43- Rissa

«L'hai vista oggi?» sussurrò Robert al fratello mentre si avviavano verso l'ufficio del capitano dopo cena.

«No. Ho avuto da fare, tu?»

Robert scosse la testa in segno di diniego.

«Be', se non l'abbiamo notata è perché si confonde bene con gli altri. Sta' tranquillo. Adesso abbiamo altro cui pensare» lo rassicurò prima di bussare alla porta e attendere l'invito a entrare.

Il capitano era mollemente seduto sulla sedia, con la giubba aperta sul gilet che metteva in evidenza il ventre un po' gonfio. Stava fumando un sigaro e intanto giocherellava con l'orologio da taschino.

«Signor capitano» lo salutò Jonathan con rispetto, imitato dal fratello.

L'uomo lasciò uscire una boccata di fumo e, infilando l'orologio nella tasca, si tirò a sedere dritto. Robert pensò di non aver mai colto suo padre in un tale stato di rilassatezza. I suoi ufficiali non l'avevano mai visto meno che composto e non seppe come considerare la cosa, mentre il più grande era disgustato, anche se niente lasciava trasparire questo suo sentimento.

«Signori, accomodatevi» li invitò indicando le sedie davanti alla sua scrivania.

I due si sedettero composti senza levargli gli occhi di dosso e l'uomo sorrise sprezzante.

«Ancora freschi d'accademia, eh? Bene. Io la scuola militare l'ho fatta un bel po' di tempo fa e ho pure servito per un decennio prima di ritirarmi a fare un lavoro rispettabile. Se non fosse per questa maledetta guerra e quel Johnson che mi ha tirato in mezzo, non me la sarei più messa un'uniforme. Comunque, ora sono qui e la mia intenzione è di eliminare quei ribelli il prima possibile per tornarmene a casa.»

I due non risposero, rimanendo seri e impassibili senza lasciar trasparire alcun giudizio.

«Bene. Sono giorni che andiamo in ricognizione per i confini e più che qualche scaramuccia con quegli omuncoli in grigio non c'è stato altro, ma sono certo che qualcosa di grosso bolle in pentola al di là del Missouri. Quindi, signori miei, ho bisogno che mi indichiate due uomini scaltri da mandare a Springfield e Harrisonville in cerca di informazioni, vestiti da civili.»

«Da civili?!» chiese incredulo Robert.

«Preferisce mandarli con un bel cartello che dice "Ehi, sono un federale in cerca di informazioni"?» rispose mettendolo in imbarazzo.

«Lei intende spie, signore» intervenne Jonathan.

«Esattamente!» Sorrise.

I due fratelli si scambiarono un'occhiata: qualunque cosa pensassero a riguardo non l'avrebbero espressa davanti al loro superiore in grado.

«Ci sarebbe il soldato semplice Fischer» azzardò Robert.

«Sì, è giovane e scaltro. Non so di preciso come si guadagnasse da vivere prima di arruolarsi, ma suppongo che non fosse completamente legale...» aggiunse Jonathan.

Il capitano annuì soddisfatto, rimettendosi in bocca il sigaro con un'espressione sorniona.

«Potrebbe affiancarlo Mansell» continuò Robert. «È piuttosto maturo, ma pacato e con i nervi saldi.»

«E formano una coppia improbabile... quindi forse nessuno penserà che sono insieme» concluse Jonathan.

«Bene! Domani mattina conduceteli nel mio ufficio dopo l'ispezione.»

I due giovani capirono che il colloquio era concluso e si alzarono per congedarsi, quando il capitano li bloccò con un'altra richiesta.

«Prima di ritirarvi per la notte, gironzolate là fuori in mezzo agli uomini, ma con discrezione. Vorrei sapere cosa fanno e dicono, sondare l'umore della truppa...» lasciò intendere inclinando il volto con uno sguardo carico di significato.

Jonathan e Robert annuirono eseguendo il saluto militare e uscirono senza espressione.

