48- L'infermiera
Robert fece capolino nell'ospedale. L'ultimo posto che avrebbe voluto visitare, ma uno dei soldati del suo plotone era stato ferito il giorno precedente.
Dentro, due file interminabili di brande addossate al muro si fronteggiavano e occhieggiavano verso il corridoio centrale che il giovane si trovò ad attraversare timido, temendo che il suono dei suoi passi disturbasse gli uomini stesi. Le tende alle finestre schermavano la luce del giorno gettando tutto nella penombra. Lanciò sguardi frettolosi a destra e sinistra in cerca del suo commilitone, vergognandosi di soffermarsi su quegli uomini sofferenti e violare la loro intimità.
Alcuni dormivano, altri si lamentavano o fissavano con espressione vuota davanti a sé e Robert deglutì a fatica vedendo la miseria di quei corpi feriti e odorando il lezzo del sangue, del sudore e dell'orina che impregnava quel posto. Avrebbe voluto tapparsi il naso, ma si trattenne per non sembrare offensivo.
Poi vide il suo commilitone. Aveva una fasciatura sporca di sangue sulla testa e gli occhi chiusi. Forse stava riposando. Non sembrava essersi accorto del suo ingresso e decise di non disturbarlo. Sospirando, si indirizzò a passo deciso verso il fondo della corsia in cerca dell'ufficiale medico. Avrebbe chiesto a lui di ragguagliarlo sulla condizione di quegli uomini e anche di dargli notizie dei prigionieri feriti che stavano curando.
Mentre camminava, notò in controluce la sagoma di una donna di schiena, china su un soldato. Rallentò il passo e l'osservò nell'atto di sedersi e scrivere qualcosa, poi la vide riavvicinare il viso all'uomo come per carpire meglio le sue parole. Intuì che le stava dettando una lettera. Superandola, la guardò in volto e riconobbe la signorina Adams.
Ebbe un sussulto a quella visione. Non si aspettava di rincontrarla, ma lei era lì in carne e ossa e stava impugnando il pennino con grazia, preoccupata di scrivere con una buona calligrafia. Il suo profilo disegnato dalla luce fioca che filtrava dalla tenda era ancor più bello di quanto ricordasse.
Sentendosi osservata, distolse gli occhi dal foglio e incontrò lo sguardo stupito del giovane ufficiale.
«Signorina Adams, che sorpresa!» le disse con un sorriso.
La giovane sembrò confusa per un momento, poi poggiò il materiale da scrittura sul piccolo mobile a fianco al letto e ricambiò il saluto alzandosi con un lieve inchino.
«Non sapevo foste qui...»
Robert si sentì in imbarazzo a tentare una qualche conversazione in quel luogo, ma lei sembrava perfettamente a suo agio.
«Siamo arrivate stamani, non appena abbiamo saputo della battaglia» rispose con voce lieve e poi si voltò verso il suo ferito come a rassicurarlo che sarebbe tornata presto da lui.
Robert ne approfittò per guardarsi intorno e vide in lontananza altre donne insieme all'ufficiale medico sul fondo; capì che l'associazione doveva essersi messa in moto subito.
«Be', che efficienza!» esclamò gaio, giusto per stemperare il suo imbarazzo. La giovane gli offrì un sorriso come ad accogliere il complimento e Robert sentì improvvisamente caldo.
«Perdonatemi, devo andare adesso... Magari vi rivedrò se sarete ancora qui» buttò lì con noncuranza.
«Certamente! Staremo qui finché sarà necessario. Temo però di non aver tenuto fede alla mia promessa... Siamo partite talmente di fretta che ho dimenticato di portare con me il libro di Poe.»
Robert deglutì a fatica ricordando la serata passata a conversare.
«Non vi preoccupate, signorina, non ho comunque molto tempo da dedicare alla lettura» si affrettò a minimizzare.
«Spero che allora troviate almeno un po' di tempo per conversare ancora con me. A presto, signor Becker» rispose con un tono carezzevole che gli fece venire i brividi, poi tornò a sedersi e rivolgere tutte le sue delicate attenzioni al soldato ferito.
Robert ne approfittò per allontanarsi a passo spedito in cerca dell'ufficiale medico, prima che potesse accorgersi del suo turbamento. Possibile che quella giovane riuscisse a farlo sentire così? Scuotendo la testa per eliminare la sua immagine dagli occhi trovò il dottore che dava ordini alle altre donne presenti.
«Signore!» lo salutò portando la mano alla fronte e mettendosi sull'attenti.
L'ufficiale lo squadrò un istante prima di fare un cenno per liberarlo.
«Sottotenente Becker. Sono qui per conto del capitano Garrett. Come sta il soldato Perkinson?»
L'uomo si grattò la barba pensieroso e Robert gli indicò il letto del camerata da lontano.
«Ah sì, mi faccia controllare un attimo...» disse sfogliando una cartelletta piena di fogli. «Ferita alla testa, ma niente di grave: una scheggia di granata gli ha scalfito il cranio ma è stato fortunato, poteva sfondarglielo. Si rimetterà» concluse sollevando lo sguardo dai suoi appunti.
