37- Assenza
La pioggia li aveva sorpresi mentre erano di ritorno dalla città: un acquazzone in piena regola aveva oscurato il cielo, portando una notte anticipata e formando una cortina d'acqua fitta e buia che impediva la visuale oltre qualche metro. Si erano riparati sotto una tettoia e avevano aspettato che passasse. Non potevano mettersi in viaggio con quel tempaccio e rischiare le zampe dei loro cavalli: la strada sarebbe stata un ammasso di fango infido. Tanto valeva arrendersi alla furia degli eventi e accettare che sarebbero arrivati in ritardo, mancando l'appuntamento con l'ispezione della sera. Il loro capitano non ne sarebbe stato contento, ma tra fare tardi e tornare a piedi dopo aver azzoppato un cavallo era pur sempre preferibile la prima opzione.
Entrarono in refettorio fradici, trovando un padre furioso ad attenderli. Lo videro farsi avanti serio e Jonathan lanciò un'occhiata al fratello come a dirgli "Ci penso io".
«Spero mi renderete conto del vostro ritardo. Vi ricordo che non siete qui in gita di piacere e che la cena non ve la servono quando vi fa comodo!» li investì.
Robert deglutì a fatica, rimanendo in silenzio mentre il fratello rispondeva con aria scocciata:
«Ci ha sorpreso la pioggia, il terreno era fangoso e non volevamo rischiare le zampe dei nostri cavalli, va bene?»
Robert s'irrigidì d'istinto a quelle parole. Suo fratello giocava con il fuoco: non era il caso di essere tanto irriverenti!
«Non va bene affatto! Non siete più ai miei ordini e non riceverete nessuno sconto per il vostro comportamento. Ci penserà il vostro capitano a prendere provvedimenti per l'assenza. Che vi serva di lezione!»
Questa volta Jonathan tacque, con gran sollievo del più piccolo, ma si vedeva che avrebbe voluto ribattere ancora, anche solo per sottolineare con rabbia che non ricordava nessun favoritismo da parte del genitore in tutti quegli anni. Però non era il caso di continuare: suo padre era deciso a sgridarli, punto e basta. Tanto valeva incassare il rimprovero e andare oltre.
«Vedo che sono stato chiaro a sufficienza... E ora, ditemi dov'è vostra sorella.»
I due si scambiarono un'occhiata interrogativa e piena di stupore: che ne sapevano loro? Non l'avevano vista quel pomeriggio.
«Non saprei, padre. Non è qui?» pronunciò Robert tradendo una certa ansia.
«No, è uscita per un giro a cavallo nei dintorni e nessuno l'ha più vista... Speravo l'aveste incontrata in città, anche se questo avrebbe significato che mi aveva mentito» rispose pensieroso.
«Magari l'ha sorpresa la pioggia, com'è successo a noi... Si sarà rifugiata da qualche parte con Ella. Sono sicuro che tornerà presto» si affrettò ad aggiungere Robert per quietare il genitore.
Il maggiore fissò per un attimo il figlio cercando di intuire se gli stesse nascondendo qualcosa e, non trovando tracce di menzogna, annuì.
«Va bene, ora sbrigatevi con la cena. Poi ve la vedrete con il vostro capitano per aver mancato l'appello serale» li congedò.
La notte stava avanzando rapidamente e di Sabrina non c'era ancora traccia. Di lì a poco avrebbero suonato il silenzio.
Robert passeggiava inquieto per la piazza d'armi, arrampicandosi di tanto in tanto sulle torrette di vedetta e scrutando nel buio in attesa di qualche segnale. Sua sorella non aveva mai tardato così a lungo ed era preoccupato.
Jonathan, invece, se ne stava pigramente sdraiato su un mucchio di fieno a masticare tabacco come se nulla fosse, osservando le poche stelle che tentavano di fare capolino tra i nuvoloni scuri o il fratello che camminava avanti e indietro senza sosta.
Alla fine se l'era trovato di fronte, irritato.
«Mi chiedo come tu faccia a stare lì tranquillo sapendo che nostra sorella è là fuori da qualche parte...» lo affrontò Robert.
Jonathan si tirò su con studiata lentezza, sputando il succo del tabacco e guardandosi intorno annoiato prima di rispondere.
«Sinceramente, non mi riguarda quello che fa quella testa calda di nostra sorella... Se ha voglia di farsi un giro e poi vedersela con nostro padre, a me sta bene.»
«Anche se ce l'hai ancora con lei per quella storia di Lizzie, non mi sembra un buon motivo per startene lì con le mani in mano... è tua sorella!» E si allontanò deciso.
