Capitolo 4: Visita Medica
I
La tempesta infuriava con inclemente ferocia sull'oceano scuro. Fulmini biancastri e tuoni roboanti solcavano i cieli illuminati da lampi, padroni delle nubi e del vento. Il maelstrom andava ingrandendosi, come se Kyogre si fosse stato pronto a scagliare la sua ira sul mondo intero.
Tuttavia, in mezzo alla spessa coltre di nubi e all'oceano furioso, due Pokémon stavano combattendo.
La pelliccia nera spazzolata dal vento, il Mew dagli occhi rossi alzò la zampa destra. In essa si radunarono piccole strisce di energia oscura bordata di rosso, che si radunarono in una piccola sfera, la quale poi si allungò ed esplose, rivelando una spada dalla lama più nera del buio, interrotto solo da sporadiche e irregolari venature rosso sangue. Il Novaspecie diversamente colorato alzò l'arma sopra la testa, per poi menare un fendente dal basso verso l'alto, liberando un'ondata di energia oscura verso il suo avversario.
La pelliccia candida inumidita dalla pioggia, il Mew dagli occhi blu alzò la zampa sinistra, chiamando a sé tutto il suo potere. Nel palmo della sua zampa si formò una bianca sfera di pura luce, che si allungò e frantumò, rivelando una spada la cui bianchissima lama risplendeva come una stella, adornata da numerosi riccioli bluastri, simili a rampicanti. Il Novaspecie pallido sollevò l'arma sopra la testa, menando poi un fendente dal basso verso l'alto, liberando un'ondata di luce contro il suo nemico.
I due attacchi si scontrarono a metà strada, un onda di tenebra capace di divorare qualsiasi luce contro un onda di luce capace di bandire qualunque tenebra, due estremità completamente opposte di una dicotomia. Buio e luce si fusero insieme, per poi svanire con uno scoppio assordante.
«Per quanto ancora hai intenzione di andare avanti?», domandò il Mew dalla pelliccia nera, serio. «Davvero vuoi che vada a finire così? Due immortali costretti al duello fino al giorno del giudizio, con tanto di squillo di trombe?». Un sorriso divertito si formò sul suo muso. «No, perché a saperlo mi sarei portato dei pop-corn; se davvero vedrò l'apocalisse, almeno voglio godermela in grande stile».
«Dubh, non mi prendere in giro!», gridò il Mew dalla pelliccia bianca, infuriato. «Lo sai benissimo che andrò avanti così, fino a che tu non ti sarai arreso o mi avrai ucciso!».
«Finché ci troveremo nel mondo umano, caro fratello», rispose Dubh, materializzando una seconda spada, «io non ti ucciderò mai».
Il Mew dal pelo bianco lo imitò, creando nella sua mano libera una seconda spada. «E allora io non la smetterò mai».
«Non deve per forza finire così», proseguì Dubh. «Devi soltanto. Consegnarmi. Il. Ragazzo».
«Anche se tu lo uccidessi, non cambierebbe nulla!», esclamò il Mew bianco. «Se anche la sua presenza causasse uno squilibrio, la sua morta non risolverebbe niente! Il suo potere verrebbe passato a qualcun altro!».
«Oh, lo so bene», commentò Dubh. «Ma io non ho intenzione di ucciderlo e basta».
All'improvviso, il Novaspecie dal pelo nero scomparve. Il Mew dagli occhi blu ebbe meno di una frazione di secondo per reagire, alzando la guardia, giusto in tempo per difendersi da due fendenti simultanei a distanza ravvicinata. Le spade cozzarono.
«HO INTENZIONE DI DISTRUGGERE COMPLETAMENTE IL SUO SPIRITO E LA SUA ANIMA!», esclamò Dubh, spingendo in avanti. «Se ci pensi bene, fratello, capirai che è l'unico modo!».
«MAI!». Il Novaspecie dal pelo bianco spinse via il fratello. «Ci deve essere un altro modo!».
