Capitolo 18 - We All Burn, in the End
Eroan scese gli scalini a due a due, sudando freddo e guardando la rampa di scale granitica che stava percorrendo, con occhi spalancati e colmi fino a qui di preoccupazione.
La luce della ormai bassa Luna, entrando nel palazzo attraverso le finestre, illuminava il Gallade di fredde sfumature azzurrine e nascondeva i contorni del suo corpo, come se il Pokémon Lama fosse stato soltanto una figura eterea senza peso.
Lo Psico/Lotta si allacciò la tunica alle spalle alla bell'e meglio mentre saltava giù dagli ultimi scalini, sistemando la propria fibbia mentre con una rapida corsa si dirigeva verso il portone d'ingresso.
Che ore erano, forse le quattro e mezza del mattino? Non aveva avuto tempo di controllare quando era stato svegliato, ma a giudicare dalla luce all'esterno doveva mancare a malapena un'oretta all'alba.
Era stato l'intuito innato nella sua specie, che gli permetteva anche di predire alcune mosse avversarie, a gridargli di alzarsi in piedi e correre verso l'ingresso. E pensare che stava pure dormendo così bene, accasciato sui libri.
Che cosa sentisse esattamente per avere il bisogno così urgente di alzarsi e uscire non lo sapeva nemmeno lui.
Non si era nemmeno curato di svegliare Azza o l'Imperatore, anche perché di mattina presto sicuramente gli avrebbero tutti tirato un cuscino in faccia ringhiandogli di tornarsene a dormire. Eppure era importante, se lo sentiva. Non di vitale importanza, non pericoloso, ma sapeva che era importante essere lì in quel momento.
Finalmente, eccolo lì: il massiccio e decisamente altissimo portone a due ante che portava al giardino esterno del palazzo. Era immenso, alto almeno cinque metri e largo sette, e ben sorvegliato. Otto guardie, quattro armate di lance e quattro di lunghe sciabole, subito si misero in posizione di combattimento nel vederlo palesarsi in cima all'ultima scalinata che doveva portarlo alla porta.
"Sono io." disse il Gallade, scendendo i gradini a piccoli e rapidi passetti e parlando per non farsi impalare a vista nel caso lo avessero scambiato per un qualche nemico. Alle sue parole, i soldati si misero sull'attenti.
"Sommo Eroan, cosa ci fate qui? È ancora notte." domandò uno di loro, cercando di fermarlo, ma il Pokémon Lama fece loro segno di aprire il portone mentre percorreva velocemente lo spazio tra la scalinata e loro.
"Apritemi per favore, devo uscire."
Senza questionare ulteriormente le sue parole due delle guardie si aggrapparono ai battenti delle pesanti porte, tirando rapidamente le ante per permettere al Gallade di passare, il quale per la velocità della loro reazione non dovette nemmeno fermarsi per attendere che il portone fosse aperto.
Si fermò, però, solo quando una delle guardie disse qualcosa.
"Sommo Eroan."
Il Gallade si guardò alle spalle, notando che il soldato in questione, un Seismitoad sulla cinquantina, aveva teso verso di lui un giavellotto che fino a poco prima era rimasto appoggiato al muro.
Serissimo, guardò negli occhi il Sommo Sacerdote.
"Volete?"
Eroan si scompose in un sorrisetto, rilassando i muscoli del volto. Evidentemente doveva sembrare così teso che il soldato temeva che stesse succedendo qualcosa di terribile. Tutte le altre guardie stavano fissando il Seismitoad con aria interrogativa e gli occhi strabuzzati.
Per precauzione, Eroan tese le mani e prese il giavellotto con entrambe.
"Ti ringrazio. Spero vivamente che non ce ne sarà bisogno." disse, senza far svanire il proprio sorriso. Si voltò per uscire, e nel farlo proseguì a parlare con un: "Voi chiudete il portone. Sto solo uscendo a controllare una cosa, non allarmatevi."
In effetti, però, vedere il loro Sommo Sacerdote armarsi di giavellotto per quella che ai loro occhi sembrava una passeggiata notturna doveva preoccupare e non poco.
Uscì all'aria aperta, e la brezzolina fresca delle notti di settembre sollevò di poco il suo mantello, iniziando a giocarci mentre lui scendeva con un salto gli ultimi tre scalini per andare in cortile.
Strinse il giavellotto preso in prestito con una mano, avanzando a lunghe falcate verso il grande cancello d'ingresso saldamente posizionato nel mezzo della cinta muraria esterna dritto dirimpetto al Palazzo.
I suoi passi riecheggiavano nel silenzio del paesaggio ancora assopito, facendo scricchiolare la ghiaia del selciato che stava percorrendo. Nella sua testa un turbinio di emozioni lo preoccupava e non poco. Cos'era quella sensazione, quel piccolo campanello che gli era suonato in testa?