Appena fuori si lanciarono uno sguardo d'intesa e si allontanarono quel tanto che bastava per essere al sicuro.

«Hai visto il capitano? Che tipo...» esordì Robert.

«Già» si limitò a rispondere l'altro, torvo.

«Mi sento in colpa per aver fatto il nome di quei due» azzardò il più giovane.

«Non che avessi molta scelta, mi pare... Comunque, hai selezionato quelli giusti a mio avviso.»

«Spero solo non si facciano beccare... Senza divisa non sarebbero prigionieri di guerra» rifletté Robert.

«Senza divisa li impiccano seduta stante... Va be', speriamo sappia quello che fa. Io vado di là» concluse indicando con la testa la direzione scelta e si allontanò con passo sicuro. Robert rimase per un po' indeciso: impiccati... Sperava di aver scelto gli uomini giusti o gli sarebbero rimasti sulla coscienza.

Jonathan gironzolò un po' passando accanto a gruppetti di soldati che fumavano, giocavano ai dadi o scambiavano chiacchiere sorseggiando una tazza di caffè. Cercava di mantenere un atteggiamento discreto senza avvicinarsi troppo, non gli andava di farsi gli affari loro, poi sembravano tutti tranquilli: non c'erano segni di insofferenza nel reggimento a quanto gli risultava.

Poi sentì uno scoppio di risate fragoroso e vide due soldati che si fronteggiavano. Si fermò e mise a fuoco la scena: quello più basso di statura teneva una bottiglia per il collo, in visibile tensione, mentre l'altro ridacchiava.

Il piccoletto era sua sorella.

Che diamine sta combinando? Pensò, e si trattenne dal correre a strappargli di mano la bottiglia cercando di riflettere. Era chiaro che si trattava di whisky e che quei tizi la stavano provocando. La vide bere una generosa sorsata e poi tossire mentre gli uomini ridevano e si davano di gomito. Quello che la fronteggiava era William O'Brian, lo stesso irlandese attaccabrighe che l'aveva gettata nello sterco pochi giorni prima aiutato dal fratello Timothy, un'altra testa calda.

«Passa quella bottiglia e vattene, dannazione!» disse tra i denti. Non appena l'avesse mollata, sarebbe piombato come un falco e li avrebbe sorpresi a bere alcolici. Ci avrebbe pensato lui a fare un bel rapporto a quei due. Ma la sorella non accennava a passare la bottiglia: rimaneva dritta e zitta di fronte a quel bestione che la sovrastava e continuava a schernirla. Perché dalle risate degli altri era chiaro che la stava insultando anche se non poteva sentire quello che dicevano da quella distanza.

Jonathan fremeva, che cosa aspettava? Passa la bottiglia! Pensò con più decisione stringendo i pugni.

Poi accadde l'impensabile. Sabrina si portò di nuovo il liquore alla bocca, suscitando l'ilarità degli altri, e poi lo sputò in faccia all'Irlandese, colpendolo subito dopo con un pugno alla mascella.

Le risate si spensero. William indietreggiò stordito e suo fratello saltò addosso alla ragazza atterrandola mentre scalciava come una furia.

Jonathan si riscosse dalla sorpresa e corse verso il gruppo.

«Chiama il capitano!» gridò a un soldato di passaggio mentre cercava di pensare a come risolvere quel pasticcio.

Sabrina intanto si era liberata dalla presa di Timothy sferrandogli un poderoso calcio tra le gambe, ma si era beccata un pugno allo stomaco dall'altro che l'aveva fatta cadere in ginocchio senza fiato. L'aveva rialzata di peso e stava per colpirla quando Jonathan estrasse la Colt e sparò in aria per mettere fine alla rissa.

Tutti si immobilizzarono alla vista dell'ufficiale, ma il tenente non ebbe il tempo di agire che il capitano li aveva raggiunti di corsa.

