11- L'inganno
«E allora? Cos'è successo ieri sera? Non tenermi sulle spine!»
Robert incalzava il fratello che se ne stava mollemente sdraiato nella stalla masticando un filo di paglia. Jonathan aveva un sorriso beato sul volto e ci godeva a stuzzicare la sua fantasia. Anche perché quel giorno la mocciosa era impegnata con il capitano e almeno non gli stava tra i piedi. Finalmente potevano dedicarsi a chiacchiere da uomini, come ai vecchi tempi.
«Se non ti decidi a parlare, t'infilzo!» lo minacciò Robert con il forcone, pungolandolo scherzosamente.
«Va bene, va bene!» si schermì ridendo.
«E allora? L'hai baciata?»
Il ragazzo annuì, ma si capiva che c'era dell'altro.
«E...?»
Jonathan sorrise malizioso.
«Diciamo che ho dato una sbirciatina...»
Robert si lasciò cadere di fianco a lui ridendo.
«Tu sei matto! Ma come hai fatto a convincerla?»
«E dai! Si vedeva che era pazza di me...» E mentre si rigirava la pagliuzza in bocca riviveva le emozioni della sera prima.
Una carovana di coloni in viaggio per la California era stata ospitata al forte per la notte. Tra loro c'era una giovane donna, figlia di una delle famiglie, e Jonathan ne era rimasto stregato. Lei era sembrata lusingata dall'interesse dimostrato dal ragazzo e avevano passato molto tempo a chiacchierare davanti al fuoco e poi, dopo che era suonato il silenzio, si erano appartati dietro la stalla. Jonathan le aveva regalato un po' di caffè rubato dal magazzino e si era guadagnato un bacio, cui erano seguite altre effusioni.
La carovana era ripartita all'alba, ma lui aveva ancora addosso la sensazione morbida di quei baci rubati e la visione effimera delle sue tenere forme che aveva appena intravisto e accarezzato fugacemente. E adesso era preda della curiosità del fratello che voleva ogni particolare.
Stavano ridacchiando complici, quando il sergente Rivers entrò e li sorprese a divertirsi invece che a eseguire il lavoro assegnatogli.
I due scattarono in piedi con aria colpevole; non erano ufficialmente arruolati, ma tutti si aspettavano che rispettassero gli ordini e non si sottraessero ai loro doveri.
«Ragazzo,» disse il sergente rivolto a Jonathan «il capitano ti cerca: ti attende nel suo ufficio.»
«Sissignore» si limitò a rispondere avviandosi, mentre l'uomo se la prendeva con l'altro.
«E tu datti da fare qui dentro: al lavoro!»
Robert si tolse dei fili di paglia dai pantaloni guardando il fratello allontanarsi. Perché suo padre lo convocava?
Anche Jonathan se lo stava domandando: temeva che riguardasse la sera prima. Magari qualcuno aveva spifferato che era in giro per il forte dopo il silenzio... eppure era stato ben attento a non farsi sorprendere dal soldato di guardia.
Incrociò Sabrina che usciva dall'ufficio e lo fissava in modo strano. E se fosse stata quella peste di sua sorella? Forse aveva solo finto di dormire mentre lui sgusciava fuori dalla baracca.
Entrò nell'ufficio di suo padre e si chiuse la porta alle spalle, il capitano si alzò immediatamente dalla scrivania e lo spinse spalle al muro.
Il ragazzo rimase impietrito vedendo gli occhi dardeggianti di rabbia del genitore: non capiva come potesse aver scatenato tanta collera.
«Che hai fatto ieri sera?» lo accusò puntandogli contro un dito.
Il ragazzo non rispose, interdetto.
«Dimmelo! Cosa ti è saltato in testa?»
«Non... non capisco, padre, cosa ho fatto?» ma si sentiva colpevole per quanto era successo con la ragazza, un atto che di sicuro il genitore non approvava, e il capitano percepiva che gli stava nascondendo qualcosa.
«Dovrei farti frustare davanti a tutti per quello che hai fatto!» sibilò a denti stretti, avvicinandosi pericolosamente.
Il ragazzo sbiancò: cosa poteva aver mai combinato di così grave?
«I-io non ho fatto nu-nulla di male.»
Un ceffone lo zittì, poi suo padre lo prese per il colletto della camicia e cominciò a scuoterlo con forza.
«Come osi mentirmi?»
Il ragazzo tentò nuovamente di parlare, ma ricevette un altro schiaffo ben assestato e si riparò da un terzo coprendosi il viso con le braccia.
«Padre, calmatevi, vi prego... non capisco...»
Il capitano rinunciò a picchiarlo e sbuffando tornò a sedersi alla scrivania mentre il ragazzo si ricomponeva, ancora spaventato dall'aggressione.
