Poker Face
Secondo le sue fonti, la chiave era nelle mani di una mummia.
In realtà non gli era stato riferito esattamente così, ma quando Chuuya era entrato nella taverna non aveva visto alcun "Demone Prodigio, allontanati da lui appena puoi, ti farà esplodere il cervello con i suoi tranelli mentali!", ma solamente un mucchio di ubriaconi sciatti che cantavano canzoni piratesche con più rum che sangue in circolo e un'unica persona che gli aveva fatto prudere le mani dalla voglia di scaraventarla contro un muro non appena l'aveva scorta, opportunamente ricoperta di bende dalla testa ai piedi. E quando diceva "dalla testa ai piedi" lo intendeva con tutte le ragioni.
Ne fu stupito: risposte inconsce di tale portata non erano la quotidianità per il suo corpo, ma appena vide quel sorriso largo e viscido e quegli occhi dalle palpebre mezze calate rossastri e giudicanti, venne investito da un brivido lungo la spina dorsale che lo spinse ad alzare in un secondo tutte le sue difese.
Capì che quella era la persona che stava cercando.
Lo vedeva guardare brindisi rumorosi trasformarsi in risse spacca tavoli con la perfida calma di sapeva esserne il diabolico artefice e Chuuya decise di avvicinarsi al bancone dove era seduto, accomodandosi a qualche sedia di distanza con la spada che batteva alla sua gamba ad ogni passo. Il gestore gli piazzò sotto il naso una bottiglia polverosa di quello che sperava fosse vino, uno qualsiasi e non quelli che amava bere solitamente, ma era sicuro si trattasse solamente di rum annacquato di pessima qualità.
Soppresse una smorfia e pulì il collo con un colpo di manica prima di attaccarsi per prendere il primo, orribile sorso. "Questa cosa fa schifo!" Informò il gestore con rabbia, sbattendo con un tonfo la bottiglia sul legno del bancone.
Quello si limitò ad alzare le spalle, passando lo straccio sporco su boccali in legno già lerci.
Chuuya digrignò i denti, portando la bottiglia alle labbra dopo aver strofinato forte il vetro con un lembo di camicia, decidendo velocemente che avrebbe bruciato quei vestiti una volta terminata la missione.
Non era solito bere in quei frangenti ma, seriamente, quello non poteva essere nemmeno definito alcool. L'acqua la faceva da padrona, attenuando tristemente il pizzicore alcolico e facendogli chiedere quanto cazzo avessero bevuto gli ubriaconi al centro della sala se quello era il risultato.
Una gamba di legno volò alla fine di quel pensiero, roteando sopra la sua testa e ficcandosi violentemente dentro una vetrina che non aveva senso di esistere. Una rapida occhiata incuriosita e sì, la gamba non era di una sedia ma di uno dei casinisti che picchiava felicemente per chissà quale motivo.
Una sedia intera seguì la gamba di legno e Chuuya ritornò a concentrarsi sulla sua bevanda, annoiato e già stufo, pulendone ulteriormente il collo e scrutando per ogni possibile macchia disgustosa.
"Un pirata con senso di igiene." La voce cantilenante lo raggiunse nonostante la cacofonia di urla e mobili spaccati, tranquilla e piacevolmente incurante come se adulti alterati non si stessero azzuffando poco più in là. Chuuya alzò un sopracciglio ma non si girò, preferendo ingollare altra acqua sporca senza dar segno di aver ascoltato. A quello sembrò non interessare. "Curioso."
"Che non mi piaccia prendermi qualcosa? È già abbastanza deprimente così com'è."
Quello sogghignò. Lo vide con la coda dell'occhio e sentì l'irritazione cominciare a ribollire piano. "L'alcool o la bottiglia?" Sentì domandare, inclinando la testa come un gatto sornione.
"Questo rum non è rum." Borbottò senza staccare le labbra dal vetro. "E la bottiglia è da buttare direttamente."
"Avrei preferito non sapere di cosa parli, in realtà." Chuuya lo sentì sospirare. Si ritrovò a guardarlo scuotere la testa con aria dispiaciuta, come se tutti i problemi del mondo fossero sulle sue rachitiche spalle provate. "Concordare con qualcuno con un cappello del genere, sento il mio noto buon gusto tremare di terrore."
"Oi, bastardo!" Non poteva ammazzarlo. Non in quel momento almeno, era troppo presto. "Che hai da dire contro il mio cappello?"
Quel sogghigno si allargò solamente. "Parecchie cose." Chuuya lo vide scendere dallo sgabello ed abbassarsi nell'attimo preciso in cui una bottiglia volò contro la sua testa, umile regalo dei rissosi poco più avanti. Si risollevò con una fluidità all'apparenza così naturale, come se l'azione fosse una conseguenza e non qualcosa di voluto e Chuuya strinse le palpebre, improvvisamente infastidito.
Lo guardò prendere lo sgabello accanto a lui e avvicinarlo ancora di più, sedendosi mollemente e dando la schiena al gestore incurante, come a voler ammirare il devasto del locale che ancora andava avanti imperterrito. L'inclinazione della sua testa, il sorriso di merda, il gomito ossuto largo a toccare il suo gli confermarono che, davvero, non gliene fregava un cazzo. "È atroce. Spero tu l'abbia rubato, perché non vale nemmeno un doblone bucato -"
"È stato cucito dal cazzo di cappellaio migliore d'Inghilterra, stronzo."
"- ma se l'avessi rubato mi ritroverei a chiedere cosa ti abbia spinto a commettere questa cattiveria verso i miei occhi e voglio credere che fosse una scommessa andata orribilmente." Lo guardò battere ottusamente le palpebre, pensoso. "In Inghilterra puoi commissionare cappelli da pirata?"
"Se sei molto convincente sì." Ringhiò Chuuya.
"Per questo è così brutto? Quel pover'uomo non ha retto l'onta di essere minacciato da un bambino e si è vendicato così?"
"Sono talmente uomo da spararti nelle ginocchia e giocare con le tue rotule frantumate!"
Quello mosse una mano, come a scacciare una mosca. "Passo." Mugugnò cantilenante, facendogli schizzare il sangue al cervello. "Odio il dolore e questo mi sembra inutilmente doloroso."
"La quantità di bende che hai addosso dice il contrario." Un tavolo volante si fece vivo nel suo campo visivo e il gestore finalmente imprecò, prendendo un fucile da sotto il bancone. Chuuya non se ne preoccupò più di tanto. "Di' un po', hai qualcosa da nascondere là sotto?"
"Aaah orrore! Molestato da un chibi così microscopico!"
Il suo ruggito indignato a quella palese menzogna venne coperto dallo sparo del gestore, che non risolse assolutamente nulla per fermare il gruppo di bucanieri alticci che se le dava di santa ragione ma fu fondamentale per annullargli temporaneamente l'udito e non costringerlo a sentire le parole senza senso del fagiolo bendato accanto a lui.
Ne fu in parte felice, perché evitare di ascoltare certe idiozie salvava il suo cervello dal cannibalizzarsi senza remore per tentare ogni possibilità di salvezza, ma al tempo stesso era controproducente.
L'idiota non faceva altro che parlare e parlare e parlare e, dalla faccia da sgombro e l'atteggiamento da gran dama del cazzo, con tanto di dorso della mano sulla fronte e l'altra a stringere il petto lì dove avrebbe dovuto essere il cuore ma che sicuramente era stato trasferito per mai più tornare e sostituito da un rotolo di bende sporche, poteva dire che si trattava di enormi stronzate senza dover sentire nemmeno una parola.