Già diverse volte il suo intuito gli aveva suggerito e lo aveva aiutato in passato, e non aveva mai fallito. L'essere un tipo Psico lo aiutava a percepire con chiarezza emozioni e sensazioni, eppure... quella non riusciva a spiegarsela.
Non sentiva di essere in pericolo, più che altro aveva la sensazione che qualcosa lo avrebbe allarmato.
Come mai aveva preso l'arma appena gli era stata proposta, allora? Non lo sapeva nemmeno lui. Probabilmente istinto di autoconservazione, o la territorialità per proteggere ciò che aveva. Di una cosa era sicuro: il suo istinto non sbagliava.
Si avvicinò rapidamente al cancello, facendo cenno alle guardie incaricate di sorvegliarlo di stare in silenzio con un cenno del braccio. Si affacciò alle larghe e squadrate maglie di ferro del cancello, guardando oltre di esso per individuare chiunque fosse in arrivo.
Il corpo di guardia del Palazzo Reale era decisamente massiccio, ed era la penultima linea di difesa contro assedi e attacchi. Se qualcosa di terribile fosse successo, come ad esempio un assalto nemico, le mura esterne a guardia della città sottostante di Itanard avrebbero dovuto inviare un Messaggero ad avvertire prima di tutto loro.
Dato che il castello era posto sul fianco di una montagna, tutto ciò che era in avvicinamento doveva essere visibile anche da lì.
Il Gallade non schiodava gli occhi dalla lunghissima discesa a scalini che portava alla città addormentata, distante almeno due chilometri in linea aerea dal punto in cui si trovava lui. Sentiva che c'era qualcosa di strano o insolito, e voleva scoprire cosa fosse.
Le alte scalinate che portavano lì, però, erano apparentemente deserte.
"È venuto qualcuno a comunicare un assalto?" domandò Eroan alla guardia più vicina, una giovane Boltund dal lungo muso, che scosse rapidamente il capo mentre lo osservava con sguardo preoccupato.
"No, Sommo Eroan. È tutto tranquillo."
Lo Psico/Lotta picchiettò la punta del proprio giavellotto contro la grata massiccia del cancello, restando a guardare verso il fondo della lunghissima scalinata nella speranza di intravedere qualcosa nel buio.
Fortunatamente o purtroppo per lui non dovette aspettare molto. Un Passimian di guardia al camminamento perimetrale saltò direttamente giù con un agilissimo balzo, tirando un'esclamazione.
"Si avvicina qualcuno! Rapidamente, sulle scale!"
"Dove?" quasi gridò Eroan, aggrappandosi al cancello per provare a vedere qualcosa. Come mai le cinte murarie esterne non avevano avvertito? Era un nemico?
"Aspettavamo visite, oggi?" domandò rapidamente il Gallade, guardando la Boltund, e questa con altrettanta velocità scosse la testa.
"Nossignore!"
Al buio, Eroan non era sicuro di avere la stessa mira col giavellotto di cui poteva vantarsi di giorno. Con abbastanza luce sarebbe riuscito a impalare anche il mignolino del piede di qualsiasi possibile malintenzionato si stesse avvicinando, ma in quel caso non poteva promettere nulla.
Finalmente, la vide. Era come una massa scura che si stava arrampicando velocemente sugli scalini, ogni tanto compiendo un lungo balzo e ogni tanto correndo e basta.
Fino all'ultimo momento Eroan non riuscì a riconoscere l'ombra che si spostava di corsa su per le scale, ma mano a mano che la vedeva avvicinarsi la sua preoccupazione che fosse un attacco nemico pareva lentamente svanire.
La figura si fermò su due piedi dritto davanti al cancello, e tutti rimasero in un silenzio religioso mentre si metteva di fronte a Eroan, torreggiando su di lui in tutta la sua statura. Tuttavia, il Sommo Sacerdote non si mosse, dato che la figura non irradiava alcuno spirito combattivo o furia omicida. Stava semplicemente lì, a fissarlo, sbuffando ritmicamente a causa del respiro corto.
La creatura appoggiò una mano alla grata del cancello, stringendo leggermente le tre dita dotate di lunghi artigli ricurvi su di essa, come se stesse cercando nella struttura una specie di supporto fisico, ancora ansante per la corsa fatta.
Il Gallade sollevò le sopracciglia, riconoscendo a chi appartenesse quella silhouette.
La figura abbassò leggermente la testa.
"Signore... posso entrare...?"
Khiraal santissimo, quello era...
