40- Promesse pericolose

La sveglia suonò presto come al solito e Jonathan sospirò sconfortato: la notte agitata che si era appena conclusa l'aveva lasciato più stanco del previsto. Non che si fosse illuso di poter riposare tranquillo dopo l'accaduto, ma aveva sperato di riuscire almeno a rimettere insieme le idee.

Si era cacciato in un guaio.

La vista della sorella sconvolta l'aveva turbato profondamente, ma l'epilogo della serata nell'alloggio del padre gli aveva dato il colpo di grazia.

Sua sorella veniva spedita altrove... Tutti i civili dovevano lasciare il forte: questa era la decisione degli ufficiali più alti in grado, ma Sabrina non aveva dove andare e la soluzione suggerita dal colonnello Johnson era di mandarla a lavorare come infermiera in un ospedale gestito da suore a Pittsburgh, in Pennsylvania. Là si sarebbero presi cura di lei.

Inutile dire che la ragazza aveva iniziato a gridare, anzi ululare in modo straziante, alla notizia. Aveva supplicato il padre di perdonarla per il suo tradimento e lasciarla vivere ancora lì con loro, ma quella era una sentenza senza diritto d'appello e Jonathan aveva dovuto trascinare via di forza la sorella.

E pensare che avrebbe pagato, anni prima, per veder realizzato un tale sogno: liberarsi di quella peste una volta per tutte. Come aveva potuto anche solo immaginarlo? La prospettiva ora gli appariva ingiusta e insopportabile... Chissà come avrebbe reagito Robert.

Adesso doveva tentare di intercedere per lei e vedere se era possibile trovare un'altra soluzione: questo le aveva assicurato pur di fermare il suo pianto isterico. Era stato avventato a farle una tale promessa... non aveva nessuna idea di come intavolare un simile discorso con suo padre, non ora che la decisione sembrava definitiva. Ma l'aveva giurato! Non avrebbe sopportato una lacrima in più e l'aveva fatto. E, come se non bastasse l'essersi preso una tale bega, lei aveva pure stentato a credere che avrebbe tentato di aiutarla davvero: oltre il danno la beffa. Se non fosse riuscito nell'intento, l'avrebbe accusato di non averci nemmeno provato.

Al diavolo! Pensò mesto alzandosi di scatto dalla branda. Non si sarebbe tirato indietro e le avrebbe provato che si sbagliava: anni a farle credere di odiarla, per gelosia, invidia o che altro, e adesso non riusciva a dimostrarle quanto in realtà tenesse a lei. Avrebbe potuto sembrare quasi ironico se non fosse stato che non c'era nulla di cui ridere.

Vestitosi, lanciò uno sguardo al piccolo specchio prima di dirigersi all'ispezione del mattino.

«Ehi, Becker, tutto a posto?»

Jonathan si voltò di scatto verso un ufficiale che divideva la baracca con lui e non rispose.

«Sei tornato tardi ieri...» insistette.

«Niente di importante» tagliò corto, ma le profonde occhiaie e l'espressione determinata tradivano la sua apprensione: non erano ammessi fallimenti.

Eppure l'incontro con il padre fu esattamente quello: un fallimento su tutta la linea.

Il maggiore aveva ribadito che non si trattava di una sua scelta, ma di ordini superiori e pure molto sensati: c'era una guerra! Le donne se ne stavano a casa, non tra le file dell'esercito. Se sua sorella una dimora non ce l'aveva più e sua madre era tanto disgraziata da disinteressarsene, be', allora il suggerimento di Johnson non era poi così male: a Pittsburgh sarebbe stata al sicuro. A Nord, lontana dal conflitto, ma utile comunque alla causa. L'avrebbe accettato e se non avesse voluto ragionare, tanto peggio per lei: era ora di crescere.

Jonathan aveva tentato di convincere suo padre che capiva le ragioni della scelta, ma che la sorella era troppo sconvolta per andarsene così presto: avrebbe creduto che la allontassero solo per punirla, che la stessero cacciando, si sentiva così in colpa... Il maggiore aveva liquidato quell'obiezione con una sola parola: ridicolo. Sabrina non era un soldato e non si era comportata da codarda, lui non la stava punendo, anche se se lo sarebbe meritato. Fine della storia.

Jonathan si era allontanato mesto.