«Ah... sei diventato più forte, te lo concedo», ammise Dubh. Poi, alzò un dito. «Però, vedi... tuo fratello vorrebbe chiederti una cosa. Solo una». Indicò gli occhi del fratello. «Quando ci siamo parlati l'ultima volta, mi sei sembrato parecchio arrabbiato. Ma adesso... adesso che sono più vicino che mai a mettere le mie mani sul ragazzo, vedo che l'odio ti ha abbandonato. Come mai? Cos'è che ti spinge a lottare? Cosa ti spinge a proteggere una minaccia per l'equilibrio del nostro mondo?».
Il Mew biancastro si fece scuro in volto, per poi chinare la testa di lato. Infine, proruppe in una fioca risata. «Aaaah... ahahahahaaah... certo... anche tutti i nostri fratelli mi chiederebbero una cosa del genere, vero?». Le armi in pugno, allargò le braccia. «È davvero molto semplice in realtà». Rivolse un'occhiata sprezzante al fratello. « "Odio"? "Rabbia"? Io non ho nessuna ragione per combatterti, fratello...».
«Ma che diavolo stai dicendo?». La fronte di Dubh si corrugò, più che altro per a frustrazione. «Tu dovresti sapere meglio di chiunque altro che tutti hanno bisogno di una ragione di vita, uno scopo per cui combattere, un ruolo da svolgere!».
«Ed è vero. Ma esistono Pokémon e umani che rappresentano un'eccezione». Un fulmine solcò il cielo, illuminando per un istante il suo muso bagnato dalla pioggia; i suoi occhi azzurri brillarono come due fiamme. «Io ho i miei motivi per non avere bisogno di una ragione; si tratta semplicemente di una questione di principio». All'improvviso, il suo sguardo si fece mortalmente serio. «Ed è una cosa che tu non potrai mai capire».
«...quindi è così che stanno le cose?», domandò Dubh, stringendo i pugni. «Be', che dire... non finisci mai di sorprendermi». Un sorrisetto strafottente affiorò sul suo muso. «Ma ciò non toglie il fatto che non puoi battermi».
Gli occhi del Mew bianco si ridussero a due fessure. «Questo lo vedremo... io lo proteggerò... A QUALUNQUE COSTO!».
II
Uno spiffero d'aria gelida gli fece rizzare il pelo, e Arthur si svegliò con l'impressione di essersi appena fatto una doccia di acqua ghiacciata. Si ritrovò sdraiato a pancia all'aria, coperto per metà da un lenzuolo bianco, gli occhi aperti su un soffitto a lui sconosciuto. Cercando di mettersi seduto, avvertì un'acuta fitta al petto, lasciandosi sfuggire un flebile lamento. La cosa era probabilmente dovuta alle tre cicatrici rosee che gli sfiguravano il petto. Si accorse quasi immediatamente di trovarsi su un piccolo lettino, identico agli altri sei alla sua destra. La luce filtrava nella stanza tramite una grossa finestra circolare.
«Bene, il paziente ha risposto allo stimolo», commentò una voce alla sua sinistra, facendolo sobbalzare. «Le Ondasana hanno funzionato».
Il Pikachu si girò; alla sua sinistra, con una cartella in una mano e una penna nell'altra, stava una creatura decisamente bizzarra. Era bipede e paffutella, alta circa tre volte lui, coperta da pelo rosa e crema. Aveva gli occhi azzurri, e dalle sue orecchie penzolavano due appendici simili a cavi che si arricciavano alle estremità. Attorno al suo collo era avvolta una sciarpa gialla a quadretti verdi.
«Uhm... s-scusi?», azzardò il ragazzo, alzando una zampa. «D-dove mi trovo?».
«Nell'infermeria», rispose seria la creatura, distogliendo lo sguardo dalla sua cartella. «Sono sicuro che tu muoia dalla voglia di sapere cos'è successo, ma prima avrò bisogno della tua collaborazione».
Le orecchie di Arthur si rizzarono nel sentire la parola "infermeria". Poi si ricordò del suo "combattimento" contro i due fuorilegge, che a lui era sembrato più una serie di patetici sforzi concatenati da parte sua di sovrastare un nemico che non aveva speranze di battere.
