25- Reietti

Jonathan stava ramazzando il pavimento delle aule in compagnia di altri due cadetti e sembrava che volesse picchiare qualcuno con la scopa. Entrambi evitavano di parlargli, limitandosi a scambiare qualche occhiata di tanto in tanto.

«Che avete da guardare?»

I due smisero di pulire e lo fissarono con un'alzata di spalle.

«Se avete qualcosa da dire in merito a stamattina, fatelo. Ma badate bene a scegliere le parole con cura...»

Il giovane era livido.

«Ehi, stai calmo. Nessuno qui deve dire niente. Mi sembra che i fatti si commentino da soli... Quel Campbell è un pazzo e noi siamo le sue vittime.»

«Già, quel tipo ci fa a fette tutti prima o dopo. Stamattina è andata male a Robert, ma penso che ci aspetti tutti al varco.»

Jonathan sembrò calmarsi: nessuno dava segni di ritenere suo fratello un inetto. Almeno non avrebbe dovuto prendersela con gli altri ragazzi del corso per difendere Robert, anche se era una magra consolazione.

Lui voleva che suo fratello fosse rispettato quanto meritava e ripensare a quella mattina gli faceva mancare il respiro dalla rabbia. Non sapeva come comportarsi, che consiglio dargli, anche se magari avevano ragione quei due: se il capitano era in agguato per sorprendere chiunque in un momento di debolezza, probabilmente si sarebbe stancato di vessare solo lui. Ma non ne era così sicuro: aveva colto una vena di sadico piacere in quell'uomo mentre calava il frustino sul viso di Robert e temeva che non avrebbe provato altrettanta soddisfazione nello strapazzare qualche altro cadetto. Era un oscuro presagio e sperava di sbagliarsi.

A chi avrebbe potuto rivolgersi se quella situazione non fosse mutata? Era evidente che suo fratello non aveva fatto nulla di sbagliato. Come sarebbe riuscito a evitare di irritare ancora il capitano? Forse avrebbe potuto parlare con il maggiore Turner, però quell'uomo si era disinteressato del suo gruppo non appena l'aveva passato al nuovo istruttore e magari non sarebbe intervenuto. Forse avrebbe dovuto scrivere a suo padre e chiedergli consiglio, ma non era certo che fosse una buona idea... e se fosse rimasto deluso dal fatto che Robert non si era rivelato all'altezza?

Rimuginava tutto ciò mentre ramazzava il pavimento e la sua faccia era talmente scura da scoraggiare altri tentativi di conversazione da parte dei suoi compagni.

Nei giorni che seguirono fu chiaro che il capitano non li avrebbe messi tutti alla berlina come temevano, ma solo alcuni elementi che per qualche oscuro motivo erano finiti nel suo mirino. Altri erano addirittura entrati nelle sue grazie, con grande disappunto dei compagni perché non si trattava certo dei più meritevoli. Era però di gran lunga preferibile non protestare e starsene in quella zona grigia di scarso interesse, dove non si era tra i migliori, ma soprattutto non si era tra i vessati. E questo atteggiamento opportunista aveva spaccato il gruppo.

Robert soffriva in silenzio: non voleva lamentarsi con il fratello perché intuiva che era sempre sul punto di scoppiare e riteneva che un suo intervento sarebbe stato inutile quanto rovinoso. Cercava di sopportare, senza tradire emozioni, le continue frecciate del capitano che non mancava di chiamarlo in causa con insinuazioni odiose del tipo E il signor Becker sa spiegarcelo? oppure Facciamo provare al signor Becker per vedere se ha capito.

Ogni volta che quel tizio pronunciava il suo nome, caricandolo di disprezzo, sentiva Jonathan irrigidirsi, pronto a scattare come una molla non solo per difendere lui, ma il loro stesso onore e quello del padre. E si ritrovava a pregare in silenzio Dio non tanto per dargli la forza di sopportare l'ennesima umiliazione, quanto per aiutare suo fratello a mantenere la calma.

