3- Una nuova avventura

Robert se ne stava incollato al fratello mentre il padre li presentava alla sua compagnia – una massa indistinta di facce mal rasate e giubbe blu – e faceva sistemare due brande per loro in una camerata. Era spaventato.

Non aveva capito bene cosa fosse accaduto: durante la notte Jonathan gli aveva detto che se ne sarebbero andati al forte e lui non aveva osato interrompere l'entusiasmo di suo fratello, ma dentro di sé si chiedeva il perché di quella scelta. Non erano forse liberi di fare tutto ciò che li aggradava a Eagle Station? Jonathan diceva sempre che non c'era da preoccuparsi della scuola, del maestro, della madre: pensava sempre lui a mettere a posto le situazioni e a prendersi i castighi per entrambi. Ma lì al forte c'era il padre... non l'avrebbero fatta franca se avessero combinato qualche stupidaggine.

E poi a lui mancava la mamma. Non l'avrebbe ammesso davanti a nessuno, ma quello sguardo dolce e le sue carezze erano come un balsamo e a lui piaceva stare con lei. Lì invece c'erano solo un centinaio di uomini che li fissavano, chi con curiosità, chi con aria di scherno e chi con compassione.

Sua madre l'aveva abbracciato con passione alla partenza e lui aveva risposto con freddezza: era grande e non voleva essere meno coraggioso del fratello che invece le aveva dato un semplice bacio sulla guancia senza far trapelare nessuna emozione. Sabrina li aveva guardati allontanarsi con stupore, ma non sembrava dispiaciuta, solo scossa. Chissà quando si sarebbero rivisti. Era sicuro che la madre non sarebbe andata a trovarli in quel posto: non ci andava mai. Non sapeva se per divieto del padre che non voleva donne lì o se per sua scelta e più rifletteva sul fatto che non l'avrebbe rivista tanto presto, più sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa.

A lui quel posto non piaceva.

Un mucchio di baracche fatiscenti poste intorno a uno spiazzo che definivano "piazza d'armi" e una palizzata lungo il perimetro con una torretta di vedetta. Nella sua immaginazione la piazza d'armi aveva sempre richiamato qualcosa di grandioso, ma quello spazio spoglio e polveroso non aveva nulla di eroico.

Suo fratello si muoveva spavaldo e lo trascinava a esplorare le stalle, il refettorio, l'infermeria, l'arsenale... tutto lo entusiasmava. Mentre lui non riusciva a focalizzarsi su nient'altro che i pavimenti in terra battuta e le facce di quelli che li fissavano chiedendosi cosa dovevano farsene di due ragazzini.

Il padre assegnò loro qualche facile lavoretto sotto la supervisione di un soldato e si rintanò nel suo ufficio: una semplice costruzione che fungeva anche da alloggio, dall'arredamento modesto e l'aria triste di un luogo abitato da un uomo solo. Se quello era il massimo del lusso che ci si potesse aspettare, la vita in quel posto prometteva di essere davvero grama.

Jonathan invece sembrava soddisfatto del suo nuovo status e ogni tanto gli rivolgeva la parola, entusiasta.

«Ehi, Robbie, hai visto? Non è fantastico essere qui a servire gli Stati Uniti invece che a casa a ramazzare il pavimento?», ma lui rispondeva a monosillabi.

C'era caldo, un caldo torrido che gli faceva scendere il sudore a goccioloni e si chiedeva come potesse essere contento di spalare il letame e dare inforcate alla paglia invece che starsene tranquillo a Eagle Station a bighellonare. Aveva male alle spalle e alle braccia, aveva caldo e sete ed era arrabbiato. Però non osava lamentarsi, anche se era tentato di tirare un pugno sul muso a suo fratello per aver avuto un'idea così balzana.