«E i prigionieri?»
«Ce ne sono un paio messi male, non so se sopravvivranno. Alcuni hanno perso una gamba o un braccio, ma per il resto saranno pronti da scambiare abbastanza in fretta, credo.»
Robert gettò un'occhiata ai Confederati stesi nella parte in fondo dell'ospedale, separati dagli altri da un rudimentale tendaggio, come per creare due zone nello stesso stanzone oblungo. Sdraiati sotto le bianche lenzuola, senza una divisa a identificarli, non avrebbe saputo distinguerli dai suoi commilitoni e il pensiero lo colpì con la violenza di una pallottola. Era consapevole che quegli uomini fossero americani tanto quanto lui, ma vederli là, distesi e uguali ai suoi camerati, gli strinse lo stomaco. Era una guerra civile e la sua misera incursione dentro l'ospedale militare gliene diede un'immagine vivida e chiara, come se l'avesse capito solo in quell'istante.
Deglutendo, staccò gli occhi da quegli uomini sofferenti e annuì brevemente al medico, prima di allontanarsi in fretta. Voleva uscire da quel posto di miserie il prima possibile.
Si fiondò fuori inspirando forte l'aria pulita di quel pomeriggio. Gli sembrò un miracolo dopo l'atmosfera opprimente dell'ospedale. Come si potevano guarire degli uomini in quello stanzone semibuio e puzzolente?
Pregò per non dovercisi mai trovare: meglio crepare sul campo di battaglia che tra i miasmi di morte di quell'ospedale.
E come poteva accettare quella giovane di passare la sua giornata lì? Jonathan era il solito maligno, doveva essere un angelo chi offriva il suo lavoro con tanta abnegazione in un luogo così saturo di dolore.
Cercando di scacciare l'immagine fugace di quegli occhi grandi e quel sorriso pieno di pudore si avviò in cerca del capitano.
Lo trovò davanti alle stalle mentre osservava pigramente i suoi uomini, impegnati nelle operazioni di abbeveraggio e striglia. Teneva il sigaro spento in bocca e le braccia intrecciate dietro alla schiena.
«Signore!» si presentò eseguendo il saluto militare. L'uomo rispose portandosi svogliato una mano alla fronte, sembrava quasi scocciato di dover distogliere l'attenzione da quei lavori per dar retta al suo ufficiale.
«Il soldato Perkinson si riprenderà» cominciò Robert, deciso a svolgere il suo compito e poi levarsi di torno. Il capitano annuì.
«I prigionieri?»
«Un paio molto gravi, gli altri saranno presto pronti per uno scambio.»
«Se ci sarà uno scambio... Sembra che quel Price si sia ritirato verso Lexington. Non appena ci arriveranno i rinforzi, credo che Lane ci manderà all'inseguimento.»
Robert rimase impassibile in attesa di nuovi ordini.
«Sette pezzi d'artiglieria...» sospirò pensoso il capitano.
«Come dice, signore?»
«Avevano sette pezzi d'artiglieria e ci hanno cannoneggiato senza sosta per due ore... È un miracolo che non ci abbiano fatti tutti a pezzi. Idioti...»
«Be', ringraziamo la loro pessima mira, allora», abbozzò un sorriso il giovane.
«Già!» rispose battendogli una mano sulla spalla e poi con un cenno del capo gli indicò il gruppo di uomini al lavoro.
«L'ha visto? Quel ragazzino è un portento» commentò e Robert si voltò a guardare i soldati, individuando la sorella che strigliava il suo animale e lo accarezzava sul muso.
«È tutt'uno con il suo cavallo. Si capisce da come monta, ma anche da come se ne prende cura. Era uno spettacolo vederlo correre in mezzo ai proiettili, ha fegato...»
Robert non rispose, un peso sullo sterno gli aveva reso il respiro difficoltoso e un groppo di saliva piantato in gola minacciava di strozzarlo. Sabrina era davvero coraggiosa, ma avrebbe preferito che se ne stesse tranquilla nelle retrovie invece che farsi notare. Fissò il capitano e si accorse che il suo sguardo aveva perso la solita vena sorniona e sarcastica: osservava quello che credeva un ragazzino con una sorta di tenerezza e orgoglio, come se si trattasse di un figlio, e Robert sperò che questa simpatia potesse servire a mettere al sicuro la sorella.
Erano tutti allineati per l'ispezione serale. Il capitano passò davanti ai suoi uomini due o tre volte scrutandoli in silenzio, le mani allacciate dietro alla schiena e l'espressione seria. Poi si fermò al centro e parlò, ma non per dare il Rompete le righe che tutti si aspettavano.
«Ieri abbiamo affrontato il nemico per la prima volta e sono fiero di come vi siete battuti! Sette pezzi d'artiglieria vi hanno mitragliato senza sosta per due ore e vi siete comportati bene.»