Rimaneva tuttavia controproducente, perché quel bastardo aveva sicuramente la chiave e Chuuya avrebbe dovuto capire presto dove la tenesse e come sfilargliela senza che se ne accorgesse. Sentire cosa avesse da dire sarebbe stato utile, anche solo per poter leggere tra le righe e studiarne il linguaggio del corpo.
Sfortunatamente, l'udito tornò in un punto di quel ciarlare senza logica molto triste. "... prendermi la tua verginità, sarebbe così onorevole da parte mia!"
"Ah?!?" Gracchiò Chuuya alzandosi in piedi. "Chi diavolo vorrebbe venire a letto con te?"
"Oh, tante bellissime signorine." Lo vide guardarlo dalla testa ai piedi, il ghigno che diventava solo più largo. "Sarebbe beneficenza concederti il mio corpo per toglierti il peso della prima volta."
"Solo un pazzo accetterebbe qualcosa tutta ossa come te!" La mano si strinse sull'elsa della spada, ma non la sguainò. Gli occhi della mummia si concentrarono sulle dita strette nell'impugnatura. "E non sono vergine!"
Quello cominciò a ridacchiare in maniera odiosa. "Fu fu fu, non c'è bisogno di mentire." Staccò l'attenzione dalla spada guardandolo negli occhi e Chuuya strinse le palpebre, serrando forte i denti. "Non quando è così evidente."
"Evidente un cazzo!" Il gestore sparò di nuovo e una finestra andò in frantumi. Mille vetri schizzarono tra gli ubriaconi rissosi, che continuarono imperterriti a picchiarsi rotolando fin fuori dal locale. "Scommetto quello che vuoi che sono molto meglio di te!"
La mummia rilassò il sorriso, guardandolo ringhiare rabbioso come se non fosse ad un secondo dallo spaccargli la faccia. Si alzò in piedi – e merda era alto. Non l'aveva notato prima. Grandissimo pesce allampanato! – e si sistemò la giacca nera, tirando il bavero con gesti consumati. "Andiamo, allora."
*
Era stranamente soddisfacente sbattere quel pesce del cazzo contro la porta di quella stanza.
Ancora.
E ancora.
E ancora ancora ancora.
Chuuya aveva passato tutto il tragitto dalla taverna al bordello di conoscenza della mummia – breve, molto breve. Erano sembrate miglia. – cercando di non ascoltare i tentativi di quel bastardo di farlo vomitare, sentendolo descrivere minuziosamente come lo avrebbe graziato della perdita della sua realmente inesistente verginità con parole francamente rivoltanti.
Avrebbe pensato cominciasse a proferire frasi sboccate e porcate di prima scelta, puntando ad indignarlo con schifezze sessuali più o meno fattibili. Lo avrebbe preferito, in realtà, avrebbe almeno saputo come ribattere – calci, sempre calci.
Invece, contro ogni aspettativa – o come le sue fonti avevano tentato di avvertirlo più volte – quell'essere malefico fece di peggio.
Nemmeno si trattasse una gran dama dalle caviglie coperte e ventaglio davanti la bocca, venne premiato con frasi che parlavano di baci e di tenerezze, di carezze e di romanticismo, di candele e petali di rosa come se piovesse. Il tutto condito con occhi astuti e divertiti che controllavano soddisfatti il suo disgusto palese, con piccoli tocchi sulla spina dorsale appena percepibili ma oh, così odiosi di cui poteva sentire la pressione dei polpastrelli prima ancora che lo toccasse effettivamente, con lo sfioramento delle sue spalle, del suoi capelli, del suo straordinario cappello – quest'ultimo, in realtà, era stato vittima di un susseguirsi di tentativi di furto che puntavano a fargli fare una fine orribile, ma il fine ultimo era comune a tutti: fargli rimettere tutto il rum annacquato che non era riuscito nemmeno ad intaccare il suo sangue - cosa che di solito era qualcosa che capitava molto velocemente -, possibilmente sulle sue scarpe di merda.
Di conseguenza, mordergli quella cazzo di lingua appena varcata la soglia della camera da letto e sbatterlo contro la porta ancora e ancora e ancora, sperando che il pomello gli entrasse nella spina dorsale e lo lasciasse svenuto e sbavante per facilitargli il lavoro e dargli il sollievo mentale che anelava come aria, era semplicemente un modo per sfogare il ripugnante spettacolo che gli era stato offerto.
L'unico problema, con sorpresa di nessuno, era che sembrava che al pesce non dispiacesse più di tanto essere sballottato come un polpo su una roccia.
Arricciò la lingua contro la sua, sentendo dei canini molto da squalo tentare di appropriarsi del suo labbro inferiore. "Se continui a sbattermi in questo modo ti vomiterò addosso." Gli sussurrò sulla bocca, prima di riprendere possesso della sua lingua ed impedirgli di rispondere.
Ah! Era lui ad avere la faccia di lamentarsi? Seriamente?
Lo morse, perché se lo meritava totalmente. "Se non stai zitto ti stacco la lingua!" Sibilò Chuuya con molta coerenza, spingendolo contro la porta e sentendo quella testa piena di capelli spettinati sbattere con un tonfo.
Non sembrò importargli più di tanto. Era troppo impegnato ad asciugare una lacrima inesistente dal suo unico occhio visibile, fintamente commosso e realmente derisorio, sospirando "Aaah, l'esuberanza dei primi timidi tocchi!"
"NON SONO VERGINE!"
"Ma certo che non lo sei!" Il tono condiscendente gli fece venire voglia di sballottarlo ancora di più, magari attraverso un muro. Magari lanciandolo fuori dalla finestra.
Non lo fece solo perché notò un luccichio particolare in una tasca di quell'orrendo cappotto scuro e sì cazzo, era arrivato fin lì per la chiave!
Chuuya digrignò i denti, perché quel bastardo lo stava facendo uscire fuori di testa distruggendogli la concentrazione. Era abile a farlo, cazzo. "Ora ora, sai che bisogna togliersi i vestiti?"
Beh in realtà non era totalmente necessario, ma la chiave aveva la priorità.
Prese i lembi di quel giaccone orribile e lo spinse giù per le sue spalle, attaccandogli la bocca per farlo stare zitto.
Lo sgombro era parecchio più piacevole con la lingua occupata. Gli dava il tempo di tastare braccia, petto, fianchi, cercando di avvertire la sagoma di una chiave con troppa saliva sulla faccia e respiro corto e umido.
Non pensò a quelle dita tentacolari e infide finché non le sentì appropriarsi del suo sedere e stringere. "Sai," Mormorò sulla sua bocca, tirandolo forte contro il bacino e facendogli sentire qualcosa di molto duro e molto interessato tentare di bucargli i pantaloni. "questo va dentr-"
"Se dici un'altra parola ti spacco i denti." Ringhiò Chuuya mordendogli il mento e guardando il suo broncio insofferente.
Successe in un secondo scarso.
Troppo concentrato a scavare nella tasca del cappotto, Chuuya si ritrovò con le spalle contro la porta, sovrastato da un fagiolo ghignante che decise di azzannarlo al collo come il più schifoso dei serpenti marini avvolto da bende puzzolenti.
"Oi." Chuuya gli afferrò i capelli, tirandolo di un soffio il tempo di riportarlo sulla bocca. "Non devi segnarmi." L'avvertimento era deciso e brusco ma quel ghigno prometteva di non ascoltarlo nemmeno per un secondo. Ricominciò a baciarlo, trovandogli la bocca pronta e tirata in un sorriso soffocato, sentendolo lavorare lento sull'arcata superiore, sul palato, poi di nuovo sulla lingua, prendendola tra le labbra e succhiandola con suoni bagnati, facendolo sbuffare di naso per la palese presa in giro.
