle donne accompagnate dai pianti dei bambini erano strazianti.

«Capitano...» tentò di parlare, ma fu zittita con un gesto repentino della mano.

«Non metterti a discutere gli ordini» intimò serio, ma la sua faccia era una maschera di cera, pallida e tirata. Sabrina fu grata di capire che almeno lui non era d'accordo.

Jonathan e Robert stavano in silenzio di fianco ai loro plotoni. Un cavalleggero fece per scendere dalla sella e il tenente lo fissò gelido.

«Dove stai andando, soldato?» lo apostrofò.

«Tenente, se non ci sbrighiamo non resterà nulla per noi!» esclamò eccitato.

«Il capitano non ci ha dato ordine di intervenire, rimonta in sella. Noi stiamo qui.»

«Ma così ci perdiamo tutta l'azione!» protestò.

Jonathan non rispose, ma i suoi occhi minacciosi zittirono sul nascere altre proteste. Sbuffando e imprecando tra sé, l'uomo tornò in sella.

Il colonnello Weer cercò di porre fine al saccheggio, implorando Lane di risparmiare la città, ma il comandante lo fissò con sprezzo.

«Questa città è un covo di Ribelli! Se non interveniamo subito ne arriveranno altri e si organizzeranno meglio. Prendiamo tutto quello che ci può servire e bruciamo il resto.»

Robert scalpitava sulla sella sperando che tutto finisse al più presto, ma l'eccitazione dei soldati lasciati liberi di agire stava degenerando. Vide una donna correre mentre un soldato l'afferrava per le vesti e la faceva ruzzolare a terra. Il bambino che teneva per mano cominciò a piangere disperato mentre la madre si divincolava sotto il peso dell'uomo.

Risoluto, scese dalla sella e intervenne separando i due.

«Che diamine!» esclamò l'uomo sentendosi prendere per la vita e sollevare da terra con uno strappo. Fece per avventarsi sull'aggressore e si ritrovò una Colt puntata contro.

«Gli ordini sono di prendere provviste, armi e oggetti di valore, non di importunare le signore» pronunciò freddo.

Il soldato rimase qualche secondo immobile, valutando il da farsi, poi alzando le mani decise di sottomettersi al superiore.

«Mi perdoni, tenente» pronunciò con falsa ossequiosità.

«Fila via» ordinò con rabbia e l'uomo sputò al suolo prima di girarsi e tornare a infilarsi in una casa.

La donna piangeva e stringeva il figlioletto, ancora seduta a terra con la pettinatura scompigliata e il viso sporco di terra, rigato dalle lacrime.

Robert le offrì una mano e lei iniziò a gridare: «Sporchi maiali! Yankee maledetti!» mentre il bimbo si metteva le mani sulle orecchie e prendeva a urlare a sua volta.

Robert la aiutò a rialzarsi e cercò di immobilizzarla tenendola per le braccia mentre lei tentava di graffiarlo.

«Signora, calmatevi. Per favore!»

La donna sembrò bloccarsi al suono di quella supplica: chi la teneva era un giovane dallo sguardo buono e di colpo si rese conto che l'aveva aiutata poco prima.

«Prendete vostro figlio e mettetevi al riparo, fra poco sarà tutto finito» disse cercando di usare un tono rassicurante.

Lei annuì, gli occhi sgranati per la paura, e si liberò dalla stretta. Prese in braccio il bimbo che ancora urlava terrorizzato e si dileguò.
Robert rimase a guardarla con il cuore gonfio mentre correva via. Se quella era la guerra, be', allora aveva sbagliato a immaginarsela. Aveva pensato alle battaglie, alla paura delle pallottole che fischiavano intorno, ma non credeva che potesse esserci di peggio che la morte... Eppure c'era. Quella donna era una vittima innocente e lui faceva parte di quelli che lei aveva chiamato maledetti.

Strinse le palpebre con forza e represse un sospiro, prima di tornare dai suoi uomini che avevano assistito alla scena poco distanti. Nessuno osò dire una parola, ma era chiaro che approvavano il suo intervento.

Il palazzo comunale e tutto il suo archivio fu distrutto a colpi di cannone mentre le scorribande nelle case private proseguivano. Alcuni uomini furono uccisi sul colpo dalle sentinelle messe a guardia degli ingressi della città non appena osarono protestare o cercare di entrare.