"Ragazzo, sei tu! Aprite il cancello, veloci, è Zoàr!" gridò Eroan, lanciando di lato il giavellotto e voltando il busto in direzione delle guardie presenti, che schiamazzando qualcosa ai loro compagni posti in cima alle mura riuscirono a far azionare gli argani per il sollevamento delle inferriate mobili.
Non appena ebbero ritirato il cancello di quel tanto che bastava per far passare il Blaziken, quest'ultimo fece un passetto avanti e si piegò in due, cosa a cui il Gallade reagì afferrandolo per le spalle per timore che stesse cadendo.
Il sicario stava prendendo respiri corti e irregolari, quasi stesse cercando di trattenere il respiro ed evitare di prendere profonde boccate d'aria. Eroan appoggiò una mano sul suo fianco, constatando col tatto che almeno quattro delle sue costole erano rotte e altre incrinate.
Anche solo respirare doveva essere un'agonia. Ed era stato in quelle condizioni per i quasi tre giorni che ci aveva impiegato a tornare?
Attorno al petto il Pokémon melanico si era avvolto in maniera del tutto imprecisa alcune bende bianche che svettavano sul nero delle sue penne, lordate però da chiazze di scuro sangue secco.
"Zoàr? Ragazzo mio, sei cosciente?" domandò Eroan, dando un paio di schiaffetti delicati alla guancia del Blaziken, il quale rispose prima riaprendo gli occhi azzurri e gialli, poi con un lievissimo mormorio.
Il Blaziken, fortunatamente, riuscì a raccogliere le energie per tirarsi nuovamente su e levare il proprio peso aggiuntivo da dosso a Eroan.
Il lato sinistro della sua fronte era stato marchiato da una specie di croce fatta di tagli, che Eroan riconobbe subito come i due colpi di scimitarra che giusto due giorni prima Tylé aveva descritto a lui e Azza.
Il Gallade si passò un braccio del Blaziken sopra le spalle e lo prese per il fianco con il braccio destro, reggendolo per quanto poteva nonostante la differenza di statura di oltre trenta centimetri.
"Andiamo da Xerneas. Riesci a camminare?" chiese Eroan, senza aspettarsi in vero una risposta verbale, per poi tornare a occuparsi delle guardie rimase immobili ad attendere ordini. "Voialtri, tornate ai vostri posti e richiudete il cancello."
"Sissignore."
Zoàr riuscì a raddrizzare la schiena quel tanto che bastava per assumere una posa quantomeno dignitosa davanti ad altre guardie. Eroan iniziò a camminare sorreggendolo per quel tanto che l'altro gli permetteva.
Il Blaziken, nonostante non lo dimostrasse spesso, aveva un ego e un orgoglio smisurati. Dare prova di debolezza davanti a delle guardie o altri soldati per lui era inconcepibile.
"Non sforzarti. Conserva le energie, tra poco Xerneas ti darà una mano a guarire, vedrai." lo riprese Eroan, e l'altro non poté che annuire con aria rassegnata.
Xerneas, il dio della vita, non aveva solo la capacità di donare l'immortalità ad altri. La sua sola presenza stimolava di molto l'attività e la rigenerazione cellulare di chi gli stava accanto, velocizzando di molto la guarigione di ferite come quelle riportate dal mercenario.
Era una fortuna avere il Nume dalla loro parte, specialmente in quelle occasioni.
"Riesci a respirare o fa troppo male?" domandò Eroan non appena ancora una volta Zoàr trattenne il fiato, stavolta però per una possibile fitta di dolore.
"Sì, signore, riesco." replicò questi con voce rotta, socchiudendo gli occhi.
"Bene."
Il Gallade si affrettò a bussare col piede al portone d'ingresso al castello, il quale gli venne aperto con la stessa velocità e prontezza con cui era stato fatto prima. Le otto guardie si misero sull'attenti nel veder entrare sia il Sommo Sacerdote che il mercenario.
Eroan aprì bocca per richiedere assistenza da uno di loro, ma anche prima che potesse farlo Zoàr levò il braccio da sopra le sue spalle, affrettandosi a salire gli scalini a due a due per allontanarsi il più possibile da lì.
Oh, accidenti a lui e al suo ego smisurato. Sarebbe stramazzato a terra morto di quel passo.
"Signore, volete-"
"No grazie, faccio io." rispose schiettamente Eroan verso la guardia che si stava offrendo di aiutare, sollevando un braccio come saluto mentre saltava sopra gli scalini e raggiungeva il Pokémon nero, il quale stava zoppicando, ma almeno era in piedi da sé.
Il sacerdote gli si affiancò, aggrottando le sopracciglia.
"Sei un testardo. Fatti aiutare, una buona volta."
"Perdonatemi."
