29- Logica femminile
Cara Sabrina,
ho letto le tue parole e sono molto dispiaciuto di saperti così angosciata. Come ti dissi tempo fa, capisco la tua pena perché anch'io ho sofferto per la mancanza della mamma, anche se ammetto che la nostra situazione non sia proprio la stessa. Almeno tu non sembri disprezzare la vita al forte, sebbene nostra madre sia adesso all'altro capo del continente invece che a un paio d'ore di viaggio. Forse è questo il motivo del suo silenzio: non è facile collegare un paese tanto vasto e a volte la corrispondenza va persa. Io proverei a scriverle di nuovo e augurarti sia stato solo causa di un disservizio, consapevole del lungo tempo che dovrai comunque attendere per una sua risposta e sperando che nel frattempo magari ti giungano sue vecchie lettere che hanno ritrovato la strada. Chissà, anche più di una, tutte insieme.
Sorellina, anche se ti è difficile, non escludere nostro padre da queste tue preoccupazioni. So che è un uomo duro e parlargli a volte può sembrare spaventoso, ma ti assicuro che sotto quella corazza cela grande affetto per i suoi figli e forse potrebbe confortarti e farti sentire meno sola. Io e Jonathan torneremo presto per una pausa estiva e allora potremo riabbracciarci e passare ancora del tempo insieme.
Non abbatterti.
Con affetto, Robert
Il ragazzo si sentiva un verme per aver cercato di ingannare sua sorella con una lettera, se non piena di bugie, priva delle giuste verità. Ma avevano dato la parola al padre che non avrebbero rivelato a Sabrina quanto sapevano e non era semplice mantenerla. Per lo meno era riuscito a evitare di scrivere che era certo che la madre sarebbe tornata presto e aveva tentato di svicolare parlando del servizio postale, sperando in cuor suo che davvero qualche lettera potesse giungere inaspettata dopo lunghe peripezie.
Sospirando, la chiuse in una busta e la mise da parte. Quella era la sera della festa e aveva nuove angosce da affrontare, anche se decisamente più piacevoli. Sperava che il pensiero della sorella potesse distrarlo, ma l'ansia l'aveva investito di nuovo appena aveva terminato il suo dovere.
Si ravviò i capelli fissandosi nervoso nel piccolo specchio appeso nella camerata. Sembrava invecchiato di almeno cinque anni con quella faccia tirata e il lieve pallore delle guance. Possibile che il pensiero di una ragazza riuscisse a sconvolgerlo tanto?
Ballare, stringerla, baciarla. Suo fratello la faceva semplice. Non era nemmeno sicuro che sarebbe stato in grado di rivolgerle la parola, in mezzo a tutta quella gente, senza svenire.
Dannazione, Robert Becker, sii uomo. Hai diciotto anni, ormai, non puoi comportarti come uno sciocco ragazzino.
Si infilò la giubba spazzolata per l'occasione, con tutti i bottoni ben lucidati, e si diede un'altra occhiata fugace. Poteva farcela.
Jonathan era già fuori con gli altri, chiacchierava e scambiava battute di spirito, ma appena lo vide arrivare, serio e compassato, gli si avvicinò e lo prese da parte.
«Allora, fratellino, sei pronto? Devo dire che sono quasi più emozionato di te: è la prima volta che ti vedo in questo stato per una ragazza...»
Robert gli rivolse un sorriso tirato, gli era grato per il sostegno: sapeva che dietro la burla c'era un premuroso affetto e si sentì meglio.
«Spero solo di non fare la figura dell'imbecille.»
«Stai sereno. Restami vicino e quando sarà il momento buono andrai da lei: sai che non aspetta altro che tu l'inviti a ballare, ritieniti fortunato» disse spingendolo avanti a sé con modi solo superficialmente rudi, tanto per non metterlo in imbarazzo davanti ai compagni.