Cristo Santo, fu l'unica cosa che riuscì a pensare guardando la sorella che faticava a rimettersi in piedi — ancora senza fiato per il colpo allo stomaco — l'irlandese a terra e suo fratello William che sputava il sangue al suolo con aria di sfida, mentre il capitano raccoglieva la bottiglia rovesciata e annusava il contenuto. Come se ne avesse avuto davvero il bisogno.

«Whisky?! Mi piacerebbe sapere chi introduce nel forte questa robaccia! Voi tre, avete finito di creare problemi. Tenente, si faccia aiutare da qualche soldato e li porti in guardina: qualche giorno in isolamento a pane e acqua gli farà passare la voglia di ubriacarsi e fare a botte» pronunciò deciso gettando la bottiglia e avviandosi verso i suoi alloggi.

Sabrina strabuzzò gli occhi per la sorpresa: eppure avrebbe potuto prevederlo che quelle erano le conseguenze per chi si lasciava coinvolgere in una rissa. Jonathan si trattenne dal commentare e fece segno a tre uomini di aiutarlo, rigido, prima di avviarsi nella zona delle prigioni.

Giunto alla baracca in cui avevano ricavato le celle, entrò da solo come a perlustrarle, quindi tornò fuori e afferrò per un braccio William O'Brian che ridacchiava arrogante. Lo soppesò un istante: quel tizio era davvero ben piazzato, sua sorella doveva essere impazzita se aveva pensato di poterlo stendere. O forse era solo al limite della sopportazione e aveva agito da sciocca: più probabile.

«Tocca ancora il ragazzino e giuro che ti ammazzo» gli sussurrò all'orecchio, spingendolo dentro la cella. E per dimostrargli che faceva sul serio gli sferrò un pugno alle reni, prima di chiudere la porta. Poi strinse gli occhi inspirando forte: sperava di essere stato abbastanza convincente.

Tornò fuori e fece cenno all'altro soldato di rinchiudere Timothy mentre lui si sarebbe occupato del ragazzino. Afferrò sua sorella per il braccio e la condusse all'interno della prigione verso una cella ancora vuota. Era evidente che fosse spaventata e scossa per la piega che avevano preso gli eventi, e lui non l'invidiava affatto, ma non l'avrebbe consolata. Se l'era cercata e qualche giorno a riflettere su quell'azione sconsiderata — e peggio ancora pericolosa per la sua copertura — le avrebbe giovato.

La spinse dentro la cella e lei si voltò a guardarlo con gli occhi enormi spalancati, trattenendo il fiato: forse voleva chiedergli di aiutarla, ma non lo fece.

«Complimenti, ti sei comportata da vero uomo!» le disse in tono sarcastico e vedendo che si mordeva le labbra, senza osare rispondere, concluse:

«Avrai modo di calmare i bollenti spiriti qua dentro...» E chiuse la porta.

«Jonathan!» lo chiamò sottovoce. «Aspetta...»

Ma il giovane non tornò indietro.

Robert gli corse incontro affannato. Aveva appena sentito la notizia e aveva fatto più in fretta possibile, ma era arrivato tardi a quanto pareva.

«Che diamine è successo? Ho sentito che c'è stata una rissa.»

«Già, ed è stata quella disgraziata a iniziare» rispose torvo Jonathan allontanandosi dalla prigione, seguito dal fratello.

«Come sta?»

«Con gli occhioni da cucciolo pentito, tanto per cambiare.»

«Ma è intera? Ho sentito che sono coinvolti i due fratelli O'Brian, quei due bestioni...»

«Tutta intera, giusto un po' ammaccata» tagliò corto.

«Vado a vedere» disse Robert fermando il passo pronto a tornare indietro, ma fu bloccato dal fratello che lo prese saldamente per un braccio costringendolo a fissarlo negli occhi.

«No, tu non ci andrai. Lasciala decantare per stasera. Riflettere, non essere consolata: ecco quello che le serve» pronunciò deciso.

