Capitolo 13: La Pokémon Multigene

«Perché?», continuava a mormorare Yannie, fissando il pavimento grigio. «Perché? Perché? Non è giusto... perché?».

Una lacrima le rigò il folto pelo scuro, per poi cadere sul pavimento, venendo presto seguita da altre sue compari. La Luxray non poteva, non voleva accettarlo! Eppure... doveva. La realtà era inflessibile e spietata, facendo sentire Yannie come una Surskit sulla quale stava abbattendosi una tempesta di neve. Si sentiva impotente, completamente impotente. E ora si trovava lì, nel retrobottega, con il volto fra le lacrime ed il cuore che le faceva male fino a scoppiare. Unica, magra consolazione erano le zampe di Trevor, che le accarezzavano la testa, mentre lei era stesa a pancia in già, piangente.

«Coraggio», fece il Raichu. «Ora calmati, e dimmi cosa ti angoscia».

«COME SE TU NON NE FOSSI GIÀ AL CORRENTE!», gridò la Luxray, cosciente del fatto che in quel momento nessuno all'infuori del marito avrebbe potuto sentirla, poiché questi aveva chiuso il negozio in anticipo. Per la prima volta dopo tanti anni, mostrò i denti al marito. «Non fare il finto tonto con me, Trevor D'Arby! Ti detesto quando dici certe CAZZATE!».

A quel punto, il sarto abbassò lo sguardo, non avendo il coraggio di guardare la moglie negli occhi mentre pronunciava quelle parole.

«È per via... di quello che ci ha detto Travis... durante l'ultima riunione di famiglia, non è vero?».

«PUOI SCOMMETTERCI IL CULO CHE È PER VIA DI QUELLO!». Yannie si rialzò in piedi di scatto, furiosa, gli occhi iniettati di sangue. «Nostro figli ci ha detto che sta per morire... e tu fai finta di niente?!». Il suo corpo iniziò a sprizzare scintille elettriche, le quali illuminarono la stanza buia nella quale Trevor custodiva le proprie merci. «Mi disgusti!», esclamò, senza preoccuparsi di celare tutto il disprezzo che in quel momento nutriva nei confronti del Pokémon Topo. Avrebbe davvero voluto folgorarlo a morte, ma sapeva che l'abilità Parafulmine del sarto avrebbe reso completamente vano uno sforzo del genere. «Ti odio!».

Trevor inspirò a fondo, poi inspirò e fisso negli occhi la moglie.

«Ti sei calmata, adesso?», domandò infine.

La Luxray rimase immobile per pochi istanti, prima di crollare a terra, svenuta. Immediatamente, Trevor si precipitò sotto di lei, cercando di far sì che sua moglie non sbattesse la testa, e finendo quasi schiacciato dal peso di lei. Strinse i denti e, con tutta la forza che il suo piccolo corpo gli consentiva di avere, la adagiò su una pila di coperte che aveva fabbricato qualche settimana prima, con l'intenzione di venderle. Infine, le mise una zampa sulla testa.

«Ora... cerca... di dormire...», mormorò, mentre nei suoi occhi affiorava una lacrima solitaria. «Ne hai... bisogno... vedrai... vedrai che andrà tutto... tutto bene...». Passò le zampe fra la criniera della moglie. «Va tutto bene... s-se la caverà, ne sono certo... s-sì, nostro... nostro figlio sopravvivrà...». Tuttavia, dentro di sé, non ne era più tanto sicuro.

"...del resto...", pensò, alzando lo sguardo verso il soffitto, "anche se ti avessimo chiesto di non andare... non saremmo riusciti a fermarti; vero, Travis? Perché è così che sei fatto; questi sono gli ideali con cui sei cresciuto; questo sei tu. E la cosa ti fa onore. Dovremmo essere felici... di averti tirato su in questa maniera. Certo, non immaginavamo... che le cose... sarebbero andate a finire così". Si morse il labbro, ed una piccola goccia di sangue cadde sul terreno. "Dicono che per un genitore non vi sia pena più atroce di sopravvivere al proprio figlio". Strinse i pugni, tirando accidentalmente i peli di Yannie, la quale tuttavia era troppo esausta per reagire, o anche solo accorgersene, visto che era sprofondata nel mondo dei sogni. "Cazzo, se è vero!".

