38- Sangue
Le mani erano rosse, rosse di sangue fresco. Un accenno di bile si affacciò alla gola e lo ricacciò giù deciso.
Sua sorella non poteva morire.
Anche se l'aveva vista cadere davanti a sé colpita da una pallottola...
Sembrava una mattina come le altre, se non per il dettaglio che di Sabrina non si avevano ancora notizie, e i due fratelli stavano seguendo le esercitazioni della loro compagnia quando un grido della vedetta li distrasse.
«I Sudisti! Sono qui!»
L'eccitazione travolse tutti i soldati e Jonathan cercò d'istinto il padre con lo sguardo sentendo montare l'ansia. Lo vide che si affrettava sulle torrette di vedetta e poi tornare giù di corsa chiamando gli altri graduati: Sabrina era con quegli uomini.
«Johnny, vieni!» lo riscosse suo fratello che già stava correndo verso il gruppo di ufficiali.
«Che diavolo ci fa sua figlia là in mezzo!» lo accusò il colonnello Johnson, forse più per celare la sua errata valutazione che non per vera rabbia.
«Non credo che sia lì di sua spontanea volontà, lei non l'ha vista: le hanno legato le mani» rispose freddo il maggiore, un tono di voce omicida che stroncò sul nascere qualunque altro commento. Jonathan sentì un vuoto allo stomaco.
«Si stanno avvicinando! Portano la ragazza con loro!» gridò il soldato di vedetta e i graduati si affrettarono a salire sul muro perimetrale per valutare la situazione.
Jonathan si affacciò sul parapetto e rimase impietrito: un capitano avanzava facendo segno di voler parlamentare, mentre un altro soldato trascinava sua sorella e le puntava un revolver alla testa. La ragazza zoppicava e fissava il suolo senza osare alzare lo sguardo in direzione del forte e quel movimento incerto dei piedi misto alla sua remissività lo soffocò per un istante.
«Cristo santo!» Sentì imprecare Robert di fianco a lui prima che sparisse come in cerca di qualcosa. Suo padre invece era immobile e scrutava la scena con innaturale freddezza, anche se poteva percepire il lavorio dei suoi pensieri.
«C'è il maggiore Becker tra voi? Primo Cavalleria?»
Il padre trattenne il respiro.
Robert appoggiò un fucile sul bordo del parapetto in quell'istante.
«Posso centrarlo» affermò risoluto, ma il padre lo bloccò con un cenno deciso della mano. Troppo pericoloso.
«Sono il Capitano Quantrill della Guardia Nazionale del Missouri. Sua figlia è nostra prigioniera.»
Un fremito di agitazione percorse gli ufficiali che fissavano la scena impietriti. Quindi non era uno scherzo di cattivo gusto...
«Sono pronto a restituirvela sana e salva in cambio di un piccolo prezzo: cinquanta cavalli di razza, armi e una buona scorta di carne sotto sale, gallette e cibo fresco. Se non accettate, la ragazza verrà giustiziata ora con l'accusa di essere una spia dell'esercito nemico.»
Un mormorio si levò all'udire quelle parole. Era una ragazzina! Quelle erano farneticazioni di un pazzo, ma era lei quella con una pistola puntata contro e nessuno voleva avere una giovane donna sulla coscienza. Però cedere al ricatto non era un'opzione così ovvia.
Era tutto sospeso in una bolla irreale. Robert che tremava di rabbia mentre stringeva il fucile e non perdeva di mira l'uomo, il padre impallidito che non osava guardare i suoi pari per timore di leggere nei loro volti la decisione di lasciare la figlia al suo destino, Jonathan che faticava a respirare fissando la sorella inerme.
Poi un grido li riscosse tutti.
«Non accettate, padre... no!»
La ragazza prese a divincolarsi con forza. Quantrill la strappò dal soldato che la teneva e le disse qualcosa, era chiaro che la stava minacciando, ma lei per tutta risposta gli sputò in faccia e approfittando della sorpresa cominciò a correre verso il forte. Una corsa penosa, zoppicante. Dopo pochi metri ruzzolò al suolo e si rialzò gridando di rabbia. Jonathan non esitò un attimo di più.