Jonathan rimase qualche secondo a fissarlo mentre se ne andava, poi con un'alzata di spalle si infilò un altro pezzo di tabacco in bocca e si rimise comodo. Non era successo niente a Sabrina, ne era sicuro: quella voleva creare un po' di scompiglio, come al solito. Era già troppo tempo che non ne combinava una delle sue in maniera plateale. Suo fratello si agitava per niente.
Robert si mise in cerca di suo padre: la tensione lo stava divorando e non riuscendo a scalfire l'indifferenza del fratello aveva bisogno di trovare un altro alleato. Lui sentiva che qualcosa non andava, la tranquillità di Jonathan non bastava a convincerlo. Non sapeva spiegarselo, ma aveva un pessimo presentimento.
Trovò il padre che discuteva con il colonnello Johnson.
«Mia figlia è testarda e disobbediente, signore, non lo metto in dubbio... ma non c'era motivo che la spingesse a starsene via così a lungo stasera, ne sono sicuro» lo sentì dire e se ne stette in disparte a origliare la conversazione.
Il colonnello non sembrava propenso a mandare una squadra a cercare la ragazza; forse suo padre aveva chiesto il permesso di farsi accompagnare dai figli, altrimenti non si spiegava il perché domandasse il benestare di quell'uomo invece che del suo diretto superiore.
«E se le fosse successo qualcosa?» insistette il maggiore.
«Suvvia, conosciamo benissimo sua figlia... Povero il bandito che se la troverà di fronte! Non ho intenzione di mandare nessuno fuori stasera a cercarla. Se domattina non sarà ancora qui, allora vedremo di preoccuparcene.» Il colonnello non voleva sentir ragioni a quanto pareva.
«Stiamo parlando di mia figlia! Potrebbe essere caduta da cavallo col tempaccio di prima ed essersi fatta male! Non ho intenzione di starmene qui ad aspettare senza far niente. Non importa se non potrò farmi aiutare dai miei figli: andrò là fuori a cercarla da solo... con o senza il suo permesso!»
John Becker era visibilmente adirato per la freddezza del superiore e aveva finito per dimenticarsi il suo grado.
«E va bene, maggiore, se ne vada là fuori e la cerchi... anche se dubito che con questa notte buia lei la ritrovi.»
«Bene» rispose e, dopo aver eseguito il saluto militare, fece per allontanarsi. Robert lo seguì, sbucando dal suo angolo buio.
«Ah, maggiore,» lo richiamò il colonnello «se sua figlia questa volta non ha una scusa seria, la diffido dal darle il permesso di uscire ancora per le sue scampagnate.»
John si fermò di scatto e inspirando profondamente si girò ad affrontarlo, con gesti misurati.
«Se non ha un buon motivo per questo ritardo, le assicuro che fuori di qui non mette più piede fino alla maggiore età!» E si allontanò a grandi passi, distanziando il figlio.
Robert avrebbe voluto parlargli, ma il maggiore gli aveva rivolto un cenno secco, come a dissuaderlo dal tentare di seguirlo, convincendolo a desistere. Non gli avrebbe permesso di aiutarlo senza il benestare del suo diretto superiore: non l'avrebbe messo nei guai.
Il giovane chinò la testa sconfitto e pieno di livore per il suo comandante: come poteva essere tanto insensibile? Sua sorella era una bella rogna, ma era pur sempre una ragazza di appena quindici anni! Non si poteva lasciarla là fuori nella notte.
Il maggiore era tornato un'ora più tardi, solo. Robert l'aveva aspettato davanti al suo alloggio, sfidando le regole del forte, mentre Jonathan aveva preferito andarsene a letto convinto che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
«Che ci fai qui? Dovresti essere nella tua baracca» lo apostrofò, visibilmente preoccupato.
«Nessuna traccia di Sabrina, padre?»
L'uomo sospirò facendo solo un breve cenno di diniego con il capo. Poi, notando l'espressione angosciata del giovane, cercò di dimostrarsi pratico.
«Non c'è luna stanotte: è troppo buio là fuori. Ho ripercorso la strada fino a Leavenworth e cercato un po' qui intorno, ma non si vede un accidente. Non so dove possa essersi cacciata... spero solo che stia bene. Domani tornerò a cercarla» disse poggiando una mano sulla spalla del figlio.
«Va' a dormire adesso, non c'è altro che possiamo fare per stanotte» concluse spingendolo via con delicatezza. Il ragazzo si infilò le mani in tasca e si diresse verso il suo alloggio in silenzio mentre il padre lo osservava allontanarsi, impassibile come sempre. Non appena il figlio fu inghiottito dalla notte, si concesse un sospiro e prese a massaggiarsi le palpebre, poi si sedette sui gradini davanti alla sua porta tenendo la testa tra le mani, sconsolato. Non voleva allarmare Robert, ma non aveva idea di cosa potesse essere successo alla figlia; l'aveva chiamata nel buio a squarciagola e si era infilato nei boschi vicini senza trovarla. Dove si era cacciata?