Lasciò andare la testa della moglie, e andò a sedersi in un angolino remoto della stanza. Si infilò il muso fra le zampe, ed incominciò a piangere.

XXX

L'esplosione la spedì contro un albero vicino, spezzandone il tronco. Lei, invece, provando una familiare sensazione di déjà-vu, fu piuttosto certa di essersi spezzata la schiena. La Silvally infine cadde a terra, dolorante, a causa degli ingenti danni che aveva subito; il suo corpo era pieno di bruciature e abrasioni, mentre buona parte delle sue ossa erano fratturate. Lentamente e dolorosamente, riuscì in qualche modo a rialzarsi in piedi, senza distogliere lo sguardo dal suo avversario. Lo aveva sottovalutato. Quel Pokémon... no, quell'Ultracreatura... era di una potenza devastante! Non fece nemmeno in tempo a reagire, che venne subito colpita da un'altra esplosione, ancora più potente della precedente. Il calore emanato dall'attacco era inconcepibilmente intenso, e l'onda d'urto che ne derivò la scagliò per aria, facendola atterrare parecchi metri più in là. Rotolò diverse volte, prima di riuscire a piantare gli artigli nel terreno e a tornare sulle quattro zampe. A quel punto, incurante del dolore, incanalò la sua energia di tipo Acqua negli artigli, caricando dunque un potente Multiattacco, che sarebbe sicuramente risultato superefficace contro un nemico di tipo Fuoco. Si fiondò all'attacco, incrociando le zampe.

L'Ultracreatura rimase immobile fino a che lei non gli fu letteralmente a due millimetri di distanza, poi si fece esplodere nuovamente la testa. Stavolta, però, la Silvally era pronta; una volta notato il bagliore bianco che preannunciava la detonazione, usò Protezione per circondarsi con una barriera d'energia, in modo tale da annullare la potenza dell'attacco. Poi, colpì con Multiattacco l'esile corpo dell'Ultracreatura, ferendola e atterrandole alle spalle. Non perse tempo; si girò, lanciando contro il suo nemico un potente Eterelama, ferendolo e buttandolo a terra. La testa dell'essere, fino a pochi secondi prima in procinto di esplodere, rotolò lontano, smettendo così di costituire una minaccia.

«Bene, bene, bene», commentò la Pokémon Multigene, poggiando una zampa artigliata sul petto del nemico sconfitto, premendo più forte che poteva per assicurarsi che egli non le sfuggisse. «Ora... cosa potrei fare con te? Dovrei legarti e tenerti prigioniero finché non scopro un modo per farti tornare nel tuo mondo? Dovrei forse lasciarti andare? Oppure, dovrei semplicemente tagliarti in tanti piccoli pezzettini, giusto per assicurarmi che tu non te ne vada più in giro a far danni? Mmmmh... scelte, scelte, scelte...».

All'improvviso udì un suono di passi in lontananza e, prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, all'entrata della radura apparvero due Pokémon; una di loro, alta all'incirca un metro e dieci, portava attorno al collo quella che sembrava una splendida "chioma" di fiori bianchi, mentre il secondo, la cui altezza si aggirava attorno ai quaranta centimetri, aveva un bel pelo giallo, due guance rosse e due occhi insolitamente verdi. Erano una Florges Fiore Bianco ed un Pikachu. La Silvally imprecò mentalmente; se c'era una cosa di cui si sarebbe dovuta assicurare, era che la sua missione per contrastare le Ultracreature rimanesse un segreto. Invece, si era appena fatta scoprire come una babbea. Doveva fare qualcosa, ma non ne ebbe il tempo, perché venne investita da una potente raffica di foglie luminose che, dato il suo tipo corrente, le fecero parecchio male, al punto da farla barcollare.

