12- Incidente
Era estate inoltrata ormai, l'aria calda del deserto fiaccava gli animi e rendeva tutti apatici. Forse anche per questo i soldati avevano finito per rassegnarsi all'idea di una ragazzina nel forte e nessuno ci faceva più caso, nemmeno quando si presentava indossando dei pantaloni per montare a cavallo. Perché alla fine la piccola peste l'aveva avuta vinta: aveva supplicato il padre di insegnarle a cavalcare, l'aveva seguito ovunque, insistendo e fissandolo con i suoi occhioni neri adoranti e il capitano aveva ceduto.
Ancora non si capacitava di come ci fosse riuscita: lui che si riteneva un uomo tutto d'un pezzo si era lasciato sedurre da quella figlioletta vivace e aveva finito per regalarle un cavallo per il suo tredicesimo compleanno. Questo aveva suscitato l'invidia dei due maschi, lo sapeva: loro si erano sempre accontentati di montare gli animali dell'esercito senza mai possederne davvero uno, mentre per lei non aveva esitato a procurarselo.
Era proprio un bell'esemplare, bianco, giovane e muscoloso, e non aveva resistito alla tentazione pensando con una punta di soddisfazione che, non appena Sabrina se ne fosse andata, se ne sarebbe occupato di persona usandolo come cavalcatura di scorta. Questa motivazione non sarebbe bastata però ai suoi figli che rodevano d'invidia in silenzio, soprattutto Jonathan che si era vendicato dello sgarbo rifiutandosi con decisione di insegnare alla sorella a montare, compito che era ricaduto interamente su Robert.
Doveva ammettere che Sabrina ci sapeva fare: stava in sella con una tale naturalezza da costringere tutti a dimenticare che si trattava solo di una ragazzina. Jonathan aveva suggerito una monta all'amazzone, un'idea sensata, ma il padre aveva percepito nella proposta una sorta di ripicca e si era opposto, più per dare una lezione a suo figlio che altro. Meglio farla sedere a cavalcioni, era più sicuro, aveva ribadito stizzito rimettendo in riga il figlio insolente. Questo aveva comportato la necessità di indossare dei pantaloni perché vederla con la gonna tutta tirata su e i mutandoni in bella vista era davvero troppo. Ma Sabrina ne era stata felice, aveva chiamato Ella la sua cavallina e aveva recuperato il sorriso che sembrava spento per sempre da quando sua madre l'aveva lasciata.
Stava ripensando a tutto ciò mentre sedeva nel suo ufficio alle prese con la corrispondenza arretrata e non riusciva a ricordare quello che si era ripromesso di scrivere al suo superiore di stanza a Fort Riley, in merito a certi approvvigionamenti. Qualcosa lo preoccupava anche se non sapeva spiegarsi cosa. I ragazzi erano usciti a cavallo e non era tranquillo. Forse era solo infastidito dall'insolenza di Jonathan: si era opposto alla gita proposta con entusiasmo dagli altri due, non voleva fare da balia alla sorella aveva detto. L'aveva rimesso in riga toccando il suo orgoglio.
«Se succede qualcosa a tua sorella, te la dovrai vedere con me. Tu sei il più grande e tua è la responsabilità. O pensi di non essere all'altezza?»
Jonathan non aveva osato proseguire nella sua protesta e se n'era andato stizzito. Il genitore sapeva di averlo incastrato.
Sospirò. Quel ragazzo era davvero irrequieto. Sarebbe potuto diventare un ottimo comandante se avesse imparato a dominare la sua animosità e se fosse riuscito a mandarlo a West Point.
Ma non era così semplice.
Aveva aspettato a fare domanda perché voleva che i due ragazzi ci andassero insieme: il figlio minore non era tagliato per quella vita, ma West Point era un'ottima scuola anche per chi decideva di non continuare la carriera militare. Se fosse riuscito a ottenere l'ammissione di entrambi, si sarebbero sostenuti a vicenda: Jonathan sarebbe stato di conforto a Robert ed egli avrebbe tenuto a bada il fratello maggiore. Ma non sembrava così semplice entrare negli ultimi tempi.