Jonathan si svegliò di soprassalto. Era buio e lui aveva avuto un incubo. Si sedette sulla branda cercando di mettere a fuoco qualche dettaglio della baracca, giusto per accertarsi che fosse tutto finito, posando gli occhi sulla finestra dai vetri sporchi, la rastrelliera dei fucili il cui metallo riluceva timidamente al riflesso delle stelle che filtrava dall'esterno, un libro sul suo comodino e la sagoma del fratello che dormiva beato vicino a lui.
Si passò una mano sulla nuca bagnata: era madido di sudore. Che razza di incubo! Cercò di riportarlo alla mente, ma rimanevano solo alcune immagini: la pioggia, il fango che gli impediva di correre e in cui cominciava a sprofondare sempre di più fino a esserne inghiottito. Il senso di soffocamento l'aveva svegliato.
Scosso, aveva gettato a terra la coperta deciso a prendere una boccata d'aria fresca per schiarirsi le idee.
Infilati i pantaloni, era uscito dalla baracca e si era seduto all'ingresso, inspirando a pieni polmoni. Le stelle punteggiavano un cielo senza luna e calcolò che dovesse essere notte fonda.
Sua sorella non era tornata; gliel'aveva bisbigliato Robert quando era rientrato, ma lui aveva finto di essere già addormentato per non affrontare l'argomento. Quella testa calda finiva sempre per farli preoccupare tutti: voleva solo stare al centro dell'attenzione. Era gelosa dell'orgoglio che il padre aveva dimostrato quando erano diventati ufficiali e subito aveva architettato qualcosa per mettersi in mostra. Ma lui non ci sarebbe cascato: si rifiutava di stare al suo gioco. Non avrebbe perso il sonno per un'altra delle sue bravate.
Eppure era sveglio e angosciato.
Ma era solo a causa di uno stupido sogno! La sorella non c'entrava nulla.
Stizzito, prese dalla tasca un pezzo di tabacco e cominciò a masticarlo nervosamente per quietare quel senso di ansia che non sembrava volerlo abbandonare.
Sua sorella stava bene. Ne era sicuro. Non poteva esserle successo nulla. Era solo colpa della pioggia: quella disgraziata aveva trovato un riparo per la notte e non aveva pensato che avrebbe fatto stare in pena suo padre e suo fratello. Lui non era in pena: se era quello che desiderava, non ci sarebbe riuscita. Non l'avrebbe compatita, non dopo lo scherzo che gli aveva combinato con Lizzie. Quello era stato un colpo basso. Poco importava che lui non facesse sul serio con quella ragazza: avrebbero potuto divertirsi insieme ancora per un po' prima di lasciarsi.
No. Se quella pensava di intenerirlo con qualche piccola disavventura, si sbagliava di grosso. Se la sarebbe vista con suo padre e lui si sarebbe goduto lo spettacolo, né più né meno, con soddisfazione.
E rimase così a rimuginare per un pezzo prima che il sonno avesse la meglio e lo convincesse a trascinarsi di nuovo a letto.
La sveglia era suonata da tempo, le compagnie riunite e disperse nei vari compiti e di Sabrina ancora nessuna notizia.
Il maggiore si muoveva con la solita efficienza tra i suoi uomini, ma era chiaro che non aveva dormito. La faccia tirata e le profonde occhiaie tradivano il suo stato d'ansia.
Robert si chiese cosa aspettassero a organizzare delle ricerche: non sembravano esserci cambi di programma nella solita routine del forte. Avrebbe voluto sellare un cavallo e uscire da solo, ma non poteva farlo e scalpitava in silenzio, nervoso. Jonathan non diceva nulla e obbediva agli ordini del loro capitano organizzando gli addestramenti delle nuove reclute, ma si intuiva che qualcosa nel suo atteggiamento era cambiato. Forse non voleva ammetterlo, però stava cominciando a preoccuparsi, anche se davanti a lui minimizzava.
Il maggiore Becker si era infine presentato dagli alti ufficiali del I Cavalleria a chiedere di poter uscire con una pattuglia, ma il colonnello Johnson si era intromesso. Che se ne occupi lo sceriffo, aveva suggerito, questo è l'esercito. C'è una guerra a cui pensare: non facciamo i poliziotti, qui.
Il padre aveva represso l'istinto di rispondere a tono e aveva chiesto rispettosamente il permesso di andare in città per cercare aiuto. I suoi superiori gliel'avevano concesso, guardandolo con un misto di pena e soddisfazione nel considerare che in fondo giustizia veniva fatta: quella piccola peste aveva finito per cacciarsi nei guai dando finalmente ragione a chi ne criticava i comportamenti inadatti per una femmina.