Dopo aver cenato in compagnia del padre, che si era congratulato per il loro lavoro, si era rifugiato sotto le coperte, stanco morto, ma non riusciva a prendere sonno. Gli uomini con cui condividevano la baracca russavano, si muovevano, giocavano a carte a lume di candela imprecando e lui non era abituato a tutti quei rumori. Rivoleva la sua camera dove poteva chiacchierare con il fratello per ore in intimità, dove poteva riporre le sue cose senza dover dividere lo spazio con degli estranei. Voleva il bacio sulla fronte di sua madre che gli scompigliava sempre i capelli prima di mandarlo a dormire.

La mattina seguente la sveglia suonò presto, troppo per i suoi gusti. Il cielo era appena macchiato di rosa. Che ore potevano essere? Le cinque, rifletté, non più tardi. Gli uomini si alzavano dalle brande e si sistemavano per l'appello del mattino. Robert avrebbe voluto essere altrettanto efficiente, ma aveva i muscoli indolenziti per il duro lavoro del giorno prima e per la scarsa qualità di quel letto e non riusciva a reagire.

«Dai, Robbie, datti una mossa! Qui ci si sveglia presto!» lo incitò il fratello che conservava intatto l'entusiasmo per la sua nuova condizione.

Con il muso lungo s'infilò una camicia e dei calzoni e sbadigliando si avviò all'esterno verso la pompa dell'acqua: magari l'avrebbe aiutato a riprendersi, ma inciampò sulle sue stesse scarpe e andò a sbattere contro un soldato corpulento.

«Ehi, ragazzino, guarda dove metti i piedi.»

«Scusatemi, signore, non l'ho fatto apposta» si giustificò.

«Scusatemi, signore!» ripeté ironico l'uomo. «Il ragazzino è educato!» disse agli altri suscitando un coro di risate.

«Lascia stare mio fratello!» intervenne Jonathan mettendosi tra lui e il soldato.

«Come ti permetti di darmi del tu, moccioso?» Gli si avvicinò con tono aggressivo.

«Un gradasso che prende in giro mio fratello non si merita rispetto...» ribatté con piglio deciso.

Robert tremava. Si stavano cacciando in un guaio: ne era certo. Quel soldato era una montagna al confronto di suo fratello, se gli avesse sferrato un pugno l'avrebbe steso.

«Johnny, lascia perdere...» Lo tirò timoroso per un braccio.

«Com'è che mi hai chiamato, stronzetto?»

«Gradasso. Tu come lo chiameresti uno che se la prende con uno più piccolo?»

Il soldato fece per saltargli addosso, ma fu trattenuto dai compagni mentre Jonathan balzava agile indietro, schivando un calcio e guardandolo con aria di sfida.

«Lascia stare, Stevens, calmati: sono i figli del capitano» gli dicevano i suoi compagni.

«Figlio o lontano parente, io gli stacco la testa a quello!» gridava cercando di liberarsi, quando entrò un ufficiale richiamato dagli strepiti.

«Che succede qui?»

«Niente, tenente... una sciocchezza.»

«Quel ragazzino impertinente mi ha insultato, signore!»

«Andiamo a dirlo alla mamma?» lo prese in giro Jonathan.

Robert rabbrividì: non ne era sicuro, ma se da un lato ammirava il coraggio del fratello dall'altro temeva che non fosse il caso di mostrarsi così impertinenti.

«Andatevene tutti fuori e mettetevi in fila per l'ispezione, ora!» intimò il tenente, poi fissò i due ragazzi mentre gli altri defluivano borbottando.

«Sarà meglio che qualcuno vi spieghi come ci si comporta qui, avvertirò vostro padre.» E li lasciò soli.

«Johnny, temo che ci siamo cacciati in un guaio...» disse Robert affiancandosi al fratello.

«Sciocchezze» lo liquidò il maggiore, riprendendo a sistemarsi i vestiti.

«Che è successo in dormitorio stamattina?» li investì il capitano non appena i due misero piede nel suo ufficio dove li aveva convocati.

«Solo un piccolo incidente, padre» si affrettò a rispondere Robert, terrorizzato.

«Un piccolo incidente? Mi hanno riferito che eravate sul punto di prendervi a botte.»

