34- Ficcanaso




La primavera del 1861 era ormai alle porte, quel marzo prometteva bene e Jonathan era soddisfatto della sua nuova relazione: Lizzie era divertente e insaziabile. Però dopo appena un mese era giunto alla conclusione di non essere davvero innamorato e forse nemmeno lei: nessuno dei due desiderava abbandonarsi fino in fondo e trovavano più appagante godere di quei momenti senza promettersi nulla.

In quei tempi incerti era meglio non prendersi impegni seri, pensava Jonathan, ma forse era solo una scusa per non ammettere a se stesso che oltre a una breve infatuazione non avrebbe potuto esserci molto altro con quella ragazza. Una volta soddisfatto l'impeto iniziale il rapporto non aveva conosciuto una vera evoluzione. Si divertivano insieme, punto. Il giovane non anelava a possedere la sua mente e il suo cuore: gli bastava affondare il viso in quella massa di boccoli biondi e dimenticare il resto per qualche ora. E la ragazza non sembrava dispiacersene: voleva andarsene da quella città e raggiungere la California, ma non con un soldato, diceva scherzando, anche se pareva più seria di quello che dava a intendere.

Quel pomeriggio si era recato a Leavenworth in licenza, ma dopo qualche effusione fugace con la sua bella si era dedicato ad altro: desiderava regalarsi un bagno vero e farsi sistemare la scarsa barba e i capelli incolti da un barbiere. Si era dunque concesso una lunga sosta in una vasca degna di quel nome in un bagno comune. Al riparo di un bel separé decorato con motivi floreali, aveva goduto dell'acqua calda e si era crogiolato con la schiuma prodotta da un sapone decente. Pago, aveva apprezzato il morbido telo che gli era stato fornito per asciugarsi e se n'era andato dal barbiere. Aveva fatto colpo su una bella prostituta nello stallaggio dove aveva ricoverato il cavallo e aveva rifiutato il suo invito con cortesia e intima soddisfazione.

Tirato a lucido, era appena rientrato nel forte e si stava rimirando nel piccolo specchio appeso vicino alla sua branda, quando fu raggiunto da Robert nella camerata.

«Hai incontrato Sabrina in città?»

Jonathan sollevò appena un sopracciglio, girandosi a guardarlo.

«Sabrina?»

«Sì! Non l'hai incrociata?»

Robert sembrava nervoso.

«In città?»

«La vuoi smettere di ripetere quello che ti dico? Sì, Sabrina è andata in città. Da sola.»

«Da sola?»

Poi, vedendo che suo fratello stava per tirargli un calcio, si riscosse.

«Scusami. Ho capito...» disse alzando le mani in segno di resa. «Anzi, no, non ho capito affatto. Spiegami un po' che è successo.»

Robert si scostò una ciocca ribelle e iniziò a raccontare, parlando sottovoce come se temesse che qualcuno potesse ascoltarli.

«Non lo so di preciso, ho incrociato due soldati della compagnia che stavano tornando dal turno di lavoro in stalla e ho colto uno stralcio di conversazione, qualcosa tipo "Quella sfacciata se l'è meritato" e ho avuto un presentimento. Sono corso là e l'ho trovata che stava sellando Ella: aveva un faccia terribile... e si muoveva con una certa rigidità, non so se capisci cosa intendo.»

«Che nostro padre le aveva dato una buona dose di frustate.»

«Già, ma stavolta deve essere stata una cosa seria: non l'ho mai vista così.»

«E non ti ha dato spiegazioni.»

«No. Continuava a sistemare i finimenti come se non esistessi e quando ho tentato di fermarla è montata in sella con aria sprezzante. L'ho avvertita che nostro padre gliel'avrebbe fatta pagare ancora più cara se avesse scoperto che era uscita senza il suo permesso e lei per tutta risposta mi ha sfidato. "Perché non vai a dirglielo tu, così gli risparmi la fatica". Questo ha detto.»