«Ah, vero, ho dimenticato di presentarmi», proseguì la paffuta creatura rosa, appoggiando la cartella su un mobiletto lì accanto. «Il mio nome è Poppy».
«Uh... p-piacere, Arthur», si presentò a sua volta il Pikachu, chinando impercettibilmente il capo. «È un piacere conoscerla».
«Non ne dubito», commentò Poppy, senza abbandonare la sua espressione seria. Senza neanche voltarsi, aprì un cassetto dell'armadietto alle sue spalle, estraendone un piccolo stecco di legno. «Ora, dal momento che sei già qui, pensavo di approfittarne per sottoporti ad un rapido esame – sai, per controllare se sei malato, o cose del genere». Si avvicinò. «Ora, apri bene la bocca». Il Pikachu eseguì, e Poppy inserì l'abbassalingua nella sua cavità orale. «Ok... ad occhio e croce, direi che va tutto bene». Estrasse l'arnese e lo gettò in un cestino della spazzatura lì accanto. «Adesso», proseguì, afferrando l'estremità della sua appendice orecchiale destra, «voglio che tu ti sieda dritto».
Arthur rimase perplesso, ma eseguì, salvo poi sentirsi lievemente turbato quando Poppy gli sfiorò il petto con quella bizzarra appendice.
«Adesso, ispira», ordinò la creatura, e il Pikachu obbedì. «Bene. Adesso espira... bene... adesso voltati...». Gli poggiò l'appendice sulla schiena. «Adesso di nuovo. Inspira... espira... ok, bene».
«Ecco... se posso chiedere...», tentò Arthur, «lei... che Pokémon è?».
Se Poppy era rimaste sorpresa da quella domanda, non lo diede a vedere. «Sono un Audino. Sono di tipo Normale e sono il medico della Gilda; mi occupo di medicina generale». Riprese in mano penna e cartella. «Quindi... hai qualche allergia?».
«N-non che io ricordi...», balbettò il Pikachu. «I-insomma... soffro di amnesia...».
«Ah, giusto, la Capitana mi aveva avvisata». Poppy tornò al suo armadietto. «In tal caso, dovremmo fare dei rapidi test».
«La Capitana?». Arthur piegò la testa di lato, per poi ricordarsi all'improvviso della pennuta. «Quando è venuta qui?».
«Mentre dormivi», rispose con nonchalance la dottoressa, senza neanche voltarsi. «E hai dormito un bel po'; fra poco è ora di pranzo».
Come a voler sottolineare le parole dell'Audino, lo stomaco di Arthur brontolò rumorosamente, e il Pikachu arrossì leggermente. Imbarazzo a parte, però, era costretto ad ammettere che Poppy aveva ragione; non riusciva a ricordare quando fosse stata l'ultima volta che aveva mangiato... letteralmente.
«Comunque, fra poco sarai libero di andare», lo rassicurò Poppy, girandosi nuovamente verso di lui. Stavolta, aveva in mano una serie di provette e aghi. «Ora, faremo qualche piccolo test per le allergie, poi un veloce controllo odontoiatrico».
«Se', vabbe'!», commentò il Pikachu. «Poi cos'altro vuole farmi? Le analisi del sangue?».
«No, quelle è meglio se le facciamo domani».
III
«Mmh... mmmh... beeeene, molto bene», commentò soddisfatta Poppy, controllando la cavità orale del Pikachu con l'aiuto di uno specchietto odontoiatrico. «Credo di poter affermare, senza ombra di dubbio, che i tuoi siano i denti più puliti che io abbia mai visto».
Arthur chiuse la bocca, avvampando lievemente. «Uh... g-grazie».
«Non c'è di che», commentò l'Audino, seria. «Quindi, è molto importante che continui a prendertene cura, capito?». A quel punto, la dottoressa fece scendere il Pikachu dalla sedia da dentista. «Bene, direi che abbiamo finito». Si girò verso l'armadietto e rimise a posto i vari attrezzi, per poi dare un'occhiata alla pendola lì accanto. «Be', è la mezza; ora di pranzo». Si incamminò con calma verso l'uscita dell'infermeria. «Ti consiglio di seguirmi, Pikachu».