Si fiondò giù per le scale e corse verso il portone d'ingresso gridando ai movieri: «Aprite la porta! Svelti!»
Con una spallata si fece largo tra il legno scricchiolante in movimento e a grandi falcate si impegnò per raggiungere la sorella.
Poi lo sparo.
Sabrina si accasciò a pochi metri da lui. Jonathan, con un grido inumano, coprì la breve distanza che ancora li separava, la raccolse da terra e stringendola tra le braccia riprese a correre per tornare dentro.
Era incosciente e pesante da trasportare così inerme, la sua testa ciondolava e lui sentiva che non avrebbe potuto reggerla ancora a lungo. Le gambe bruciavano per lo sforzo e le braccia stavano per cedere quando riuscì a varcare il portone e posarla a terra.
Un capannello di soldati si fece intorno.
«È ferita! Qualcuno chiami un dottore!» gridò il giovane. Robert l'aiutò a sollevarla per portarla nella sua stanza mentre lui teneva le mani premute sulla ferita.
Fu tutto molto rapido: l'ufficiale medico che entrava, valutava la ferita, abbaiava ordini, suo fratello che correva a prendere il necessario e lui che tagliava la corda che le imprigionava i polsi.
I polsi... La vista della carne piagata lo svegliò. Come aveva potuto essere tanto meschino da credere che la sorella ne stesse semplicemente combinando una delle sue? Perché non si era preoccupato per lei?
Sabrina stava lottando con la morte e lui era inerme. Avrebbe potuto andare a cercarla e magari trarla d'impaccio e invece se ne era disinteressato. E adesso lei era stesa sul letto con una brutta ferita e il volto tumefatto e lui si sentiva responsabile. Come avevano osato far del male a una ragazza? L'avevano picchiata con ferocia.
Si guardò nuovamente le mani sporche del suo sangue e si passò i palmi sui pantaloni, incurante delle macchie che lasciavano.
Più tardi se ne stava seduto a terra da solo, vicino agli alloggi degli ufficiali. Si teneva la testa tra le mani e non badava alle occhiate che gli lanciavano i pochi soldati che passavano di lì.
Si sentiva un mostro.
Aveva lasciato Robert a vegliare sulla sorella, con la scusa di una commissione, ma in realtà voleva soltanto starsene per conto suo. Non bastava il volto tumefatto e che le avessero sparato mentre tentava di fuggire... Quei Sudisti bastardi si dovevano essere divertiti con lei. Dopo aver visto la gamba ferita e infetta e soprattutto la schiena segnata e sanguinante, aveva deciso di non riuscire a sopportare oltre. Come potevano averla ridotta così? Era solo una ragazza! E lui non aveva fatto nulla per impedirlo.
Si dava dei colpetti sulla fronte con il pugno per cercare di impedire alle lacrime di sgorgare. Lacrime di coccodrillo. Con che diritto pensava che bastasse mettersi a piangere per cancellare tutti i pensieri meschini sulla scomparsa della sorella? Non poteva negare di essersi quasi divertito a immaginare che quella sciocca avesse combinato un altro guaio e l'avrebbe pagata; solo perché gli aveva rovinato la festa con Lizzie, una relazione che non aveva comunque futuro? Oppure perché avevano litigato per quella storia fino ad arrivare alle mani e suo padre l'aveva redarguito? Maledetto orgoglio... Le sberle che gli aveva dato il genitore se le era meritate tutte, non lo negava, ma l'umiliazione per averle ricevute davanti a lei era stata tale che non le aveva più parlato da quel giorno. Era così risentito da averle augurato il male... e adesso non poteva sperare che fosse sufficiente mettersi a piangere per farsi perdonare.
Sua sorella stava rischiando di morire, Cristo! E lui non aveva fatto nulla. Almeno suo padre era uscito a cercarla, pur senza successo. E Robert l'avrebbe seguito se non gliel'avesse impedito. Invece lui se ne era rimasto comodamente steso a masticare tabacco...
Un groppo di saliva minacciò di soffocarlo al ricordo. Come aveva potuto essere così spregevole? Se non si fosse ripresa, non se lo sarebbe perdonato. Sentì la necessità di pregare: non lo faceva mai, ma questa era l'occasione buona per riconciliarsi con Dio. Doveva chiedergli perdono per la sua bassezza e supplicarlo di risparmiare la sorella. Se fosse sopravvissuta, si sarebbe impegnato per aiutarla e proteggerla. Non l'avrebbe più abbandonata.