«E cosa ti fa credere che sia andata in città?»

«Mi sembra di aver sentito nominare Leavenworth da quei due. Non lo so, magari mi sbaglio, ma per aver fatto infuriare così nostro padre deve averla combinata grossa! E voler andare da sola in città mi sembrava un buon motivo.»

Jonathan rimase in silenzio, pensieroso. Sabrina era già stata a Leavenworth con il capitano, perché desiderasse andarci da sola non gli era chiaro. Magari avevano litigato per altro e lei era soltanto uscita per una cavalcata nei dintorni del forte, come al solito. Però qualcosa nell'aria preoccupata del fratello lo colpì: lui aveva un certo sesto senso quando si trattava della sorella, anche se in fondo non era il caso di preoccuparsi così tanto. Se quella testa calda aveva voglia di creare scompiglio, non sarebbero riusciti a impedirglielo: ci avrebbe pensato il padre.

«Su, andiamo a cena che ho fame. Inutile fasciarci la testa: quando tornerà, scopriremo dov'è stata oggi.»

Si recarono nel refettorio e presero posto a un piccolo tavolo appartato. Erano intenti a discutere fitto fitto quando videro il capitano dirigersi verso di loro.

«Buonasera, ragazzi. Posso sedermi con voi?»

I due si alzarono rispettosamente in piedi e lo salutarono. Il padre prese posto di fianco a Robert e cominciò a mangiare in silenzio. I figli si scambiarono un'occhiata d'intesa e ripresero il loro pasto senza dire più una parola.

Robert era teso. Dove diavolo era sua sorella? E perché il capitano aveva voluto sedersi a cenare con loro? L'aspettava al varco? Lui non aveva nessuna voglia di assistere all'incontro tra i due e si ritrovò a sperare che la ragazza non si facesse viva, anche se sarebbe stato un danno peggiore.

Jonathan, invece, scrutava il padre con occhiate furtive. Se fosse stato duro la metà di quello che era stato con loro, la ragazzina non sarebbe arrivata a tal segno: questa era la sua logica conclusione. Quella l'aveva stregato con il suo visino da bimba sperduta e triste e aveva finito per metterlo nel sacco. Adesso era troppo tardi per raddrizzarla: il capitano le aveva concesso troppe libertà e non sempre era stato fermo nell'arginare quel caratterino pestifero. Se l'avesse frustata in pubblico o umiliata come aveva fatto con loro al primo segno di insubordinazione, forse l'avrebbe domata. Adesso ogni "no" le dava la forza di opporsi con maggiore foga, con la convinzione che una volta o l'altra l'avrebbe spuntata. Suo padre aveva una bella gatta da pelare, pensò con maligna soddisfazione. Un giorno si sarebbe reso conto che era stato ingiustamente severo con i suoi due figli maschi.

Il loro tavolo era sospeso come in una bolla; il resto dello stanzone brulicava di risate, parlottii, stridore di posate contro i piatti di latta, mentre loro sembravano in un mondo a parte, oppressi da pensieri viscosi e da un silenzio teso e denso.

Un tonfo li riscosse. La porta era stata aperta con così tanta foga da sbattere rumorosamente e tutti i soldati si erano voltati a guardare. La ragazza stava in piedi, immobile e ansimante come dopo una corsa, i capelli scarmigliati e la gonna spiegazzata. Si sistemò una ciocca dietro l'orecchio e raddrizzò fieramente le spalle per darsi un tono, dopodiché si avviò a prendere un piatto ignorando le occhiate.

L'unico che non aveva dato segno di accorgersi del suo ingresso era il padre, che continuava a mangiare in silenzio.

Jonathan lanciò un'occhiata a Robert e si preparò a godersi lo spettacolo: non aveva le remore del fratello.