Una di quelle gambe ridicolmente lunghe e secche si alzò, un ginocchio ossuto spinse sul suo inguine facendolo mugugnare di sorpresa mal contenuta e cominciare a muoversi con intenzione, lingua che violava la sua e bacino inclinato, a macinare contro il muscolo della coscia e tentare di piegargli le ginocchia ricambiando il favore, spingendo forte verso di lui e sentendolo gemere roco contro il suo orecchio.
Chuuya non riuscì a compiacersene.
Non aveva abbastanza lucidità per farlo, troppo concentrato a ricercare quel suono convincendolo a riversarlo nella sua bocca, i vestiti che cominciavano ad essere un fastidio generale e il bisogno di toglierli, di sbarazzarsene. Il suono stretto di pelle che veniva tirata, quello metallico della cinta libera dalla fibbia e il tonfo pesante della spada per terra, il pugnale dentro la sua giacca che la seguiva con un rumore più soffocato, la necessità spogliarlo di quel cappotto orribilmente sgualcito e ... cazzo eccola!
Acciaio stranamente fresco contro la sua pelle calda, metallico, unico. La sorpresa lo portò a stringere le dita d'istinto, afferrando la chiave nel momento in cui il bastardo approfittò della sua piccola distrazione per passare le mani sotto il gilet e prenderlo per i fianchi, sopra la camicia, polpastrelli ad imprimere il passaggio dalla schiena al sedere e gambe che venivano costrette a seguirlo fin sul letto, dove venne gettato come un sacco di grano.
"Sei veramente tanto vestito." Si imbronciò la mummia scrutandolo con occhio pigro. Aveva la faccia rossa e il respiro corto, il mento bagnato di saliva e la bocca gonfia e lucida. Chuuya si morse l'interno della guancia, uccidendo la voglia di ricominciare a baciarlo per zittirlo una volta per tutte. "Mi annoierò prima che riesca a vedere qualcosa."
Chuuya strinse la chiave nella mano e il movimento portò l'idiota a far scattare gli occhi lì, dove non avrebbe dovuto. Fu veloce ad afferrarlo per il bavero e tirarselo addosso, la chiave che velocemente veniva riposta tra i mille strati dei suoi vestiti e il bacino che spingeva contro il suo, distraendolo abbastanza per metterla al sicuro.
Sentì il suo ghigno senza vederlo e sapeva che avrebbe detto una stronzata. Ne era certo. "Penso che ti lascerò il cappello in testa."
"Penso che tu sia pieno di merda." Gli aprì la camicia con gesti secchi e si ritrovò davanti una muraglia di tutt'altra natura. Si accigliò. "Hai intenzione di farlo così?" Domandò, permettendogli si sovrastarlo e spogliarlo con dita sicure.
"Mmmh ..." Sembrava troppo preso a sbucciarlo come una cipolla per dargli retta. Chuuya gli infilzò il fianco col ginocchio. "Aaah chibi, lasciami lavorare!"
"Che cazzo di problema hai sotto quelle bende?"
"Non posso dirtelo, altrimenti diventerai ancora più basso." Lo vide sorridere, gli occhi che si illuminavano leggermente alla vista della sua pelle da sotto la camicia. "Dazai."
Chuuya batté gli occhi, le mani sui pantaloni dell'altro per slacciarli veloce. "Cos'è? Una maledizione?"
Ci era andato vicino. "Il nome che dirai sognante a chi ti chiederà della perdita della tua innocenza."
Avrebbe voluto imprecare.
Avrebbe voluto picchiarlo.
Avrebbe voluto veramente tanto.
Ma una mano dalle dita lunghe lo afferrò a tradimento e, davvero, era meglio zittire quello stronzo occupandogli la bocca, sembrava davvero l'unica soluzione per un po' di tranquillità.
*
Quindi quello era Nakahara Chuuya, il capitano delle Pecore.
Dazai scoccò un'occhiata accanto a lui, guardando quel piccolo piccolo essere rosso dormire a bocca aperta e sbavare come se avesse saliva gratuita da regalare al mondo.
Gli occhi indugiarono su quel collo lungo e le spalle minuscole, scivolando sulla schiena flessuosa e segnata di denti e baci. Non aveva capito perché avesse sentito il bisogno di lasciargli tutti quei segni, ma il morso sulla sua mandibola, unico punto libero dalle bende che quell'animale selvatico era riuscito ad azzannare, era decisamente bollente, pulsando ancora malignamente e facendogli decidere che, dal momento che quella particolare barca era stata assaltata da entrambi, poteva relegare tutto al momento decisamente poco lucido.
Si era divertito, inutile negarlo.
Quando gli era stato assegnato, aveva pensato che quel lavoro si sarebbe rivelato oltremodo noioso, facendogli decidere di puntare la preda e ammazzarla direttamente per impossessarsi velocemente di Corruzione, dimora maledetta di Arahabaki, per poi tornarsene alla nave e continuare con il suo studio sentito di suicidio indolore. Non avrebbe mai potuto prevedere una testa rossa con poca pazienza, minima altezza e troppo divertente da prendere in giro.
Il sesso era stato un plus graditissimo e decisamente apprezzato, ma aveva una missione da compiere e l'ultima cosa che voleva era Mori che gli stava col fiato sul collo ridacchiando inquietantemente con quel suo ghigno viscido fin troppo consapevole.
Si rivestì velocemente, senza preoccuparsi di attutire rumori molesti e guardando divertito il capitano delle Pecore continuare a dormire senza alcun problema al mondo.
Non fece attenzione a dove mise i piedi quando si impossessò della spada, né del suono metallico che fece la lama contro il fodero quando la sguainò per ammirarla.
Aveva intarsi rossi sull'impugnatura e strisce di cuoio nero tutto attorno. Incisioni arabescate sulla lama, così complicate da sembrare una maledizione. Lucida, affilata, pesante, tanto che aveva la sensazione che gli si potesse spezzare il polso da un momento all'altro. Pensava avessee potuto sentire la forza di un Dio come quello sigillato tra acciaio e sangue ma no, ai suoi occhi ignoranti sembrava solo una spada come un'altra che sembrava solo dover compensare qualcosa per qualcuno più basso di un cane.
Beh, non era un suo problema. Sarebbe stato solo felice a sapere di una leggenda farlocca tra le mani di un Mori compiaciuto.
Rinfoderò l'arma e rubò la cinta dagli averi del chibi, legandosela ai fianchi per portare il suo premio più agevolmente.
Non si voltò a controllare Chuuya quando aprì la porta, consapevole che si sarebbero rivisti presto.
In fin dei conti, gli aveva rubato la chiave.
*
"Gentaglia! Prendete le botti del miglior vino, stasera si festeggia!"
Chuuya si annunciò così, aprendo le porte sgangherate della locanda dove le Pecore avevano deciso di stabilirsi in attesa della conclusione della missione e stringendo la chiave nel pugno, alzando in braccio per farla vedere ai suoi compagni.
Grida di giubilo e fischi di contentezza lo invasero, insieme a abbai di ordini a locandieri indaffarati e rumori secchi di sedie che grattavano sul pavimento.
"Ce l'hai fatta!" Lo abbracciò Shirase con slancio, prendendo la chiave dalla sua mano per guardarla con occhi enormi. Chuuya si sedette a un tavolo con fare compiaciuto, mentre anche Yuan si avvicinava per guardare emozionata. "Ci sono stati intoppi?"
Intoppi?
Chuuya valutò la domanda, guardando i suoi compagni afferrare i vassoi di carne e portarli al tavolaccio senza stare attenti agli ostacoli.
Uno solo, in realtà, e non era nemmeno valutabile come intoppo.
Più come sgombro bendato, mummia puzzolente, rompicoglioni regale.