La candela ardeva placida spandendo una bolla di luce gialla e tremolante che metteva in risalto le ombre. Anche i lividi sul volto di Sabrina parevano più evidenti in quel gioco di chiaroscuri e Robert la fissava esausto.
La giornata volgeva al termine e la sorella non aveva dato cenni di miglioramento, se non il fatto che avesse smesso finalmente di delirare nel sonno. Non avrebbe sopportato oltre quel parlottio sommesso che di colpo si tramutava in un grido inarticolato gelandogli il sangue.
Piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte. Il giovane gliele terse con una pezzuola strappandole un gemito e una smorfia contrasse quel viso altrimenti immobile come una maschera di cera.
Chissà quanto soffriva in quella posizione: la schiena piagata doveva dolerle parecchio, ma la ferita alla spalla e alla gamba rendevano sconsigliabile metterla prona. Come avevano potuto essere così efferati? Il dottore aveva esaminato i segni sul dorso e decretato che si trattava di una frusta, una di quelle che si usavano solitamente con gli schiavi. Sarebbero restate delle cicatrici e la notizia aveva riempito di collera Jonathan, che se ne era andato sbattendo la porta.
Robert era rimasto interdetto. Avrebbe voluto sfogare un po' di rabbia a sua volta – magari l'avrebbe aiutato a smaltire l'angoscia – invece era stato lì tutto il giorno a guardare la sorella, provando nient'altro che pena.
Si lasciò ricadere pesantemente sulla sedia di fianco al letto, spossato. Se si fosse concesso di chiudere gli occhi, anche solo per un momento, si sarebbe addormentato e non voleva. Prese a massaggiarsi la fronte chiedendosi dove si fosse cacciato Jonathan: gli aveva assicurato di tornare subito dopo cena, ma non si era ancora fatto vivo. Almeno avrebbe avuto qualcuno con cui parlare per scacciare quella sonnolenza e forse ci avrebbe pure litigato, così, tanto per sfogare un po' di quella frustrazione e senso di impotenza che gli divoravano l'anima. Gli avrebbe detto che si era sbagliato: per una volta aveva avuto torto nel credere che la sorella stesse semplicemente combinando qualche bravata! Ma in fondo, cosa importava adesso? Prendersela con il fratello non gli avrebbe restituito Sabrina intatta.
L'ingresso di Jonathan lo riscosse dal torpore.
«Eccomi, qualche novità?» buttò lì.
«Nessuna» rispose stiracchiandosi.
«Ti stavo aspettando» aggiunse alzandosi in piedi. «Devo prendere un po' d'aria o finisce che mi addormento. Hai del tabacco?»
Jonathan si frugò nelle tasche.
«Ho solo un po' di trinciato.»
«Meglio di niente» pronunciò con un'alzata di spalle. «Accompagnami fuori a fumare.»
Si sedettero all'esterno della baracca in silenzio, con la schiena appoggiata alla parete di legno, mentre il più grande si dava da fare arrotolando due sigarette con il tabacco triturato. Ne passò una al fratello e l'aiutò ad accenderla con un fiammifero, dopodiché rimasero ad aspirare il fumo, ognuno immerso nei suoi pensieri.
«Tu sai che voglio bene a quella piccola peste, vero?»
Jonathan interruppe inaspettatamente il silenzio. Robert sollevò appena un sopracciglio, osservandolo. Se ne stava lì, con una sigaretta tra pollice e indice, appoggiato mollemente alla parete con un ginocchio piegato e fissando il buio davanti a sé. Un atteggiamento di studiata indifferenza... pensò e sentì che le labbra gli si tiravano in un accenno di sorriso.
«Certo che lo so. Anche se fai di tutto per cercare di dimostrare il contrario» rispose dopo un po'.
Gli sembrò di vederlo annuire impercettibilmente al buio.
«Anche lei ti vuole bene» aggiunse.
Lui si voltò a fissare il fratello e scosse la testa con un sorriso amaro.