«Cos'hai fatto ieri sera allora?»
«Ho infranto le regole del forte, me ne sono andato in giro dopo il silenzio. C'era una ragazza...» farfugliò, tenendo gli occhi bassi e pensando con odio che la sorella dovesse aver fatto la spia. Le avrebbe restituito il favore, poco ma sicuro.
«Non me ne importa un accidente della ragazza!» lo interruppe sbattendo la mano sulla scrivania.
«Cosa ci facevi nel magazzino? Sei stato visto entrare e stamattina mancavano varie cose: provviste, coperte, attrezzi...»
Jonathan, pallido, sollevò gli occhi sul padre. I suoi propositi di vendetta contro la sorella improvvisamente azzerati.
«Non sono stato io...» e vedendo che la risposta non gli piacque ringraziò Dio che ci fosse la scrivania a dividerlo da lui, altrimenti avrebbe ricominciato a picchiarlo di sicuro.
«Non mentirmi...»
«Davvero, padre, non vi sto raccontando menzogne. Sono entrato nel magazzino, è vero, ma non ho rubato le cose che avete elencato.»
Vedendo che il capitano scattava nuovamente in piedi serrando le labbra si affrettò a spiegarsi: tanto valeva dirgli tutto spontaneamente prima che lo obbligasse a suon di sberle.
«Vi ho riferito che ho conosciuto la figlia dei coloni... be', volevo fare qualcosa di carino per lei e visto che non bevevano vero caffè da settimane ho deciso di dargliene un sacchettino. Non intendevo rubarlo! Ho pensato che sarebbe bastato rinunciare alla mia razione per un po' di tempo per ripagare il debito...»
«E tu ti aspetti che ti creda?»
«Padre, lo giuro, non ho rubato le cose di cui avete parlato, ho preso solo un po' di caffè per fare colpo!» piagnucolò, sentendo che la sua posizione era alquanto difficile.
Il capitano lo scrutava, le mani piantate sulla scrivania con forza, poi sospirò e si lasciò ricadere sulla sedia: non vedeva nell'espressione del figlio altre bugie.
«Come hai fatto ad aprire la porta?» domandò rassegnato.
«Con la chiave» rispose Jonathan e, notando lo sguardo di fuoco del padre, si affrettò ad aggiungere: «È nascosta tra le assi sopra la finestrella, lo sanno tutti che è lì!». Il forte era un piccolo avamposto e i soldati della compagnia si conoscevano tra loro, non c'era mai stato bisogno di sorvegliare davvero il magazzino: un ladro sarebbe stato beccato subito, ma questa volta l'unico che era stato visto entrare nel deposito era lui, anche se il ragazzo sembrava sincero quando negava di aver rubato quella roba.
«Capitano.» Il sergente Rivers si era affacciato alla porta.
«Abbiamo ispezionato l'alloggio dove dormono i suoi ragazzi e guardato dappertutto nel forte, non c'è traccia della refurtiva... Temo l'abbiano già portata fuori.»
Jonathan impallidì ulteriormente: quindi mentre lui e suo fratello erano ignari nella stalla, tutta la guarnigione era già in movimento per quella brutta storia e lui era il principale sospettato. Sentì lo stomaco contrarsi per la paura... dovevano essere stati i coloni a trafugare la roba, ma loro se ne erano andati invece lui era lì davanti a suo padre come unico responsabile. Un terribile sospetto si fece strada nella sua mente: la ragazza l'aveva abbindolato. Gli aveva rivolto delle stupide moine e lui ci era cascato; lasciandosi intenerire dai suoi racconti di indigenza aveva acconsentito a portarle un po' di caffè. Ora si rendeva conto che quella non era stata un'idea sua: era stata la ragazza a manipolarlo, sfidandolo a rubare qualcosa per lei. Si era introdotto nel magazzino furtivamente e poi la giovane l'aveva portato dietro la stalla dove l'aveva incantato con la sua femminilità, ma non era davvero interessata a lui: gli aveva giocato un bello scherzetto. Forse il resto della sua famiglia, suo padre o i suoi fratelli, l'avevano tenuto d'occhio e dopo aver capito come entrare nel deposito avevano agito indisturbati. Che razza di delinquenti... Altro che poveri coloni, sembravano più una banda ben organizzata! Magari non erano neppure parenti tra loro e quella della famigliola indigente in cerca di fortuna era una copertura.
Si sentì improvvisamente uno sciocco: come aveva potuto credere che quella donna, così avvenente e molto più matura di lui, fosse interessata a un ragazzo così inesperto seppur carino? Sapeva di avere un bell'aspetto e la sua vanità gli aveva fatto abbassare la guardia. La verità era così semplice da vedere ora, anche se comunque dura da accettare.