Sabrina si avvicinò con fare sicuro e a pochi passi dal tavolo si bloccò: non si aspettava di trovare suo padre lì. Senza dare segni di disagio riprese a camminare e appoggiò il piatto di fianco a quello di Jonathan, che si voltò d'istinto nella sua direzione. Lei lo esaminò per un lungo istante, soffermandosi sul suo taglio di capelli, con un'aria di sprezzo che lo lasciò perplesso. Che aveva da guardare? Poi prese posto.

Il capitano sollevò appena gli occhi dal piatto e glieli puntò contro: se fossero stati la canna di un fucile, avrebbero sparato. O almeno questa fu l'impressione del figlio maggiore. Non gli era mai capitato di vedere un simile sguardo omicida e, notando come la sorella si sforzasse teatralmente di fare come se nulla fosse, scosse la testa con un mezzo sorriso. Una bella gatta da pelare.

«È meglio che lasci stare la cena per stasera» pronunciò serio con un tono che suonava come una sentenza di morte, anche se le parole scelte non avevano in sé nulla di così terribile.

La ragazza si era bloccata con il cucchiaio a mezz'aria e, posandolo lentamente, aveva sostenuto lo sguardo del genitore.

«Ora alzati, va' in camera tua e restaci.»

Sabrina non si mosse e le scappò un'occhiata verso il suo pasto intatto prima di tornare a fissare il padre in silenzio. La ragazzina ha fame, pensò Jonathan e cominciò a dondolarsi pigramente sulla sedia, osservando la scena. Voleva proprio vedere cosa avrebbe osato fare quella sciocca. Robert la guardava con gli occhi verdi spalancati e la supplicava di non commettere stupidaggini, con un'espressione da cucciolo abbandonato. Si rendeva ridicolo con quella sua mania di farle da chioccia.

La ragazza parve cogliere il suggerimento del fratello minore e rassegnarsi alla sua saggezza. Sospirando, abbassò rispettosamente gli occhi e si alzò mesta. Che attrice! Pensava di ingannare il capitano con quel bel faccino atteggiato a un pentimento che di sicuro non provava e gli scappò una risatina sarcastica.

Si ritrovò a terra con un tonfo: quella serpe doveva aver tirato la sedia con un piede e adesso lo guardava con odio. I soldati vicini scoppiarono a ridere.

«Sabrina!» pronunciò con voce dura suo padre.

Jonathan si alzò e afferrò quella disgraziata per una manica.

«Sei impazzita?» le gridò, indispettito per le risate dei soldati che assistevano alla scena: come aveva osato mandarlo a gambe all'aria?

«Lasciami, imbecille, chissà che tu non la smetta di ridere nei momenti meno opportuni...» sibilò.

«Sabrina!»

Il capitano si era alzato e l'aveva afferrata, strappandola dalle mani del figlio prima che ne seguisse una zuffa.

«Che modo è questo di comportarsi! Chiedi scusa a tuo fratello e poi sparisci!»

«Non mi va!»

«Sabrina, non provocarmi...»

«Mi ha riso in faccia: non capisco perché dovrei scusarmi!»

«Perché sono tuo fratello, sono più grande e tu non sei altro che una ragazzina maleducata!» s'intromise il giovane, sarcastico.

«Jonathan!» lo riprese il capitano e lui fece un passo indietro: avrebbe volentieri preso a schiaffi quella testa calda per riguadagnare il rispetto dei presenti, ma conosceva il genitore e intuì che non era conveniente mettersi in mezzo, tanto la ragazzina l'avrebbe pagata comunque.

Sabrina aveva percepito i suoi pensieri, come se fosse un libro aperto, e avrebbe voluto saltargli addosso: se facevano a botte magari sarebbe riuscita a sfogare un po' di rabbia, ma suo padre la tratteneva con forza e quindi si limitò a insultarlo.

«Non offendere tuo fratello.»

«Perché, lui non mi ha offeso, forse?»

Il capitano scosse lentamente la testa, con un disappunto che sembrava rasentare il disgusto.