«No: lei vuole bene a te, e non ha tutti i torti» pronunciò prendendo un'altra boccata.
«Ti assicuro che ti sbagli, è che tu non sai leggere i segnali.»
«Che segnali?»
«È evidente che cerca lo scontro per farsi notare: desidera la tua approvazione... Se non ti volesse bene, non ti considererebbe nemmeno. Guarda come tratta le altre donne o gli ufficiali che non l'approvano: come se non esistessero.»
Jonathan non replicò. Non sembrava convinto però, o forse era solo troppo affranto per continuare con quell'argomento: per la prima volta Robert aveva colto dell'amarezza nel tono del fratello.
«Comunque» riprese il più grande cambiando discorso «non so te, ma io oggi ho capito davvero cosa significa essere in guerra... Non è servito parlarne per mesi, né discutere sulla disfatta di Bull Run; non mi è bastato contare orde di persone venire qui ad arruolarsi... però vedere quel gruppo di Confederati che tenevano Sabrina e la trascinavano, udire quel capitano – come si chiama?»
«Quantrill.»
«Quantrill... ecco, ascoltare quel Quantrill dettare le condizioni per il rilascio dell'ostaggio – ostaggio? Ti rendi conto? Sabrina un ostaggio...– minacciare di ucciderla come una spia – spia... ma di cosa stiamo parlando? È semplicemente ridicolo...– ecco, gli avvenimenti di oggi hanno diradato la nebbia e mi hanno fatto intendere davvero cosa vuol dire essere in guerra. Ho temuto di perdere Sabrina e ho di colpo intuito quanto io tenga a lei, anche se non mi piace ammetterlo.»
Robert si limitò a posargli una mano sulla spalla, come a trasmettergli quanto quel pensiero fosse condiviso.
«Sei stato molto coraggioso» disse infine.
«Tsk, non è coraggio: è senso di colpa.»
«Qualunque sia stata la tua spinta, è ammirevole il modo in cui ti sei lanciato fuori a prenderla ignorando tutti gli ordini.»
«Al diavolo gli ordini! Come facevo a lasciarla là da sola? Quando l'ho vista arrancare verso il forte in quella fuga disperata ho pensato che non l'avrei lasciata morire così, almeno questo glielo dovevo.»
«Avrebbero potuto sparare anche a te, sei stato audace: non sminuirti.»
«Oh, Robbie, quando l'ho vista cadere mi è mancato il fiato, come se mi avessero colpito con un pugno fortissimo e ho pensato che se fosse morta non me lo sarei mai perdonato... Mi sono comportato in maniera davvero spregevole, un mostro» pronunciò l'ultima parola tra i denti con rabbia, gettando il mozzicone di sigaretta lontano, poi si prese la testa tra le mani e infilò le dita tra i capelli scuri.
Robert avrebbe voluto dire qualcosa per smussare quel giudizio, ma si accorse di un lieve sussulto che scuoteva le spalle del fratello: stava piangendo in silenzio. Da quanto non vedeva Jonathan piangere? Era sempre stato così sicuro di sé, forte e arrogante, che non si aspettava una simile reazione da lui. Eppure sapeva quanto in realtà fosse buono e pieno di affetto per tutta la sua famiglia, nonostante cercasse di mascherarlo con modi rudi e battute piene di sarcasmo.
La luce dell'alba filtrava dalle tende, il forte iniziava a svegliarsi e suoni ovattati giungevano alle orecchie di Robert che dormiva scomodamente seduto sulla sedia, con la testa abbandonata tra le braccia appoggiate al letto. Alla fine aveva ceduto al sonno, dopo aver passato gran parte della notte a vegliare la sorella insieme a Jonathan che poi se ne era andato con il padre.
Gli sembrava di sentire ancora il delirio della ragazza, ma questa volta chiamava il suo nome con voce strozzata, giusto un sussurro.
Cercando di scuotersi da quel torpore, sollevò appena la testa strofinandosi gli occhi feriti dalla luce e si voltò in direzione di Sabrina.
Era sveglia! E lo stava chiamando con voce flebile e resa ancora più stridula dalle lacrime che solcavano il suo volto.
Si alzò di scatto in preda all'emozione e l'avvolse in un abbraccio strappandole un gemito mentre ringraziava il Signore per averla fatta risvegliare. Lei non diceva niente, piangeva e sorrideva e si lasciava accarezzare.
