15- Bagagli

L'autunno era ormai iniziato e la temperatura era scesa di parecchi gradi. Sabrina rabbrividiva nei suoi vestitini estivi e da sua madre non era giunta ancora nessuna notizia che facesse presagire un imminente ritorno. Il capitano sembrava immerso in cupi pensieri e la ragazzina non osava domandare quando Marie sarebbe ripartita da Boston o che ne sarebbe stato di lei se non si sbrigava a tornare; in realtà erano poche le cose che aveva il coraggio di chiedergli dal giorno in cui era diventato più duro nei suoi confronti.

Si era ritrovata ancora alle prese con il suo scudiscio e non le era piaciuto per niente, ma il padre pareva soddisfatto, soprattutto quando la incontrava per le lezioni quotidiane e la vedeva più remissiva. Salvo poi accorgersi che non appena sfuggiva al controllo riprendeva nei suoi modi scandalosi, con grande disappunto degli altri soldati e anche dei fratelli, che pure non cercavano di facilitarle le cose, ma anzi la istigavano di continuo.

Quei due sembravano aver superato i loro diverbi ed erano tornati a fare coppia fissa. Dopo giorni carichi di tensione in cui si erano evitati di proposito, rifiutandosi di scambiare una parola anche al momento dei pasti in compagnia del padre, alla fine si erano riappacificati. Peggio: sembravano aver deciso di comune accordo che era lei la fonte dei loro litigi e guai e la dissuadevano dallo stargli intorno, facendola sentire ancora più sola.

Jonathan, in realtà, era quasi soddisfatto dalla piega che avevano preso gli eventi: l'immaturità di quella mocciosa aveva giovato alla loro reputazione. Suo padre aveva cambiato atteggiamento nei loro confronti: non li trattava più da ragazzini e sembrava aver concentrato tutte le sue energie sulla figlia che rappresentava un nuovo grattacapo. I due maschi erano saliti parecchio nella sua considerazione. Si rivolgeva loro come adulti, mentre era impegnato a disapprovare gli atteggiamenti poco consoni della sorella, e questo con immenso piacere di Jonathan che si sentiva finalmente riconosciuto dal genitore.

I tre stavano giusto battibeccando per qualche sciocchezza quando il capitano li aveva interrotti.

«Finitela di litigare. Sabrina, dobbiamo andare a Carson City: è necessario procurarti qualche vestito più pesante. Dovrò anche incontrare il tuo maestro, se devi fermarti ancora a lungo è meglio che scambi quattro chiacchiere con lui.»

I fratelli protestarono e insistettero per poterli accompagnare mentre Sabrina non rispose, raggelata al pensiero che il capitano parlasse con il suo vecchio insegnante di scuola. Cosa gli avrebbe detto? Era sempre stata una studentessa abbastanza diligente, ma per quanto riguardava il comportamento sapeva di non essersi guadagnata la sua stima... Era successo più di una volta che dovesse fermarsi a scuola oltre l'orario per scontare qualche punizione, cui seguivano puntuali le prediche di sua madre, che la obbligava a memorizzare e recitare qualche brano tratto dal Vangelo o dalla Bibbia. Ma ora si trattava del capitano e Sabrina sentì lo stomaco contrarsi. Imparare i testi sacri a memoria era una faccenda noiosa e irritante, ma affrontare l'ira paterna era tutt'altra cosa.

Poco dopo i quattro erano in viaggio con il carro; la ragazzina sperava potessero andare a cavallo, ma non osò chiederlo: probabilmente il capitano non voleva che qualcuno in città la vedesse mentre montava in sella come un ragazzo. Quindi sarebbe arrivata là vestita e pettinata come una bambina seduta a fianco a suo padre... Non ne era molto entusiasta.

L'ultima volta che era stata a Carson City aveva visto una sua coetanea abbigliata da signorina, con il busto, la crinolina e un'acconciatura da adulta, mentre lei ancora metteva abiti corti con i mutandoni che spuntavano da sotto e si raccoglieva i capelli in due trecce. Questo non le importava, anzi, aveva riflettuto sul fatto che con tutta quella roba addosso probabilmente non avrebbe potuto muoversi con agilità come faceva al forte. Però tornare in città conciata ancora come una bambina la metteva a disagio, quindi teneva gli occhi fissi sulle scarpe sperando di non incrociare lo sguardo di nessuno.

Il padre puntò dritto sulla scuola, un piccolo edificio di fianco alla chiesa, e Sabrina cominciò a tremare lievemente. Notò con un breve sguardo che la zona era piena di bambini e ragazzi, le lezioni erano finite da poco e i fratelli ne approfittarono per chiedere informazioni sui loro conoscenti.

Là in mezzo c'era anche Thomas McEnzie, Sabrina lo vide mentre il padre l'aiutava a scendere e subito arrossì di vergogna. Avrebbe voluto andare a parlargli, ma il capitano aveva lanciato uno sguardo truce in direzione del ragazzo mentre i suoi fratelli osservavano la scena con interesse. Vergognandosi di se stessa non lo degnò di un saluto e seguì il genitore all'interno della scuola.