Il tono che aveva usato rendeva difficile per Arthur capire se si trattava di un consiglio vero e proprio o di un ordine, ma decise di non rischiare. Scese giù dal letto – notando che la cicatrice sul petto non gli faceva più troppo male – e si accodò alla dottoressa.
«Quindi», mormorò, insicuro, mentre imboccavano il corridoio, «voi alla Gilda... cosa fate di preciso?».
«Esploriamo», fu la risposta dell'Audino. «Perché lo chiedi?».
«Ah... Lugh me lo aveva spiegato», rispose il Pikachu, «ma non credo di aver capito bene...».
«Be', in pratica il nostro lavoro consiste nell'aiutare le persone in cambio di soldi», spiegò Poppy con assoluta serietà. «A volte un bambino si perde, oppure qualcuno subisce un furto, ed è allora che entriamo in azione noi». Sorpassarono una porta di legno e girarono a destra. «Spesso, il nostro lavoro ci porta ad avventurarci in nei Dungeon Misteriosi, che sono anche parecchio pericolosi, quindi veniamo pagati abbastanza bene».
Arthur chinò la testa di lato, confuso. «Dungeon... Misteriosi?».
«Sono dei posti... strani. La loro posizione rimane la stessa, ma la loro struttura interna cambia ogni volta che ci entri», rispose la dottoressa, «quindi non puoi mai sapere cosa ti aspetta».
«Aspe', come fa la loro struttura interna a cambiare ogni volta che ci entra qualcuno?!».
Poppy fece spallucce. «È uno dei motivi per cui li chiamano "misteriosi". Alcuni dungeon invece sono anche affetti da condizioni particolari; in alcuni puoi entrare solo da solo, mentre in altri la tua Sacca dei Tesori si svuoterà per metà non appena ci metti piede. So per certo che esistono cinque dungeon del genere da qualche parte nel mondo, su una specie di isolotto infernale di cui non ricordo il nome... credo si chiamasse Isola Zeta o qualcosa del genere...».
«Sembra interessante», commentò il Pikachu. «E qui, invece, dove siamo?».
«Ci troviamo nell'Éire, un'isola dell'Arcipelago Unwederico», rispose l'Audino. «Ti troverai bene, qui. La maggior parte della gente è abbastanza tranquilla».
«Buon per me immagino». All'improvviso, però, le orecchie di Arthur si drizzarono verso l'alto. «Ehi... che è successo a quei due criminali?».
«Il Nickit e lo Skwovet? Li abbiamo presi e consegnati alle autorità. Non daranno più fastidio a nessuno per un po'».
«Be', questo è un sollievo. Onestamente, quel... tizio grigio... mi pare si chiamasse Alastar... sì, insomma, mi ha un po' confuso. Prima ha detto che un vero ladro non si arrende mai, poi ha mormorato qualcosa sul fatto di non essere costretto a combattere e di volersi arrendere...».
«Strano. Ma non lo giudico».
«Quindi... che c'è per pranzo oggi?».
L'Audino fece spallucce. «Non lo so. Nessuno lo sa. Kells è imprevedibile».
Il Pikachu inarcò un sopracciglio. «Kells?».
«Il nostro cuoco», spiegò l'Audino. «Un tipo bizzarro, ma ha la testa a posto».
«Ah. Fico. Molto fico», commentò il Pikachu. All'improvviso, tuttavia, una fitta al petto lo colse all'improvviso. «Ahi!». Si sfiorò la zona lesa. «Fa male!».
«Be', ti hanno ridotto uno schifo», lo informò la dottoressa, senza abbandonare il suo tono serio. «C'era sangue dappertutto».
Il ricordo della battaglia lampeggiò vivido nella mente di Arthur. Il dolore che gli oltrepassava il petto... la fatica che gli bruciava i muscoli... il sangue che sgorgava a fiumi... riusciva a ricordare tutto con una nitidezza quasi surreale, come se si trovasse di nuovo lì, con la faccia a terra e il pelo fradicio della sua linfa vitale, ancora calda. Ripensandoci, il Pikachu non poté fare a meno di rabbrividire.