La compagnia di Garret rimaneva in disparte con il compito di sorvegliare il lato ovest e i fratelli Becker erano grati di quel compito. Non stavano facendo nulla per mettere fine a quell'orrore, ma almeno non vi stavano partecipando attivamente.

Lane sembrava impazzito, eccitato guidava gli uomini nel saccheggio e li incitava. Robert sentì una morsa allo stomaco incrociando i suoi occhi di fuoco. Sabrina invece era muta e pallida, lo sforzo di controllare le lacrime che le gonfiavano gli occhi era tale da risucchiarle tutte le energie. Non poteva mettersi a piangere come una donnicciola! Fortunatamente la sua compagnia non sembrava approvare quell'orrore e questo le dava agio di non dover essere costretta a fingere di essere coinvolta nello stato di eccitazione generale.

Un caporale del Terzo Fanteria si fece avanti.

«Capitano Garret,» esordì eseguendo il saluto militare «il colonnello Lane e gli altri ufficiali si stanno riunendo per giudicare dei traditori nella piazza centrale. Deve raggiungerli.»

L'uomo rimase a fissarlo in silenzio per un lungo istante prima di annuire.

«Tenente Becker, venga con me» disse asciutto e Jonathan si sbrigò a scendere dalla sella e seguirlo. Cos'era quella storia?

La piazza centrale di Osceola brulicava di ufficiali nervosi, si stava istituendo un tribunale improvvisato e Garret fu indirizzato verso la giuria mentre Jonathan fu costretto a farsi da parte. Il capitano gli fece cenno di rimanere in zona e si riunì agli altri. Poco dopo comparvero dei civili, fatti avanzare in fila fino al centro della piazza davanti agli ufficiali più alti in grado. Lane dirigeva il processo.

Erano in dodici, con le mani legate dietro alla schiena e i visi immobili per lo sconcerto. Erano spaventati. Jonathan avvertì un peso sullo stomaco a guardarli. Erano cittadini, non vestivano un'uniforme, ma Lane iniziò ad accusarli di essere in combutta con i Ribelli, di aver dato loro denaro, armi e provviste e soprattutto rifugio in quella città.

Borbottii si levarono tra i vari ufficiali chiamati a presenziare, non tutti sembravano concordare con la versione sostenuta da Lane e Jonathan cominciò a sperare che ci fosse qualche possibilità per quei poveretti.

«Non possiamo giustiziare dei civili!» provò a protestare il colonnello Weer e Jonathan inspirò forte, sollevato nel sentire che ci fosse chi non appoggiava l'atteggiamento di Lane.

Ma il comandante della Brigata del Kansas non sembrava volersi fare intimidire dalle voci di dissenso che si levavano tra i suoi.

«Questi civili, come li chiama lei, colonnello Weer, sono dei traditori! Se ci mostriamo deboli adesso, continueranno con le loro operazioni sovversive e recluteranno altri uomini per Price. È questo che desidera? Ingrossare le file dei Ribelli?»

Il colonnello non rispose, gli occhi che dardeggiavano in direzione del suo superiore. Nessun altro osò mostrare apertamente dissenso verso il comandante e molti distolsero lo sguardo combattuti: quel processo era una messinscena, il comandante aveva già deciso come agire, voleva solo coprire quell'azione infame sotto una patina di ufficialità.

Il tutto si concluse abbastanza in fretta, sotto gli occhi sconcertati di Jonathan. I dodici vennero condannati a morte e un plotone d'esecuzione fu messo insieme rapidamente tra le grida di protesta e le suppliche dei malcapitati, lo stesso Lane si unì ai soldati scelti per l'ingrato compito.

Il suono dei proiettili sparati ferì le orecchie del giovane mentre vedeva i dodici cadere e un conato di vomito lo colse di sorpresa. A fatica tenne a bada il suo stomaco e si asciugò con stizza una lacrima che era scesa a rivelare il suo turbamento.

«Date fuoco alla città e liberate gli schiavi!» il comando corse veloce tra le fila mentre il capitano Garret avanzava verso di lui. Gli rivolse solo un'occhiata e poi, con una pacca sulla spalla, lo invitò a seguirlo. Intorno si stava scatenando il finimondo, il cannone riprese a tuonare per abbattere gli edifici chiave della città mentre i soldati correvano armati di torce per eseguire l'ordine e orde di schiavi liberati si riversavano nelle strade mettendosi a correre, urlando e gemendo.

