47- Battaglia
Pochi giorni dopo furono svegliati bruscamente.
«Ufficiali! Radunate gli uomini in assetto da combattimento e raggiungete i vostri superiori» li apostrofò un maggiore entrando nella loro baracca e andandosene senza dare altre spiegazioni.
Robert si tirò su dalla branda, pallido, fissando il fratello preoccupato. Jonathan portò sfuggente un dito alle labbra facendogli capire di tacere: aveva afferrato al volo i suoi pensieri.
Dopo un primo istante di smarrimento la baracca sembrò animarsi. Tutti si mossero con efficienza per vestirsi e prepararsi senza sprecare tempo in parole, ma solo scambiando occhiate d'intesa con gli altri. Era arrivato il momento.
Jonathan si precipitò fuori per primo in cerca del capitano, mentre ancora finiva di allacciarsi la giubba. Lo trovò che si stava facendo legare da un soldato la sciarpa gialla intorno alla vita mentre si sistemava il colletto della camicia.
«Capitano» disse eseguendo il saluto e mettendosi sull'attenti.
«Ah, tenente Becker, buongiorno! Ha sentito le novità?»
«Non precisamente, ci hanno solo detto di disporre le compagnie e raggiungere i comandanti... speravo potesse dirmi qualcosa di più» accennò.
«Sembra che il generale Price stia muovendo dal Missouri verso Fort Scott, in buona compagnia... migliaia di uomini se ho ben capito. Ma attendo dettagli dal colonnello Johnson e dal comandante Lane che stanno conferendo con i ricognitori» rispose mentre si infilava la cintura sopra la sciarpa e controllava le sue due Colt.
«Vado a far preparare gli uomini» disse accennando a uscire poi, come se avesse avuto un ripensamento, tornò sui suoi passi. «Capitano... che facciamo con il ragazzino?» buttò lì.
L'uomo alzò appena un sopracciglio.
«Che intende, tenente?»
«Lo sa benissimo, capitano. Preferirei non avercelo sulla coscienza» rispose sicuro, quella era l'ultima occasione per farlo esonerare.
«Lei è davvero così sicuro che non se la cavi, eh?» L'uomo incrociò le mani dietro alla schiena, scrutando il suo sottoposto.
«È troppo giovane» affermò senza esitazioni.
«Va bene, tenente, ci penso io. Adesso vada là fuori a coordinare la truppa in attesa del colonnello.»
Jonathan eseguì il saluto militare e uscì soddisfatto: il capitano aveva capito.
Il Quinto Cavalleria era disposto nella piazza d'armi su più file, ogni uomo teneva le redini del suo cavallo e attendeva in posizione di riposo.
Robert osservava la sorella immobile a un lato del suo plotone, seria e imperscrutabile, e si chiese se fosse davvero così tranquilla come voleva dare a intendere o se le paure che l'avevano divorata pochi giorni prima la stessero consumando in silenzio.
Lanciò un'occhiata al fratello in piedi davanti all'altro plotone e cercò i suoi occhi, ma lui guardava fisso innanzi a sé. Chissà se era riuscito nel suo intento quella mattina, non avevano avuto modo di parlarne nei momenti concitati che avevano seguito il risveglio.
Il capitano ordinò di mettersi sull'attenti e li passò in rassegna, poi all'improvviso chiamò:
«McEnzie!»
Robert la vide sussultare prima di fare un passo avanti, incerta.
«Ragazzo, sei giovane e non vorrei averti sulla coscienza oggi, ma siamo in guerra e il tuo posto è qui. Ciononostante è chiaro a tutti come tu sia un mediocre tiratore e alquanto deboluccio negli scontri corpo a corpo...»
Vide Jonathan sorridere impercettibilmente e si concesse un lungo respiro di sollievo: suo fratello ce l'aveva fatta. Le guance della sorella divennero rosse per la vergogna e Robert provò quasi pena per lei, ma una piccola umiliazione era un prezzo davvero basso in cambio di quell'esonero.
«Ma nessuno può negare che tu sembri nato in sella a quel cavallo, quindi oggi sarai la staffetta della nostra compagnia. È un compito rischioso, ma sono sicuro che tu potrai farti onore e saprai cavartela. Tieni d'occhio le bandiere delle varie compagnie e sii pronto a volare come il vento tra i proiettili per portare gli ordini di battaglia che ti verranno affidati dagli alti ufficiali!»
Robert s'irrigidì: il capitano non aveva concluso! Si voltò d'istinto verso il fratello e lo vide immobile e freddo, come se la notizia non l'avesse toccato, ma il modo in cui tormentava le redini del suo cavallo tradiva la sua ansia. Il capitano non gli aveva dato retta... Aveva colto la sua richiesta solo a metà. Non aveva messo la ragazza in prima linea, ma lo stesso le aveva affidato un incarico pericoloso.