Stava ritornando verso la camerata per prepararsi alla cena dopo il suo turno di piantonamento, quando sentì un rumore che destò la sua attenzione: sembrava un pianto. Girò cauto l'angolo del corridoio seguendo quel lamento soffocato fino alla porta di uno sgabuzzino e si mise in ascolto. Non si sbagliava: qualcuno stava piangendo là dentro, dietro l'uscio socchiuso.

Scostò delicatamente la porta e vide al buio un ragazzo che si stringeva le ginocchia e nascondeva il viso tra le gambe. Tossicchiando, si avvicinò e appena gli mise una mano sulla spalla questi lo fissò a metà tra la sorpresa e lo spavento. Era Jeff Finnegan.

«Jeff! Che diavolo ci fai qui dentro?»

Il ragazzo tirò su con il naso, si pulì gli occhi con la manica e non rispose.

«Non starai piangendo per stamattina?» lo apostrofò e, vedendo che ancora non si decideva a rispondere, si lasciò cadere seduto di fianco a lui con un sospiro. «Senti, sappiamo benissimo che quel tizio è un sadico... ma non possiamo dargliela vinta così, non ti pare? Se ti scoprisse qui dentro a piangere come una femminuccia, sarebbe la fine.»

«Io me ne voglio andare» rispose secco.

Robert rimase in silenzio, cosa poteva dirgli? Lui non avrebbe nemmeno voluto venirci in quel posto e ora sarebbe volentieri fuggito. Ma scappare non era la soluzione. Si rivedeva qualche anno addietro a piangere sconsolato rimpiangendo sua madre e la sua casa, la sua vita civile, mentre suo fratello cercava di confortarlo e convincerlo che avevano fatto la scelta giusta, che stavano diventando uomini e che il forte era un ottimo posto per crescere. Jonathan ne era davvero convinto e l'aveva sempre spronato a non mollare. Ora toccava a lui essere coraggioso e aiutare il suo amico, anche se avrebbe potuto benissimo mettersi a sedere con lui al buio e condividere la sua mestizia: la tentazione di lasciarsi andare era forte, ma non doveva concedersi quel lusso.

«Non essere sciocco: sapevamo che la scuola militare non era un posto dove spassarsela.»

«Questo è ben lontano dallo spassarsela, se permetti!»

«Lo so. Ma non è una buona ragione per mollare tutto: pensa ai tuoi genitori. Cosa direbbero se tornassi a casa perché un ufficiale ti ha maltrattato? Mio padre non lo crederebbe possibile, probabilmente mi riterrebbe uno smidollato.»

Il ragazzo non replicò. Forse pensava ai suoi genitori che l'avevano mandato fino a lì sperando che tornasse a casa con un diploma e una carriera da ufficiale assicurata; forse ricordava la punizione che gli aveva affibbiato quella mattina il capitano mettendolo in ridicolo davanti a tutti o forse fantasticava sul modo migliore per vendicarsi... Ricacciò indietro le ultime lacrime e sputò con rabbia al suolo.

«Grazie, Robert, non so se riuscirò a sopportare questo posto ancora a lungo, ma è bello sapere di avere ancora un amico qui dentro... Da quando sono caduto in disgrazia gli altri mi evitano come la peste.»

Robert sospirò. Era vero. I fortunati che erano stati ignorati dalle generose attenzioni del capitano cercavano di tenersi alla larga da quelli che lui usava vessare, tanto per non rischiare di ricevere lo stesso trattamento. Ma lui era fortunato: Jonathan gli sarebbe sempre stato leale. Non poteva far altro che cercare di consolare a sua volta i suoi amici più sfortunati, anche se ormai sembravano un club di reietti.

«Su, forza, usciamo da qui prima che qualcuno ci veda. E ricordati: nessuna soddisfazione a quell'uomo, non si merita le tue lacrime.»

Tornarono insieme alla camerata e Jeff si sbrigò a detergersi il viso per togliere ogni traccia di mestizia dal volto.

