45- Cena
«Che ti ha preso oggi? Mi sei sembrato strano, evasivo, e fin troppo cortese...» lo interrogò più tardi Robert.
«Quella femmina non mi convince» rispose distrattamente, mentre si cambiava la camicia per prepararsi alla cena con gli alti ufficiali e la comitiva in visita.
«Comprendo i tuoi sentimenti verso il genere femminile, ma non ti capisco in questo caso...» disse imitando il fratello e sfilandosi a sua volta l'indumento per esaminarlo: gli aloni ingialliti intorno alle ascelle mal si confacevano a una serata di gala.
«Non hai visto come sembrava interessata a tutti i tuoi discorsi noiosi sul reggimento?»
«Cortesia?»
«E come sfuggiva lo sguardo d'improvviso?»
«Pudore?»
«E le domande che lasciava cadere così, come nulla fosse?»
«Curiosità?»
Jonathan rimase zitto a scrutare il fratello: era un ingenuo. Possibile che non si fosse accorto di nulla? Erano bastati due begli occhioni e qualche moina a rimbecillirlo?
«Sarà... Io ho preferito non rispondere.»
Robert si grattò pensoso sotto il mento, gettando in un angolo la camicia sporca.
«Ho visto come svicolavi da tutti i discorsi, ma lo stesso non ne vedo l'utilità. Che mai può capirne una donna come quella di eserciti, armi e altro? Magari fingeva solo interesse per rendere la situazione meno penosa a tutti: sembravamo due cretini in giro con lei e quella vecchia pavonessa di sua zia, manco avessimo tentato di corteggiare la ragazza.»
«Stasera continueremo nella farsa» lo interruppe secco.
«Che intendi?»
«Che faremo come ci ha chiesto il capitano: ci siederemo ai suoi lati e l'intratterremo con discorsi frivoli per tutta la cena. Non mi interessa se è una giovane donna che non ne capisce nulla di guerra: non mi fido.»
Robert si passò una mano tra i capelli, nervoso. L'idea di stare accanto a quella ragazza per tutta la sera lo turbava: non voleva pensare a lei, si era ripromesso di non farlo. Poi si rese conto di come aveva chiuso suo fratello. Perché non si fidava di lei? Poi ebbe un'intuizione.
«Non sarà solo perché hai sentito che viene da St. Louis?» ribatté, pronto a difendere la ragazza da sciocchi pettegolezzi su una famiglia divisa tra Unionisti e Secessionisti.
«No, non mi fidavo già prima. Non so, c'è qualcosa nei suoi modi che mi insospettisce. Se la lasciassimo di fianco a un qualche vecchio ufficiale, sono sicuro che riuscirebbe a lusingarlo con dei complimenti ben piazzati e magari troverebbe chi risponderebbe alle sue domande senza remore. E noi non lo permetteremo.»
«Sembra quasi che tu stia descrivendo una probabile spia...» rispose infastidito.
Jonathan lo fissò per un attimo in silenzio, poi prese a legarsi il cravattino.
«Non crederai... Jonathan, davvero, non è possibile! Di cosa stiamo parlando! È semplicemente assurdo...»
«Assurdo come una ragazza vestita da soldato che si trova in cella in questo momento?»
Robert si zittì.
«No... no, questo mi rifiuto di crederlo!»
«Fa' come vuoi. Magari mi sbaglio... ma stasera quella sta in nostra compagnia, capito?»
Tutti gli ufficiali si erano tirati a lucido per l'occasione e se ne stavano in piedi fieri nelle loro uniformi pulite e spazzolate, con i bottoni lucidati, le sciarpe accuratamente legate in vita e i capelli impomatati e pettinati. Robert si sentì per la prima volta orgoglioso di far parte di quel ristretto circolo, anche se molti di quegli uomini non erano militari di lungo corso e mancavano della marzialità che distingueva suo padre.
Sorseggiava un bicchiere di ponce in attesa degli ospiti, prestando scarsa attenzione ai discorsi altrui. Anche se quella cena offriva un piacevole diversivo alla solita routine, sperava comunque non si protraesse troppo a lungo: voleva passare a salutare Sabrina.