Jonathan non osava dire una parola mentre camminava a fianco al suo capitano, guardando fisso davanti a sé per cercare di non vedere quello che stava accadendo, ma percepiva che l'uomo non era soddisfatto.

«Maledetto Lane» lo sentì borbottare. «E maledetto Ritchie... Se Johnson fosse stato ancora vivo, non avrebbe acconsentito a un ordine così barbaro.»

Jonathan intuì che il nuovo comandante della cavalleria condivideva le stesse idee distruttive di Lane e Montgomery ed ebbe un brivido: quello era il suo tenente colonnello e avrebbe dovuto sottostare alle direttive.

Raggiunse il fratello che stava seduto in disparte in silenzio a osservare quello spettacolo spaventoso ma affascinante. Le fiamme danzavano e si levavano alte a consumare tutto e bottiglie di whisky trafugate dalla città cominciarono a girare tra le truppe.

Jonathan ne afferrò una da un soldato di passaggio, che non osò protestare notando che era un tenente, e si sedette accanto a Robert.

«Tieni» disse dopo aver preso una generosa sorsata.

«Ma che...»

«Non discutere, bevi» lo zittì.

Robert prese la bottiglia e titubante se la portò alle labbra.

«Non voglio festeggiare, se è questo che credi. Voglio solo dimenticare questa giornata se possibile, e sarebbe meglio se lo facessi anche tu.»

Robert lo fissò negli occhi, due pozze scure e profonde, e intuì che aveva assistito a qualcosa che l'aveva sconvolto ancor più di tutto quello che avevano visto. Capì che non gliene avrebbe parlato e si limitò a stargli accanto bevendo dalla stessa bottiglia.

Quando l'eccitazione si spense insieme alle fiamme, a sera inoltrata, centinaia di soldati giacevano ubriachi al suolo.

«In marcia! Si torna al campo!» l'ordine corse tra le fila, ma rimetterle insieme risultò più problematico del previsto. Molti uomini non si reggevano in piedi.

«Tenente Becker, la ritenevo un giovane di buon senso...» lo redarguì il capitano guardandolo con sprezzo.

«Capitano, sono in grado di adempiere ai miei doveri» affermò serio, cercando di zittire il ronzio nelle orecchie.

L'uomo lo fissò in silenzio per un lungo istante, poi sospirò.

«Lei è ubriaco, ma almeno si regge in piedi. Raccatti suo fratello e radunate gli uomini che riescono a montare in sella. Quelli che non ce la fanno, be', troveremo una soluzione. Si muova!»

Jonathan tentò un saluto militare leggermente sghembo e strizzando l'occhiolino alla sorella che lo fissava sgomenta si avviò barcollando.

«Whisky...» pronunciò Garret con un sospiro fissando Sabrina che non osò ribattere.

«Be', ragazzo, almeno tu sei sobrio... prepara il mio cavallo» ordinò.

Lei si affrettò a obbedire allontanandosi e guardando la scena pietosa di uomini barcollanti che cercavano di rimettersi in piedi. Si erano lasciati andare a festeggiamenti sfrenati e le bottiglie erano corse da un uomo all'altro con troppo entusiasmo. Lei era rimasta con il capitano mentre fumava torvo in silenzio e aveva rifiutato con un cenno l'invito a unirsi agli altri.

Non vedeva motivo di festeggiare, preferiva rimanere accanto a quell'uomo e condividere con lui l'angoscia per quanto era successo quel giorno. Perché anche se non diceva nulla era chiaro che disapprovava.

Non si sarebbe mai aspettata però di vedere suo fratello ubriaco. Non mentre era in servizio, almeno. Non capiva cosa l'avesse spinto a lasciarsi andare a quel modo... Quella giornata era stata orribile e pensare che suo fratello si fosse unito ai festeggiamenti le serrò lo stomaco in una morsa rabbiosa.

Dopo un tempo che parve infinito furono in grado di mettersi in marcia per tornare a West Point. Molte teste ciondolavano sulle selle e i carri stracolmi di beni sottratti alla città dovettero ospitare anche un gran numero di soldati incapaci di reggersi in piedi. Uno spettacolo pietoso, degno finale di quell'orrore. Sabrina incrociò lo sguardo vacuo del fratello e girò il volto dall'altra parte, indignata.

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