Non c'era argomento che potesse fargli cambiare idea, ma come dirlo a Sabrina? Dopo averle promesso che non avrebbe lasciato che la mandassero via? Per di più la sua compagnia stava per partire, questa era stata l'ultima notizia che il padre gli aveva dato prima che uscisse: non avrebbero potuto fare molto per lei una volta lontani da Fort Leavenworth.

«Jonathan!»

Robert gli stava correndo incontro.

«Hai sentito la novità? Partiamo per Fort Scott domani! Dobbiamo fare da scorta a un carico di rifornimenti in arrivo via treno.»

Il fratello lo superò senza neanche ascoltarlo, troppo preso dai suoi pensieri.

«Ehi, che c'è?» Lo seguì Robert, intuendo che qualcosa non andava.

«È per via di Sabrina? L'avete trovata, ieri? Che è successo?» lo incalzò.

Jonathan si fermò di colpo, esasperato.

«Un disastro!»

Robert lo guardò con fare interrogativo.

«Alla riunione degli ufficiali hanno deciso di spedirla in un ospedale gestito da suore a Pittsburgh o qualcosa del genere, nostra madre se ne frega e nostro padre non può più tenerla qui con lui.»

Robert capì immediatamente la gravità della situazione.

«Sabrina deve averne fatto una tragedia...» rifletté.

«Tragedia?!» sogghignò beffardo.

«È impazzita! Lei pensa che nostro padre la rinneghi per quanto è successo con i Sudisti, non la beve la storia della sua sicurezza, te lo dico io!»

«Che intendi dire?»

«L'ho trovata ieri sera nascosta nella stalla. Ha pianto per almeno mezz'ora... abbracciata a me. Non so se mi spiego.»

«Un bel passo avanti nel vostro rapporto!» ridacchiò Robert, poi notando che il fratello non era in vena di scherzi tossicchiò.

«Scusami, vai avanti per favore.»

«Mi ha raccontato quello che le hanno fatto quei bastardi... Ti assicuro che preferisci non conoscere i dettagli e neanch'io avrei voluto, ma non c'era modo di farla tacere. Poi l'ho convinta ad andare da nostro padre, rassicurandola che ci avrei parlato io mentre lei si dava una lavata. Ne aveva proprio bisogno.»

«Di un bagno o del tuo aiuto?»

«Di entrambe le cose, vuoi finirla di prendermi in giro?»

«Hai ragione, è che fatico a immaginarti in questo ruolo» pronunciò trattenendo a stento un sorriso.

«Adesso ti do un pugno e poi vediamo se faticavi a immaginarti anche quello!»

«Certo che sei permaloso... E nostro padre ti ha detto che l'avrebbero mandata via?»

«No... ha voluto che attendessi lì con lui che Sabrina finisse di sistemarsi e poi le ha dato la notizia, così, secco: diretto come un proiettile.»

«Certo che ogni tanto potrebbe anche provare a essere più delicato. Capisco che la sostanza dei fatti non cambi, ma magari poteva tentare di rendere la decisione presa più appetibile» rifletté Robert immaginando con facilità come il padre avesse riferito gli ordini.

«Già... ma il punto è che lui ignorava quanto fosse sconvolta e non sospettava che lei si sentisse tanto in colpa per aver tradito il forte, infatti speravo di far leva su questo stamani per fargli cambiare idea, o almeno ritardare la partenza.»

«E?»

«E niente... la decisione è presa e non si cambia. Nostro padre trova ridicolo che Sabrina si senta tanto indegna da interpretare questa scelta come un castigo esemplare, non vuole sentire ragioni. Lui sa che non è una punizione e questo gli basta.»

«Ma non basterà a Sabrina...»

«Esatto... Solo che io le ho promesso che avrei impedito la sua partenza.»

«Tu... Cosa?!» chiese Robert stupito.

Jonathan si limitò ad annuire colpevole.

«Ma come hai potuto garantirle una cosa del genere?»

«Ero stanco e non sapevo come farla smettere di piangere, e soprattutto gridare come un'ossessa... È la prima cosa che mi è venuta in mente» rispose abbassando lo sguardo, sconfitto. Era davvero convinto di potercela fare, ma si sbagliava.

«È meglio se andiamo da lei» disse Robert asciutto, il fratello si era cacciato proprio in un bel pasticcio. «Ti aiuterò a farla ragionare.»

Robert si allontanò sbattendo la porta, infuriato.