«Sei stata tu, non è vero?!», gridò a quel punto la Pokémon Giardino, avvicinandosi, i petali ancora luminescenti ed impregnati dell'energia dell'attacco Fogliamagica. «Tutto questo scempio... lo hai causato tu!». Il suo corpo si illuminò, segno che stava caricando un Magibrillio.

Travis rimase scioccato nel vedere quel disastro; il terreno era quasi completamente spoglio, la poca erba che rimaneva era annerita o in fiamme, mentre l'unico ciuffo di Vitalerba che riuscì a scorgere era in procinto di diventare cenere. Si accasciò per terra, conscio del fatto che quella era probabilmente la riserva di erbe mediche più grande di Villarosa, e che ora era andata completamente distrutta.

«Ok, ok!», mormorò la strana Pokémon che Blanche aveva attaccato. «Senta, sono sicura che si tratti di un malinteso! Se mi lascia parlare, giuro che sarò perfettamente in grado di spiegarle tutto!».

Il corpo della Florges smise di brillare in maniera accecante, rimanendo comunque avvolto da una luce biancastra, che equivaleva ad una velata e silenziosa, ma pur sempre inquietantissima, minaccia di morte. La Pokémon Giardino incrociò le braccia.

«Va bene», rispose, fissando la sua nemica con un'espressione che voleva dire "ti conviene essere convincente". «Ti ascolto. Ma vedi di convincermi, perché sennò...». Il suo corpo brillò più intensamente per un attimo. «Hai capito, spero».

«Va bene, va bene!», mormorò la Silvally, che tutto voleva, tranne che finire infilzata da una cinquantina di dardi di luce. «Vi racconterò tutto! Però sappiate che ci sono delle cose che voglio tenere per me».

La Florges fece spallucce. «Per me va bene. Basta che tu mi dica a sufficienza tanto da convincermi a non Magibrillarti».

"Ma Magibrillio non è un verbo", avrebbe voluto dire la Pokémon Multigene, che ebbe ovviamente abbastanza accortezza da stare zitta.

«Scusa un secondo», esordì a quel punto il Pikachu, avvicinandosi a lei. «Ma tu... tu non sei quella Pokémon che ho incontrato stamattina? Quella che mi ha chiesto indicazioni su dove trovare una locanda?».

«Quindi la conosci?», domandò la Florges, rivolgendosi al Pokémon Topo.

«L'ho incontrata mentre mi dirigevo alla gilda», spiegò questi. «E lei mi ha domandato dove avrebbe potuto trovare un posto dove mangiare e dormire, così gliel'ho indicato. Credo abbia detto... di chiamarsi Moon».

A quel punto, la Pokémon Multigene sospirò.

«Mettetevi pure comodi», li invitò, «perché sarà una storia molto, ma mooooooolto lunga».

«Peccato che non abbiamo il tempo per ascoltarla!», gridò a quel punto Travis. «Ci sono centinaia di feriti a Villarosa che aspettano solo di essere curati!».

«Davvero?!». Moon parve stupita. «In questo caso, vi prego di lasciare che vi aiuti; mentre venivo qui, ho visto un incendio che poi è stato spento da una provvidenziale nuvola di pioggia. Sicuramente», e si voltò verso l'Ultracreatura, disgustata, «è stata opera sua».

«Difatti è così», fece il Pokémon Topo. Poi, tese una zampa verso la Pokémon, per nulla intimorito dalla differenza di stazza.

«Tu...hai detto di chiamarti Travis, giusto?», domandò Moon. «Non mi avevi detto... di aver scritto una lettera a Red, perché ti aiutasse con una questione? A questo punto, sarà già in viaggio».

«Sono sicuro che, anche quando non mi troverà all'indirizzo che gli ho fornito, avrà pazienza», affermò fiducioso Travis, mentre si incamminava verso Villarosa. «Allora... sei con noi?».