Poi la vide e il pensiero della sorella si dileguò come fumo portato via dal vento.
Era bellissima.
Quel pomeriggio, nell'abito castigato in cui si era fasciata, era sembrata graziosa e seria, mentre quella sera la signorina Adams pareva sbocciata in tutta la sua femminilità. Le clavicole spiccavano sul décolleté ben disegnato dall'ampia scollatura, il lungo collo sorreggeva con grazia una testa piena di morbidi boccoli raccolti e la cintura cingeva un vitino incredibilmente sottile.
Robert si ritrovò a deglutire a fatica, poi si riscosse: si era ripromesso di non farsi ammaliare da quegli occhi grandi che lo riportavano dolorosamente con il pensiero ad altri sguardi e baci rubati che tanto l'avevano deluso. Si voltò e si trovò di fronte il fratello che lo scrutava. Sentendosi ridicolo, tossicchiò e passò una mano tra i capelli fingendo indifferenza.
«Andiamo, rubacuori, abbiamo una missione da compiere» gli disse con una punta di rimprovero, mortificandolo.
Robert sospirò e lo seguì mentre si faceva strada tra gli ufficiali in direzione della ragazza.
«Buonasera, signorina Adams, che piacere ritrovarvi» esordì Jonathan con consumata abilità, mentre lui si limitò a rivolgerle un cenno rispettoso, incapace di spiccicare parola davanti a tanta bellezza.
«Buonasera, signori» rispose arrossendo leggermente e abbassando gli occhi dalle lunghe ciglia.
Possibile che suo fratello fosse immune al fascino di quella ragazza? Come poteva non piacergli? Era così graziosa... E qualcosa in quell'atteggiamento pudico lo spinse a desiderare di poterla aiutare, sostenere, difendere.
«Signorina Adams! Buonasera» s'intromise il capitano. «Spero che i miei due ufficiali vi abbiano trattata con le dovute maniere oggi pomeriggio e vi abbiano fatto apprezzare le meraviglie del nostro forte.»
«Oh, sì, vi ringrazio, signore: è stato un pomeriggio piacevole» rispose con eleganza.
«Sì, una giornata davvero interessante» replicò Jonathan monocorde, senza staccarle gli occhi di dosso. Lei ricambiò per un attimo il suo sguardo, seria, poi si sforzò di sorridere e tornò a dedicare la sua attenzione al capitano.
«Perfetto! Allora lasciate che vi accompagnino anche per la cena. Prego, signori» e fece cenno di avviarsi verso la lunga tavola.
La ragazza sembrò irrigidirsi alla notizia e Robert si sentì in dovere di intervenire, mentre il fratello le rivolgeva un'occhiata carica di sarcasmo.
«Signorina Adams, prego, concedetemi l'onore di accompagnarvi» disse gentile, offrendole il braccio. La ragazza studiò quel giovane posato e, sorridendo, appoggiò la mano nell'incavo del suo gomito, lasciandosi scortare. Jonathan rimase un attimo indietro a osservare la coppietta scuotendo la testa: suo fratello si era già fatto abbindolare.
La cena stava per avere inizio; il colonnello Johnson si alzò in piedi, propose un brindisi in onore degli ospiti e tenne un breve discorso di ringraziamento per la loro opera di volontariato. Il nuovo reggimento appena trasferitosi al forte necessitava di tutto l'impegno che l'organizzazione avesse voluto gentilmente concedere, sia per la fornitura di materiale extra, che per lavori in ambito ospedaliero, sartoriale, di lavanderia, di sostegno alla truppa e altro.
Robert si ritrovò a pensare alla camicia sudata che aveva gettato da parte e arrossì: mal si accompagnava a quella dolce creatura seduta al suo fianco. Per fortuna si era lavato e cambiato... In effetti tutti là dentro avrebbero avuto necessità di un buon bagno più spesso. Nelle baracche l'odore di sudore e piedi risultava soffocante non appena vi tornavano dopo lunghe ore passate all'aperto. Se quella ragazza che profumava delicatamente di acqua di colonia vi fosse entrata, sarebbe morto di vergogna. Il colonnello aveva ragione a sostenere che fosse necessaria una maggiore cura dell'igiene dei soldati, peccato che pochi dessero retta a quelle disposizioni ritenendole non fondamentali. E intanto i pidocchi si moltiplicavano.