«Cerca di non pensarci troppo», gli suggerì Poppy, anche se il suo tono di voce lo faceva sembrare più un ordine che un suggerimento. «Ti rovineresti l'appetito».
«M-ma tutte quelle... cose, quegli artigli di energia oscura, quel lampo arancione... che diavolo erano?!», volle sapepre il Pikachu. «Sono quasi morto, dannazione!».
«La "quasi-morte" è uno stato in cui tutti, prima o poi, ci troveremo», commentò Poppy, «e siccome sei vivo, non hai niente di cui lamentarti. Quelle che hai visto erano "mosse". Sono ciò che i Pokémon usano per combattersi a vicenda».
Arthur inarcò un sopracciglio, nervoso. «Ne parla come se accadesse tutti i giorni...».
«Sì, infatti è proprio così», confermò la dottoressa. «Secondo una mia teoria, un Pokémon medio passa all'incirca quarantamila ore della sua vita a combattere».
Il Pikachu sentì tutto il sangue scomparire dal suo viso. «Ah... è... uhm... un... un sacco di tempo...». Poi, sussurrando, aggiunse: «Per favore, non mi uccida...».
«Non lo farò», lo rassicurò con serietà Poppy. «Non finché non avrò un motivo per farlo».
«Ah... ahahah...», fece il Pikachu, ridacchiando nervosamente. «Bello scherzo...».
Poppy inarcò un sopracciglio. «Scherzo? Io non scherzo mai».
Il Pikachu preferì non commentare, pensando che sarebbe stato meglio cambiare argomento. «Quindi... ehm... voi esplorate, eh?».
«Sì. Siamo Esploratori», rispose piatta l'Audino. «È quello che facciamo. Ogni tanto spunta un nuovo dungeon e noi andiamo a dare un'occhiata... lo esploriamo, insomma. Eco perché ci chiamano Esploratori».
«Aspetti un attimo... i dungeon possono anche spuntare dal nulla?!».
«Oh, sì. In continuazione. E solo quando nessuno sta guardando. Ma la probabilità che te ne spunti uno sotto i piedi è praticamente pari a zero, quindi non devi preoccuparti».
«Se lo dice lei...», mormorò Arthur, anche se in realtà non era del tutto convinto. «E... qui ce ne sono molti, di dungeon?».
«Almeno una cinquantina», rispose l'Audino. «Il più vicino è la Foresta di Smeraldo che, stando a quanto dettomi dalla Capitana, è anche dove ti hanno trovato».
«Non mi è sembrato che ci fosse qualcosa di strano in quel posto», disse il Pikachu. «Insomma... non ho avuto problemi ad uscirne...».
«Allora probabilmente ti trovavi solo al confine esterno del dungeon». Poppy girò a destra, imboccando un corridoio. «Be', forse è meglio così; avresti avuto un mucchio di grane in più, se ti fossi ritrovato all'interno».
Dopo un paio di minuti spesi in totale silenzio, i due raggiunsero finalmente la loro destinazione, ossia l'ingresso della Gilda.
«Ma... questa non è la stanza in cui sono entrato quando sono... be'... entrato qui?», domandò Arthur, piegando la testa di lato.
«Proprio quella», rispose Poppy, incamminandosi verso la porta sotto al pianerottolo. «Dai, adesso si pranza».
"Uh... chissà cosa c'è da mangiare", si chiese il Pikachu, accodandosi alla dottoressa.
IV
La sala da pranzo era tanto grossa quanto affollata, ed Arthur si rese conto – non senza una punta d'imbarazzo – di essere arrivato in ritardo. Disposti per la stanza c'erano otto tavoli in coppie da due, i quali erano disposti in modo da creare un passaggio nel mezzo, tutti occupati da una varietà immensa di creature. Ed erano tutte intente a mangiare.
«Si stanno dando da fare...», commentò Arthur, rivolgendosi più a se stesso che a Poppy, mettendosi a cercare un posto libero. «Certo che ce n'è di gente...», mormorò piano, guardandosi attorno mentre avanzava in mezzo ai tavoli. «Spero solo che ci sia uno spazio anche per me...».