Quei due avevano perso la ragione. La situazione era migliore quando erano uno contro l'altro: coalizzati erano in grado di combinare danni enormi. Aveva sempre sperato che smettessero di litigare per vivere in armonia e non si sarebbe mai aspettato che invece messi d'accordo potessero essere così folli.

Portare Sabrina con loro... era un'idea suicida! La ragazza poteva anche averla pensata, in un momento di pazzia, ma che il fratello l'avesse pure appoggiata questo non se lo sarebbe mai aspettato da lui.

Proprio adesso doveva mettersi a esaudire i capricci della sorella? Ora che erano in guerra e c'era poco da scherzare?

Si recò alla pompa dell'acqua e prese a bagnarsi la faccia, cercando di calmarsi. Perché quei due dovevano sempre metterlo in mezzo suo malgrado? Era tentato di andare dal padre e spifferargli tutto per sventare quel piano bislacco prima che potessero cacciarsi nei guai, ma sapeva che non li avrebbe mai traditi: era troppo leale, semplice.

Ma far passare la sorella per un ragazzo era un'idea assurda! Sarebbe stato oltremodo rischioso e tenere nascosta la sua identità a lungo davvero impegnativo. Come se non avessero già abbastanza rogne di cui occuparsi.

Doveva mantenere la calma; non sarebbe riuscito a farli desistere: li conosceva troppo bene e sapeva che sarebbero andati fino in fondo. Adesso poi che erano uniti, convincerli a ragionare sarebbe stata un'inutile perdita di tempo.

Perché sua sorella doveva sempre avere delle idee così assurde? Minacciare addirittura di suicidarsi se non l'avessero portata con loro... e Jonathan? Invece di tirarle una sberla per zittirla, come ci si sarebbe aspettati, aveva cominciato a tentennare e valutare i possibili rischi... possibili? Tutta quella faccenda era rischiosa. Non c'era un passaggio semplice nel loro piano malamente architettato. E lui c'era dentro fino al collo, pur non volendo.

Maledizione!


«Come pensi di cavartela stavolta?»

Robert stava appoggiato con la spalla a una baracca e aveva bloccato il fratello al suo passaggio.

Jonathan notò lo sguardo torbido che inquinava quegli occhi solitamente verdi e ridenti e percepì tutto il suo livore.

Infastidito, fu tentato di scrollarselo di dosso senza dargli importanza, ma qualcosa gli fece intuire che la sua alleanza era precaria: per la prima volta sentiva che avrebbe potuto non appoggiarlo.

Sospirando, si avvicinò a lui.

«Senti, Robert, so che il piano non ti convince, ma non mi è venuto in mente di meglio...» sussurrò.

«Che non metterla in pericolo!»

«Ssssh, non alzare la voce, ti prego» pronunciò guardandosi intorno preoccupato e lo prese per un braccio per convincerlo a seguirlo in un luogo appartato.

«Non mi toccare!» sibilò.

Jonathan mostrò le mani in segno di resa.

«Sono tentato di spaccarti la faccia e poi correre a raccontare tutto a nostro padre» pronunciò freddo.

«E allora, avanti! Colpisci! Poi però parliamone, d'accordo?»

Il maggiore offrì il suo corpo a testa alta, aprendo le braccia in attesa di un pugno che però non arrivò. Sbuffando, Robert lo scansò e si avviò da solo. Jonathan gli lasciò qualche passo di vantaggio, poi lo raggiunse sbarrandogli la strada.

«Vuoi fare a botte? Ti farebbe stare meglio? Su, avanti, fratellino...» lo provocò.

«Vai al diavolo!» Robert lo allontanò con una spinta.

«Certo, ma non senza di te. Non lo capisci? Adesso dobbiamo stare uniti e pensare a Sabrina!» lo incalzò il maggiore.

«Appunto! È così che pensi a lei? Questa è una pazzia...»

«Se non ti tappi quella bocca, te lo tiro io un pugno! Parla piano!» esclamò afferrandolo con forza per una manica e tirandolo dietro a una baracca.

«Toglimi le mani di dosso!»