Eroan tese un braccio e cinse delicatamente il suo costato per non fargli male ma reggerlo e aiutarlo allo stesso tempo, cosa a cui fortunatamente il Pokémon Vampe non si ribellò.
"Scusatemi per il ritardo nel tornare." mormorò Zoàr, a un tono di voce anche più basso del solito. Sembrava davvero debole, ma chi poteva biasimarlo? Aveva percorso molti chilometri ferito, da solo e per giunta di corsa.
"Non ti scusare, ragazzo mio. È normale nelle tue condizioni." disse Eroan, lanciandogli un'occhiata, per poi continuare a camminare in silenzio. Stava aspettando l'inizio di un certo discorso, che non aveva voglia di iniziare lui.
Esattamente come un genitore attende di farsi riferire l'esito di un compito difficile da parte del figlio, Eroan non amava aspettare che una confessione gli venisse fatta, anche se già sapeva di cosa si trattasse. Sapeva che Zoàr aveva fallito, ma voleva che fosse lui ad ammetterlo e a dirglielo apertamente.
Continuò perciò a camminare, cercando di non sembrare interessato al caracollante soldato accanto a sé. Fortunatamente, non dovette aspettare molto prima che il mercenario parlasse.
"Ho fallito."
Eroan fece un leggero sorrisetto nel sentirsi dire quelle due semplici parole. Non era un sogghigno beffardo, di sfida, ma al contrario era il sorriso affettuoso di chi comprende e sostiene qualcuno che ha fatto del suo meglio.
"Lo so che hai fallito, Zoàr. Non importa."
Dall'altra parte ci fu solo il silenzio, ed Eroan ne approfittò per alzare lo sguardo sul volto affilato del Blaziken. I suoi connotati esprimevano una stanchezza fisica e mentale non indifferente, assieme alla solita peculiare tristezza.
Il viso di Zoàr non era mai stato allegro, anzi. Ora che aveva l'opportunità di guardalo a lungo in faccia, Eroan si era reso conto che i suoi lineamenti, il suo portamento, le sue caratteristiche lo rendevano di una bellezza triste che non riusciva a spiegarsi. Non pensava nemmeno che la bellezza potesse essere definita "triste".
In quel momento, però, si vedeva quanto il Fuoco/Lotta fosse affranto e deluso da sé stesso. Eroan lo capiva con una semplice occhiata, ed era anche ora per lui di fornire un supporto a quel giovanotto, esattamente come faceva Azza.
"Sono fiero di te, Zoàr."
Istantaneamente il Blaziken si voltò verso di lui, sollevando di poco le sopracciglia per la sorpresa. Eroan ebbe l'istinto di sciogliersi in un altro sorriso, e così fece.
"Sono fierissimo dell'uomo che sei diventato." proseguì. "Sei maturato moltissimo in questi ormai cinque anni che ci conosciamo. Mi sembra che fosse solo ieri quando avevamo un diciassettenne permaloso come un non so cosa tra le file dei nostri guerrieri migliori."
Zoàr non rise, non fece alcuna espressione particolare e non disse nulla, ma ormai Eroan sapeva di avere la sua completa attenzione.
Il Gallade socchiuse gli occhi, lasciando che le memorie degli anni passati gli tornassero alla mente piano piano.
"Ti ricordi quando ci siamo conosciuti, io, te e Azza?" domandò mentre ridacchiava piano, e alle sue parole il Blaziken guardò altrove, visibilmente imbarazzato da quel discorso. "Avevi steso a mani nude dieci uomini fuori da quella locanda a Miravento! Ahah, ovviamente io e Azza non potevamo non intervenire!"
Eroan continuò a cercare il contatto visivo con lui, cosa che però il Blaziken gli impedì rimanendosene voltato dall'altra parte. Il Gallade non se ne lamentò ad alta voce, anche perché sentiva dal tatto che i muscoli del Vampe non si erano irrigiditi, segno che quella conversazione non lo infastidiva per davvero.
"E così, ci siamo ritrovati a raccattare dalla strada uno smarrito e alquanto irritabile pulcino nero."
"Non c'è nulla di cui essere fier-agh!"
Zoàr si dovette fermare per una fitta al costato, piegandosi in due mentre si portava una mano al petto e ricominciava a prendere respiri corti e leggeri, cercando di contrastare il dolore per riprendere a camminare e occasionalmente parlare.
Eroan gli poggiò una mano sulla schiena, assumendo un'aria preoccupata.
"Cammina piano, non c'è fretta." gli ricordò, e il più giovane si limitò ad annuire mentre cercava di contenere l'espressione di dolore sul suo volto.
Il Gallade, però, non si arrese dal suo obiettivo di far sentire meglio con sé stesso il mercenario, e perciò continuò a parlare anche durante quella breve pausa.