Se ne stava appoggiato al muro, con lo sguardo a terra pieno di vergogna e paura, aveva cacciato le mani in tasca e stringeva i pugni all'interno desiderando di strozzarsi da solo. Nel frattempo l'ufficio si stava riempiendo di gente: era arrivato il tenente Moore e anche il sergente maggiore Reynolds accompagnato da un soldato semplice. Man mano che entravano, eseguivano il saluto militare e andavano ad affiancarsi al capitano. Jonathan si rese conto che se ne stavano tutti in piedi ai lati della scrivania e lo fissavano senza parlare. Intimorito, alzò gli occhi sui loro volti seri e desiderò ardentemente fuggire da quella sorta di inquisizione.
«Il ragazzo afferma di non aver rubato nulla e in effetti non avete trovato alcuna traccia della refurtiva che potrebbe accusarlo» esordì suo padre. Jonathan trattenne il respiro.
«Ha confermato di essersi introdotto nel magazzino per prendere un sacchetto di caffè, e per questo verrà punito, ma di non aver preso nient'altro e poi di essersi appartato con la ragazza, altra infrazione del regolamento visto che il silenzio era già stato suonato. A questo punto posso ipotizzare che uno dei coloni sia entrato nel deposito e abbia commesso il furto, motivo per cui della refurtiva non è rimasta traccia. La domanda ora è questa: Jonathan, sei stato tu a indicare ai coloni come entrare?»
«No» sussurrò il ragazzo pieno di angoscia, scuotendo disperatamente la testa. Già gli era sembrato abbastanza terribile sentire elencare le sue colpe davanti a quegli uomini, ma le accuse che gli erano rivolte erano intollerabili e temeva di non poterlo dimostrare.
«Signor Benton, lei era di guardia ieri sera e ha visto mio figlio entrare nel magazzino. Che altro ha visto?»
«Non saprei, capitano. Ho visto il ragazzo, ma ho pensato si trattasse di una bravata e non ho detto niente. In fondo si tratta di suo figlio...»
«Lei non deve pensare. Doveva riferire immediatamente a un superiore: mio figlio vive qui e conosce le regole... e sa anche che infrangerle ha un prezzo.»
L'uomo fece spallucce, ma rispose con un rispettoso "sissignore, mi perdoni, signore". Il capitano decise di lasciar correre il gesto poco appropriato e continuò con un sospiro.
«Quindi non ha visto nient'altro?»
«No, signore, ho continuato il mio giro e non ho visto quando il ragazzo è uscito né se qualcun altro sia entrato in seguito.»
Il capitano gli lanciò uno sguardo sprezzante: quell'imbecille aveva sottovalutato il problema liquidandolo come la bravata di un ragazzo e adesso suo figlio si trovava in quel guaio. Se almeno l'avesse denunciato tempestivamente, non sarebbe successo nulla di grave: gli sarebbe bastato rifilargli uno scappellotto e mandarlo a dormire, invece che lasciarlo a gironzolare di notte per il forte, del tutto annebbiato dalla vista di una femmina.
«Va bene. Per quanto ne sappiamo potrebbe essere stato il ragazzo a portare fuori dal magazzino la roba e consegnarla ai coloni, oppure potrebbe avergli fatto vedere dove si nascondeva la chiave, ma onestamente non riesco a pensare un motivo valido per crederlo.»
Jonathan sussultò; forse suo padre era dalla sua parte, in fondo.
«Magari qualcuno l'ha visto andare nel magazzino e l'ha tenuto d'occhio mentre riponeva la chiave al suo posto. Qualcuno della carovana che se n'è andato stamattina, intendo» intervenne il tenente, venendo in soccorso al capitano. Aveva capito dove voleva arrivare ed era disposto ad aiutarlo a trarre d'impaccio il figlio: anche lui non lo riteneva capace di un atto simile.
«Va bene, se nessun altro ha motivo di credere che il ragazzo sia il responsabile del furto, direi che possiamo chiudere l'incidente; non prima però di affidare la chiave del magazzino a lei, signor Reynolds: dopo i fatti di ieri direi che non è più prudente lasciarla in un posto raggiungibile a chiunque.»
Jonathan riprese a respirare mentre gli altri annuivano gravemente: nessuno sembrava volerlo considerare colpevole.
«Per quanto riguarda il resto però, signor Rivers, lo affido a lei: penso che un paio di turni di guardia potrebbero essere un buon modo per aiutarlo a espiare le sue colpe o magari qualche lavoretto aggiuntivo. Scateni la sua fantasia. Potete andare, grazie.»
Il ragazzo stava per imboccare la porta con gli altri quando suo padre lo bloccò.