La sala era già gremita quando fecero il loro ingresso: soldati, sottufficiali e ufficiali accompagnati dalle mogli, genieri, furieri e qualche ragazza libera qua e là. I cadetti le stavano rimirando indecisi: erano pur sempre figlie di un loro superiore e non sapevano se potevano tentare di corteggiarle senza conseguenze.
«Vieni con me.» Jonathan trascinò il fratello verso il banco delle bevande, mentre Robert si guardava furtivamente intorno alla ricerca di Susan.
«Ti ci vorrebbe del whisky per calmarti i nervi, altro che questa roba. Tremi come uno scolaretto...» sbuffò. «Allora, dov'è?» gli chiese, porgendogli un bicchiere con del ponce.
Robert sorseggiava la bevanda intento a scrutare la sala. Quando si bloccò a metà di un sorso, Jonathan intuì che l'aveva vista. Seguendo la direzione del suo sguardo notò una giovane donna dai capelli castani elegantemente raccolti. Era piccola di statura e mingherlina ma dai lineamenti fini, cesellati come quelli di una bambola: era proprio il genere di ragazza che avrebbe potuto affascinare suo fratello.
«Sembra carina...» commentò. «Ma se è vero che quel cosino è stato in grado di dirti di invitarla a ballare e ti ha parlato di John Brown, stacci attento. Deve essere un bel tipetto...»
Il volto di Robert si aprì in un ampio sorriso per la prima volta da giorni e Jonathan scosse la testa esasperato. Perché suo fratello non poteva trovarsi una donna priva di complicazioni?
La ragazza era accompagnata dalla madre e scambiava saluti con tutti gli ufficiali presenti quando, voltandosi, incrociò lo sguardo di Robert. Accennò un sorriso, impacciata, e poi tornò a rivolgere l'attenzione alle persone che la circondavano.
«Be', sarà anche un tipetto coraggioso, ma alla fine mi sembra imbarazzata quanto te. Forse non ti mangerà» commentò sarcastico Jonathan.
Robert gli diede una gomitata e gli fece rovesciare mezzo bicchiere a terra. Jonathan schivò il liquido con un balzo, prima che gli inzaccherasse la divisa.
«Ehi, sei proprio permaloso stasera!»
Robert, ridendo, lo allontanò da lì.
«Andiamocene più in là, sembra che abbia già un cavaliere per la prima danza.»
Robert lo disse con leggerezza, ma una punta lo aveva trafitto vedendo che la madre aveva affidato la ragazza a un anziano ufficiale che, galante, l'accompagnava al centro della pista. Non poteva essere geloso di un vecchio... però se non si dava da fare avrebbe passato la serata ad ammirarla ballare con altri, lasciando sfumare ogni possibilità di starle accanto.
Seguiva con gli occhi i suoi movimenti, indeciso, osservandola con disperazione cambiare cavaliere ben tre volte, ripassando tutti i momenti che si era immaginato e cercando di capire come trasformarli in realtà, quando il fratello lo riscosse dal suo torpore.
«Guarda che ha finito di ballare anche con quello... Io direi che ti devi dare una mossa prima che finisca la serata. Andiamo.»
E l'obbligò a seguirlo, facendosi largo tra i vari partecipanti. Robert tentò di protestare, ma lui lo zittì con un cenno deciso e continuò a camminare nella direzione in cui avevano visto sparire la ragazza. Poi l'avvistarono poco distante che chiacchierava con un giovane caporale e Jonathan proseguì imperterrito, sempre tenendosi il fratello accanto.
«Ci penso io» sussurrò e subito dopo urtò il braccio del caporale facendogli cadere il bicchiere di mano.
«Signore, mi perdoni!»
Jonathan cominciò a sbrodolarsi in mille scuse mentre si affannava a raccogliere il bicchiere da terra. Robert era impietrito, poi incontrò lo sguardo della ragazza e si sentì mancare. Lei lo fissava con una punta di divertimento.
«Signor Becker! Buonasera.»