«Guardati... Una ragazza ben educata non oserebbe rispondere con questo tono né comportarsi in modo tanto volgare. Ti rendi ridicola» disse con freddezza.

Queste parole furono come una doccia fredda e Sabrina si calmò di colpo. Guardandosi intorno si rese conto che aveva ragione: stavano dando spettacolo e l'unica che faceva una pessima figura era lei. Nessuno era dalla sua parte.

Jonathan la fissava con un sorrisetto beffardo: se credeva di poterla avere vinta in quel modo, si sbagliava di grosso. Se avesse voluto, sarebbe stato in grado di staccarle la testa: cosa pensava di fare? Di mettersi a menare le mani? Doveva ringraziare suo padre che le impediva di proseguire nella sua stupida battaglia.

Sabrina si liberò con stizza dalla presa paterna e, sistemandosi i capelli scarmigliati, se ne andò impettita.

«Tornate alla vostra cena, lo spettacolo è finito» dichiarò con voce ferma il capitano, richiamando all'ordine i vari soldati. Tutti obbedirono in silenzio, anche i due ragazzi.

Robert pareva scosso, mentre Jonathan raddrizzò la sedia e si accomodò senza dir nulla. Gli lanciò un'occhiata affilata come un pugnale. Non osare tirare fuori l'argomento, lo minacciò con lo sguardo. E Robert intese che avrebbe fatto meglio a stare zitto: non era il caso di parlarne adesso. Avevano scampato una tragedia in pubblico, tanto bastava. Ma come si faceva a continuare a cenare dopo quello che era appena accaduto? Lui non aveva più appetito e guardava pieno di angoscia il genitore che aveva ripreso a mangiare in silenzio.

«Sei stato da lei?»

Jonathan se ne stava disteso sulla branda con le mani dietro la testa, in attesa che il fratello tornasse. L'aveva visto fiondarsi in direzione dell'alloggio della sorella dopo cena.

Robert si limitò ad annuire: non aveva voglia di parlarne.

Aveva tentato di convincere sua sorella che stava sbagliando, che non poteva continuare per quella strada, sfidando tutto e tutti come se fosse un pistolero con un'arma carica in mano. Quella faccenda rischiava di finire davvero male, se non cambiava registro. Lei non era un maschio e non poteva agire come se lo fosse: doveva rassegnarsi a questa semplice verità. Sarebbe stata in grado di ottenere molto di più, se si fosse adattata al suo ruolo. Un po' di moine, uno sguardo da civetta e certamente avrebbe convinto suo padre a lasciarla andare in città, non da sola, magari con i fratelli, invece che affrontarlo in quel modo arrogante e sfacciato. Ma non c'era verso: lei si rifiutava di comprendere e lui non poteva aiutarla.

«Hai capito almeno che diamine doveva fare d'importante per uscire oggi dal forte in quel modo?»

«No» sospirò Robert.

Jonathan era sicuro che ci fosse sotto qualcosa: non si spiegava il modo sprezzante con cui la sorella aveva esaminato la sua chioma né il livore con cui l'aveva scaraventato giù dalla sedia. Che le aveva fatto? Non credeva fosse solo perché gli era scappato da ridere vedendo la sua sceneggiata.

Lasciando quel dubbio da parte si mise più comodo e si abbandonò al sonno.

Erano giorni che Jonathan e Sabrina si evitavano, fingendo di non conoscersi. Lei lo scansava, se l'incontrava per le vie del forte, non senza avergli prima lanciato uno sguardo inquisitore e pieno di disprezzo e lui rispondeva allo sgarbo convincendo Robert a sedersi per i pasti con i loro commilitoni. La ragazza arrivava in refettorio e si ritrovava costretta a prendere posto con le altre signore e ufficiali, mentre il fratello assaporava con gusto i fagioli con il riso e la carne di maiale essiccata: il condimento della vendetta ne migliorava decisamente il sapore.