Erano i parlamentari a selezionare i giovani candidati. Molti volevano accedere all'accademia, anche se non propensi alla carriera da ufficiali, per l'ottima preparazione che forniva in numerose discipline non strettamente attinenti al servizio e lui, relegato in quel piccolo forte di frontiera, non era un personaggio molto influente. Aveva mandato da poco la domanda e sperava che qualche sua vecchia conoscenza a Boston potesse intercedere per i suoi figli. Se solo suo padre fosse stato ancora in vita...
Comunque, non era la preoccupazione per il futuro dei ragazzi a turbarlo in quel momento: uno spiacevole presentimento lo infastidiva ed era qualcosa di più contingente. Temeva che la gita non fosse stata una buona idea, anche se riteneva che Sabrina fosse assolutamente al sicuro con i suoi due figli: sapevano cavarsela e avevano assicurato di fare solo un breve giro nei dintorni, non c'era alcun pericolo.
«Padre!» sentì gridare. Poco dopo la porta del suo ufficio si aprì di colpo e Robert si scaraventò all'interno con i capelli biondi arruffati e gli occhi dilatati. John si alzò di scatto, rovesciando la boccetta dell'inchiostro.
«Padre, presto! Dovete venire! Il cavallo di Sabrina si è imbizzarrito... Gli Indiani...» il ragazzo cercava di riprendere fiato dalla corsa e sputava parole sconnesse, agitato.
Il capitano lo raggiunse e, prendendolo per le spalle, tentò di calmarlo.
«Respira e spiegati meglio!» Lo scosse, mentre immagini terribili gli attraversarono la mente in un lampo: sua figlia ferita e schiacciata sotto il peso dell'animale, i ragazzi che cercavano di rianimarla e altre scene terrificanti.
Robert riprese fiato e continuò.
«Il cavallo di Sabrina è schizzato via al galoppo con lei sopra! Abbiamo tentato di raggiungerlo, ma fila come il vento... e si stava dirigendo verso l'accampamento indiano! Jonathan mi ha mandato indietro ad avvertirvi mentre lui continuava l'inseguimento.»
«L'accampamento? Sei sicuro?»
«No... ma potrebbe essere arrivata fino a là a quest'ora.»
Il capitano lasciò la presa e uscì di corsa gridando:
«Sergente maggiore Reynolds! Prenda due uomini e mi segua, subito!»
Poi afferrò le redini del cavallo che Robert aveva lasciato nella piazza d'armi e montò in sella gridando ai soldati di sbrigarsi. Il ragazzo rimase sulla soglia a vederli andare via, pregando che trovassero i suoi fratelli prima che succedesse qualcosa d'irrimediabile.
Non appena le punte dei tepee* sparsi furono visibili, il capitano fece segno di rallentare la corsa e si avvicinarono con cautela all'accampamento scrutando l'orizzonte in cerca dei nativi, ma non c'era nessuno in vista. Superarono le prime tende e fu subito chiaro che fosse successo qualcosa. Una serie di particolari svelava che un piccolo cataclisma doveva aver sconvolto la vita del villaggio: un pentolone di tintura rovesciato, resti carbonizzati di una lepre dimenticata sul fuoco, oggetti di varia natura lasciati cadere a terra. Poi notarono nella zona centrale del campo un assembramento di uomini e donne che parlavano concitati. Là in mezzo c'erano i suoi figli.
Erano seduti a terra. Sabrina accoccolata di fianco al fratello, visibilmente spaventata, e Jonathan che fissava il suolo in silenzio con il viso sporco di sangue. Il capitano capì che dovevano averlo picchiato e s'impose di reprimere l'istinto che l'avrebbe indotto a estrarre la sua Colt e mettersi a sparare ai responsabili.