Afferrò un boccale, portandolo alle labbra e scoprendo che si trattava di birra scura. "Perché lo chiedi?" Domandò con una smorfia, togliendo la schiuma dal labbro superiore e guardando le bollicine bianche scoppiare su un mare brunastro.
"Beh, ci hai messo più del previsto." Sì, perché aveva dovuto raggirare un fagiolo con mani tentacolari e farlo stare zitto il tempo di derubarlo. Avrebbe potuto ucciderlo, ma assassinare un membro della Port Mafia, in quel momento, equivaleva a disegnarsi un bersaglio dietro la schiena. Chuuya non aveva problemi del genere, in realtà, ma l'ultima cosa che voleva era mettere nei guai i suoi compagni a causa di un idiota dalla cantilena psicotica.
"Quel Dazai ha rotto le palle più del dovuto." Borbottò battendo il boccale sul tavolo, afferrando il pane portato da qualche volontario troppo felice.
"Dazai?" Yuan batté gli occhi, alzando lo sguardo dalla chiave e aggrottando le sopracciglia. "Dazai Osamu? Quel Dazai?"
"Non so come si chiami, non so nemmeno se è un nome vero."
Yuan ridacchiò, le guance le si fecero rosa e cominciò ad attorcigliarsi una ciocca di capelli attorno al dito. "Alto, pieno di bende, molto molto carino ..."
"L'espressione terrificante di chi riesce a leggere ogni parola che pensi usandola contro di te." Shirase non condivideva l'entusiasmo della loro compagna. Lo capiva, Chuuya si sentiva la faccia deformata in una smorfia schifata. "Lui?"
"Se è un maledetto cialtrone con un occhio solo sì."
Chuuya vide Shirase rabbrividire e Yuan cominciare a strillare esaltata, indicando verso di lui anche troppo entusiasta. "È lui che ti ha fatto quel succhiotto?"
No. Cazzo no.
Chuuya sbatté una mano sul collo, sentendo la faccia andare a fuoco e il punto sulla sua pelle bollire di dispetto. "Ci siamo picchiati!" Sbraitò alzandosi in piedi di scatto, il palmo ben appiccicato a coprire le prove.
"Con la bocca?" Yuan ridacchiò implacabile e Shirase gemette, facendo scivolare la chiave verso di lui. Chuuya la afferrò con rabbia. "Con i calci!" Sottolineò rabbioso. "Potenti calci, è andato a terra in mezzo secondo!"
Non era del tutto una bugia. Chuuya aveva la sensazione che sarebbe bastato uno schiaffo nemmeno troppo forte per far piagnucolare la mummia e farlo scappare con la coda tra le gambe.
Il sorriso di Yuan, però, non voleva sparire. "Ha lasciato l'impronta dei denti." Al che Chuuya infilò la chiave nella giacca e la guardò malissimo, ottenendo solo di farla ridere di più. "Non capisco perché lo neghi, se Shirase fosse riuscito a convincerlo ad unirsi di certo ci avrei provato anche io."
"Cosa?" Il sibilo che gli uscì fuori riuscì a far impallidire Shirase peggio del ricordo di Dazai. "Hai provato a reclutare quel bastardo?"
"È una mente geniale, ok? E poi era decisione del Consiglio!"
"Faccio parte del Consiglio, perché non ne sapevo niente?"
"Chuuya-kun, probabilmente perché sapevano che non avresti accettato." Si intromise Yuan con molto poco buonsenso.
"SICURAMENTE NON AVREI ACCETTATO!" Sbraitò Chuuya. "Come ci si può fidare di uno con quella faccia?!?"
"Aaww che carino! Ti ricordi ancora della sua faccia!"
Chuuya si sentì esplodere e Yuan ridacchiò, sorda ai tentativi di Shirase di zittirla. Poi, però, Shirase notò una cosa molto importante. "Dov'è la spada?"
Abbassò la testa verso i suoi fianchi e, in effetti, la spada non era presente. Nemmeno la cinta con il fodero, in realtà.
Se Yuan continuò a ridere Chuuya si fece serio, capendo velocemente che niente della sera prima era stato casuale da entrambe le parti.
Lui cercava la chiave della stanza del tesoro della Vita Sexualis, la nave principale della flotta della Port Mafia dal nome più schifoso esistente, il sacco di bende puntava a qualcosa di così importante e pericoloso da convincersi ad avvicinarlo e sperare di avere salva la vita.
Corruzione. Lo stronzo voleva Corruzione e chissà cosa ci avrebbe fatto Mori, dall'alto della pazzia omicida conosciuta da ogni malvivente che bazzicava in quel mondo fatiscente. La sua fama attraversava gli oceani, era il terrore di tutti i mari conosciuti e non, il potere di un Dio tra le sue mani avrebbe significato distruzione e guerra.
Sogghignò, passando la lingua sui canini appuntiti.
Non si era accorto della mancanza di una spada, perché Corruzione era ancora con lui. Era sempre con lui.
"Ritorniamo alla nave." Stabilì fermo. Malgrado le dicerie, le Pecore non avevano un capitano ma un Consiglio e le decisioni venivano prese insieme. "Aduniamo il Consiglio."
"È successo qualcosa?" La domanda di Shirase servì solo ad allargare il suo ghigno.
"Dobbiamo preparare armi e cannoni." Spiegò Chuuya dandogli le spalle e uscendo fuori dalla locanda. "Attaccheremo all'alba."
*
"Fu fu fu fu ̴"
"È bello vederti così felice."
Dazai vide con la coda dell'occhio Ango guardare allibito Oda, per poi rituffarsi sul suo bicchiere di cognac e concentrarsi sull'enorme blocco di ghiaccio che rotolava allegro.
Era comico, a pensarci: due membri della Port Mafia e un doppiogiochista della Marina che si incontravano nel porto franco per antonomasia, il Golden Demon.
Mori ne aveva fatto la sua base segreta e una delle sue entrate più redditizie, spogliando chiunque ne varcasse l'ingresso di titoli e prestigi riducendoli a meri esseri umani in cerca di piacere e divertimento. Kouyou-san era fin troppo abile a blandire e coccolare cariche di un certo livello equiparandoli comunque a bucanieri anonimi che capitavano per caso, mantenendo alto l'interesse ma facendo in modo che i suoi collaboratori e gli altri clienti fossero protetti da qualsiasi molestia e violenza.
Dazai non aveva mai avuto amici, ma forse quei due potevano avvicinarsi.
Sakaguchi Ango con i suoi movimenti nell'ombra, a passare informazioni alla Marina e alla Port Mafia rientrando nel libro paga dell'uno e dell'altra, facendo rapporto ad un onnisciente Mori e prestando falso giuramento ad un ignorante Re.
Oda Sakunosuke, invece, con la sua purezza, quella di cui Dazai non pensava di aver bisogno in quel mondo di bugie e vite inutili. Oda raccoglieva orfani e dava loro una casa, trovava lavori onesti a ragazze madri e spingeva ragazzini a far qualcosa di bello della loro vita, puntare all'onestà e alla felicità. Denigrava gli omicidi, ma svolgeva le sue missioni con precisione e pulizia: era il membro della Port Mafia su cui ci si poteva fidare di più per portare a termine i lavori, con un tasso di assassini quasi pari a zero e di successi a cento.
Si trovavano spesso al Golden Demon loro tre insieme, Dazai a prenderli in giro per il loro avvicinamento mai dichiarato e loro a rispondere di conseguenza.
Quella sera, il morso alla mandibola di Dazai fu il motivo della frase senza senso di OdaSaku.
"Dazai-kun, dovresti stare attento ad incontri del genere." Kouyou-san li raggiunse con passo delicato, bellissima e letale come sempre. Portava con sé una pezza bagnata che gli porse con grazia. "Non voglio malattie nel mio locale."