«Solo un secondo». La Silvally si girò nuovamente verso l'Ultracreatura, mormorando; «Perdonami... niente di personale».

A quel punto, con un Multiattacco, gli tranciò il petto, dal quale schizzò un liquido bluastro dalla consistenza molto simile a quella del sangue. E, molto probabilmente, proprio di sangue si trattava.

«Prima che tu possa giudicarmi», fece Moon, anticipando Travis, «sappi che questo essere ai miei piedi non si è fatto scrupolo alcuno a bruciare un'intera foresta». Si avvicinò nuovamente al Pokémon Topo. «Non provare a dirmi che non ci sono state vittime, perché non ti credo».

La risposta che Travis avrebbe voluto dare arrivò da Blanche.

«Al momento», spiegò la Florges, scura in volto e con fare serissimo, «abbiamo calcolato... diciassette morti, e trentuno dispersi».

«Però», disse subito l'esploratore, rivolto a Moon, «potevi anche chiedere con un poco più di tatto, sai? E poi, non mi fido; prima, voglio sapere chi sei davvero!».

La Pokémon Multigene sospirò, poi si piegò in avanti, in modo tale da arrivare alle orecchie del Pikachu.

«Te lo dico solamente», esordì sussurrando, «perché tu sembri avere un buon rapporto con Red; altrimenti, non si sarebbe preso il disturbo di venire ad aiutarti... no, aspetta; tu sai almeno se ha deciso di aiutarti? Ti ha inviato una qualche lettera, un biglietto, qualcosa...?».

«Niente», rispose il Pikachu, serrando i pugni. «Ma visto il contenuto della mia richiesta, so che verrà sicuramente!».

«Se lo dici tu», fece Moon, facendo spallucce per quanto le fosse possibile. «Ad ogni modo, ore un favore da chiederti ce l'ho io».

«Prima dimmi di che si tratta; poi vedrò se è il caso di accontentarti».

«Io ho... un assoluto bisogno... di incontrare Red Hot Chili Pepper».

«Oh? E perché?».

«Perché è un mio carissimo amico. Solo che... tempo fa... feci a lui, e ad altri due amici miei... un torto orribile».

«Prego, continua a spiegare».

«Io... io ho bisogno di incontrarli... devo vederli! Almeno uno di loro... almeno uno di loro deve sapere la verità».

«Di che "verità" stai parlando?».

«Non è una cosa che ti riguarda».

«Dov'è che hai conosciuto Red? Perché ci tieni tanto a vederlo?».

«Si tratta esattamente della storia lunga cui ho accennato prima. E tu stesso hai detto di non avere tempo per sentirla, o sbaglio?».

«Va bene, va bene. Però, quando avremo finito a Villarosa, esigo sapere tutto. Altrimenti, puoi sognarti di vedere il tuo amico».

«D'accordo, d'accordo; mi sembra una proposta ragionevole».

«Prima di andare... giusto un'ultima domanda».

«Spara».

«Tu... che Pokémon saresti, esattamente?».

«Sono una Silvally, la Pokémon Multigene».

Soddisfatto, almeno per il momento, Travis fece cenno con la zampa a Moon di seguirlo, per poi incamminarsi dietro a Blanche, che già se ne stava andando.

"Finalmente... finalmente, potrò dire tutto", pensò la Silvally, dispiaciuta, nostalgica, triste e sollevata allo stesso tempo. Mentre camminava a seguito dei due Pokémon, nella sua mente riaffiorarono le avventure che aveva vissuto assieme ai suoi amici, ai suoi compagni di squadra. "È stato divertente. È stato... davvero divertente".

E poi, cos'era successo?

Prima era venuta la tristezza.

Poi l'insicurezza.

In seguito la paura.

Infine, la disperazione.

E, ultimo, gli scogli appuntiti su cui si era schiantata, andando in mille pezzi.

Rabbrividì; come aveva potuto... compiere un gesto tanto egoista? Tanto codardo? Deglutì; persino la sua saliva sembrava salata come l'acqua di mare.