Scese dalla sella con misurata lentezza, mentre la tribù si zittiva fissando ostile le loro giubbe blu e il capo indiano si faceva avanti ad affrontare gli ospiti indesiderati. Sabrina sgranò gli occhi alla vista dei soldati e sussurrò qualcosa al fratello, che non osò alzare il volto da terra. Il padre fissò la ragazzina con freddezza e la vide ammutolire prima di stringersi maggiormente a Jonathan, poi distolse l'attenzione da loro per concentrarla sul capo. Con brevi parole indicò i figli e discusse con lui, nella sua lingua, mentre nessuno osava emettere alcun suono. Poco dopo fece un cenno al sergente maggiore e due soldati si avvicinarono ai ragazzi, aiutandoli a rialzarsi e recuperando i loro cavalli.
Il capitano vide che Jonathan camminava leggermente curvo e si rimetteva in sella con un certo sforzo e sentì una rabbia cupa impadronirsi di lui. Se non fosse stato più importante cercare di metterli in salvo, preservando anche il recente trattato di pace, si sarebbe lasciato guidare dalla collera. Invece misurò le parole con il vecchio capo e se li portò via.
Jonathan era in infermeria; il tenente Moore gli aveva dato un'occhiata e, stabilito che non serviva mandare a chiamare il dottore a Carson City**, l'aveva lasciato da solo a pulirsi le numerose escoriazioni. La schiena gli doleva e anche la spalla; respirare era un po' doloroso: probabilmente gli avevano incrinato una costola. Di certo non ci erano andati leggeri mentre lo prendevano a bastonate. Non osava immaginare come sarebbe finita se non si fosse messo in mezzo. Avrebbero colpito sua sorella con la stessa violenza? Non poteva esserne sicuro, ma erano dei selvaggi e da quello che ne sapeva non erano più indulgenti con le donne.
Quella ragazzina li aveva cacciati in un bel guaio.
Da quando si era messa in testa di imparare a cavalcare, suo padre aveva perso la testa. Da lui non se l'aspettava proprio: sempre così severo e serio, davanti alla sorella si scioglieva come un pezzo di burro.
E poi era arrivata quella maledetta gita... Lui non voleva accompagnarli fuori dal forte, ma suo fratello aveva tanto insistito, cercando di allettarlo con la possibilità di saltare una giornata di lavoro, e il padre l'aveva praticamente obbligato ad accettare facendogli pure intendere che se fosse successo qualcosa l'avrebbe ritenuto responsabile. Maledetta ragazzina! Anche se sapeva che in fondo la colpa era un po' sua...
Non aveva resistito alla tentazione di farle un dispetto. Dopo uno scambio di coloriti insulti, l'aveva afferrata per una treccia e lei nel dimenarsi aveva innervosito il cavallo che era schizzato via velocissimo.
Lui e Robert erano rimasti interdetti.
«E adesso?» si era limitato a chiedere il più giovane.
«Adesso la andiamo a prendere, prima che si spacchi l'osso del collo e nostro padre mi uccida! Muoviti!»
La sorella gridava appesa alla criniera e quella bestia sfrecciava via diventando un puntino lontano sempre più in fretta, distanziandoli, e inoltre aveva preso la direzione dell'accampamento indiano. Fermando il cavallo, aveva obbligato il fratello a tornare indietro.
«Ritorna al forte e avverti nostro padre... Se quella finisce dritta in mezzo agli Indiani, non possiamo farcela da soli.»
«Ma...»
«Non metterti a discutere! Corri!» E aveva ripreso l'inseguimento da solo.
Il padre l'avrebbe scuoiato vivo se le fosse successo qualcosa, non aveva dubbi: per questo non aveva esitato a intervenire quando aveva visto la sorella all'accampamento, circondata da quei selvaggi che la minacciavano con dei bastoni. Lei aveva osato ribellarsi e come risultato si era beccata una botta sulle gambe che l'aveva fatta cadere in ginocchio. Jonathan, che fino a un attimo prima stava valutando la situazione con fredda razionalità, si era infiammato ed era corso a mettersi in mezzo prendendosi una bastonata al suo posto.
«Pace!» aveva implorato nella loro lingua, una delle poche parole che conoscesse, ma non era servito a nulla, come non gli era bastato indossare la divisa dell'esercito per fermarli. Sabrina si era rannicchiata dietro di lui gridando e si era ritrovato a farle da scudo.