«Vado a chiamare gli altri: sono tutti in pena per te! Torno subito» pronunciò fissandola negli occhi neri per rassicurarla. Lei annuì incerta e Robert si fiondò fuori dalla stanza abbottonandosi la giubba.
«Johnny! Corri! Sabrina si è svegliata!» gridò in direzione del fratello che aveva appena concluso l'ispezione del mattino.
Ogni traccia di stanchezza scomparve dal volto del giovane a quella notizia e si affrettò a raggiungerlo.
«È sveglia? Come sta?»
«È viva...» rispose con un'alzata di spalle, al momento questo gli sembrava sufficiente. «Avverti nostro padre, io vado in cerca del dottore. Ci vediamo da lei!» E sorridendo lo lasciò, mettendosi a camminare in direzione dell'ospedale militare.
Parole di fuoco venivano scagliate contro la parete e filtravano all'esterno. Robert poté percepirne chiaramente l'aggressività anche se non riuscì ad afferrarle mentre si avvicinava con il medico. La sorella aveva gridato qualche improperio e ora suo padre stava rispondendo a tono, duro come non lo sentiva da tempo. Il dottor Reeves si affrettò a intervenire mentre il maggiore diceva "Non ti permetterò di cacciarti di nuovo in qualche guaio".
«Ora basta! Signorina, calmatevi. Maggiore... è meglio che se ne vada: sua figlia ha bisogno di assoluto riposo. Parlerete un'altra volta» pronunciò con voce breve che non accettava repliche.
Il padre, controllando l'ira montante, rimase in silenzio per qualche secondo, poi uscì dalla stanza senza obiezioni.
Sabrina, intimorita dall'autorità di quell'uomo che aveva zittito il padre con tanta facilità e vergognandosi del modo isterico in cui l'aveva sentita urlare, si lasciò cadere distesa, tastare la fronte e misurare il polso senza osare muovere un muscolo. Il dottore scuoteva leggermente il capo auscultando il battito cardiaco accelerato.
«Dovete riguardarvi, signorina. Assoluto riposo: le discussioni rimandatele a quando sarete più in forze.»
La ragazza si limitò ad annuire, pallida in volto e improvvisamente sfinita dopo quel breve confronto. Come se dipendesse da me... pensò.
Mentre il medico continuava la sua visita e si apprestava a cambiare le bende, Jonathan si avvicinò di soppiatto al fratello e gli fece segno di seguirlo all'esterno.
«Grazie a Dio sei arrivato... La faccenda stava degenerando pericolosamente!» pronunciò con uno sbuffo appena fuori.
«Ma che diamine stavate combinando? Si è appena svegliata: vi sembra il caso di mettervi subito a litigare?» rispose stizzito, non poteva credere alla scena cui aveva appena assistito.
«No, davvero... Credimi: sono scioccato quanto te, anzi... di più! Tu non eri presente.»
«Che è successo?»
Robert si appoggiò alla parete con una spalla, incrociando le braccia. Era stanco morto, ma non sarebbe andato a riposare prima di avere delle risposte e sapere come stava la sorella.
«Nostro padre si è presentato in veste ufficiale e, dopo essersi accertato che Sabrina sembrava abbastanza in forze, ha cominciato a interrogarla per conto dei suoi superiori. Non è stato piacevole» sospirò.
«Non si poteva aspettare, vero?» chiese alzando un sopracciglio, con sarcasmo.
«A quanto pare no... Là fuori c'è una compagnia confederata e Johnson vuole risposte immediate.»
«Quel demente...»
«Sssh, qui anche i muri hanno orecchie: lo sai. Comunque, sono d'accordo con te...»
«Be', e che ha detto Sabrina?»
«Ha raccontato che era sulla strada di Leavenworth e che ha incrociato cinque Confederati. Le hanno gridato di fermarsi e hanno sparato in aria, e lei ha ben pensato di darsi alla fuga infilandosi tra gli alberi con Ella, solo che pioveva e il terreno era fangoso... Ella si è azzoppata e lei è stata sbalzata a terra: è così che si è ferita la gamba. Ha tentato di sparare con quel vecchio revolver che le avevamo infilato nella sella per precauzione, solo che era inceppato – probabilmente la canna era piena di polvere da sparo incrostata o la pioggia aveva bagnato l'innesco.»