Sabrina invece sorrideva mentre il capitano le faceva assegnare un nuovo cavallo per sostituire il suo, troppo vecchio per un compito del genere. Tutti le lanciavano occhiate d'approvazione e quando tornò in linea le sussurrarono anche qualche complimento. Incrociò lo sguardo orgoglioso con quello del fratello minore e vi lesse preoccupazione. Il sorriso sulle labbra si affievolì: lui non era contento per quel suo incarico, era evidente. Eppure non riusciva a condividere i suoi sentimenti: se il capitano la riteneva in grado di ricoprire il ruolo di staffetta, lei non l'avrebbe deluso. In fondo non le chiedevano abilità militari ma solo quello che sapeva fare meglio, cioè stare in sella e lanciare la sua cavalcatura al massimo.
Guardando il suo nuovo cavallo si sentì eccitata: era splendido, giovane e forte, e poi ebbe un attimo di malinconia ripensando a Ella... con lei quell'incarico sarebbe stato perfetto! Ma Ella non c'era più, e nemmeno Sabrina... Ora c'era Joseph McEnzie e gliel'avrebbe fatta vedere a tutti.
Il comandante Lane, a capo di tutta la Brigata del Kansas, arrivò poco dopo in sella al suo cavallo, insieme al colonnello Johnson che ispezionò le truppe passando loro avanti e indietro, fiero del suo reggimento, poi lasciò la parola al superiore.
«Soldati, è giunto il momento di misurarci con noi stessi e con il nemico! Dicono che Price stia arrivando alla testa di migliaia di ribelli, ma io dico che non sanno con chi hanno a che fare qui. Il Quinto Cavalleria li farà tornare sui loro passi. Non prenderanno Fort Scott! Non avanzeranno in Kansas! Dio è dalla nostra parte perché noi siamo con lui, e l'Unione non sarà sconfitta!»
Gli uomini lanciarono grida di approvazione.
«Per il comandante hip-hip...» gridò il colonnello Johnson e tutti risposero in coro "Hurrà" pieni di entusiasmo.
«Soldati, contarsi per quattro!» urlarono i vari capitani alle loro squadre a un cenno del comandante.
«In sella!» I soldati all'unisono montarono a cavallo, pronti a partire.
«In marcia!»
I primi si mossero e man mano si formarono le colonne per uscire dal forte, in una manovra provata migliaia di volte in quel periodo di addestramento. Ogni capitano era posto in testa alla sua compagnia e ogni tenente e sottotenente guidava i plotoni che la formavano. Sabrina stava nei ranghi domandandosi cosa avrebbe dovuto fare mentre Johnson e Lane si mettevano a lato del reggimento per seguire e condurre la marcia.
Seicento uomini uscirono dal forte in direzione est, pronti a dare battaglia.
Jonathan procedeva al trotto davanti al suo plotone e non era tranquillo. Avrebbe voluto avvicinarsi alla sorella, darle qualche consiglio, ma non poteva lasciare il suo posto nella formazione. Sperava solo fosse abbastanza prudente da scegliere il percorso migliore per raggiungere i vari comandanti che le avrebbero indicato, passando dalle retrovie, senza cercare di mettersi in mostra in modo eroico. Ma temeva che si sarebbe fatta guidare dall'istinto scegliendo la via più rapida e non necessariamente più sicura.
Il capitano gli aveva tirato proprio un bello scherzo coinvolgendola così... Se almeno l'avesse avvisato delle sue intenzioni, avrebbe potuto istruirla prima, ma forse l'ispirazione gli era venuta sul momento; in fondo quell'uomo era imprevedibile.
Trottarono oltre un'ora senza avvistare nessun Confederato, i ricognitori andavano in avanscoperta precedendo la colonna e tornavano indietro a riferire. Poi d'un tratto la notizia che li avevano avvistati poche miglia più avanti: potevano coglierli di sorpresa.
Le compagnie più avanzate nella colonna si prepararono alla carica mentre tra le altre squadre corse l'ordine di tenersi pronti a seguirle.
I Confederati erano stati presi alla sprovvista dall'arrivo della cavalleria nordista, ma dopo un primo smarrimento si erano subito organizzati per accoglierla e la loro artiglieria cominciò a sparare. Una nebbia densa e fitta di fumo coprì immediatamente il campo di battaglia e quando i tre fratelli arrivarono sul posto già non si vedeva nulla. Le bandiere delle varie compagnie si confondevano e un trambusto di grida, richiami dei trombettieri e rullare dei vari tamburi rendeva l'atmosfera ancor più caotica. Jonathan ordinò di estrarre la sciabola e guidò la carica del suo plotone.