«Qui c'è un posto, se vuoi».
Una voce femminile, che per qualche ragione gli suonava familiare, attirò la sua attenzione. Voltandosi, il Pikachu si ritrovò a fissare un paio di occhi rosa, appartenenti ad una creatura quadrupede. La riconobbe quasi immediatamente; era la Pokémon che aveva visto quella stessa mattina, poco prima di perdere i sensi. Era girata verso di lui, le zampe anteriori sul tavolo, e sorrideva con modestia. Accanto a lei c'era uno spazio vuoto, a sinistra del quale era seduto Lugh. Arthur non si fece pregare, e si sedette.
«Uhm... g-grazie», ringraziò, grattandosi nervosamente il polso. All'improvviso, si ricordò dell'incarico assegnatogli dalla Capitana. «Ehm... la Capitana desidera parlare con te...».
«Lo ha già fatto», lo informò la Eevee. «Voleva sapere come mi trovavo nella mia stanza, tutto qui».
«Ah», fu tutto quello che Arthur riuscì a dire. «E... ti trovi bene?».
«Molto», rispose Fay. «In teoria è una stanza per tre, ma tutte le stanze singole sono occupate».
«Be', buon per te», commentò il Pikachu, sorridendo mestamente. Fu solo allora che si rese conto del piatto fumante davanti a Fay. «...non mangi?».
«Ancora no». Fay arricciò il naso. «La zuppa è davvero troppo calda, quindi vorrei aspettare che si raffreddi un po', prima di mangiarla».
«Ah. Sì, suppongo che abbia senso», commentò Arthur, guardando davanti a sé. «...ehi, dov'è il mio piatto?».
«Oh, grandioso», commentò Lugh, infilandosi una cucchiaiata di zuppa in bocca. «Un altro seccatore».
«Non fare l'infame», provò a redarguirlo Fay.
«Sì, sì, come vuoi...», fece il Riolu, divorando un'altra cucchiaiata di zuppa.
La Eevee tornò a rivolgersi al Pikachu. «Quindi... ho sentito che lavorerai qui come membro dello staff?».
«Già... così sembrerebbe», rispose il Pokémon Topo, cercando di ignorare le proteste del suo stomaco.
«Posso sapere perché?», chiese Fay, che allo sguardo interrogativo del Pikachu rispose: «Insomma... la maggior parte di quelli che si uniscono ad una gilda lo fanno per diventare esploratori. Tu non hai ambizioni?».
«Cos- no, no, cioè... forse sì... ma non me le ricordo!», si affrettò a rispondere il Pikachu. «Sono affetto da amnesia – non ricordo chi sono, da dove sono venuto, non so neanche quale sia il mio cibo preferito». Affondò la faccia nelle mani, sconsolato. «Conosco solo il mio nome, e l'ultima cosa che ricordo è che stavo cadendo dal cielo!».
«Ah... mi dispiace sentirlo», mormorò la Eevee. «Ad ogni modo, non credo che ci siamo presentati: il mio nome è Fay, molto piacere». Tese la zampa verso Arthur, il quale, dopo un attimo di esitazione, la afferrò piano.
«Io mi chiamo Arthur», si presentò il Pokémon Topo. «...piacere».
«Ti trovi bene qui?», domandò la Eevee.
Arthur abbassò lo sguardo sulle tre cicatrici che gli sfiguravano il petto. «Non troppo... ho letteralmente rischiato di morire...».
«Già, ho sentito quel che ti è successo», commentò Fay, la fronte corrucciata. «Onestamente, sono contenta che quei due siano finiti in prigione!».
«Sì... anch'io», ammise il Pikachu. «...spero solo che non mi accada mai più nulla del genere, perché è stato terrificante».
«Aw, poverino», mormorò Fay, sinceramente dispiaciuta. «Su, su... domani è un altro giorno».
«Ah, uhm... grazie». Il Pikachu lanciò un'occhiata al piatto della Eevee. «Credo si sia raffreddata abbastanza, ha smesso di fumare». Poi fissò lo spazio vuoto davanti a sé. «...perché io non ho niente da mangiare?».