Robert rimaneva a guardare perplesso, muto spettatore dei piccoli dispetti che i due si scambiavano. Aveva acconsentito a fare da chaperon a Sabrina in un paio di occasioni e l'aveva scortata in città. Lei si era accomodata sul carro al suo fianco con un'espressione di trionfo celata sotto il cappello a capote, mentre il capitano la teneva d'occhio. Non capiva cosa ci trovasse di tanto interessante in quelle gite: dopo una breve passeggiata, in cui lei si divertiva a spacciarlo per il suo fidanzato e recitare la parte della signorina per bene, finivano per separarsi. Lui raggiungeva il fratello al saloon e lei se ne andava in giro a rimirare le vetrine dei negozi, o almeno così sosteneva. Robert non era davvero convinto che fosse interessata alla mercanzia che offrivano: non si era mai dimostrata esperta di tessuti stampati, cappelli o nastri, eppure preferiva fingere che fosse vero e lasciarla lì per essere libero di divertirsi.

Condivideva i suoi sospetti con il fratello e lui lo liquidava con un'alzata di spalle, ma era certo che fosse infastidito dal comportamento della sorella che non mancava occasione per lanciargli qualche frecciata o sguardo ammonitore.

«Senti, Sabrina, è tutto molto divertente: tu che fai la signorina e mi tratti come un corteggiatore, ma ti andrebbe di dirmi cosa ti passa sul serio dentro quella testa?» provò a chiederle un pomeriggio.

«Non vuoi più farmi da accompagnatore? Temi che ti rovini la piazza con le altre ragazze?» chiese con aria da scolaretta.

«No...»

«Perché se questo è il motivo potrei farmi da parte! Anche se non sono sicura di sopravvivere alla gelosia.»

«Vuoi smetterla con questi giochetti e dirmi una buona volta perché ci tieni tanto a venire in città?»

«Mi annoio» rispose decisa.

«E Jonathan? Perché non chiedi a lui di accompagnarti?»

Lei smise di passeggiare e lo fissò, offesa.

«Secondo te, potrei mai andare in giro a braccetto con Jonathan?»

«Ma che c'entra! Non devi per forza giocare al fidanzatino anche con lui!» rispose piccato.

Sabrina si limitò a stringersi un po' di più a lui, civettando.

«Vedi? Sei l'unico che mi vuole...» e non disse altro.

Quella ragazza era proprio immatura, o forse aveva in mente qualcosa e si credeva semplicemente troppo astuta. Robert sospirando lasciò cadere il discorso; presto o tardi i nodi sarebbero venuti al pettine, ne era certo. Se Jonathan non intendeva occuparsene, peggio per lui: la sorella stava tramando qualcosa e l'istinto gli suggeriva di non essere la vittima designata. Gli sguardi di fuoco che la ragazza lanciava al fratello prima o poi avrebbero raggiunto il bersaglio: che se la vedessero da soli.

Sabrina, in effetti, sferrò il suo attacco qualche giorno più tardi. Stava aspettando che si concludessero le esercitazioni militari del pomeriggio e quando i soldati avevano cominciato a disperdersi si era avvicinata al fratello con aria determinata.

«Ti devo parlare» esordì.

Jonathan le rivolse appena un'occhiata distratta e prese a camminare sbottonandosi la giubba, mentre lei gli trotterellava dietro.

«Che cosa vuoi?» le domandò infastidito, senza fermarsi.

Lei era decisa a non demordere: aveva aspettato giorni e ora voleva giocare le sue carte. Non avrebbe permesso che suo fratello continuasse a comportarsi in modo così squallido. Tanto valeva affrontarlo apertamente, invece che sopportare ancora le sue piccole scortesie o essere ignorata. Affrettando il passo lo superò e gli si parò davanti.

«So che hai una ragazza.»

Jonathan si fermò, colto di sorpresa. Cosa voleva quella? Come osava intromettersi nella sua vita privata?

«E allora? Sono affari che non ti riguardano» rispose scansandola e riprendendo per la sua strada.