"Ane-san, la tua preoccupazione per la mia salute mi scalda il cuore." Prese il panno congelato con un sorriso a cui lei rispose con un cenno del capo, lo sprezzo tipico che provava nei suoi confronti apertamente in mostra.
Ango sospirò. "Kouyou-san, saresti così gentile da portare altro ghiaccio? Quel morso sembra provenire da una bestia selvatica."
"Fu fu fu, si è trattato solo di un piccolo piccolo cane ringhioso ̴"
Oda accennò un sorriso, portando il liquore alla bocca e spingendo la mano di Dazai verso la mandibola segnata. "Aveva la tua età?"
"Che importa? È terrificante sentirlo ridere in quel modo." Ango lo disse direttamente al blocco di ghiaccio nel bicchiere e Kouyou-san approvò con un grazioso cenno del capo. "Probabilmente lo avrà fatto arrabbiare." Mormorò dolcemente con un sorriso tagliente. Portò il ventaglio alle labbra, inclinando la testa. "Dazai-kun genera quel tipo di risposte nelle persone."
"Sono il tuo cliente più richiesto, Ane-san." Si vantò Dazai premendo la pezza sulla pelle violacea. "Sempre nel mio comportamento migliore con le graziose signorine." Dopo quello Kouyou-san decise di averne avuto abbastanza, congedandosi con educazione.
Rimasero tutti e tre seduti al bancone in silenzio, ad ascoltare le voci che riempivano la sala in attesa che si liberassero le camere per altri tipi di divertimenti, le risate vere di clienti affascinati e quelle finte di quegli ammaliatori che facevano parte dell'entourage di Kouyou-san, uomini e donne che concedevano il proprio corpo per lavoro e ottenevano dal Golden Demon più di quanto qualunque prostituta nelle strade potesse solamente sognare.
Cultura, protezione, sicurezza, denaro. La morale era discutibile come lo era in ogni lavoro simile, ma Kouyou-san non costringeva nessuno e non permetteva ai clienti di allargare i loro desideri a coloro che non accettavano o che non avrebbero mai toccato per propria decisione: la piccola Kyouka-chan, che nei suoi quattordici anni era un frutto prelibato per qualsiasi pervertito passasse di lì, era difesa ferocemente da tutti loro. Sarebbe stata una perfetta sostituta di Kouyou-san un giorno, ma senza la sofferenza o le scelte tormentate che avevano dovuto passare tutti i lavoratori di quel locale.
Avrebbero ucciso per perseverare la sua felicità ritrovata, non avrebbero permesso a nessuno di toccarla con un dito.
"Quella spada è del capitano delle Pecore?" La domanda di Oda portò Ango a battere gli occhi e spezzare i pensieri di Dazai, che ricominciò a sogghignare tastando il morso con dita sicure. "Devi consegnarlo a Mori-san."
"L'ho fatto." L'aria compiaciuta di Dazai fece scoppiare un piccolo mal di testa nelle tempie di Ango. "Ho incontrato Mori appena tornato, starà giocando con la spada ora."
"Cos'è quella che hai in quella cinta allora?" Ango soffriva. Lo capiva dalle palpebre strette e il liquore che venne ingollato tutto d'un fiato, facendo tintinnare il blocco di ghiaccio contro il vetro del bicchiere.
"Una spada." Evidenziò quindi l'ovvio, piegando la pezzuola e spingendola di nuovo sulla mandibola. "Mi passeresti il ghiaccio?"
"Dazai." Il tono di rimprovero di Oda non poteva essere preso sul serio. Non quando aveva adempiuto al suo compito. "Non conosco i dettagli della missione, ma ho sentito che il capitano delle Pecore non ha problemi ad uccidere."
"Ti ha quasi staccato il mento." Borbottò Ango chiedendo altro cognac. "Potrebbe finire il lavoro prima di domani."
Dazai leccò il labbro inferiore, il sogghigno compiaciuto che gli decorava la faccia.
Ango si ritrovò a sospirare e Oda a sorridere quando Dazai parlò, lanciando la pezza sul bancone lucido e alzandosi dalla sedia gonfia, salutandoli con un cenno. "È quello su cui conto."
*
Il Consiglio decise che non ci sarebbe stato alcun assalto.
Come obiettivo designato, la Port Mafia era estremamente pericolosa: dal momento che anche la più inutile delle navi di quella flotta aveva la capacità di farli saltare in aria prima ancora di farli avvicinare al suo raggio di azione, decidere di assaltare la Vita Sexualis pretendendo di passeggiare sotto il naso di un onnisciente Mori Ougai era semplicemente una richiesta masochisticamente suicida. Mentre nel primo caso la morte sarebbe sopraggiunta rapida, non indolore ma comunque abbastanza misericordiosa da spazzare via da quel mondo in tempi decisamente ristretti, Mori aveva fama di giocare con il cibo prima di mangiarlo e i suoi subordinati – lo sgombro in particolare, cosa che non sorprese Chuuya nemmeno per un secondo – erano famosi come esperti dei più sopraffini metodi di tortura conosciuti e non.
Di conseguenza, con una logica che Chuuya continuava a non capire del tutto se il fine ultimo era derubare tutta la stanza del tesoro, evitare di dare nell'occhio mandando un gruppo ristretto di persone sarebbe stata la soluzione ottimale. Pochi elementi scelti armati fino al collo e pronti a sacrificare la propria vita qualora fossero stati catturati, disposti a morire pur di non cantare sotto le sadiche dita bendate del demone prodigio impegnato in interrogatori di cattiveria inaudita e canzoncine inspide con voce acuta e ridondante.
I volontari, dopo quell'uscita e dopo aver occhieggiato l'impronta della bocca dello sgombro sul collo di Chuuya, evaporarono velocemente.
La missione, quindi, venne circoscritta ad un solo uomo, detentore di Corruzione ed irritato fin alla punta del suo bellissimo cappello da pirata.
Poco male, pensò Chuuya leggermente amaro guardando gli unici due mozzi a guardia della Vita Sexualis cadere privi di senso e senza emettere suono dopo un suo colpo ben fatto sul retro del collo, sarebbe stato molto più libero di agire come credeva.
Il fatto che la nave fosse ormeggiata al porto di Yokohama, buia e tranquilla come se al suo interno non ci fosse nessuno e con una protezione decisamente inesistente, fece squillare più di un campanello di allarme nella sua mente e nel suo istinto.
Chuuya non credeva al caso, né alla fortuna. La situazione si stava rivelando fuori controllo prima ancora di riuscire a mettere piede su quel ponte ed era la calma innaturale che aleggiava sinistra che lo spingeva ad alzare la guardia. Era impensabile che il galeone principale della Port Mafia fosse lasciato a sé stesso, con quella polena a forma di sirena - inquietantemente sorridente e dai lineamenti giovani in maniera allarmante - che sembrava voler incantare gli avventori, spingendoli a credere che sì, potevano farcela, potevano fregare Mori Ougai senza conseguenze se solo avessero preso coraggio e deciso di andare sotto coperta.
Chuuya era consapevole che non avrebbe trovato Mori là dentro, ma qualcuno forse infinitamente peggio per i suoi nervi. Ne era praticamente certo.
Nonostante ciò, aveva una stanza del tesoro da scassinare e nessuna idea di come portare quel bottino enorme con sé. Il problema principale, in fin dei conti, era quello: essere solo con milioni di dobloni e ricchezze da trasportare, non chiunque si fosse messo sulla sua strada. Quello era facilmente risolvibile.
Arrivare al ponte era stata una passeggiata, con quelle cime lasciate penzolare in un invito fin troppo esplicito. Anche lì sopra, sul legno pulito da poco, la desolazione regnava sovrana. Nessuna vedetta, nessuna guardia, nessun mozzo ubriaco, nessun sonnambulo suicida, nulla.