«E che ne so?», rispose Fay, prima di ficcare il muso nel piatto. Quando riemerse, aveva il naso sporco di zuppa. Si pulì immediatamente con qualche leccata. «Forse non hanno avvisato il cuoco della tua presenza, ma mi sembra strano».
«Senti, so che potrà sembrare una domanda strana», esordì Arthur, «ma... i Pokémon cosa mangiano, di preciso?».
Fay lo guardò come se le avesse appena chiesto quanto facesse 2+2. «...sei serio?».
«Ehi, sono affetto da amnesia», le ricordò il Pikachu. «Non posso saperlo!».
«Oddio, scusa, me n'ero scordata», si scusò la Eevee. «Okay, adesso ti spiego; praticamente, la maggior parte dei Pokémon si nutre di cose come frutta, verdura e funghi, però ce ne sono alcuni che possono tipo mangiare metalli, o veleno, o cose che la maggior parte dei Pokémon non è in grado di assimilare».
«Oh», fece il Pikachu, impressionato. «Questo è davvero interessante».
«Sì, be'... non è stato sempre così», mormorò Fay, "immergendosi" nuovamente nella zuppa. Quando riemerse, continuò: «Una volta, i Pokémon erano costretti a mangiarsi a vicenda per sopravvivere... una cosa davvero inquietante. E le prede, però, hanno imparato a difendersi, costringendo i predatori a trovare nuovi modi per attaccare, scatenando una corsa agli armamenti evolutiva». Tirò un sospiro di sollievo. «Fortunatamente, ad un certo punto della storia, alcuni Pokémon, in tutte le parti del mondo, iniziarono a rendersi conto che non potevamo continuare così, o ci saremmo distrutti a vicenda. Iniziarono dunque a crearsi le prime comunità "civilizzate", dove carnivori e erbivori convivevano... non sempre in armonia, ma almeno era un passo avanti. Non è stato un percorso facile, ma... be', è così che siamo arrivati ad oggi».
«Wow! Cioè, quindi una volta il cannibalismo era normale?». Arthur sgrano gli occhi. «Cavolo... dovevano essere brutti tempi».
«Be', non è così semplice», spiegò Fay, abbassando lo sguardo. «Ci sono ancora alcuni Pokémon che praticano il cannibalismo». Si girò verso Arthur, sorridendo. «Ma non preoccuparti; ci sono buone probabilità che non li incontrerai mai!». Il volto della Eevee, poi, si fece improvvisamente serio. «Però c'è anche gente che tende a discriminare i "potenziali carnivori", ossia quei Pokémon che non mangiano carne, ma potrebbero».
«Sì, sarebbe meraviglioso se le persone la smettessero di discriminarsi a vicenda solo per quello che potrebbero mangiare».
Il Pikachu per poco non cadde dalla sedia nel sentire una voce maschile proprio sopra la sua testa. Alzò lo sguardo; sopra di lui fluttuava, con aria divertita, una... cosa violacea. Possedeva quattro arti, due orecchie appuntite, una coda, due occhi rossastri e un sorriso con decisamente troppi, troppi denti. Arthur avrebbe pensato che fosse uscita direttamente fuori da un incubo, se non fosse stato per il cappello da chef che indossava e la ciotola fumante che aveva in mano.
«Salve», salutò il nuovo arrivato, poggiandosi a terra. «Io sono Kells».
«S-salve», balbettò Arthur, alzando una zampa. «I-io mi chiamo A-Arthur...». Il Pikachu lanciò un'occhiata alla ciotola di ceramica bianca che Kells teneva in mano. «...quello è...?».
«Il tuo pranzo». Il cuoco gli poggiò il cibo davanti. «Mangialo, prima che si raffreddi, perché altrimenti farà schifo».
Il Pikachu osservò il contenuto della scodella. Era piena zeppa di zuppa, la stessa che Fay e Lugh stavano mangiando.
«Be', buon appetito a me, immagino», commentò Arthur, prima di iniziare a mangiare.
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