Poco dopo entrarono alcuni loro commilitoni e si limitarono a ignorarli, ma Matt Perkins non perse l'occasione di lanciare una frecciata.

«Guarda quei due poveretti, eravate qui a leccarvi le ferite a vicenda?»

Uno scoppio di risatine seguì la battuta. Matt era uno di quelli entrati nelle grazie del capitano e si pavoneggiava forte del suo nuovo status sociale, anche perché prima del suo arrivo era l'ultimo della classe.

Jeff lo prese per il colletto della camicia e lo atterrò con rabbia.

«Cosa hai detto, pezzo di cretino?»

Robert e altri intervennero immediatamente a dividerli, prima che potesse degenerare in una rissa che avrebbe solo causato guai a tutti. Jeff scalciava e cercava di liberarsi mentre Matt si rialzava da terra massaggiandosi la nuca, torvo.

«Prova di nuovo a mettermi le mani addosso e ti ammazzo.»

«Lasciatemi andare che l'ammazzo io quello stronzo!» protestò Jeff, mentre cercavano di calmarlo.

«Dai, Matt, finiscila» intervenne un terzo, trattenendolo per un braccio.

«Perché? Non si sa difendere da solo quel figlio di puttana? Ha bisogno del tuo aiuto?» replicò con stizza sciogliendosi dalla presa.

«Puttana sarà tua madre!» gridò Jeff, centrandolo con uno sputo, mentre si divincolava per cercare di liberarsi e assalirlo.

Matt fece per colpirlo con un pugno finché era ancora tenuto fermo dai compagni e Robert lo deviò con una spallata.

«Come ti viene in mente di avventarti su uno che è immobilizzato?! Falla finita e chiedigli scusa, Perkins» lo affrontò.

«Che t'intrometti a fare tu, Becker? Cos'è, ti credi migliore solo perché tuo padre è un ufficiale? Ah, no, scusa... dimenticavo che adesso non vali più una cicca. Adesso che c'è il capitano Camp...», ma non fece in tempo a finire la frase che si trovò due mani intorno al collo.

«Johnny, no!»

Robert cercava di staccare le mani di suo fratello dal collo di Matt che stava diventando sempre più paonazzo, ma questi era accecato dalla collera. Era entrato di corsa, richiamato dalle grida, e si era avventato come una furia sul ragazzo. Servì l'intervento di altri due per allontanarlo dalla sua vittima.

Matt riprese a respirare tossendo e Jonathan si liberò dalla presa con stizza, dando a intendere che non gli sarebbe più saltato addosso.

«Che sta succedendo qui? Cadetti, attenti!»

I ragazzi fissarono con orrore il sergente maggiore che si stagliava sull'uscio della camerata e si sbrigarono a mettersi sull'attenti.

Nessuno fiatava mentre l'uomo si avvicinava e li fissava uno per uno, in cerca di un colpevole. Aveva sentito grida indistinte provenire dalla loro camerata, ma nessuno sembrava essersi fatto male: c'era solo un giovane che teneva le labbra serrate nel tentativo non completamente riuscito di frenare la tosse.

«Tu che hai, ragazzo?»

Matt lanciò uno sguardo in direzione di Jonathan e si limitò a scuotere la testa, impacciato. Era intimorito da quel ragazzo che sapeva essere un duro e non voleva farselo nemico. Il sergente spostò la sua attenzione su Jonathan, che fissava lo sguardo impassibile davanti a sé.

«Forse vuoi dirmelo tu che succede?»

«Nulla, signore, una piccola discussione su argomenti futili. Forse abbiamo alzato un po' la voce.»

Il sergente fissò il ragazzo negli occhi per alcuni attimi terribili, quasi a volergli leggere nel pensiero per capire se cercava di farlo fesso, ma lui rimase immobile senza tradire il minimo nervosismo.

«E va bene, per stavolta passi... ma non azzardatevi più a gridare in questo modo. Questa è una caserma, non un circolo ricreativo!»