«Al trotto! State in formazione!» gridò.
Furono investiti da un colpo di cannone male assestato che li lasciò tutti illesi, ma che fece esplodere la terra davanti a loro assordandoli.
«Al galoppo!» gridò Jonathan, stupendosi di non sentire la sua voce tanto le orecchie gli stavano fischiando. Il suo cavallo obbedì riluttante, impennandosi prima di decidersi a collaborare.
«Carica!»
Quello era l'inferno. Fino a quel giorno poteva averlo immaginato, ma non si era mai trovato davvero in una situazione simile.
La compagnia si era dispersa durante l'attacco e il giovane gridò di ricompattare i ranghi, facendo cenno al trombettiere di suonare l'adunata. Dopo poco il plotone si era riunito dietro la bandiera, pronto per un nuovo assalto. Guardò in direzione del capitano che gli fece cenno di provare con una manovra sul fianco e ripartì con i suoi uomini.
A ogni cannonata la terra tremava e veniva sconquassata con violenza, a ogni scarica di fucileria la nebbia aumentava e il fumo si alzava in grosse volute ristagnando sul campo. Si gettarono di lato contro una fila di fanti, schierati per sparare, rompendo la loro formazione e schivando per miracolo le baionette innestate sui fucili, dando colpi furiosi con la sciabola, prima di ripiegare nuovamente. Vedendoli in rotta si concessero un breve grido di vittoria, alcuni levando il berretto e sventolandolo in aria con entusiasmo.
«Prepararsi a combattere a piedi!» ordinò il giovane. Gli uomini si divisero in gruppi di quattro. In tre scesero da cavallo e affidarono le redini al quarto, agganciarono la sciabola alla cintura e sfilarono il fucile da dietro la schiena, mettendosi poi sull'attenti con lo Sharp in mano appoggiato alla spalla disposti su due file, ogni squadra capitanata dal suo caporale. Jonathan pensò che li avevano addestrati bene, nonostante tutto: erano volontari ma pieni di determinazione.
Guardò in direzione della linea confederata aspettando di vederli spuntare da un momento all'altro, il suo cavallo era nervoso e faticava a tenerlo fermo mentre scrutava nella nebbia. Poi li scorse, una linea compatta di fucili prese forma nel fumo ai piedi della collinetta su cui si trovavano.
«Puntare!» gridò.
Doveva aspettare il momento giusto, lasciarli avvicinare ancora un po', ma quelli presero a scaricare i fucili facendo fischiare una serie di pallottole sopra le loro teste. Essere in cima alla collina giocava a loro vantaggio. Qualche cavallo nitrì spaventato, provocando il nervosismo degli altri e rendendo difficile agli incaricati di controllarli tutti. Jonathan lanciò appena un'occhiata a un soldato che tentava di calmare i tre affidati a lui e sciogliere le briglie annodate, prima di tornare a concentrarsi sugli uomini pronti a sparare.
Quando tutti i Sudisti ebbero scaricato l'arma e cominciarono affannosamente a ricaricarla, ordinò:
«Fuoco!» La posizione rialzata e la precisione dello Sharp sulle lunghe distanze causarono la caduta di alcuni Ribelli.
«Ricaricare!» gridò Jonathan mentre alcuni Confederati avevano ricominciato ad avanzare con il fucile spianato, pronto al tiro.
«Fuoco a volontà!»
Lo Sharp garantiva una maggior semplicità di utilizzo rispetto all'Enfield della fanteria: era sufficiente infilare la cartuccia nella culatta con una facile mossa e sparare, gli inneschi si inserivano automaticamente sul luminello abbreviando il tempo necessario alla ricarica e questo permise alla cavalleria nordista di esplodere più colpi. Nonostante questo, i Confederati si stavano avvicinando e Jonathan calcolò che uno scontro corpo a corpo con le loro baionette non sarebbe stato conveniente.
«Prepararsi a montare!» ordinò.
Gli uomini infilarono i fucili dietro alla schiena e recuperarono i loro cavalli in fretta mentre le pallottole continuavano a fischiare intorno a loro.
«In sella!»
Un cavallo venne colpito da una pallottola accasciandosi al suolo, nitrendo disperato. A un cenno del tenente il soldato appiedato venne raccolto da un compagno al volo, prima di dare inizio alla manovra di ripiegamento.
Jonathan non seppe quanto durò il tutto. Non aveva più voce a furia di gridare ordini, gli occhi bruciavano e lacrimavano per il fumo, le orecchie ronzavano per gli scoppi continui di granate e il suo cavallo schiumava per la fatica.
A terra c'erano centinaia o forse migliaia di muli e cavalli morti e i Confederati erano decisamente troppi. Li superavano di numero di almeno dieci volte, l'unica consolazione era che non avevano aggiustato il tiro dei cannoni nell'ansia di tenere un alto ritmo di fuoco e non sembravano aver inflitto gravi perdite.