"Azza sarà contentissimo di vederti. In questi ultimi giorni non ha fatto che parlare e parlare di te." disse, sorridendo. "Era preoccupatissimo. Ti vuole molto bene."
Zoàr non replicò, molto probabilmente più per scelta che per incapacità di farlo a causa delle sue condizioni fisiche. Si rimise in piedi, decidendosi ad accettare l'aiuto del Gallade e trasferendo parte del suo peso sulle spalle del Sacerdote, il quale lo resse benissimo e riprese a camminare.
"Hai dato uno scopo alla vita di Azza, Zoàr. Non so se posso dire che anche lui ha riempito la tua, ma tu sei diventato parte integrante della sua esistenza. È un po' anzianotto, lo sai, e probabilmente ti vede come un figlio o un nipotino."
Il Blaziken nero socchiuse gli occhi.
"Il Sommo Azza..."
Eroan inclinò lateralmente la testa per guardarlo, con una certa curiosità in volto. Il suo interlocutore prese una boccata d'aria prima di continuare.
"So per certo che senza il Sommo Azza non avrei nemmeno motivo di vivere. Gli ho devoto la mia intera esistenza. Senza di lui io non sono niente."
Eroan rimase abbastanza di sasso a quel discorso. Solitamente Zoàr era uno di poche parole e che a malapena spiccicava più di una frase, ma nel parlare di Azza pareva quasi illuminarsi. Il Gallade aveva forse trovato un nervo scoperto?
"Anche tu tieni molto ad Azza, vedo."
"Mi ha salvato da me stesso. Gli devo tutto."
Il Gallade si sbagliava sul conto del mercenario. Anche lui provava un certo affatto per il giovane, ma a differenza di Azza non si era totalmente aperto con lui poiché era convinto che, un giorno, sicuramente li avrebbe mollati per qualcosa di meglio.
Invece, le parole del sicario avevano fatto capire a Eroan che mai e poi mai Zoàr avrebbe tradito la fiducia di Azza. Mai e poi mai, era totalmente sottomesso e fedele allo Zoroark. Chissà se anche nei confronti del Sommo Sacerdote provava la stessa stima e lo stesso affetto. Probabilmente no.
Il Gallade si mise a guardare il pavimento mentre camminava, cercando di ignorare le occasionali guardie che lanciavano loro delle occhiate confuse e perplesse.
"Tu, io e Khiraal siamo probabilmente le uniche persone rimaste nella vita di Azza." mormorò Eroan, scuotendo il capo. "Per anni lui è stato... da solo. Tutta la sua famiglia è stata sterminata."
"Scusatemi?" replicò Zoàr, irrigidendosi improvvisamente e parlando con un tono come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Eroan fece un lievissimo e malinconico sorriso a quella sua reazione.
"Come noi non sappiamo nulla del tuo passato, probabilmente tu sai poco del nostro." ammise, ritirando su la testa non appena iniziarono lentamente a percorrere un lungo corridoio, illuminato dalla luce della luna che filtrava da un colonnato che dava all'aperto.
"Sia io che Azza non siamo nati nella Regione Nera, sai?"
Il mercenario rimase zitto, in ascolto, ed Eroan sospirò. I ricordi a lui non facevano più male, ma ad Azza eccome se lo facevano.
"Noi eravamo due ambasciatori di pace provenienti dalla Regione Bianca. Quattordici anni fa, prima dell'inizio della guerra, siamo stati ospiti in questo palazzo. Quando ancora la stirpe di Khiraal era in vita."
Fece una pausa, avendo come una fitta al cuore nel ricordare quelle povere creature massacrate dalla prima all'ultima all'inizio della guerra. Ma non era di loro che stava parlando, non ancora.
"Ci siamo affezionati moltissimo alla cultura di questo posto e... alla sua religione. Io in particolare. Qui ho trovato uno scopo, ragazzo. Uno scopo che la Regione Bianca non era riuscita a offrirmi."
Zoàr lo osservò con i suoi affilati occhi blu, senza fiatare, per non interromperlo.
"Io e Azza eravamo entusiasti. Eravamo sicuri che una convivenza pacifica tra le regioni fosse possibile. Volevamo tornare a casa per comunicare tutto all'Imperatore e cominciare una nuova vita per entrambe le parti, ma..."
Si fermò ancora, tornando a guardare il pavimento.
"La Regione Bianca non ha mai voluto una convivenza. Da una lettera inviata dalla Regione Bianca siamo venuti a sapere che alcuni fanatici erano riusciti a scoprire dove erano le nostre famiglie, e solo il cielo sa perché, hanno distrutto tutto. Hanno ucciso tutti. Per farci capire che non volevano il nostro aiuto e non volevano mettere fine alla tensione millenaria tra le due parti. E quale miglior modo per farlo capire al mondo se non distruggendo tutto quello che i suoi ambasciatori avevano?"