Solo desolazione.
Chuuya sospirò, cominciando a camminare con passo sicuro verso la stiva, certo che avrebbe continuato a non incontrare nessuno sul suo tragitto.
Fu quasi deluso quando raggiunse quella che era, ovviamente, la stanza del tesoro.
Non per la porta decorata con inserti dorati e pesanti, arzigogolati e fin troppo appariscenti, gli stipiti ricchi di talmente tanti metalli preziosi che da soli valevano la fortuna che stavano proteggendo.
Né per il legno di ciliegio in finitura pregiata, quel colore rossastro con disegni rettilinei che spiccava lucido, pulito e stranamente non intaccato dal sale e dall'umidità, tutto il contrario di qualsiasi altra cosa presente in ogni nave esistente e di cui quel galeone, nonostante la sua magnificenza e maestosità, non sembrava essere da meno.
Nemmeno per il pomello d'oro splendente, luccicante di lucidatura e qualcosa di troppo irreale per essere di quel mondo, con il chiavistello splendente e goloso che sembrava chiamare a sé gli avventori al pari della sirena come polena.
Ma perché lì accanto, trasudando essenza di sgombro mummificato, c'era un mazzo di carte spesse di salsedine, rovinate dal troppo uso e sicuramente segnate fino allo schifo, sistemate in uno schema di gioco che Chuuya non riconosceva e abbandonate lì a partita, per quanto ne poteva sapere, iniziata. Accanto c'erano bottiglie polverose di sakè, un paio vuote rotolate via dall'ondeggiare della nave e altre più o meno piene, come se il merdoso le avesse aperte solo per il gusto di assaggiarle e rovinarle per sempre.
Fu solo fortuna non trovarlo lì, a sogghignare malevolo e inventare chissà quale stronzata gli suggerisse quella testa piena di capelli. O un caso.
Ma Chuuya, come già ribadito, non credeva né al caso né alla fortuna quindi, quando infilò svelto la chiave nella toppa per terminare la sua missione e andarsene prima di vedere qualsiasi componente di quella ciurma di sadici psicopatici, non fu particolarmente stupito nello scoprire che non entrava.
Trattenne invece il respiro, stringendo le palpebre forte e schiacciando un'imprecazione tra i denti. Riprovò, forzando la chiave nella serratura cieco ad ogni spinta bloccata, ad ogni tentativo andato a male, ad ogni esperimento di posizionamento tattico perfettamente inutile.
Fu quando decise di lanciare via la chiave e alzare la gamba per sfondare la porta con un calcio ben piazzato che capì che quella non era proprio la sua nottata.
"Oh, sei arrivato." Chiocciò una voce che chiedeva pugni ad ogni sillaba, accompagnata da passi improvvisamente pesanti che scendevano i gradini di legno. "L'ultima cosa che avrei mai immaginato era che saresti stato silenzioso."
*
Era stranamente soddisfacente osservare il piccolo essere rosso dal cappello orribile ricambiare il suo sguardo con tanta cattiveria. Poteva sentire la rabbia uscire da quel minuscolo corpo ad ondate e, se Dazai non fosse stato ... beh ... Dazai, sicuramente sarebbe caduto dalle scale per la forza di quella muta maledizione irosa.
Sarebbe stato fastidioso: Mori si era accorto che la spada consegnata era una banalissima sciabola "presa in prestito" dal primo malvivente incontrato nel tragitto verso la nave e lo aveva punito con il sequestro del suo libro preferito – Guida al Suicidio – e la pulizia aggressiva dell'intera nave, insieme all'appropriazione indebita di Corruzione.
Dazai aveva quindi aspettato che Mori scendesse sulla terraferma per il suo consueto incontro con il capo dell'ADA/finta nemesi naturale/vera partnership nascosta/marito mancato e si era ripreso spada e libro senza troppa fatica, segno che Mori sapeva perfettamente cosa avrebbe fatto e non voleva che gli rivoltasse l'intera stanza alla ricerca di chissà quale nascondiglio.
Dazai gli svuotò comunque il calamaio poggiato sulla scrivania, gettando l'inchiostro nel mare per dispetto.
La pulizia, invece, venne delegata ad un giovane volenteroso Akutagawa, suo personale ultimo acquisto nella ciurma in generale e nel range dei suoi sottoposti/schiavetti in particolare. Non aveva però portato a termine il compito, almeno a giudicare dal legno di quelle scale ancora macchiato del sangue secco degli ultimi visitatori suicidi e polvere mista a sale, quindi segnò mentalmente di punire il mozzo assegnandolo a Motojiro nei suoi esperimenti con bombe e limoni, compiacendosi che le maledizioni della minuscola Pecora arrabbiata gli rimbalzassero addosso e che fosse così salvo dal macchiarsi i vestiti.
"Eri così rumoroso quella sera che credevo scegliessi di distruggere direttamente la nave." L'allusione, per una volta, non era voluta. Poteva giurarlo sulla testa unta di Mori, Dazai si stava riferendo innocentemente al russare assurdo che era stato costretto ad ascoltare quando la minuscola e assordante pecora era crollata addormentata, ma Chuuya si fece rosso in viso e cominciò a fumare di rabbia e, davvero, era molto meglio che avesse frainteso. Sogghignò, guardandolo girarsi verso di lui per affrontarlo appieno. "Tutti quei suoni indecenti ..."
"Eri tu che grugnivi come una fottuta scimmia!" Sbraitò Chuuya facendolo ridacchiare e decidendo di finire di scendere le scale, Corruzione nuovamente al suo fianco che sbatteva pigramente contro la sua gamba e le mani piene di varie bottiglie di sakè, il suo libro in salvo nel nascondiglio dei suoi averi. "Maledetto bastardo, perché ti porti dietro delle chiavi finte?"
"Oh, lo erano?" Dazai non commentò il furto delle chiavi, né il piccoletto sottolineò l'ovvio dando spiegazioni. Si limitò a prenderne un paio all'interno del cappotto e lanciargliele senza nemmeno guardare, tornando al suo gioco lasciato a metà. Chuuya le prese al volo con una smorfia. "Mi stai prendendo in giro?" Domandò retorico, rigirandosele tra le dita dubbioso.
"Certo che sì, così impari a derubare gente onesta." Sorrise al verso di scherno e si sedette a terra, prendendo il mazzo di carte tra le mani e strofinando le dita sul dorso leggermente ruvido di sale, cominciando a mischiarle con metodo. "Ne vuoi altre?"
Poggiò il mazzo a terra e prese la prima carta, ignorando le vibrazioni omicide e portandosi un dito alle labbra fintamente pensoso. "Voglio quella giusta." Sentì sibilare, inclinando la testa appena in tempo per schivare le chiavi che gli vennero lanciate addosso.
In risposta, Dazai scavò nel cappotto e portò fuori un gancio tintinnante pieno di chiavi usurate, senza distogliere gli occhi dalla carta nella sua mano. "Sarà qui in mezzo. Più alta o più bassa?"
"Ho così tanta voglia di ammazzarti." Chuuya glielo strappò di mano scrutandolo rabbioso ma non rispose alla sua domanda. Piccolo essere maleducato.
Lo sentì sospirare forte, come se stesse trattenendosi dal fare una strage. "Non esiste qua in mezzo la chiave giusta." Ed era una pura e semplice constatazione, arricchita da così tanta rabbia che era impossibile riuscisse a rimanere tutta dentro quella confezione mignon.
Dazai gli rispose sparandogli il sorriso più angelico del proprio repertorio. "La tua diffidenza ti farà diventare ancora più minuscolo." Sventolò una carta ignorando il suo ringhio e, mostrandogliela apertamente, ripeté. "Allora? Più alta o più bassa?"