Era convinto di essersi lanciato in sua difesa spinto dalla paura che suo padre potesse accusarlo di non averla saputa proteggere, ma in realtà sentiva che sarebbe intervenuto in ogni caso. Qualcosa era scattato in lui: per la prima volta aveva provato compassione per quella ragazzina e aveva desiderato aiutarla, come sempre aveva fatto con Robert.
Quando avevano rinunciato a picchiarlo, se l'era ritrovata rannicchiata al suo fianco; si aggrappava al suo braccio, spettinata, piena di graffi e con gli occhi sbarrati per il terrore.
«Jonathan, cosa succede adesso? Cosa ci faranno?» gli aveva chiesto piangendo. Lui aveva sospirato, pulendosi il sangue da un sopracciglio con la manica.
«Non lo so.» Non aveva trovato altro da dirle, non era stato in grado di consolarla: fino a poco prima l'aveva odiata con tutto se stesso e non voleva ammettere di essere in pena per lei.
Quando il capitano era arrivato, non aveva nemmeno osato guardarlo: poteva sentire la sua collera anche da quella distanza. E poi gli era toccato stare ad ascoltare i suoi rimproveri.
«Sei un irresponsabile! Un incosciente! Ti avevo ben raccomandato di tenerla d'occhio e cosa mi combini? Hai messo in pericolo lei e te stesso!»
Robert aveva cercato di intervenire.
«Padre, vi prego di credergli: si è trattato di un incidente», ma il capitano l'aveva zittito.
«Io mi fidavo di te. Credevo fossi maturo abbastanza per avere cura dei tuoi fratelli...»
Jonathan era profondamente angosciato: non gli importava di tutte le botte che si era preso, le parole di suo padre l'avevano ferito più di ogni bastonata. Perché non riusciva a ottenere la sua piena approvazione? Perché cadeva sempre in fallo? Gli sembrava di avere ancora quattordici anni e di essere lì, spaventato dal frustino del capitano, come un bambino. Ci mancava la sorella a complicare la situazione.
Attirato da un colpetto di tosse, si voltò di scatto. Sulla porta dell'infermeria c'era proprio lei che, imbarazzata nel vederlo a torso nudo, si sbrigò ad abbassare lo sguardo. Il ragazzo s'infilò in fretta la camicia.
«Cosa ci fai qui? Non è posto per te.»
Vedendo che non rispondeva e rimaneva sulla porta a mordicchiarsi le labbra, fece per andarsene, ma lei lo trattenne toccandogli timidamente un braccio.
«Johnny... volevo ringraziarti.»
Il ragazzo non sapeva come accettare quel ringraziamento senza rinunciare alla sua corazza di sprezzante superiorità e si limitò a fare un inchino, pronunciando in tono sarcastico un semplice "dovere".
Stava per proseguire, ma lei lo trattenne ancora, pregandolo di fermarsi.
«Ho sentito quello che diceva nostro padre e... mi dispiace...»
Lui s'irrigidì: non voleva stare ad ascoltarla. Ancora gli bruciavano le parole di suo padre e odiava il fatto che quella ragazzina le avesse udite. Con una scrollata di spalle si allontanò infastidito dalla sua stessa debolezza: avrebbe dovuto ritenersi lusingato e invece aveva provato un vuoto allo stomaco sentendo nominare il capitano. La sorella era rimasta là a guardarlo andare via. Poteva percepire il suo sguardo ed era tentato di tornare indietro e abbracciarla: aveva osservato per la prima volta i suoi occhi grandi, neri e pieni di rimorso e aveva provato un moto di tenerezza sconosciuto, ma era come ammettere che nutriva un sentimento per lei e che l'aveva difesa per affetto, e non era ancora pronto. Serrando i pugni, affrettò il passo.
*tepee: tipica tenda indiana a base circolare.
**Nel 1858 la stazione commerciale di Eagle Station prende il nome di Carson City e si sviluppa velocemente grazie alla scoperta dell'argento sulle colline ad est della città.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top