«Come desideri,» rispose lasciandolo andare, ma poi lo immobilizzò puntandogli un dito davanti al naso «ma prima ascoltami. Lo so anch'io che è una pazzia, ma tu non c'eri ieri sera, tu non hai dovuto raccattare i suoi pezzi da terra e stare ad ascoltare quelle cose terribili... quindi, per favore, prendi in considerazione la possibilità di accontentarla e di portarla via con noi invece di abbandonarla a Pittsburgh. Non riesco nemmeno a immaginare cosa abbia passato nelle mani di quegli assassini, ma ti assicuro che non le permetterei di seguirci se non avessi visto con i miei occhi in che stato di disperazione si trova.»

Robert rimase zitto a fissare il fratello, le labbra strette e gli occhi come due fessure.

«Se le succede qualcosa, me la paghi» sentenziò.

Jonathan sospirò appoggiandosi con la schiena alla baracca, poi si prese la testa tra le mani e cominciò a massaggiarsi le tempie.

«Significa che ci stai?» chiese dopo un po' e vedendo che il fratello non accennava a rispondere lo fissò per un lungo istante. Era combattuto: era evidente.

«Se fossi certo che andrà tutto bene, accetteresti?»

«Che domanda sciocca, come se potessi prevedere il futuro... Ho solo paura di giocare con la vita di nostra sorella: a Pittsburgh non potrebbe accaderle nulla di male!»

«Tranne morirne...»

«Esagerato» minimizzò.

«No, ti giuro che non esagero. Se permettiamo che parta sono certo che soffrirebbe così tanto da finire per ammalarsi, non si è ancora ripresa» chiosò talmente serio che Robert lo fissò, tentennando.

«So che sei tu l'esperto quando si tratta di Sabrina, ma ti prego di fidarti per una volta del mio istinto: non possiamo lasciarla sola, non stavolta.»

«E va bene, diciamo che sono disposto ad aiutarvi, come pensi di procedere?» chiese Robert con un sospiro mentre estraeva una cartina e del trinciato per fumare, era nervoso e le mani tremavano nel tentativo di rollare la sigaretta.

«Come abbiamo detto...»

«Non dire stupidaggini, quelle andavano bene fino a che eravate là dentro a fantasticare. Dico sul serio» esclamò lasciando scivolare a terra metà del trinciato e imprecando per il suo atto maldestro.

«Per i vestiti ci penso io, per il cavallo pure: andrò a parlare con quel tizio che si è arruolato da poco, quello che faceva il fabbro, ho sentito che vende di tutto... Domani sarà in sella vestita da ragazzo e ce la porteremo dietro, poi le troveremo un lavoretto nelle retrovie. Starà sempre dove la potremo tenere d'occhio, vedrai che se la caverà benissimo: in fondo si sentirà più a suo agio come ragazzino che come donna...»

Robert rimase in silenzio a riflettere, poi accese la sigaretta con un cerino e si concesse una lunga boccata prima di dare voce ai veri dubbi che lo attanagliavano.

«E se la scoprono? Che succede?» disse piantando i suoi occhi verdi in quelli scuri del fratello.

«Non lo so... probabilmente la rispediscono a casa.»

«Te lo immagini? Appena nostro padre lo venisse a sapere arriverebbe a riprendersela e a noi due staccherebbe la testa...»

«Non ho paura di lui, sono un uomo ormai!»

Robert lo fissò per un istante, per sondare quanta convinzione ci fosse dietro quelle parole, poi scoppiò a ridere.

«Non dire balle! Ci sono uomini molto più grandi di te che sono terrorizzati da lui.»

Jonathan si lasciò scappare un sorriso: suo fratello si stava ammorbidendo dopo tutto.

«Hai ragione: la prospettiva di affrontare nostro padre non mi alletta, ma in fondo è solo una possibilità, no? La partenza per Pittsburgh è una certezza...»

Robert continuò a fumare in silenzio; suo fratello agiva sempre in quel modo scanzonato e sembrava non dare importanza a nulla, ma lui aveva sentito nelle sue parole un sincero interessamento per la sorella. Voleva davvero aiutarla. E lui aveva ancora impressi nella mente gli occhioni da cerbiatto di Sabrina che lo supplicava di accettare e quell'immagine gli torceva lo stomaco.

«E va bene, ci sto» pronunciò gettando il mozzicone. «Ma devi farmi una promessa...»

Jonathan alzò appena un sopracciglio in attesa.

«Devi giurarmi che ti prenderai cura di lei, che non te ne laverai le mani alla prima occasione.»

«L'ho mai abbandonata?»

Robert gli lanciò un'occhiata torva.

«Nelle cose importanti, intendo!»