E girando sui tacchi se ne andò impettito.

I ragazzi ci misero un po' a muoversi e cercare di riprendere le loro occupazioni da dove le avevano lasciate prima del litigio, ancora intimoriti dallo scampato pericolo. Qualcuno si azzardò a battere una mano sulla spalla di Jonathan e congratularsi per il sangue freddo dimostrato.

Matt se ne stava immobile, massaggiandosi il collo, risentito ma anche spaventato dall'attacco violento di quel ragazzo. Jonathan si limitò a fissarlo con uno sguardo duro e sprezzante, che valeva più di mille minacce a voce. Aveva sbagliato a prendere in giro suo fratello, se ci riprovava con lui nei paraggi rischiava grosso.

Robert gli circondò le spalle con un braccio, distogliendolo da Matt.

«Su, Johnny, andiamo a mangiare. Lascialo perdere...»

Jonathan gli lanciò solo un'ultima occhiata sprezzante prima di andarsene con il fratello.

«Non dovevi tentare di strozzarlo: è solo un deficiente che parla perché ha la bocca...»

Robert era seduto con la schiena appoggiata alla stalla, mentre in compagnia di suo fratello masticavano un po' di tabacco dopo cena. Faceva freddo là fuori, ma il cielo in quella notte invernale era limpido e pieno di stelle ed era un piacere starsene un po' tranquilli.

«È un deficiente, ma non si deve permettere di mancare di rispetto a te e a nostro padre.»

«Abbiamo rischiato grosso stasera... per fortuna era talmente spaventato da te che non ha osato aprir bocca davanti al sergente.»

«Spero solo di averlo spaventato abbastanza o la prossima volta...»

«Non ci sarà una prossima volta, Johnny. Non ci deve essere!» Robert sputò il tabacco e fissò il fratello con decisione.

«Ascoltami: so che ti dà fastidio tutta questa situazione, ma non devi più intervenire in mio favore. Soprattutto davanti al capitano.»

«Oh, grazie per la tua riconoscenza.»

«Non fare l'offeso: hai capito quello che intendo dire. Se anche intercedessi per me non cambierebbe la mia situazione, ma tu ti metteresti nei guai!»

Jonathan rimase zitto. Ma era un silenzio teso, come un muro innalzato in pochi secondi, e faticò a romperlo sebbene ne fosse l'artefice.

«Non capisci cosa è in grado di fare quell'uomo? Esattamente questo: metterci l'uno contro l'altro...»

Robert lo fissò, non sicuro di aver compreso.

«Hai visto come ha spaccato il gruppo? Tutti hanno paura di finire in disgrazia e quelli come te sono diventati dei paria mentre quelli come Matt fanno da nuovi padroni... E ogni volta che ti prende di mira mi osserva, sa che mi infastidisce, spera di dividere anche noi due. È semplicemente malefico.»

Robert sospirò: suo fratello aveva ragione. Quanto tempo ci sarebbe voluto perché decidesse di lasciarlo perdere per unirsi al gruppo dei vincenti? Era quello il suo posto: era evidente a tutti... pure Matt non aveva osato denunciarlo al sergente. Ma se non si sbrigava ad accettare di essere uno dei favoriti, avrebbe finito per diventare un reietto come lui.

«Jonathan, ti prego, non metterti nei guai. Basto già io a infangare il nome della nostra famiglia qui dentro» disse, fissandolo dolorosamente.

Il fratello strinse i pugni con rabbia: sapeva che era ingiusto, che non stava infangando nulla, che non era colpa sua, ma il padre prima o dopo sarebbe stato informato del suo scarso rendimento e non sarebbe stato felice. Voleva che il genitore fosse fiero di loro, di tutti e due. Suo fratello lo stava scongiurando di lasciarlo al suo destino, di non intromettersi per non peggiorare la situazione, ma non era certo che avrebbe saputo dominarsi ancora a lungo.

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