Ovviamente nessuna di quelle era la chiave giusta. Ad essere precisi, Dazai non aveva mai avuto la chiave della stanza del tesoro, onore e onere che spettava di diritto al vero braccio destro di Mori, Hirotsu-san, il capitano della Black Lizard, seconda nave in comando della flotta.
Nessuno era a conoscenza di come le voci fossero arrivate ad attribuire a Dazai il possesso delle chiavi del tesoro – Dazai non avrebbe mai mandato in giro una menzogna di tale portata, era pronto a giurarlo sulla testa di Mori! -, ma si era rivelato un ottimo modo per infastidire capitan Mori ogni qualvolta avesse avuto la brillante idea di disturbare Dazai con i compiti più fastidiosi e le frasi e i raggiri più maliziosi: Dazai avrebbe puntato il pirata più idiota dell'isola in cui avevano deciso di attraccare; avrebbe fatto finta di perdere una delle mille chiavi di cui aveva commissionato copie infinite – e che aprivano, in tutta sincerità, il bagno personale di Mori; avrebbe aspettato pazientemente che venissero assaltati e si sarebbe gustato l'espressione seccata del suo capitano alla vista del sangue fresco e della materia organica degli idioti suicidi che insozzava il ponte della sua preziosissima nave.
Ci avrebbe messo giorni a ritornare del suo viscido umore.
Chuuya si era solo ritrovato con la chiave sbagliata al momento più giusto.
Lo guardò avvicinarsi, prendere qualcosa dall'interno della sua giacca e – ma guarda, una pistola. "Dimmi chi ha la chiave." Gli ordinò, puntandogli la canna dritta in mezzo agli occhi.
Oh, quindi l'aveva capito. "Un bambino non dovrebbe avere quel tipo giocattoli." Si limitò a canticchiare Dazai, stufo di quel gioco di carte pivo di collaborazione e cominciando a sfogliarle annoiato.
Sentì il freddo metallico spingere sulla fronte e sogghignò, guardandolo annoiato. "Non vuoi nemmeno giocare con me, che ospite maleducato."
"Dicono tanto di te ma non c'è un cervello da spappolare lì dentro quell'ammasso di capelli, vero?"
"Hai chiesto in giro di me? Volevi così tanto vedermi di nuovo?"
Un verso di disgusto, seguito da un urlato "NON HO DETTO QUESTO!"
"Aaaw, non devi nasconderlo! È perfettamente normale, nessuno può resistermi!"
"Come hai fatto a non essere stato gettato in mezzo agli squali fino ad ora?!"
"Aaah chibi! Che brutta frase da pirata di bassa categoria! E hai pure lo stesso cappello!"
"Voglio così tanto spararti in testa, non ne hai idea." Oh la aveva. Ma vedeva anche le sue pupille un po' più grandi, la bocca stretta stretta, i tendini del collo tesi e, davvero, sparargli non era la sola cosa che voleva fargli.
Dazai si alzò in piedi, sovrastandolo facilmente di parecchi centimetri. La pistola non abbandonò la sua posizione. "Riesci davvero a mirare così in alto basso come sei?"
"Sono in crescita." Era divertente che ci credesse in quel modo. "Se non mi dai la chiave, butto giù la porta a calci."
Ovviamente Dazai aveva fatto le sue ricerche e, malgrado le dimensioni minime, c'erano ottime probabilità che quella minaccia fosse reale. Lo voci sostenevano che il capitano delle Pecore era una persona bassa con una forza mostruosa, capace di cose che sembravano fuori da quel mondo. Alcuni dicevano di averlo visto abbattere un'intera flotta da solo, altri che saltasse così in alto e rimanesse così a lungo a in aria da sembrare che volasse, altri ancora che camminasse su pareti e soffitti senza nemmeno far cadere il suo cappello.
Secondo l'umile parere di Dazai sembravano gli effetti di un'allucinazione di massa, insieme alla leggenda che accompagnava Chuuya Nakahara e che gli attribuiva il possesso del sigillo di Arahabaki. Quella che gli aveva rubato sembrava solo una spada come tante altre: prima che Mori la prendesse aveva fatto i suoi esperimenti e la mancanza di reazione era stata semplicemente deludente.
Ma la sua sola presenza lì, senza i suoi seguaci al seguito o di guardia attorno al galeone, era un campanello molto chiaro che un fondo di verità doveva esserci. Nemmeno l'essere più pazzo del mondo avrebbe deciso di sua sponte di sbeffeggiare la Port Mafia, infiltrandosi nella Vita Sexualis per derubare Mori sotto il suo viscido naso.
Chuuya spinse di più la canna nella carne e la giacca che indossava si aprì leggermente con il movimento, rivelando l'impugnatura di un pugnale. "Parla."
Un pugnale nella giacca.
Un pugnale nella giacca accanto alla fondina per una pistola.
Un pugnale nella giacca accanto alla fondina per una pistola e, a quanto sembrava, nessun interesse per Corruzione.
Certo.
"Che c'è, ti si è bloccato il cervello?"
"Non ti interessa la spada?" Sembrò prenderlo di sorpresa per un secondo scarso e Dazai allargò il suo sorriso. "Dicono che sia dimora del dio della distruzione Arahabaki ma tu sei qui, alla ricerca del tesoro della Port Mafia e non per riprenderti quello che ti ho rubato."
"La gente è utile a qualcosa." Chuuya abbassò la pistola, riponendola nella giacca e scoccandogli un'occhiata scocciata. "In fin dei conti ha fatto passare te per qualcuno di cui aver paura."
"La leggenda è falsa." Sentì la sua risata prima della lama del pugnale contro il suo collo coperto di bende. Era calda, era bollente ed era rossa. Il colore del sangue. "Corruzione non è mai stata una spada."
"Corruzione è tutto quello che vuole" Passò la lama fin sotto il suo mento. Sentiva la punta tracciare il morso che gli aveva lasciato e d'istinto Dazai portò gli occhi sul suo marchio, l'unico visibile con tutti quei vestiti. "La spada che mi hai rubato è stata sottratta ad un ubriacone in Francia svenuto in un porcile. Non è nemmeno affilata."
"Hai alimentato la credenza comune?"
"Avete fatto tutto da soli. Non l'ho mai nemmeno sfoderata, quella cosa inutile." Riportò il pugnale – Corruzione – nella giacca e lo prese per il colletto, tirandolo secco verso di lui. "Allora demone prodigio? Come si sente un genio del tuo calibro dopo essere stato ingannato?"
Eccitato.
Ecco come si sentiva, incuriosito da quel piccolo segugio rosso senza paura. Lo sentiva respirare più forte, si sentiva respirare più forte, l'alito di Chuuya che lo colpiva sulla bocca e la voglia di assaggiarlo di nuovo, più forte di quella prima volta.
"Sarai un cane veramente obbediente." Gli sussurrò a un millimetro dalle labbra e tanto bastò per farlo ringhiare, spingendolo via e tornando alla porta della stanza del tesoro con decisione.
Vederlo sfondarla con un solo calcio fu quasi più bello del pensiero della faccia di Mori quando lo avrebbe scoperto. Pezzi e schegge di legno schizzarono nella stanza insieme all'acciaio che fungeva da ulteriore difesa, andando a mischiarsi sulle casse traboccanti di tesori che a breve sarebbero state trasferite nelle segrete del Golden Demon. "Come farai a trasportare tutto?" Domandò per puro ozio, perché poteva essere forte quanto voleva ma difficilmente quel piccoletto avrebbe potuto portare da solo l'intera stanza.