John si era allontanato rigido, soffocando la voglia di mettere le mani addosso a quell'omuncolo che si credeva tanto potente da poter intromettersi negli affari di tutti nel forte. Chissà se avrebbe tirato in ballo la polizia, con un intero esercito a disposizione, se si fosse trattato di sua figlia... che carogna. Ma una volta espressa una tale opinione era difficile controbattere: quello era compito dello sceriffo. A meno che non ci fossero stati di mezzo gli indiani, allora forse avrebbe potuto coinvolgere i suoi soldati. Per il momento non restava altro da fare che recarsi in città a denunciare la scomparsa della ragazza e magari cercare ancora un po' nei dintorni nel mentre.
E se avesse deciso di andarsene?
Quella frase buttata lì dal fratello aveva divorato Robert per tutta la mattina e dopo pranzo aveva approfittato della pausa per cercare indizi nell'alloggio della sorella. Era vero che lei non era felice di stare lì, continuamente costretta a confrontarsi con le critiche di tutti e a fingere di essere una signorina, ma non credeva possibile avesse preso una tale decisione senza prima confrontarsi con lui. O forse no? Di certo lui l'avrebbe frenata... magari non voleva essere fermata da nessuno.
La porta era aperta e Robert si chiese se fosse sintomo di abbandono o semplicemente una prova del fatto che era intenzionata a tornare dopo poco tempo.
Scrutò l'interno della stanza cercando di capire se mancasse qualcosa.
Sulla scrivania vi era una pila di libri: un romanzo di Cooper, uno di Scott, una vecchia copia di un manuale di buone maniere e la bibbia di sua madre. L'aprì, riconoscendo la calligrafia elegante della donna che aveva vergato sulla prima pagina i nomi di tutti loro, e sentì un nodo allo stomaco. Sua sorella si sarebbe separata da quel ricordo? Forse sì, visto il livore che la consumava da quando aveva scoperto che la madre l'aveva abbandonata, ma non ne era convinto.
Posò la bibbia e scostò una copia dell'Harper's Weekly trovandoci sotto la scatola contenente il materiale da scrittura, ma nient'altro.
Aprì il baule ai piedi del letto: era pieno di biancheria intima e un corsetto gettato alla rinfusa. Imbarazzato, lasciò ricadere il coperchio con un tonfo: non si sarebbe messo a frugare tra i mutandoni di sua sorella.
Avanzò di qualche passo per sbirciare dentro il cassettone, trovando alcune camicette e una scatola contenente l'abito da ballo rosa cenere, e vide la crinolina gettata in un angolo della stanza ripiegata su se stessa.
Una vecchia bambola stava seduta sul comodino e il giovane la prese per osservarla, ricordando quando sua sorella era ancora una bambina e si rifugiava in qualche angolo del forte con quel giocattolo. Il naso era scheggiato e dava a quel viso un che di inquietante: non gli erano mai piaciute quelle facce di celluloide con gli occhi vitrei.
In un altro angolo stava la bacinella con la brocca e appoggiati sul mobiletto trovò un unguento per capelli, una scatolina piena di forcine, una boccetta di acqua di colonia e una spazzola. Prese quest'ultima e, accarezzando le setole, pensò a tutte le volte che aveva visto la sorella usarla con cura prima di andare a dormire. Capì che quell'oggetto era la prova che non se ne fosse andata spontaneamente. Sabrina non aveva vezzi femminili all'apparenza: era obbligata a vestirsi secondo l'etichetta, ma aveva sempre un'aria trasandata, come a dimostrare che lo faceva solo perché le toccava. Però i suoi capelli neri erano splendidi... Seppure evitasse di acconciarli in pettinature elaborate, quel continuo spazzolare era sintomo che fossero l'unica parte di sé a cui in segreto teneva.
Se avesse deciso di partire, come minimo avrebbe portato con sé qualche oggetto personale e di sicuro non avrebbe rinunciato alla sua spazzola.
«Lo sapevo che ti avrei trovato qui...» Suo fratello interruppe il flusso di pensieri.
«Non se n'è andata» disse mostrandogli la spazzola che aveva in mano. «Le è successo qualcosa...»
Jonathan sbuffò.
«Finiscila con questa storia! Sarà in giro da qualche parte e starà pensando che scusa inventare per tornare senza conseguenze. Sa di averla combinata grossa!»
«Non lo so, Johnny... Spero davvero che tu abbia ragione» sospirò mesto.
«Su, adesso andiamo che il capitano ci ha convocato» disse cercando di apparire sicuro di sé e convincendo il fratello a seguirlo.
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