«Buonasera a voi, signorina Thompson» farfugliò, guardando il fratello che aveva cominciato ad asciugare la giubba del caporale con un fazzoletto e l'aveva allontanato un pochino. Improvvisamente intuì quale fosse il suo gioco e raccolse il coraggio, prima di bruciare quella piccola possibilità che gli stava regalando.
«Se non ricordo male, dovevo invitarvi a ballare.»
La ragazza gli sorrise e Robert le porse la mano per accompagnarla in mezzo alla pista, lasciando suo fratello alle prese con il caporale che non aveva ancora capito bene cosa stesse succedendo.
«Mi chiedevo quando sareste arrivato... Vi avevo avvertito che mia madre avrebbe provveduto a tenermi occupata.»
Il giovane arrossì lievemente e fu grato di doversi concentrare sui passi del cotillon appena iniziato, invece che trovare qualcosa di adatto da rispondere.
Quel ballo di gruppo prevedeva vari scambi tra le coppie, in un gioco continuo che sembrava mimare l'atto del corteggiamento e Robert non si era mai sentito così in imbarazzo come quando tendeva la mano a riprendere la sua dama o la faceva volteggiare prima di passarla a un altro cavaliere. Non sapeva dove guardare, temendo l'incontro con quei grandi occhi che tanto gli entravano in profondità. Sospettava di essere troppo timido e se così fosse stato ben presto lei si sarebbe stancata di quel gioco e l'avrebbe mollato lì. Doveva decidersi a essere più intraprendente e trovò il coraggio di fissarla negli occhi durante un paio di scambi, scoprendo non solo di esserne in grado, ma che lei sembrava turbata da quel lieve mutamento. Aveva appena socchiuso le labbra e questo piccolo gesto gli fece accelerare il battito cardiaco.
Alla fine del cotillon lei accennò a staccarsi e lui la trattenne vicino a sé, gentile ma deciso.
«Non vi piace il valzer?» chiese invitandola ad appoggiargli la mano sulla spalla.
La ragazza non rispose; i suoi occhi erano diventati ancora più grandi, se possibile, e un lieve tremito parve percorrerla quando lui la strinse a sé, ma non si scostò.
Iniziarono a danzare insieme, guardandosi con il viso pericolosamente vicino e Robert sentì urlare ogni fibra del suo corpo: non si era allontanata, stava lì con lui, a un palmo di distanza. Provò a cingerle la vita con ancora più decisione e la ragazza afferrò istintivamente la sua spalla con la mano, ma fu questione di un secondo perché un attimo dopo era tornata ad appoggiarsi lieve, con le lunghe dita rilassate.
Jonathan osservava in disparte e scosse la testa compiaciuto, prima di allontanarsi e raggiungere i suoi compagni: suo fratello se la stava cavando meglio del previsto.
«Non vi facevo così audace.»
Lo sguardo di Susan era scintillante mentre insieme volteggiavano per la sala. Non senza qualche intoppo in verità, tra l'ampia crinolina e i passi incerti di Robert avevano rischiato di inciampare varie volte, ma il giovane l'aveva abilmente sorretta, approfittandone per stringerla appena un po' di più a ogni occasione. Si sorridevano divertiti, come se fosse un gioco, e in effetti il ragazzo si rese conto che era esattamente questo: una danza innocente che celava desideri inesprimibili e concedeva contatti tra i loro corpi impensabili in altre occasioni.
La musica del valzer giunse a termine e le varie coppie si sciolsero per complimentarsi, applaudire l'orchestrina o farsi brevi inchini.
I due giovani rimasero incollati appena un attimo più del necessario, poi si staccarono con un lieve imbarazzo e Susan lo prese per mano per condurlo al tavolo delle bevande.
«Presto, ho visto mia madre tra la folla. Offritemi qualcosa da bere!»
Robert fu divertito da quell'aria da cospiratrice e la precedette tenendola per mano e porgendole un bicchiere di vino di more.