«Non so se pensare che sia stato un bene che non abbia funzionato o un male...»
«Pensala come vuoi, tanto un modo di usarlo l'ha trovato lo stesso: lo ha adoperato come mazza per colpire alla testa il primo soldato che l'ha raggiunta e poi gli ha sfilato il revolver dalla fondina e ha sparato a un altro con quello...»
Robert era ammutolito: non riusciva a immaginare la sorella in una situazione del genere e men che meno figurasela usare un'arma contro un uomo.
«Non l'ha centrato, se è questo che ti preoccupa.»
Il giovane lasciò andare il respiro che aveva trattenuto senza accorgersene.
«Madonna Santa» fu l'unico commento che riuscì a fare.
Jonathan annuì, grave, pensando che non c'era espressione più azzeccata a meno di non cominciare a bestemmiare sul serio, mentre il fratello rimaneva in silenzio a digerire il racconto.
«In pratica, scappando, si è cacciata nei guai da sola... Poteva starsene ferma e magari, vedendo che era una ragazza, l'avrebbero lasciata andare!» esclamò Robert dopo aver rimuginato per un bel pezzo.
«Già... è quello che sosteneva nostro padre... solo che c'era dell'altro.»
«Che intendi dire?»
«Quella sciocca indossava la giacca blu dell'Unione – non chiedermi come se la sia procurata perché lo ignoro e non ho voglia di indagare – quindi non solo l'hanno scambiata per un maschio, visto il modo in cui sta in sella, ma hanno pure creduto che fosse un soldato.»
Robert non sapeva cosa dire. Perché sua sorella aveva una giacca blu con sé quel giorno?
«Avrà anche indossato la giubba, ma quando si sono resi conto di aver catturato una ragazza perché non l'hanno lasciata andare?»
«Probabilmente, dopo tutto lo scompiglio che ha creato avranno pensato di portarla comunque con loro, giusto per capire come mai avesse quella giacca, e poi Sabrina si è fatta scappare di essere la figlia di un ufficiale...»
«No...»
«Sì» chiosò serio Jonathan, poi sospirando continuò:
«Robert, quelle ferite che abbiamo visto, be'... l'hanno picchiata, sembra incredibile, ma l'hanno torturata sperando di farsi dare chissà quali informazioni. Quel Quantrill è un macellaio.»
Robert impallidì e fece per rientrare nella stanza quando Jonathan lo bloccò.
«Lasciami, voglio solo...»
«Il dottore si sta occupando di lei. Non è il caso di disturbarla adesso: è già abbastanza scossa e nostro padre non è stato d'aiuto con il suo intervento. Per favore...»
Jonathan lo teneva per le braccia e lo fissava serio in volto, profondamente turbato per quello che aveva sentito raccontare e per i rimproveri e gli insulti che erano volati tra il genitore e la sorella. Percepiva l'angoscia del fratello alla notizia che gli aveva rivelato, ma lui non aveva assistito alla scenata terribile tra i due: non era il caso di far agitare nuovamente la sorella.
Il dottor Reeves uscì in quel momento dalla stanza.
«Vostra sorella sta bene, è debole ma se la caverà» li interruppe vedendo Robert che protestava e tentava di divincolarsi dalla presa del fratello. I due si zittirono e si misero sull'attenti: era pur sempre un loro superiore in grado.
«Niente preoccupazioni, rimproveri o altre emozioni forti. Sono stato chiaro? Le ho dato un sedativo, adesso va lasciata in pace. Quando si sarà ripresa potrete parlarle di nuovo e, se proprio lo ritenete necessario, sgridarla. Anche se penso che quello che le è accaduto sia già stato sufficiente» riprese, fermo e autoritario, senza diritto di replica, poi si allontanò a grandi passi.
Jonathan non disse altro. Era mortificato: lui non aveva fatto nulla di male, ma il dottore l'aveva ammonito. Possibile che avesse un carattere così difficile da passare per un tale insensibile? Scuotendo la testa, si allontanò lasciando il fratello da solo.
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