Finito il discorso furono servite alcune semplici portate, Robert si premurò di versare dell'acqua alla ragazza e subito dopo all'altra signora seduta al suo fianco. Quella tavolata fatta di ufficiali intervallati da eleganti rappresentanti del gentil sesso era piuttosto allegra e tutti chiacchieravano di vari argomenti come se si conoscessero da tempo, le cortesie si sprecavano in un gioco continuo di galanterie e le donne esprimevano benevolenza con i loro sorrisi affettati e risolini educati.
Il giovane osservava affascinato la bella ragazza al suo fianco, i suoi orecchini pendenti che dondolavano a ogni aggraziato movimento della testa ipnotizzandolo, le sue labbra carnose che si chiudevano attorno al bordo del bicchiere e si aprivano al sorriso mentre ricambiava i discorsi del capitano seduto di fronte a lei. Poi, inaspettatamente, si voltò verso di lui e l'apostrofò:
«E voi, signor Becker, che ne pensate di questo forte? È come quello da cui provenite?»
Robert si riscosse dal torpore e si affrettò a rispondere.
«Oh, no: Fort Leavenworth è più grande e molto ben organizzato, qui ci stiamo ancora preparando... anche perché, da quanto ne so, fino a poco tempo fa era un forte in disuso.»
«Oh, sì, la sorella di mia zia viveva in questo posto, prima! Mi ha detto che cinque o sei anni fa il governo aveva venduto tutti gli edifici all'asta ai civili che si erano insediati qui... salvo poi cacciarli e riprenderseli per scopi militari» rispose rivolgendogli uno sguardo tagliente che mal si accordava alla sua precedente grazia.
«Non lo sapevo, scusatemi.» Arrossì.
«Oh, ma non è colpa vostra...» rimediò appoggiando una mano su quella del giovane che stringeva il tovagliolo sopra la tavola, di nuovo gentile.
Robert sentì un brivido a quel tocco e guardò spaventato la ragazza che gli stava rivolgendo un dolce sorriso e lo fissava con occhi languidi. Tossicchiando, scivolò via da quella presa e finse di dover passare il tovagliolo sulle labbra per fuggire da quello sguardo.
«Raccontatemi qualcosa di Fort Leavenworth» riprese.
«È un grande avamposto, al momento è il più grosso centro di reclutamento del Kansas, ma anche prima della guerra conteneva stabilmente vari reggimenti» rispose incerto, mentre lei lo guardava con interesse.
«E quanti uomini ci sono in un reggimento?»
«Circa mille... ma spesso meno. Dovrebbero essere dieci compagnie da cento uomini, ma non sempre è così.»
«Dieci da cento... mille, certo!» esclamò, come se avesse risolto un difficile quesito. Dava l'impressione che le si fondesse il cervello nel tentativo di fare i calcoli, eppure non sembrava affatto così limitata. I suoi occhi tradivano una spiccata intelligenza che tentava di mascherare. Perché? Temeva di sembrare troppo sveglia per un uomo e per questo meno interessante? Non capiva tale necessità: a lui le donne che ragionavano erano sempre piaciute, anche se secondo suo fratello erano solo portatrici di rogne. Forse per questa convinzione comune tentava di sembrare più sciocca di quanto non fosse?
«E c'è l'arsenale anche a Fort Leawenworth?» domandò candida.
«Il più importante dell'Ovest.»
«Quindi più grande di quello che c'è qui?»
«Decisamente...» tentennò: ancora quello strano interesse per il deposito delle armi.
«Oh, come sarei stata curiosa di vederlo con i miei occhi... Le armi mi fanno così tanta paura, ma è come con i racconti dell'orrore di Poe, mi incuriosiscono! Voi conoscete Poe?»