«Non starete pensando di ubriacarmi, vero?»
«Con del vino di more?» rispose divertito.
«Non si sa mai, magari state cercando un modo per approfittarvi di me.»
«Allora vi avrei offerto del whisky e vi avrei portato nella stalla dove vi ho conosciuto!»
«Non credo: siete troppo gentiluomo per un'azione del genere» rise.
Robert si chiese da dove gli venisse tutta quell'audacia, ma quella ragazza stava giocando con lui senza vergogna. Forse aveva ragione suo fratello: in quel cosino si nascondeva un'anima indomita e capace di civettare abilmente.
«Quanto vi fermerete, signorina?»
«State pensando di prendere tempo?» gli rispose con una punta di malizia che fece arrossire il ragazzo.
«Voi siete davvero stupefacente.»
La ragazza sorrise dietro al bicchiere, poi la sua espressione mutò in apprensione e prendendolo per mano lo condusse veloce con sé.
«Venite!» disse solo, mentre lo trascinava in mezzo alla folla.
«Che c'è?»
Si rifugiarono dietro un angolo e lei sbirciò cauta la sala prima di rispondere.
«Mio padre! Non so se mi ha visto, ma vorrei evitare che mi richiamasse a stare con lui. Non mi va di fare la statuina al suo fianco o ballare con quei vecchi ufficiali.»
«Voi mi metterete nei guai.»
«Non stiamo facendo nulla di male...»
«Non ancora, almeno» rispose lui, sistemandole una ciocca sfuggita alla pettinatura.
Erano davvero vicini, troppo da sopportare. Robert sentiva che gli stava per scoppiare il cuore nel petto e anche la ragazza pareva in un leggero stato d'ansia. Lasciò scivolare le dita ad accarezzarle il profilo del volto prima di staccarle e vide che lei deglutiva: sembrava atterrita.
Avvicinando la sua fronte a quella della giovane le prese entrambe le mani, i suoi occhi erano enormi a quella distanza e Robert pensò che stava perdendo il controllo. Le labbra di lei ebbero un leggero fremito, forse in attesa di quello che poteva accadere, e sospirando il ragazzo abbassò le palpebre e la raggiunse con un lieve bacio. Rimasero così, sfiorandosi appena per qualche istante, poi le mani si intrecciarono insieme e le bocche cominciarono a fondersi e schiudersi dolcemente.
Era la sensazione più strana che avesse mai provato prima: sembrava di assaporare un morbido frutto, tenero, umido, forse anche un po' viscido, ma così dolce da non poter smettere. Suo fratello aveva ragione: una volta accorciate le distanze, da lì al bacio era stata questione di un attimo.
Non seppe dire quanto durò, se un istante o una vita intera, ma quando si staccarono si trovarono ansimanti a fissarsi senza dire nulla e dopo un momento ripresero a baciarsi con maggior foga, sciogliendo le mani e abbracciandosi. Si separarono di nuovo, pieni di desiderio seppur preoccupati per ciò che stavano facendo. Lei sbirciò in ansia dietro l'angolo e lui si guardò intorno, nervoso.
«Forse la stalla era davvero un luogo più sicuro» disse lei, abbozzando un sorriso imbarazzato.
«Non un luogo adatto a una signorina, però.»
«Non possiamo stare qui, mio padre potrebbe sorprenderci e sarebbero guai!»
«Allora facciamo una passeggiata appena qui fuori, nella piazza d'armi per prendere un po' d'aria, non è troppo sconveniente...»
Susan annuì e lui le offrì il braccio, prima di mettersi in movimento insieme. Entrambi sorridevano e complici si avviarono verso l'uscita mantenendo il giusto contegno, senza richiamare particolare attenzione. Erano soltanto una giovane coppia che usciva a prendere una boccata d'aria in una sera di primavera, nulla di indecente, ma tra i due correva una tale tensione che Robert si chiese come fosse possibile contenerla e non lasciarsi andare dietro al primo muro a divorare quella bocca di baci e non solo, magari anche il collo e forse esplorare la sua scollatura. Faceva d'un tratto davvero troppo caldo là dentro.