Per la prima volta nella sua vita, Eroan vide delinearsi un'emozione chiara sulla faccia di Zoàr; era sbigottito, quasi spaventato da ciò che gli era stato detto.
"Perché siete rimasti qui, allora?"
"Oh, volevamo tornare." gli rispose il Sommo Sacerdote. "Io e Azza, per quanto disperati, avevamo ancora una vaghissima speranza di sistemare le cose, ma l'Imperatore Bianco ha preferito... mettere la parola fine a tutto."
Involontariamente strinse tra le dita le penne del fianco di Zoàr, il quale però non si lamentò affatto.
"Estrelar ha comandato ai suoi Generali un assalto, qui, senza nemmeno aspettare che noi tornassimo. Il comandante dell'esercito di allora, il Generale Sayf contro cui anche tu hai combattuto, ha fatto breccia tra le mura di Itanard e assieme ai suoi uomini ha compiuto un genocidio, distruggendo quasi totalmente la sacra specie di Khiraal. Ho cercato di difenderli come ho potuto, ma... purtroppo ne sono riuscito a salvare solo due, coloro che sono diventati i genitori di Khiraal otto anni fa."
Eroan si portò la mano che non reggeva il fianco di Zoàr alla schiena, scostando il mantello per toccare le tre cicatrici sulla schiena che le unghie di Sayf gli avevano procurato, il fatidico giorno in cui tutto era stato perso.
Il Blaziken aggrottò le sopracciglia quando Eroan risollevò lo sguardo.
"Qui abbiamo capito che degli ambasciatori non hanno alcuna utilità in un mondo che non vuole la pace, e siamo rimasti in un posto che davvero ci valorizzava e ci dava gioia."
"Per questo siete rimasti."
"Non avevamo nulla per cui tornare."
Zoàr tornò perfettamente in silenzio. L'unico suono che giungeva da lui era quello del suo corto respiro di stanchezza, ed Eroan per diverso tempo non aprì bocca.
In verità, però, era curioso di sapere da quale ambiente venisse il giovane che gli camminava accanto. Era sempre stato silenzioso riguardo al suo passato. Eroan non ne sapeva nulla, non aveva alcun indizio che gli potesse spiegare che cosa aveva passato il Blaziken prima di arruolarsi al soldo di Azza.
Voleva saperlo. Eroan era piuttosto curioso.
"Tu invece, Zoàr? Qual è la tua storia?"
Dall'altra parte giunse soltanto il silenzio per svariati secondi, ed Eroan non fece a meno di sospirare. Socievole e chiacchierone pezzo di legno come sempre.
"Chi sono Pandora e Damos?" indagò ancora, ben lungi dall'arrendersi. Voleva sapere almeno qualcosina, gli bastava qualsiasi cosa. Finalmente Zoàr ebbe una reazione, tirando su la schiena. "Sono i tuoi genitori?"
Il Pokémon melanico lo guardò, senza alcuna traccia di essere infastidito da quella conversazione.
"Solo Pandora è mia madre."
"Ah, Damos è un tuo amico?"
Dall'altra parte giunse nuovamente il silenzio, ed Eroan comprese che per quelle due enigmatiche figure le informazioni erano terminate.
Comunque, il Gallade non voleva arrendersi. Qualcosina lo avrebbe saputo, anche la più piccina delle cose.
"Tuo... padre?"
Silenzio. Mannaggia.
Certo che il Pokémon Vampe non aveva proprio voglia di condividere informazioni su di sé. Eppure non sembrava infastidito, non lo sembrava affatto.
"Invece, uh... dimmi. Entrambi i tuoi genitori erano melanici come te?"
"No, nessuno dei due." fece l'altro, girandosi nuovamente in direzione di Eroan. "Ma il mio bisnonno era affetto dalla mia stessa condizione."
Bingo, Eroan aveva fatto centro su un'altra piccolissima informazione che poteva soddisfare la sua curiosità. Sorrise, scoprendo i canini affilati.
"Ah! Ecco da chi hai preso! Sarai felice di aver avuto uno simile a te in famiglia."
"Non troppo." mormorò l'altro, portandosi una mano dietro alla testa.
"Perché?"
"Perché l'hanno ammazzato a bastonate."
"Oh."
Improvvisamente Eroan di sentì in un profondissimo imbarazzo. Ecco, molto probabilmente l'aveva fatta grossa... Zoàr si era forse offeso? Caspita, ricordargli un parente ucciso a causa del suo stesso melanismo era stato un passo falso.
Dimenticava che in alcune zone rurali il nascere melanici era considerato malaugurio e un simbolo demoniaco.