Robert non rispose, osservò lo sguardo duro del fratello e capitolò. Aveva ragione: quella ragazza rischiava di cacciarli tutti nei guai con quel comportamento sciocco, doveva rendersene conto da sola.

«Come è finita in guardina?» sospirò.

«Ci ha pensato direttamente il capitano, ha trovato una bottiglia di whisky a terra e i tre che si azzuffavano. Non ho potuto far molto... Domani andrò da lui, giusto per sondare il terreno.»

Robert annuì serio, forse potevano ancora farcela a tirarla fuori da lì, ma non ne era del tutto convinto.

L'indomani Jonathan rimase con il comandante mentre questi istruiva i soldati individuati per il compito di spionaggio. Non sapeva come introdurre l'argomento della recente rissa senza sembrare di parte, ma l'occasione gliela fornì il capitano stesso non appena i due uomini furono congedati.

«Allora, tenente, ha imparato qualcosa ieri sera osservando i suoi uomini?» lo interrogò mettendosi a sedere pigramente, allungando le gambe e accendendosi un sigaro.

«Stavo giusto pensando che era tutto tranquillo, signore, quando ho sentito che si stavano pestando...»

«Ironia della sorte, eh?» sogghignò.

«A proposito, come ci comportiamo con quei tre?» buttò lì, cercando di non far trapelare il disagio nel vedere il suo comandante in atteggiamento così rilassato.

«Niente, li lasciamo in cella per qualche giorno, chissà che serva a dargli una calmata.»

«Per quei due irlandesi ubriaconi sarà l'occasione di disintossicarsi: hanno più whisky che sangue nelle vene. Ma il ragazzo?» tentò con finta indifferenza.

«Il ragazzo, cosa? Da quello che mi hanno riferito è stato lui a cominciare sferrando un bel destro, o no?!» rispose sollevando appena un sopracciglio a scrutare il suo ufficiale.

«Non posso confermarlo: quando sono arrivato, la rissa era già in corso» se ne uscì, con tono professionale.

«Le ho già detto, tenente, che deve stare più attento ai discorsi della sua truppa... Ascolti quegli uomini: può imparare un sacco di cose interessanti!» lo rimbeccò.

«Certo, signore» rispose rigido. Il suo maldestro tentativo di scagionare la sorella era fallito sul nascere.

«Lei sottovaluta il ragazzo...»

Jonathan tacque mentre il capitano lo sondava con i suoi profondi occhi scuri. Cercò di rimanere serio e impassibile e, eseguendo il saluto militare, si congedò.

Fuori lasciò libero sfogo alla sua frustrazione, sbuffando e massaggiandosi le tempie: non poteva fare nulla per la sorella, sarebbe restata in quella prigione come gli altri due, senza sconti. Inoltre il capitano era sempre più convinto che non ci fosse necessità di proteggere il ragazzo: questo non era per nulla positivo.

«Te lo dico io! Quel piccoletto gli è saltato addosso come una furia e l'ha steso!»

Jonathan si voltò in direzione della voce, scorgendo un gruppetto di soldati che commentavano i recenti avvenimenti ciccando allegramente. Sentì un moto di rabbia ripensando all'azione sconsiderata della sorella e fece per andarsene quando udì il resto.

«Quella montagna di irlandese?»

«Il piccolo scozzese ha fegato» commentò un soldato deciso.

«Dovevate vederlo: uno spettacolo!» aggiunse un altro.

Suo malgrado Jonathan sorrise: avrebbe voluto essere arrabbiato, ma non poteva fare a meno di sentire un moto d'orgoglio per quella ragazza che messa alle strette aveva dimostrato di sapersi difendere. Certo, sarebbe stato meglio se fosse rimasta nell'ombra invece che menare pugni come un ragazzetto di strada, ma lo stesso non riuscì a trattenere un sorriso. Sua sorella non era una pappa molle come credevano e alla fine lui aveva avuto ragione a pensarla così.

Sperò che questo mutato atteggiamento non giocasse però a suo sfavore.

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