Alzò lo sguardo al cielo. Era forse una fortuna, che la sua anima non fosse volata nell'aldilà, aggrappandosi al mondo terreno con tutte le sue forze?

Non ne aveva idea. Tutto quello che sapeva, era che sentiva un disperato bisogno di aprire il suo cuore ai tre Pokémon che, durante il periodo più buio della sua vita, l'avevano sempre supportata.

"Simon... Manhattan... Red... aspettatemi. Sto arrivando".

XXX

Lentamente, Yannie Cattermore aprì gli occhi. Lentamente, si rialzò in piedi, sbadigliando. Lentamente, si stirò le stanche membra, oramai riposate da una quantità considerevole di sonno ristoratore. Infine, si guardò attorno, aspettandosi di ritrovare i le familiari pareti del retrobottega del marito.

Una fitta foschia rosea ricopriva quel posto. Ovunque posasse gli occhi, la Luxray non vedeva muri di alcun tipo, tranne forse per il pavimento, visto che lo sentiva sotto le zampe. Nel momento stesso in cui inalò, un odore dolce e fresco le inondò le narici, spingendola involontariamente a rilassare i muscoli, ma solo per pochi istanti, visto che poi esplose. Quello. NON ERA. Il. Retrobottega. Di. Suo. Marito.

«DOVE CAZZO MI TROVO?!», gridò. Le sue parole echeggiarono nel nulla. «Che cazzo è questo posto?! Come cazzo ci sono finita?! Chi cazzo mi ci ha portata, eh?!». Digrignò i denti, tirando fuori le unghie. «MA GUARDA TE SE MI DEVO INCAZZARE COSÌ!».

Tuttavia, riuscì a mantenere la calma, sebbene qualche scintilla sprizzasse ancora occasionalmente dal suo manto.

«Va bene, Yannie; puoi farcela», mormorò la Luxray. «Ti sei addormentata; questo è senza dubbio un sogno». Si graffiò una zampa con tutta la forza di cui disponeva e, con suo grande sollievo, non provò dolore di alcun tipo. «Già, lo immaginavo; sto semplicemente sognando».

«Tesoro?», domandò sorpresa una voce maschile a lei molto familiare. «...perché sei nei miei sogni?».

La Pokémon Occhiluce si girò, incontrando gli occhi verde scuro del marito.

«Ah, forte!», commentò lei. «Allora è vero che nei sogni si incontra anche il proprio partner!».

Il Raichu piegò la testa di lato, confuso.

«Sai», esordì egli, «normalmente direi la stessa cosa... se non fosse che questo non è un sogno come gli altri».

«Oh, andiamo!», lo canzonò Yannie. «Parli tu, che fai parte del mio mondo onirico?».

«Piccola, credo che stiamo facendo una qualche specie di sogno condiviso», la informò il Raichu. «Ti posso assicurare che io sono il vero Trevor, e non qualche sorta di prodotto della tua mente».

«Questo è esattamente ciò che un prodotto della mia mente direbbe», sussurrò Yannie, abbassandosi e ondeggiando i fianchi in maniera sensuale. «Dicono che si possa fare l'amore, nei sogni... sarà vero?».

«Sono sicura che avrete moltissime altre occasioni per scoprirlo», fece una seria voce femminile alle loro spalle, «ma per ora, gradirei avere la vostra attenzione, grazie».

Immediatamente, entrambi si voltarono. Davanti a loro, a pochi metri di distanza, si trovava una bizzarra palla di luce bianca, grande circa un metro e venti. Dietro di questa, in mezzo alla nebbia rosa, riuscivano ad intravedere una luna piena, delle rocce e, fra questa, una staccionata.

«Chi ha parlato?», domandò all'istante Yannie. «Fatti vedere, bastard- GAH!», gridò, mentre veniva scagliata lontano da una massiccia dose di potere psichico. Atterrò sulle zampe, scivolando. «Ok, ora sono incazzata!».