«Ritirata!» Il grido dei vari comandanti riecheggiò tra le compagnie e tutti si apprestarono a eseguirlo ricompattando le colonne, con rabbiosa efficienza.
«Quante perdite, tenente?» gli si affiancò il capitano.
«Nessuna tra i miei, signore, abbiamo però perso almeno dieci cavalli» disse indicando con un cenno gli uomini che condividevano la stessa cavalcatura.
«Bene, ripieghiamo al forte» ordinò proseguendo verso l'altro plotone. Sabrina era con lui e Jonathan quasi non la riconobbe, con la faccia completamente annerita dal fumo e la polvere da sparo e il fazzoletto tirato sopra il naso a ripararla dalla polvere. Il suo cavallo era stremato: doveva averlo portato al limite delle forze e lei lo stava accarezzando sulla guancia come a complimentarsi con lui per tanta abnegazione. I loro occhi si incrociarono e le sorrise. Lei annuì, seria, prima di spronare il cavallo per seguire il capitano.
Per lo meno era tutta intera.
Stavano ripiegando ordinatamente verso il forte quando un nutrito gruppo di Confederati li sorprese al guado sul torrente Dry Wood. Avevano aggirato i fianchi della cavalleria nordista e li stavano aspettando per tagliare loro la fuga.
Jonathan li vide sbucare da dietro i cespugli, gli alberi e una casa di legno urlando il loro grido di guerra e sparando. Estrasse la Colt, ordinando ai suoi uomini di fare lo stesso, e rispose al fuoco in una confusione di zoccoli e soldati a piedi. Colpì un Confederato che si era aggrappato al suo cavallo con il calcio della pistola e mirò a un altro che stava per infilzare con la baionetta uno dei suoi.
«Via, via! Ritirata!» gridò con la voce arrochita mentre nel disordine cercava la sorella.
Poi la vide che stava cercando di districarsi nella confusione, sparando nel mucchio, e spronando la sua cavalcatura la raggiunse. Afferrò le sue redini e la condusse con sé tra gli alberi, in cerca di un passaggio e un altro punto per attraversare il corso d'acqua.
Rientrarono insieme al forte, senza parlare, raggiungendo la compagnia che si era ricompattata più avanti sulla strada dopo l'imboscata. Jonathan le aveva solo chiesto se fosse ferita e lei si era limitata a scuotere la testa. Poi si erano avviati in silenzio.
Parlare era penoso.
Entrambi rimuginavano su quanto era appena successo, la battaglia e il suo orrore: nessuna gloria nel vedere uomini e cavalli falciati da una granata, solo disgusto e paura. Perché non l'avrebbero mai ammesso, ma il terrore che avevano soffocato con l'adrenalina e l'azione ora tornava a ondate e li investiva. La vista di tutti quei cavalli e muli morti, stesi al suolo, era devastante e anche se non sembravano aver subito molte perdite in vite umane era lo stesso difficile da digerire.
Appena rientrati al forte, Jonathan stava per dirle qualcosa, sentiva di doverci almeno provare, ma la ragazza scese di corsa dalla sella e vomitò il contenuto del suo stomaco vuoto. Rimase a guardarla impietosito, poi vide il capitano fargli un cenno e lo raggiunse.
Robert arrivò poco dopo, scese da cavallo e si avvicinò con cautela alla sorella vedendola scossa dai conati. Le poggiò una mano sulla spalla e la aiutò a rimettersi dritta, esaminando il suo viso con occhi stanchi, ma senza commiserazione.
Sabrina gli fu grata. Non avrebbe sopportato che qualcuno provasse pena per lei e odiava il suo stomaco debole che l'aveva tradita. Posò una mano su quella del fratello in segno di gratitudine, senza riuscire a sorridere, e riprendendo le redini del suo cavallo si avviò per ricoverarlo nella stalla.
Il giovane la guardò andar via, in silenzio. Non avrebbe dovuto vergognarsi: era chiaro che fossero tutti provati da quel battesimo del fuoco. Nessuno parlava. Si trascinavano stanchi, felici di essere ancora vivi ma delusi per la disfatta.
Perché quello era stato: una disfatta.
Erano stati costretti a ripiegare al forte perché non avrebbero potuto sconfiggere i Confederati, erano decisamente troppi.
Si girò a guardare i feriti che venivano trasportati all'ospedale e si chiese quando avrebbero recuperato i cadaveri per dar loro una degna sepoltura. Sembrava che alcuni fossero caduti nelle mani dei Sudisti, ma sarebbe stata necessaria una verifica per confermare quanti erano morti e quanti, invece, erano stati presi prigionieri.
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