«Tu, Jonathan, rimani qui: dobbiamo fare ancora due chiacchiere.»
Il ragazzo sentì un brivido corrergli giù per la spina dorsale: cosa voleva ancora da lui?
Il capitano chiuse la porta e lo fissò senza apparente emozione, ma Jonathan aveva imparato a conoscerlo e sapeva che dietro quella maschera di impassibilità si celava un groviglio di sentimenti contrastanti che avrebbero potuto annientarlo. Raccogliendo le ultime briciole di coraggio decise di giocare d'anticipo.
«Perdonatemi, padre... non credevo di creare tanto scompiglio e...»
«Se tu fossi più attento alle regole, vedresti che non ti cacceresti nei guai» lo interruppe infastidito.
«Per stavolta te la sei cavata a buon mercato, ma non pensare che io sia disposto a difenderti per sempre: se sei deciso ad arruolarti, te la dovrai vedere da solo.»
Il ragazzo s'irrigidì e deglutì a fatica un groppo di saliva cercando di non distogliere lo sguardo, senza osare quasi respirare. Il padre lo mise alla prova fissandolo in silenzio per un tempo incalcolabile, poi decise di non rincarare la dose: gli sembrava che avesse imparato la lezione.
«E adesso stammi a sentire... Non mi interessa cosa hai combinato con quella ragazza ieri, non lo voglio sapere, ma ti devi scegliere meglio le compagnie. Puoi puntare più in alto di una specie di prostituta al seguito di una carovana... Davvero hai creduto che fosse la figlia indifesa di un colono? Svegliati. Non devi andare con certe donne, neppure per fare esperienza. Non so che idee ti abbia messo in testa quella soldataglia là fuori – e non guardarmi in quel modo: pensi che non sappia che razza di discorsi osceni circolino nelle camerate? – ma tu e tuo fratello non dovete mischiarvi con quella feccia, hai capito? Tieniti lontano da quel tipo di femmine se non vuoi che ti sistemi per le feste, e adesso vattene.»
Jonathan stava quasi per mettersi a piangere, quel discorso l'aveva definitivamente distrutto: non solo si era scontrato con la possibilità che quella donna l'avesse ingannato con le sue moine, ma pure il padre l'aveva bollata come una prostituta togliendo ogni dignità alla sua conquista. Avrebbe voluto morire. Trattenendo a stento le lacrime si precipitò fuori dall'ufficio andando a nascondersi dietro all'arsenale dove, solo, ebbe modo di sfogare finalmente la sua frustrazione prendendo a calci la parete di legno. Come aveva potuto essere tanto ingenuo?
Il ricordo di quel seno morbido, di quel sorriso smagliante e di quelle labbra così turgide che tanto l'avevano fatto impazzire adesso bruciava come un tizzone ardente, tormentandolo. Quel piacere fugace si era rivelato effimero e falso e per di più l'aveva messo in cattiva luce con suo padre: l'aveva deluso per l'ennesima volta.
Si lasciò cadere seduto con le spalle al muro e si permise di piangere come un bambino, come non faceva da tempo.
«Deve essere successo qualcosa a Jonathan» disse Sabrina e toccò timida una manica del fratello interrompendo il suo lavoro. Robert si voltò a fissarla, stupito.
«In che senso?»
«Ero con nostro padre, è entrato il sergente Rivers parlando di un furto e di Jonathan che era stato visto in giro ieri notte...»
Robert sgranò gli occhi: furto? Che storia era mai quella?
«E poi?» la incalzò.
«Non lo so... Nostro padre mi ha detto di andarmene e quando sono tornata nella nostra baracca c'erano dentro dei soldati che frugavano dappertutto e ho pensato di venirti a cercare.»
«Di sicuro c'è un malinteso... Jonathan non ruberebbe mai niente!»
«Sembri così sicuro...»
«Tu non lo conosci. Potrà non essere simpatico con te, ma non è un ladro. Vado a cercarlo» la zittì, infastidito dalla velata accusa, quasi godesse di vedere che quel fratello che la osteggiava era nei guai.
«Ti accompagno» azzardò, ma lui la bloccò con un gesto perentorio.
«Tu stanne fuori.» Sembrava quasi una minaccia e la ragazzina rimase zitta, offesa da tanta scortesia.
Robert trovò il fratello poco dopo e senza dire una parola si accomodò al suo fianco, muto testimone della sua sventura. Si limitò a stargli accanto, senza tentare di confortarlo per non offendere il suo orgoglio. Sperava solo che Sabrina non osasse disobbedire al suo ordine e si mettesse a ficcanasare, temeva che Jonathan non l'avrebbe sopportato di farsi vedere da lei in quelle condizioni.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top