«Non bene come vorrei» svicolò.
«Ma allora dovete assolutamente leggere qualcosa di suo! La prossima volta che verrò in visita vi porterò la mia copia de La maschera della morte rossa» concluse decisa.
«Certo, se vi fa piacere.»
Quindi sarebbe tornata?
«Insisto...» pronunciò con malizia e lui pensò di avere un mancamento di fronte ai mille sottintesi di quella semplice parola.
«Signorina Adams, quando avrete finito di ammaliare mio fratello, posso farvi qualche domanda?» li interruppe Jonathan lanciando uno sguardo severo a Robert e alla sua espressione svagata.
La giovane si voltò ad affrontare l'altro ufficiale sfoderando il suo miglior sorriso.
«Ma certo, tenente.»
«Com'è la situazione a St. Louis?»
Al sentir nominare la città del Missouri alcuni ufficiali si voltarono nella loro direzione e la ragazza arrossì.
«Come volete che sia? C'era una tale confusione prima che me ne andassi... Secessione di qua, secessione di là, non si parlava d'altro! Non c'era più in giro nessun giovanotto con cui fare una passeggiata senza dover mettersi ad ascoltare stupidi discorsi di politica! Io non ne capisco nulla. Poi mio padre, che è un fervente unionista, mi ha mandato dalla zia in attesa di tempi migliori... Devo dire che a Mound City si muore dalla noia, altro che St. Louis! Niente feste, ritrovi... un mortorio!» Poi si interruppe, come attraversata da uno spiacevole ricordo, e fissò per un attimo Robert prima di continuare con un tono molto meno gioviale.
«Oh, sono così preoccupata per la mia famiglia che è rimasta là» pronunciò in un soffio e sembrò che gli occhi le si riempissero di lacrime, così distolse lo sguardo e armeggiò in cerca di un fazzoletto nella sua piccola borsa, visibilmente turbata.
«Jonathan, lascia in pace la signorina: non vedi che è un argomento penoso per lei? Immagina come si deve sentire lontana dai suoi cari, separati da una guerra...» accorse in sua difesa Robert.
«Già» chiosò serio il fratello mentre gli altri tornavano alle loro conversazioni, liberando la ragazza dall'imbarazzo.
«Desiderate prendere un po' d'aria, magari?» chiese Robert premuroso e lei acconsentì, annuendo velocemente intenta a tamponarsi gli occhi.
Il giovane si alzò e l'aiutò a scostare la sedia, poi le offrì il braccio e la scortò vicino all'ingresso mentre la zia gli lanciava un'occhiata torva, pronta a intervenire se fossero usciti da soli. Ma i due rimasero sull'uscio a guardare la notte che calava rapida sulle silenziose baracche del forte.
«Perdonate mio fratello, non voleva essere scortese.»
La ragazza inspirò decisa e poi rispose sforzandosi di sorridere, ma era un sorriso triste.
«Non è colpa di vostro fratello, è che mi sento a volte un po' sola qui. La mia famiglia è rimasta in Missouri e sono abituata a queste domande che celano sospetto.»
«Nessuno qui sospetta di voi, ve lo garantisco» la rassicurò.
«Vi ringrazio, se non vi dispiace ora gradirei rimanere un attimo da sola» rispose.
Il giovane si produsse in un inchino galante e tornò al suo posto. Jonathan stava sorseggiando del vino, sembrava pensieroso e si voltò appena a guardarlo mentre si sedeva da solo.
«Potevi evitare certe domande che la mettono in imbarazzo» gli sussurrò con malcelato livore, sporgendosi verso di lui.
Jonathan alzò un sopracciglio ed evitò di rispondere.
La serata si protrasse a lungo; la ragazza era tornata a sedere tra i due, con la stessa espressione gioviale e la voglia di conversare che l'aveva distinta all'inizio, e aveva preso a civettare spudoratamente con Robert.