Gli uomini rimasero impassibili a guardare ognuno davanti a sé, ma qualche accenno di sorriso aveva tirato le labbra di più di uno.
«In particolare, però, voglio complimentarmi con il giovane McEnzie.» La ragazza sussultò.
«Dove sei, ragazzo? Fa' un passo avanti.»
Sabrina riluttante, avanzò scavalcando la prima fila e presentandosi.
«Ragazzo, ieri sei stato impavido e tutti dovrebbero prendere d'esempio il tuo spirito e il tuo coraggio. Ti ho visto schizzare tra i proiettili senza tentennare. Nonostante la tua giovane età, ti sei comportato da uomo e questa compagnia è fiera di averti tra le sue linee.»
Gli altri soldati annuirono e una voce si levò dalla seconda fila: "È vero, hurrà per il ragazzino!" e in coro si alzarono vari hurrà mentre Sabrina incassava la testa nelle spalle, sentendosi arrossire per l'imbarazzo. Jonathan e Robert si scambiarono un'occhiata fugace e sorrisero.
«Bene, e adesso andate a cenare. Non sappiamo cosa ci riserverà il domani: siamo tutti nelle mani del Signore e del colonnello Lane. Compagnia, rompete le righe!»
I soldati si avviarono verso il refettorio e Sabrina con essi. Qualcuno le diede un'affettuosa manata sulla schiena e lei seguì la scia dei compagni con un'espressione di beata soddisfazione che non sfuggì ai fratelli.
«Hai visto che roba?» sussurrò Jonathan a Robert mentre si avviavano per la cena.
«Non ci avrei scommesso nemmeno un dollaro...» rispose il più giovane ridacchiando.
«Al capitano sembra piacere... Non so se sia un bene o un male.»
«Già, l'ho notato anch'io. Oggi pomeriggio la osservava come fosse un figlio.»
«A proposito di figli... A nostro padre verrebbe un infarto, ma se sopravvivesse alla notizia credo che dovrebbe essere fiero di lei.»
Robert si girò a osservare il fratello, stupito, poi scoppiò a ridere e annuì. Davvero, il padre avrebbe dovuto essere fiero di quella ragazza, ma era impossibile: come si poteva approvare un simile comportamento in una donna? Questo pensiero inquinò la felicità per gli elogi appena ricevuti dalla sorella. Come ragazzino sarebbe stata ammirevole, ma non lo era. C'era qualcosa di profondamente ingiusto in tutto ciò.
«Ehi, guarda un po' là chi c'è!»
Jonathan interruppe il flusso dei suoi ragionamenti e Robert si accorse che gli stava indicando un gruppetto di donne in lontananza.
«Sì, l'ho già incontrata oggi pomeriggio all'ospedale» rispose evasivo.
«Tu sapevi che quella era tornata qui e non mi hai detto niente?»
«Be', non c'è stata occasione, poi non mi sembrava un fatto rilevante...»
Jonathan tacque, rimanendo a scrutare la ragazza in mezzo alle altre signore con un senso di stizza. Poi, quando la vide andare con loro ad accomodarsi in disparte per la cena, prese il fratello per un braccio e gli sussurrò:
«Non so cosa hai in mente, ma è chiaro che quella ti piace. Non ho intenzione di metterti i bastoni tra le ruote, però cerca di essere prudente.»
Robert alzò appena un sopracciglio.
«Ancora con questa storia? Fa parte dell'associazione... è un'infermiera! Che altro potrebbe fare se non dare una mano?»
Jonathan scosse appena il viso contrariato.
«Non lo so, va bene? È solo una sensazione... Fa' quello che ti pare: baciala, toccala, tutto quello che ti permetterà di fare, ma tieni la bocca chiusa con lei!»
Robert si scostò infastidito. Suo fratello era paranoico.
Passò il resto della cena a immaginare come fare per aver l'occasione di incontrare ancora quella ragazza da solo. Di sicuro non sarebbe stato facile: non sembrava incline a sfidare l'etichetta e il rischio di ritrovarsi alle calcagna quella vecchia megera della zia lo sconfortava.
Forse avrebbe fatto meglio a cercarsi una ragazza senza tante complicazioni... una come Lizzie sarebbe stata più semplice da avvicinare! Magari era per quello che suo fratello sembrava dirigersi verso quel tipo di donna, almeno standolo a sentire quando esprimeva la sua volontà di non impegnarsi seriamente con nessuna.
Ma lui era diverso... Non era tipo da volersi divertire senza impegno, quindi avrebbe dovuto affrontare gli ostacoli di un corteggiamento in piena regola se davvero la ragazza era degna del suo interesse. Ma lo era sul serio? Questo si domandava mentre con lo sguardo cercava di avventurarsi in fondo alla sala per cogliere qualche fuggevole visione di lei.
Sospirando, tentò di distogliere la sua mente da quell'argomento: aveva già tante cose cui pensare che ingarbugliarsi la vita con una donna non sarebbe stato saggio. Non con una guerra in corso e una sorella sotto mentite spoglie a cui badare.
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