Cercò di cambiare argomento in fretta, ripiegando nuovamente sull'argomento "Signor Azza".
"Comunque sia... Azza ora fa affidamento su di te, ragazzo." disse lo Psico/Lotta, prendendo una delle mani di Zoàr con le sue e, dopo aver frugato nelle pieghe della propria tunica, mettendo nel palmo di essa la pietra lucida e rotonda che lui e Azza avevano selezionato per il mercenario.
Il Gallade chiuse le dita del Blaziken sopra alla pietra, dando un paio di pacche al dorso della sua mano.
"Proteggilo. Con tutto te stesso, fino alla morte se necessario."
Il Blaziken nero lo guardò dritto negli occhi per un istante, ma quando si abbassò improvvisamente Eroan trasalì, temendo che fosse svenuto per le ferite. Invece, Zoàr si inginocchiò a terra e piegò la testa in avanti, appoggiando i pugni sulle ginocchia in una posizione di sottomissione.
"Lo farò, signore. Ve lo prometto."
Eroan rimase zitto per un istante, poi scoppiò a ridere nel vederlo così serio. Come al solito, d'altra parte.
"Su, ragazzo mio! Non c'è bisogno di prostrarsi così!" esclamò, facendo riecheggiare la propria voce tutto attorno. Si chinò e gli prese un braccio, incitandolo a tirarsi nuovamente su. "Vieni, andiamo, che siamo quasi da Xerneas. Dopo andrò a chiamare Azza, che sicuramente farà i salti di gioia!"
In fondo, il Gallade era contentissimo di quella conversazione avuta col ferito. Era sicuro che avrebbe adempito al suo compito con tutte le sue forze. Per proteggere Azza non c'era persona migliore.
Era lui, non aveva bisogno di cercare oltre.
- - -
"Non è lui, avanti un altro."
Doku era a tanto così dal divorare il suo stesso stomaco dal nervosismo, dondolando da una gamba all'altra mentre cercava di vedere poco avanti cosa stesse succedendo agli altri che lo precedevano nella fila.
Era fottuto. Era semplicemente fottuto, fottuto, fottuto.
Quella mattina, anche prima dell'alba, erano stati svegliati a colpi di grida dei Generali e dei comandanti, che ordinavano loro di formare due file ordinate davanti ai Lettori della Verità per essere controllati in cerca di eventuali spie.
Doku aveva cercato di evitare il tutto dicendo che aveva la febbre e non si sentiva benissimo, ma il Tenente Albari lo aveva sollevato come un sacco di patate e lo aveva messo in fila assieme a tutti gli altri.
La Sceptile in quel momento era anche davanti a lui, e data la sua ingombrante figura Doku faticava molto a vedere quante persone mancassero prima che fosse il suo turno.
"Non è lui, avanti un altro."
La sua fila aveva avanzato di un po', e lui assolto nei suoi pensieri com'era se ne accorse in ritardo e dalla fretta quasi cadde lungo disteso sulla coda cespugliosa della puttana che aveva davanti.
Si ricompose in fretta, guardandosi attorno.
Sapeva che Tylé era poco dietro a lui, ma per il resto non aveva idea di quanto mancasse prima del suo turno. La sua mente stava elaborando possibili piani di fuga nel caso fosse stato scoperto, ed era sicuro al 100% che nulla avrebbe evitato quell'evenienza.
La fila accanto, alla sua sinistra, era controllata dalla marmocchietta Espeon e proseguiva decisamente più spedita rispetto a quella in cui era stato messo lui. Facendo due più due aveva capito che a lui sarebbe spettato Morfeus, il Lettore della Verità esperto che gli avrebbe ribaltato il culo.
"Non è lui, avanti un altro."
La troia davanti a Doku fece un passo avanti e lui la seguì a ruota, ma rimase di stucco quando la Sceptile si chinò in avanti.
"Buongiorno Morfeus."
"Buongiorno, cara."
Porco di quell'Arceus e Mew inspiedinato in rosticceria, toccava quasi a lui. Non se ne era reso conto. E mo' come cazzo doveva filarsela da lì?
Sarebbe stato massacrato. Macellato. Fatto fuori.
Rimase a fissare con tanto d'occhi la figura di Albari davanti a lui che improvvisamente quasi cascava in avanti, iniziando a russare sonoramente mentre restava comunque ancora in piedi. No. Oh, no.
Il Toxicroak iniziò a sudare freddo, secernendo goccioline di veleno da tutti i pori. Morfeus doveva far addormentare gli altri con Ipnosi per poter guardare dentro di loro. Merda secca. Non ci voleva.