«Se io avessi un corteggiatore che non ti aggrada, però, tu ti opporresti...» Lo inseguì.

Jonathan smise di camminare con un sospiro di esasperazione.

«Dove vuoi arrivare?» indagò.

«Voglio solo dirti che anch'io ho il diritto di dirti se la tua ragazza mi piace o meno!»

Tutto qui? Pensò.

«No, non ce l'hai!» ribatté con una risatina beffarda, intenzionato ad andarsene: non voleva perdere altro tempo con i suoi sproloqui. Sabrina lo fermò.

«Tu non puoi corteggiare quella donna! È una prostituta!»

Jonathan s'irrigidì sentendo la sorella lanciare quel giudizio. Cosa ne sapeva quella ragazzina impertinente? Un sospetto lo colpì come un pugno allo stomaco: quella andava in città per spiarlo! Non c'era altra spiegazione.

«Come ti permetti di parlare in questo modo?» le rispose con un tono di voce così grave che Sabrina ebbe un attimo di esitazione. Gli occhi del giovane sembravano due pozze torbide e scure: si stava spingendo in un terreno pericoloso e se avesse avuto un po' di buon senso avrebbe capito che non era il caso di continuare. Ma Sabrina non era tipo da farsi intimidire, non da suo fratello, quel caro, bravo ragazzo, portato in palmo di mano dal capitano e che invece si sollazzava con le donnine allegre. Non si meritava il suo rispetto.

«L'ho vista con i miei occhi.»

«E da quando sei diventata un'esperta in materia?»

«È volgare e provocante!»

«È solo una cameriera, non c'è niente di sconveniente in questo!» Jonathan faticava a mantenere la calma e sentiva che il sangue cominciava a salirgli alla testa con quei discorsi.

«Ah, capisco... e le mani che si lascia appoggiare sul fondoschiena e all'interno della scollatura sono comprese nel prezzo?»

Jonathan rimase a bocca aperta a tali parole. Non si aspettava che sua sorella potesse spingersi fino a quel segno: lei non avrebbe dovuto sapere nulla di quelle cose e invece gli parlava con una malizia degna di una donnaccia.

«Tu non dovresti dire certe cose!» pronunciò, riprendendo il controllo di sé.

«Ma l'ho vista con i miei occhi!»

Jonathan l'afferrò per le braccia e la guardò in viso, serio.

«Se non fosse che metterei Robert nei guai, andrei da nostro padre a dirgli che ti sei infilata nel saloon.»

«Diglielo... e io gli racconto che frequenti il bordello!»

Jonathan la zittì con un ceffone.

«Piccola insolente e bugiarda!»

Sabrina accusò il colpo e rimase a guardarlo per qualche istante con odio: come si permetteva di metterle le mani addosso? Dimenticandosi delle apparenze e incurante del vestito elegante che indossava gli si lanciò contro furiosa, tentando di graffiarlo. Jonathan le afferrò i polsi allontanando le unghie affilate dal suo viso, e le rifilò un'altra sberla rabbiosa a cui la ragazza reagì con un calcio, frenato dalle varie sottogonne e dalla crinolina. Poco dopo erano impegnati in una baruffa poco edificante: avvinghiati come due bestie selvatiche, con Sabrina che gli piantava gli artigli su ogni lembo di pelle a disposizione e tentava di morderlo inviperita e il fratello che non esitava a calare le mani su quel corpo infagottato in metri di stoffa, tra grida, strepiti e insulti.

Alcuni soldati intervennero prontamente a dividerli. Uno afferrò il giovane per le braccia e un altro la sorella per la vita, sollevandola di peso, mentre questa continuava a scalciare con violenza mettendo in bella vista tutti i pizzi dei suoi mutandoni.

«Lasciami andare che l'ammazzo!» minacciò Jonathan fuori di sé per la rabbia.