«Be'... non proprio...» farfugliò il più giovane mentre il grande se ne stava zitto con aria torva, sapendo di essere il vero responsabile.

«Non proprio? Non raccontarmi fandonie, ragazzo.»

«Non sto mentendo!»

«E non osare interrompermi! Quando parlo io, tu stai zitto. Hai capito?» gli disse puntandogli un dito minaccioso davanti agli occhi. Il ragazzino annuì spaventato, ma in che modo poteva trarre d'impaccio suo fratello se non gli era data la possibilità di spiegare com'erano andati i fatti? Avrebbe voluto essere più coraggioso e ribattere, come aveva fatto Jonathan poco prima per lui.

Il capitano guardava i suoi due figli e scuoteva la testa, irritato. Il piccolo fissava il pavimento e il grande teneva fiero il capo ritto con un'espressione cupa, ma non tentava di prendere la parola, come se stesse cercando di dominarsi. Il padre decise di rivolgersi a lui.

«Allora, è vero che stavi per azzuffarti con un soldato?»

Il ragazzo strinse i pugni e serrando le labbra annuì in silenzio, prima di abbassare lo sguardo al suolo in attesa delle conseguenze; l'istinto gli suggeriva di non provare a difendersi: l'avevano visto tutti mentre scherniva l'uomo e poco importava se l'aveva fatto per proteggere suo fratello.

«Mi pare avessi detto che intendevi comportarti bene qui. Le risse tra soldati sono punite con severità e non m'importa che voi siate figli miei, le regole qui dentro valgono per tutti.»

Jonathan si sforzava di fissare il pavimento e non lasciarsi vincere dalla voglia di mettersi a discutere, le mani erano livide da quanto le stringeva, senza accorgersene, e il respiro cominciava a farsi affannoso per la collera. Robert gli lanciava delle occhiate furtive e capiva che era sul punto di scattare come una molla, ma cosa poteva succedere? Suo padre lo fissava senza tregua, quasi fosse in attesa che reagisse, e lui non voleva che lo picchiasse di nuovo.

Questa volta toccava a lui essere coraggioso e deglutendo intervenne, cercando di dominare il tremito della voce.

«Non è andata così, padre! Dovete credermi!»

Il capitano spostò gli occhi severi sul figlio minore, che sentì scemare il coraggio, ma prima che potesse interromperlo cominciò a spiegare parlando così in fretta che rischiava di non farsi comprendere, tanto le frasi e i suoni si accavallavano in modo scomposto.

«Sono andato a sbattere contro un soldato e questo mi ha offeso, anche se gli ho porto le mie scuse, e Johnny è intervenuto a difendermi, ma quello si è arrabbiato e voleva saltargli addosso, poi gli altri sono venuti a tenerlo e il tenente...»

Il capitano era perplesso sentendo quel flusso di parole sconnesse pronunciate da quel figlioletto sempre così rispettoso e quieto e che ora sembrava invece un fiume in piena.

«Va bene, ora basta.»

«Ma non ho finito, padre, è andata così! Non è colpa di Jonathan!»

«Silenzio!» intimò.

Robert si zittì all'istante, rosso in viso per la quantità di parole pronunciate senza respirare e ansante.

«Fuori di qui e cercate di non mettervi nei guai. Su! Al lavoro! C'è un sacco da fare qui dentro» e li liquidò stizzito.

Robert si precipitò fuori e Jonathan lo seguì, torvo e silenzioso.

Aveva realizzato che non sarebbe stato così facile in quel posto: erano solo due ragazzi, gli altri uomini non li rispettavano e il padre non sembrava disposto a difenderli. Dovevano cavarsela da soli e, guardando suo fratello che camminava davanti a lui, ebbe un moto di tenerezza. Lo raggiunse e gli mise un braccio intorno alle spalle.

«Grazie, fratellino: se non fossi intervenuto tu, penso che me la sarei vista brutta con nostro padre.»

«Grazie a te per stamattina, odio che ridano di me...»

«Vedrai che insieme ce la caveremo: siamo proprio una bella squadra!» e si guardarono sorridendo complici.

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