Quanto avrebbe voluto incontrarlo da sola di nuovo... ma intuì che non sarebbe mai più stato possibile: dopo che suo padre li aveva sorpresi a scambiarsi un bacio innocente, mesi prima, non lo avrebbe permesso. Si era trattato soltanto di un bacetto! Niente di premeditato... erano buoni amici e quel giorno era successo, ma il capitano l'aveva vista e quell'episodio le era costato un viaggio a Boston. La madre aveva minacciato di mandarla in collegio e il padre l'aveva portata al forte con sé. Ancora paonazza in volto cercò di concentrarsi per affrontare il maestro con l'espressione più amabile e seria che le fosse possibile.

«Ehi, tu, McEnzie, ho visto come guardavi mia sorella e non sono sicuro che mi piaccia» lo apostrofò Jonathan, appoggiato da Robert.

«Come lei  ha guardato me, vorrai dire!» rispose beffardo.

«Sembra che io piaccia alle ragazze, a differenza tua...»

Jonathan fece per saltargli addosso, ma fu frenato dal fratello.

«Non ne vale la pena, Johnny... lascialo stare» disse bloccandolo da dietro e sussurrandogli per calmarlo.

«Solo uno come lui può pensare di fare colpo su Sabrina, non ha capito con chi ha a che fare.»

Jonathan si liberò dalla presa, lisciandosi la giacca.

«Tu starai lontano da nostra sorella, se non vuoi che torniamo qui e te ne facciamo pentire. Non ho nessuna intenzione di far entrare uno come te in famiglia. Ricordatelo» lo minacciò con voce gelida.

E voltandogli le spalle fece cenno a Robert di seguirlo: avevano poco tempo da passare in città, meglio non sprecarlo con quel tipo.

Il colloquio con il maestro non era stato poi così male come Sabrina aveva temuto. Quel piccolo uomo tanto pronto a usare la bacchetta sui suoi alunni sembrava piuttosto intimorito dal capitano e non aveva osato lamentarsi delle mancanze della ragazzina in sua presenza. Per quel giorno l'aveva scampata.

Si erano poi recati nella vecchia casa in cui Sabrina aveva abitato con la madre per prendere qualche indumento pesante. La ragazzina ne avrebbe volentieri fatto a meno: l'ultima volta che c'era stata, la malinconia l'aveva investita così pesantemente che sperava di non tornarci più, se non per rincontrare la donna che l'aveva lasciata da sola.

Il camino era spento, uno spesso strato di polvere ricopriva i mobili inutilizzati e Sabrina sentì tutta l'assenza di calore che la sua nuova condizione comportava. Anelava gli affettuosi abbracci materni, il bacio sulla fronte che la madre le dava sempre prima di andare a dormire, il profumo delle sue vesti e l'odore dei biscotti in forno: un insieme di ricordi che esprimevano il suo amore per lei. E adesso?

Nulla era venuto a colmare quella mancanza. Suo padre le voleva bene, ma non era affettuoso, tutt'altro: era duro e severo e diventava ancora più freddo se non si obbediva ai suoi ordini. Ogni oggetto rimasto a prendere polvere in quelle stanze simboleggiava il vuoto affettivo che caratterizzava ora le sue giornate. Avrebbe preferito non tornare in quella casa abbandonata, non poteva sopportarlo.

«Padre, vi prego, sbrighiamoci: non voglio rimanere qui a lungo» implorò la ragazzina.

Il capitano le lanciò uno sguardo in tralice, ma non rispose: non era certo di capire il perché di tanta angoscia.

Riempito il carro con alcune coperte, uno scialle di lana, altre paia di calze pesanti, scarpe e vestiti, furono pronti ad andarsene. La ragazzina non aveva spiccicato parola durante tutta l'operazione, svolta con rabbiosa efficienza.

Risalita a cassetta, con lo scialle buttato sulle spalle a proteggerla dall'aria frizzante, guardò il padre e con una certa difficoltà si decise a parlargli.

«Credete che mia madre starà via ancora a lungo? Per questo abbiamo preso tanta roba?»

«Tua nonna è malata, Sabrina, non so dirti quanto ci vorrà ancora.»

La ragazzina annuì debolmente, torcendosi le mani.

«E cosa sarà di me, padre? Potrò stare al forte con voi o mi manderete da qualche altra parte?», sottintendendo una serie di luoghi spiacevoli che non voleva nominare.

«Per adesso ti terrò con me al forte: ho organizzato il necessario per i tuoi studi, per il resto si vedrà» rispose sospirando.

La ragazzina si chiedeva cosa intendesse con "il resto" e pensò che si riferisse al suo abbigliamento, magari le aveva letto nel pensiero o si era accorto di come aveva guardato le sue coetanee vestite di tutto punto. Improvvisamente ebbe paura di quel cambiamento: se doveva vivere al forte voleva essere libera di muoversi come più le piaceva, indossare i pantaloni e continuare a montare a cavallo e poi non voleva parlare di vestiti con suo padre... le serviva una madre per quello!

D'un tratto si sentì preda dell'angoscia: avrebbe desiderato mandare indietro le lancette dell'orologio e rivivere quei mesi di libertà per sempre invece che andare avanti nella consapevolezza taciuta che stava per finire tutto. Prima o dopo avrebbe dovuto comportarsi come si conveniva a una giovane donna, ma farlo in un forte sarebbe stato insopportabile.

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