La serata era piacevolmente fresca e il cielo limpido metteva in mostra le sue stelle come tanti piccoli diamanti. Robert scrutava le costellazioni cercando qualcosa da dire, qualcosa di interessante, giusto per frenare la smania che lo stava divorando. Si rendeva conto che parlare era l'ultima cosa di cui avesse voglia in quel momento, ma quella che aveva di fianco non era una donna di malaffare con cui soddisfare quell'istinto animalesco che si era risvegliato d'improvviso. Chiuse le palpebre, inspirando per cercare di calmarsi, e Susan smise di camminare. Lo stava fissando con quegli occhi grandi e Robert si sentì in imbarazzo, forse riusciva a leggergli nella mente e lo giudicava, ma si accorse che anche lei sembrava deglutire a fatica e poco dopo si morse il labbro inferiore con uno sguardo disperato.
«Che succede?»
Lei scosse la testa e distolse lo sguardo passandosi frettolosa un dito sul bordo dell'occhio, come a togliere una lacrima inopportuna.
«Forse dovremmo tornare dentro» sospirò il ragazzo.
«No!» Sembrava quasi una supplica. «Non intendevo questo...» E prendendolo per mano lo trascinò via dalla piazza d'armi, dietro un altro muro.
Robert non capiva dove volesse arrivare con quel comportamento: perché adesso lo portava di nuovo in un posto riparato se un attimo prima sembrava che stesse per mettersi a piangere?
«Signorina...»
«Susan! Finiamola con queste formalità...»
Gli occhi erano lucidi, ma la bocca aveva una piega determinata.
«Io non vorrei...»
«Io lo voglio. Ti prego, Robert, se ti tiri indietro adesso non avrò più il coraggio di guardarti in faccia. Baciami ancora.»
Il ragazzo si avvicinò di un passo, incerto, poi decise di assecondare il suo istinto senza più remore e presala tra le braccia la strinse a sé e riavvicinò le labbra alle sue. Lei si concesse al suo bacio con maggiore fervore e Robert sentì che con la manina gli accarezzava i capelli e si aggrappava al suo collo. Il cuore minacciava davvero di scoppiare a quel tocco e si ritrovò ad accarezzarle la schiena fino ad arrivare alla pelle nuda tra le scapole. Stupendosi della sua audacia, le mise una mano sulla nuca, rovesciandole la testa all'indietro e iniziando a esplorare quel collo magnifico con le labbra, scendendo lentamente a baciarle le clavicole sporgenti e annusando la lieve fragranza floreale che emanava la sua cute.
«Ti prego, fermati.»
L'aveva allontanato con decisione, ansimando.
«Perdonami. Ho perso il controllo.»
«Non devi scusarti, è colpa mia. Sono io che ho perso il controllo» e, così dicendo, scoppiò a piangere mettendosi le mani sugli occhi.
Robert l'abbracciò, non sapeva che altro fare. Aveva esagerato: come aveva potuto pensare di comportarsi così con una ragazza ben educata?
Lei singhiozzava, ma rimaneva avvolta nel suo abbraccio senza protestare. Robert attese che si calmasse in silenzio, non sapeva cosa dire se non che gli dispiaceva. Lo turbava che lei gli avesse chiesto di baciarla per poi pentirsene, forse stavano oltrepassando il limite, ma lui non era affatto dispiaciuto.
«Riprendiamo la passeggiata?»
Lei asciugò le ultime lacrime, accettando il fazzoletto che le porgeva il ragazzo, e annuì.