«Silenzio! Signor Becker, si calmi.» Il capitano era arrivato di corsa, avvisato da un uomo della sua compagnia.

Bastò la sua voce per far cessare ogni protesta. La ragazza rimase senza fiato: aveva combinato un guaio. Mentre Jonathan serrò le palpebre con forza, irrigidendosi.

«Nel mio ufficio tutti e due... di corsa!» intimò.

Jonathan si liberò dalla stretta del soldato che lo tratteneva e superò il capitano imprecando tra sé: si era lasciato trascinare in una stupida contesa, abbassandosi ad azzuffarsi con sua sorella come fossero dei ragazzini di strada. Suo padre non l'avrebbe fatta passare loro liscia, a nessuno dei due, e lanciò un'occhiata fugace a quella disgraziata che tentava di ridarsi un contegno sistemando la gonna e lisciandosi i capelli sconvolti. Era soddisfatta? Cosa credeva di ottenere? Adesso li aspettava un brutto quarto d'ora ed era tutta colpa sua.

Sabrina si stava passando una pezzuola inumidita sullo zigomo davanti al piccolo specchio appeso a un chiodo sopra il cassettone. Era violaceo e sarebbe rimasto tale per giorni, temeva, come un segno marchiato a fuoco del suo pessimo comportamento.

Le signore avrebbero commentato nascondendo le labbra dietro le manine guantate e rivolgendole occhiate di rimprovero... ipocrite. Che glielo dicessero pure in faccia, tanto la sua reputazione non ne avrebbe risentito: era già abbastanza compromessa. E gli ufficiali? L'avrebbero trattata con altrettanta freddezza o si sarebbero limitati a sibilare il loro disprezzo solo al padre riservando a lei la solita cortesia formale e palesemente falsa? Sperava di no... Meglio che lasciassero in pace il capitano: era già abbastanza infastidito dal comportamento della figlia senza che glielo rimarcassero i suoi superiori.

Sbuffando, gettò via la pezzuola: non era il giudizio di quella gente che l'angosciava davvero. Aveva combinato un disastro.

Cosa le era saltato in mente di aggredire in quel modo suo fratello? Aveva covato rabbia e disprezzo per giorni e poi glieli aveva sputati addosso ottenendo solo di farlo innervosire e spingerlo a reagire con violenza. Aveva invaso il suo territorio privato senza permesso e quello era il risultato: un bell'occhio nero e un padre furioso con entrambi.

Il capitano non aveva torto ad aver preso a schiaffi il figlio, solo che l'aveva fatto per la ragione sbagliata e questo le pesava. L'uomo non sapeva nulla del comportamento vergognoso che Jonathan teneva in giro, non sospettava che avesse per ragazza una donnaccia né che lei l'avesse visto conversare con una prostituta usando toni disgustosamente allusivi. Per questo avrebbe dovuto punirlo e disprezzarlo, non per l'imbarazzante zuffa di cui erano stati protagonisti.

Non le era di conforto pensare che il capitano avesse riservato la punizione più dura al fratello, anzi la faceva stare peggio. Era lei ad aver dato inizio alle danze e Jonathan non gliel'avrebbe mai perdonato.

Sospirando si lasciò cadere seduta sul letto. Perché doveva essere tanto difficile parlare con lui? Adesso non avrebbe più voluto aver nulla a che fare con lei e se Robert gli fosse stato solidale sarebbe rimasta sola. Non poteva sopportarlo.

Ma non c'era rimedio: Jonathan se ne era andato senza degnarla di uno sguardo, freddo e rigido. Robert aveva ragione, come sempre: avrebbe dovuto essere meno diretta, sforzarsi di usare un po' di femminilità e affrontare l'argomento in modo più delicato, invece che prenderlo di petto con piglio deciso. Aveva ottenuto solo di allontanarlo e di certo ora non avrebbe rinunciato a quella ragazza, anzi. Sconfortata, si rannicchiò sulla branda e rimase così molto tempo.

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