«Te lo concedo... ma dovrai fare di più: da solo non posso gestire questa cosa. E poi l'idea è tua.»

«E me ne farò carico» gli assicurò.

«Per Sabrina, allora» disse allungando una mano in segno di intesa. L'altro la strinse.

«Dobbiamo essere proprio impazziti...» concluse Robert lasciandosi sfuggire un sorriso e Jonathan l'attirò a sé in un abbraccio, ridendo nervoso. Erano proprio folli a imbarcarsi in quell'avventura e l'aver ottenuto l'appoggio del fratello, sempre così riflessivo e misurato, lo commuoveva.

Quella notte uscirono furtivi dal loro alloggio. Sabrina li aspettava, inquieta.

Aveva tagliato un lenzuolo a strisce e aveva provveduto a fasciarsi il seno con dovizia. Per fortuna che è quasi piatta, pensò Robert, vergognandosi di aver sbirciato il suo petto senza pudore.

Tirarono le tende e accesero una candela schermandola, per ricavarne giusto un debole lucore che non desse troppo nell'occhio. Jonathan le passò i vestiti facendoglieli indossare uno a uno: mutandoni di lana, camicia grigia, vecchi pantaloni un po' lisi sostenuti da bretelle e le scarpe che le stavano troppo grandi.

«Non male» commentò il fratello mentre lei si lasciava ammirare incerta.

Non ce la faremo mai... pensò Robert osservandola timoroso.

«Ma dobbiamo sistemare quei capelli...» aggiunse Jonathan, tentennando.

Se la ragazza aveva temuto quel momento non lo diede a intendere, prese le forbici che aveva trafugato dall'ospedale quel pomeriggio e le tese con aria di sfida al fratello.

«Fa' in fretta» si limitò a dire e forse le si incrinò lievemente la voce a smascherare i suoi veri sentimenti in merito.

Jonathan afferrò sospirando le forbici, le soppesò nella mano qualche istante esitando, poi prese una ciocca di capelli e la recise di netto mentre la ragazza stringeva le palpebre e irrigidiva le spalle.

Robert non osava respirare. Assisteva inerme a quello scempio, ciocca dopo ciocca, mentre la ragazza taceva ma sussultava a ogni colpo di forbice. Jonathan agiva con rabbiosa efficienza, forse non se ne curava o forse, più probabilmente, stava riversando nel gesto pratico tutto il suo disappunto per quello spreco.

Aggiustò alla bell'e meglio il taglio dando qualche ritocco qua e là, poi la osservò critico. Robert la fissava sbigottito senza dire niente e Sabrina si scostò afferrando uno specchio.

Rimase zitta a sua volta e deglutì a fatica, impedendo a una lacrima ribelle di affacciarsi ai suoi occhi stringendo le labbra.

Sembrava un pulcino spennacchiato, un ragazzino che si era fatto fare un taglio da un barbiere maldestro.

«Be', direi che adesso ci siamo... no?!» chiese con voce tremante.

Robert, rattristato, lasciò andare il respiro in una sorta di fischio e le passò un berretto dell'esercito.

«Prova questo.» E vedendoglielo indossato annuì.

«Così è perfetto, manca solo la giubba» constatò.

Suo malgrado doveva ammettere che la sorella poteva davvero essere scambiata per un ragazzino così conciata e se ne rammaricò: la poca femminilità faticosamente acquisita sembrava scomparsa con un colpo netto di forbici.

«Bene» chiosò Jonathan interrompendo quel momento che rischiava di diventare melodrammatico.

«Adesso cerca di riposare un po'. Domattina ci si mette in marcia presto, ti ho procurato un cavallo. E fai sparire questi capelli» concluse indicando la matassa scura a terra.

Spensero la candela con un soffio e stavano per uscire quando Sabrina li fermò.

«Aspettate... volevo solo dirvi che, se qualcosa andasse storto, voglio essere io l'unica responsabile... Non voglio che paghiate per questo!», e indicò la sua nuova uniforme.

I due annuirono. Capirono che era il suo modo di ringraziarli.

Robert avrebbe voluto abbracciarla: sentiva che ne avrebbe avuto bisogno, ma non gli riuscì. Era un ragazzo adesso e certe manifestazioni di debolezza non avrebbe più potuto concedersele. Sospirando, le lanciò un'ultima occhiata triste e seguì il fratello.


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