Rimase in attesa per dei secondi che parvero interminabili, osservando la Sceptile chinata in avanti a sonnecchiare, mentre lui sperava in un miracolo dall'alto, ma quando ella si svegliò di soprassalto lui si sentì collassare.
"Non è lei, avanti un altro."
Albari si diede una grattatina dietro alla testa, sbadigliando mentre si spostava di lato e cedeva il posto a Doku per essere controllato. Il Toxicroak alzò lo sguardo al cielo, cercando di calmarsi, e avanzò di un paio di passi.
Era inevitabile, tanto valeva rassegnarsi alla morte.
Morfeus era dritto davanti a lui, e lo osservava con la sua solita calma. Fece un sorrisetto, batté le palpebre e innescò il meccanismo di Ipnosi.
Istantaneamente Doku si addormentò, ma a lui parve quasi di cadere dal cielo verso la terra. Volle gridare, ma non ci riuscì.
In quella sua caduta nel mondo dei sogni rimbalzò un paio di volte su un campo erboso al centro di un'ampia radura, rimettendosi in piedi e guardandosi attorno nel panico più totale.
Si trovava nel suo stesso sogno? Morfeus stava...
Trasalì e fece un gran salto nel vedere la figura del Musharna dritta davanti a lui, calmissimo come un lago placido.
"Rilassati. Non abbiamo moltissimo tempo."
Il Toxicroak rimase comunque leggermente indietro, tenendo una mano davanti a sé come ultima risorsa di protezione. Morfeus fece un sorrisetto.
"Sei stato fortunato a capitare da me. Alitheia ti avrebbe scoperto subito."
"Cosa...?"
Il Musharna allargò leggermente il suo sorrisino mellifluo.
"Umh, umh! So che tu e Tylé siete i traditori, l'ho visto mentre dormivate. Ma d'altronde ne sono uno anche io, quindi... non avrei alcun motivo di smascherare un alleato tanto utile."
Il cuore di Doku parve sprofondargli nel petto da quanto era rimasto sollevato da quella rivelazione. Menomale, non avrebbe incontrato Arceus quel giorno.
Morfeus socchiuse gli occhi, visibilmente contento della reazione avuta dal Toxicroak, e ridacchiò sommessamente.
"Siamo colleghi. Vi coprirò, da adesso in avanti. Quindi vedete di fare bene il vostro lavoro per il Sommo Imperatore Rhith."
"Un momento, Morfeus. E la ragazzina?" domandò Doku, indicando verso sinistra con un pollice, come se volesse indicare la fila controllata dalla Espeon, che però in quel sogno non era presente.
"Oh, Alitheia ha i suoi problemi. Comunque, lei di noi non sa nulla, e al contempo non è alleata dell'Esercito Nero. Anzi, penso proprio che involontariamente ci stia aiutando." rispose Morfeus, senza far svanire quella sua perenne espressione serena. Si voltò nuovamente verso Doku.
"Lascio tutto nelle vostre mani. Svegliati."
Il Toxicroak riaprì gli occhi con un sussulto, guardandosi attorno confuso per un attimo, per poi tornare a guardare davanti a sé il Pokémon rosa, che si limitò a sorridergli.
"Non è lui, avanti un altro."
Menomale, Morfeus aveva rispettato la sua parola. Doku si affrettò a lasciare il posto a un Drakloak cromatico e magrolino con in testa un piccolo di Kangaskhan, i quali subito finirono entrambi addormentati dal Musharna.
Il Toxicroak si spostò di lato, rimanendo a guardare per curiosità, quasi però tirando una spallata ad Albari, la quale aveva deciso di fare lo stesso affiancata a suo padre Sayf.
I due rettili stavano fissando la fila con gli occhi assottigliati, ma si irrigidirono quando il Drakloak e il Kangaskhan si svegliarono entrambi. Morfeus aggrottò le sopracciglia.
"Sono loro. Prendeteli."
"Cosa-" ebbe tempo di dire il Drago/Spettro prima di essere assalito con una furia terrificante da Albari, la quale si gettò addosso a lui con tutto il suo peso e gli schiacciò la testa a terra con un gomito, ringhiando e sputando feroci insulti.
Il piccolo di Kangaskhan gridò, cercando di aiutare il Pokémon Sostegno prima di essere acchiappato con facilità da Sayf.
Doku rimase sbigottito e immobile a guardare i due innocenti che si dibattevano cercando di farsi mollare, gridando e piangendo a squarciagola.
"VI PREGO! CI DEVE ESSERE UN ERRORE! SIAMO INNOCENTI! SIAMO INNOCENTI!"
Il Toxicroak sospirò e fece un lievissimo sorrisetto. Che figlio di puttana, Morfeus, a scaricare la colpa su due innocenti.
Be', meglio loro che lui, questo era certo.
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