Jonathan osservava il balletto di sguardi tra loro, la galanteria del fratello e i sorrisi dolci che lei gli riservava, torvo. Quella ragazza non gli piaceva. Non sapeva spiegarsi da dove nascesse questa antipatia spontanea, ma il fatto che stesse ammaliando suo fratello lo disturbava. Non era geloso, no, quello era da escludere: anche perché non era proprio il suo tipo. Quel genere di donna bisognosa di aiuto, pudica in maniera stucchevole, dalle lunghe ciglia palpitanti, non era ciò di cui lui aveva bisogno. A lui serviva qualcuno con maggior carattere... ma suo fratello... L'idea di essere il cavaliere romantico di una dolce pulzella lo mandava in visibilio. Puah.
Teneva in mano il bicchiere e rimestava il vino senza staccare gli occhi dai due, rimuginando. Stavano parlando di sciocchi ricordi d'infanzia e libri, niente di pericoloso, eppure non era tranquillo.
«Quindi avete anche una sorellina? Immagino che sarà graziosa e educata quanto voi» la sentì pronunciare.
Vediamo un po' cosa ti inventi adesso, pensò osservando con sarcasmo il fratello che si era lasciato sfuggire il dettaglio.
«È deliziosa! Adesso si trova a Pittsburgh, dalle Suore della Carità, per aiutare lo sforzo bellico... un po' come voi insomma» pronunciò candido.
Bugiardo. Jonathan si lasciò scappare un sorrisetto mentre scuoteva la testa e si concedeva un'altra sorsata di vino.
«Che gesto meraviglioso...» sussurrò languida.
Adesso si scioglie, pensò disgustato Jonathan e, vedendo che il fratello continuava nel suo sproloquio elencando le immaginifiche doti morali della ragazza, fu tentato di porre fine a quella farsa, ma si trattenne. Se voleva farsi bello raccontando fandonie, non sarebbe stato lui a impedirglielo. E si lasciò trasportare con il pensiero a immaginare una sorella come la stava dipingendo Robert, nulla di più distante dalla disgraziata rinchiusa in cella che certamente sperava in una loro visita notturna. Però... a vederla descritta così, tutta buone maniere e remissiva, si rese conto che una sorella di quel genere non l'avrebbe davvero voluta: in fondo preferiva che Sabrina fosse così com'era. Era difficile da ammettere, ma quella testa calda era più divertente di una donna soprammobile da esibire in pubblico, anche se a volte l'avrebbe volentieri riempita di schiaffi.
Sospirando, trangugiò il vino restante e si alzò.
«Scusatemi, vado a prendere una boccata d'aria» disse con un leggero inchino alla ragazza; non sarebbe stato ad ascoltare quella sfilza di stupidaggini un minuto di più.
Uscì, afferrò un pezzo di tabacco e inizio a masticarlo con gusto, osservando le costellazioni che facevano capolino nel cielo notturno.
«Suo fratello le ha soffiato la preda» lo schernì il capitano che lo raggiunse poco dopo con il sigaro spento tra le labbra.
Il giovane gli offrì da accendere senza scomporsi.
«Non importa, signore, fortunatamente non condividiamo gli stessi gusti in merito di donne: non c'è pericolo che litighiamo per questo.»
Il capitano tirò una lunga boccata scrutandolo, poi rilasciò il fumo a formare una fitta nube che si disperse nell'aria della sera.
«Meglio così» chiosò con un sorriso.
Poi si scostò al passaggio dei vari ufficiali e signore che cominciavano a uscire per recarsi nei loro alloggi per la notte. Jonathan osservò Robert prendere le mani della ragazza prima di sussurrarle qualcosa che la fece arrossire con un risolino, poi si separarono con un inchino educato.
Raggiunse il fratello che guardava la sua bella allontanarsi nel buio con le altre signore e gli circondò le spalle con un braccio.
«Ti piace, eh?»
Robert sembrò riscuotersi a quel tocco e lo fissò serio prima di scoppiare a ridere.
«Dannazione, sì!» esclamò, poi concluse: «Passami un pezzo di tabacco.»
Jonathan glielo diede sospirando.
«Andiamo, rubacuori. Vediamo come sta la santarella di Pittsburgh» pronunciò strizzando l'occhio e avviandosi verso le prigioni.
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