Il silenzio che seguì, insieme alla vista di Chuuya che si girava intorno confuso, gli fece capire che era una domanda che si era fatto anche lui. "Potrei aiutarti." Mormorò con il sorriso nella voce.
"Stronzo come sei butteresti tutto in mare." Ma guarda, lo aveva già scoperto. "Ringrazia che non ho intenzione di ucciderti."
"Se lo rendi indolore sei il benvenuto."
"Preferirei vedere la tua faccia del cazzo agonizzare e chiedere pietà."
"Uff, nemmeno un po' di fantasia." Lo vide prendere una manciata di monete e ficcarsele in quelle tasche più piccole di lui, afferrare un vaso d'oro e cercare di capire dove nasconderlo. "Quel medaglione lì vale più della cassa intera." Gli suggerì con tono distratto, risedendosi e ricominciando a mischiare le carte. "E lascia stare la collana, metà di quei diamanti sono zirconi."
"Dovrei crederti?" Ma buttò la collana di lato, afferrando un anello con uno smeraldo così grande da avere le dimensioni di un occhio. "Finora mi hai solo riempito di bugie."
"Hai qualcosa che mi interessa." Ed eccola l'aura pericolosa che aveva sempre percepito. Riversata totalmente su di lui, senza alcun tipo di distrazione.
"Interessa al tuo capitano, vorresti dire."
Dazai schioccò la lingua, mettendo giù una carta con un sorriso. "È vero." Ammise docilmente, il suono tintinnante delle montagne di monete che crollavano ad ogni passo arrabbiato. "Ma non sono intenzionato a consegnargliela."
I rumori si fermarono e Dazai canticchiò, la scommessa mentale contro le carte che continuava imperterrita. "Perché?" Fu la sola domanda che sembrava contare.
Poggiò una carta sul mucchio, lieto di averla indovinata più alta. "È molto più divertente così." Si limitò a dire, senza nemmeno provare a spiegare il perché in quel momento rimanere nella Port Mafia sembrava più allettante di un suicidio indolore. "Mori avrà la spada e nessuno parlerà del tuo pugnale."
Era semplice, in fin dei conti.
Mori sarebbe stato felice ad avere tra le mani un sigillo fasullo e Dazai avrebbe vissuto nella consapevolezza di averlo sbeffeggiato con la più grande menzogna di sempre.
"Cosa ci dovresti guadagnare?" La voce di Chuuya era zeppa di diffidenza pura ed era vicina. Non aveva nemmeno sentito i suoi passi. "Li conosco quelli come te, non fanno mai niente per niente."
Dazai sbuffò. "Te l'ho già detto, sarai il mio cane ..."
"Non ha senso!"
"... E Mori giocherà con una spada inutile, non mi sembra difficile."
"Sei completamente pazzo." Lo disse nello stesso momento in cui prese uno scettro e glielo mise sotto il naso, spingendolo a valutarlo. Dazai lo scrutò per un secondo appena e annuì, sinceramente curioso di sapere dove lo avrebbe nascosto. "Procurati un cazzo di pappagallo se vuoi avere compagnia."
Dazai soffocò una smorfia, ricordando Elise-chan che svolazzava in giro per la nave beccandolo ogni volta sull'orecchio libero e imprecando contro Mori. Sospirò, perché il piccolino stava perdendo il punto principale. "Sarebbe un vero peccato se, per purissimo caso, Mori scoprisse la verità, non credi?"
Era appagante ricattare qualcuno.
Cullarlo in un falso senso di fiducia e pugnalarlo quando le difese erano basse, portandolo a rivalutare ogni parola scappata e ogni segreto rivelato. Con Chuuya tuttavia sembrava che il suo tradimento fosse solo uno dei tanti passi che aspettava senza troppa ansia.
La rabbia nei suoi occhi, però, era talmente reale da riuscire ad avvertirla sulla pelle. "Corruzione non è una spada." Continuò Dazai cantilentante, buttando giù una carta ad ogni punto. "Corruzione non è nulla di quello che pensa. Corruzione non è tra le sue mani."
"Potrei sempre ucciderti." Quel sussurro non era nemmeno un avvertimento. Sentì lo scalpiccio dei suoi passi prima di vedere le sue scarpe nella sua visione. "Ci sei solo tu dentro questa nave. Sarebbe una passeggiata strapparti il fegato e lasciarti qui in bella mostra, a fare da guardia a una stanza vuota."
"Non il cuore? Mi offende."
"Non c'è un cuore dentro quell'ammasso di bende." Dazai scoppiò a ridere dell'ingenuità del chibi. Da dove veniva la fama di sanguinario essere dalle abilità sovrumane? Come era possibile che fosse così facile da raggirare? "Cosa vuoi veramente?"
Scosse la testa, continuando a ridacchiare. "È noioso vederti così. La tua paura di morire è fastidiosa."
"Se la tua bocca sputa qualcosa che non deve e qualcuno dei miei compagni viene ferito, ti torturerò così tanto che rimpiangerai le tue battute sul suicidio."
Doveva aspettarsela quella fedeltà cruda. Era noiosamente prevedibile. "La ciurma che vuoi tanto difendere ha mandato il suo capitano a morire." Altra carta. Asso di quadri.
"Le Pecore non hanno un capitano." Oh. Questa era un'informazione nuova. "Dimmi cosa vuoi."
"Pretendo la tua presenza almeno due volte al mese." Sette di fiori. Jack di cuori. "Non mi interessa cosa faranno le tue pecorelle senza che tu sia lì ad aiutarli a camminare, verrai da solo e ti manderò via quando sarò soddisfatto."
"Se vuoi una puttana puoi prenderla in ogni porto."
"Ti voglio per le missioni." Il suo sogghigno parlava anche di altro e lo sapevano entrambi. "Quel cappello orribile blocca le tue povere capacità intellettive."
Chuuya lo schernì. "Sei magro come un foglio di pergamena ma sei un rompicoglioni della peggior specie." Diede un calcio alle carte – nove di picche, regina di quadri. "Non ti serve il mio aiuto."
"Te l'ho già detto, odio il dolore. Mi farà comodo un cane rognoso a farmi da guardia."
Qualcuno cantò. Una voce ubriaca che inneggiava al mare, che mormorava di uomini a terra, che singhiozzava dal troppo rum. C'era troppo silenzio e forse per questo che vide Chuuya allargare leggermente le narici, scoccandogli un'occhiata di sangue prima che riprendesse le scale che lo portavano via di lì, tintinnando di oro nascosto.
Dazai sorrise, allungando una mano per prendere una bottiglia di rum.
Brindò al suo nuovo cane, suggellando il tutto con un sorso che sapeva di vittoria.
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Salve a tutti!
Questa storia doveva essere parte di qualcosa di più grande, ma fortunatamente può essere letta come stand alone e non mi sento troppo in colpa XD
È ferma a prendere polvere da non so nemmeno quanto tempo, un anno o giù di lì, ho capito che difficilmente avrei portato avanti il progetto e mi dispiaceva troppo non farle vedere la luce. Quindi eccola qua, la pirati AU di cui nessuno aveva bisogno!
Le carte che vengono nominate hanno un significato (prendetele con le pinze perché non ne so niente, ho preso tutto da internet):
- Asso di quadri: evoca la realtà concreta ed evoca tutto ciò che ha a che fare con il mondo materiale.
- Sette di fiori: evoca una questione importante sulla quale aleggia l'incertezza.
- Jack di cuori: rappresenta un pigro, immaturo, ma anche il fidanzato perfetto
- Sette di fiori: indica l'incertezza di fronte al cambiamento.
- Regina di quadri: è una carta di cattivo auspicio che mette in guardia il consultante dai pericoli derivanti da relazioni dannose.
Grazie mille per aver letto!!!
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