Si rimisero a camminare, ma qualcosa era cambiato. Robert era a disagio e avrebbe preferito lasciarla lì e andare in cerca del fratello. Il suo comportamento contorto l'aveva infastidito, come se fosse stata colpa sua quando invece era lei ad averlo invitato ad agire. Forse Jonathan aveva ragione: quella non era tanto santa quanto cercava di apparire, se non fosse stata la figlia di un colonnello probabilmente si sarebbe davvero lasciata spogliare nella stalla.
Non capiva. Non aveva fatto nulla di male e non l'aveva forzata in nessun modo, ma alla fine lei l'aveva respinto e si era pure messa a piangere come una pudica scolaretta, quando fino a poco prima sembrava tutt'altro che timida. Avrebbe preferito che gli avesse dato un ceffone e se ne fosse andata offesa piuttosto che quello. Sarebbe stato più coerente.
«Ehi, Becker, chi è quella bella signorina che ti porti appresso?»
Matt Perkins stava fumando del trinciato con altri suoi compagni, mollemente appoggiato alla facciata di un edificio, e gli si era fatto incontro vedendolo arrivare.
«Buonasera, Perkins, questa è la signorina Thompson, figlia del colonnello.»
La ragazza accennò un inchino e il giovane le fece un cenno con la testa. Aveva lo sguardo vitreo di chi ha esagerato con l'alcol e Robert si chiese come fosse riuscito a ubriacarsi con del ponce. Forse avevano trovato del whisky da qualche parte.
«Signorina Thompson, eh? Allora io eviterei di nascondermi al buio in sua compagnia.»
Robert s'irrigidì.
«Stiamo solo facendo una passeggiata.»
«Sì, come no, come se non vi avessimo visto spuntare da dietro quell'edificio...»
«Come ti permetti di fare delle insinuazioni così basse a una signora?»
La ragazza era sbiancata e Robert aveva lasciato il suo braccio avvicinandosi al compagno con aria minacciosa.
«Se quella è una signora, io sono un generale» rispose sputando per terra con sprezzo.
Robert inspirò rumorosamente sentendo quell'insulto. Strinse i pugni e fissò il giovane negli occhi, mentre i suoi amici si facevano più vicini. Non era il caso di rispondere alla provocazione e lasciarsi coinvolgere in una rissa, non per un cretino come Matt.
«Sei solo uno sciocco. Vallo a raccontare a suo padre che non è una signora se ne hai il coraggio: ti farebbe saltare i denti» e così dicendo si voltò e prese per il braccio la ragazza, allontanandola.
«Sono solo dei poveretti, non dovete dargli retta. Vi riaccompagno dentro.»
La ragazza non rispose. Rigida, seguì il suo accompagnatore fino all'ingresso della sala. Forse era in imbarazzo per essersi fatta sorprendere da altri in sua compagnia; forse era offesa per le parole dette da Matt che in fondo non erano poi così sbagliate; forse era infastidita perché non era intervenuto in maniera più decisa a difendere il suo onore... Qualunque cosa fosse, Robert non riuscì a interpretare l'occhiata penetrante che lei gli rivolse prima di congedarsi.
«Vi ringrazio per la serata, signor Becker» gli disse, fredda.
«Susan...»
Ma non poté aggiungere altro perché lo interruppe con un gesto deciso prima di voltarsi e raggiungere sua madre tra la folla.
Robert era rimasto lì, interdetto. Qualcosa gli doveva essere sfuggito, ma pur arrovellandosi non riusciva a interpretare in maniera logica tutti i cambi d'umore della ragazza.
«Allora?» Una manata sulla schiena lo distolse dai suoi pensieri. Jonathan lo fissava con un sorriso sornione stampato sul volto.
«Beviamo qualcosa» si limitò a rispondere.
«Pene d'amore? Vi siete appena lasciati...»
Robert scosse la testa.
«No... è che... non lo so, non capisco cosa le ho fatto di male.»
Jonathan scoppiò a ridere mentre si avviava con lui al banco delle bevande.
«Tranquillo, fratello, dubito che ci sia qualcuno in grado di capire le donne.»
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