«Oh, no, ti chiedo perdono!», disse la stessa voce misteriosa di prima. «Per un attimo, visto il tuo tono, ho pensato che qualcuno ci stesse spiando. Non era davvero mia intenzione, scusami. PERÒ, sei pregata di non rivolgerti più a me in quella maniera».

«Sì, sì, come ti pare», fece la Luxray, sbrigativa. «Dunque... questa specie di "sogno condiviso" è opera tua?».

«Ebbene sì», rispose la voce. Mentre parlava, il globo biancastro tremolava. «Ed è solo una delle mie tante abilità. Forte, vero?».

«Già», commentò Trevor, che in tutta onestà non si aspettava una domanda del genere. «Certo, è davvero... come dicono i giovani d'oggi? "Ganzo", mi pareva... sì, ecco! È davvero una cosa... ganzissima!».

«Chi sei? E cosa vuoi?», domandò a quel punto Yannie, che iniziava a spazientirsi. «Mi auguro che tu non abbia messo su tutto questo bel posticino dall'aria mistica solamente per darci una dimostrazione del tuo potere».

«Un po' sì, e un po' no», ammise la voce misteriosa. Dal tono, poteva benissimo appartenere ad una bambina di otto anni. «Onestamente, avrei potuto semplicemente contattarvi per via telepatica... ma poi, dove sarebbe stato il divertimento? Ad ogni modo, sono qui per recapitarvi un mes-».

«Scusa se ti interrompo», fece l'erborista, facendo un passo avanti, «ma non ci hai ancora rivelato chi sei?».

«...forse, se mi rivelerò, la smetterai di comportarti in maniera tanto arrogante», mormorò la voce, indispettita.

«Be', può darsi», rispose Yannie, stringendosi nelle spalle. «Chi può dirlo? Avanti, fatti vede- gaaaahh!».

La Luxray gridò quando la sfera di luce si sfaldò, e davanti a lei si fiondò a tutta velocità la proprietaria della voce misteriosa. Si trattava di una Pokémon fluttuante dal torso nero, a metà del quale c'era una striscia bianca orizzontale. Gli occhi, divisi ciascuo in due sezioni blu e due sezioni rosa, erano ovali, traforati da due pupille nere; le sopracciglia erano rosa. Le braccia, nere anch'esse, erano lunghe e flessuose, e terminavano in mani senza dita; ai polsi, tuttavia, c'erano delle specie di bracciali rosa. La parte inferiore del corpo, invece, non era granché visibile, poiché era infilata in uno spesso guscio rosa, decorato da disegni tribali. Sulla testa, da cui si diramavano dei capelli ricci color rosa acceso, portava un copricapo a forma di cono.

Yannie rimase paralizzata per qualche secondo da quella visione, poi, buttando al vento tutto il suo naturale orgoglio, incrociò le zampe anteriori e si inchinò, imitata istantaneamente dal marito. Aveva riconosciuto subito quella Pokémon, non appena se l'era trovata davanti. Aveva sentito parlare di lei da suo nonno, il quale, quando lei e suo fratello erano ancora una Shinx ed un Eevee di appena cinque anni, raccontava loro le antiche storie del mondo conosciuto. A Yannie, in particolare, piaceva quando l'anziano Luxray parlava delle Quattro Maschere, ossia un gruppo di Pokémon Leggendari, quattro per l'appunto, che si diceva vivessero in una zona imprecisata della Terra della Luce, proteggendola. E, fra quei quattro protettori, nella mente della giovane era sempre rimasta impressa l'immagine di uno di loro, Tapu Koko. Stando ai racconti di suo nonno, costui sfoggiava in battaglia un piumaggio giallo sgargiante, ed aveva la capacità di far cadere fulmini come se fossero pioggia. Ora, la Pokémon al cui cospetto di trovava la Luxray non era certo Tapu Koko... ma gli si avvicinava parecchio, in più di un modo.

«T-Tapu Lele», mormorò. «A-a cosa dobbiamo il p-piacere di questa convocazione?».

«Suvvia, suvvia!», fece la Pokémon Nume Locale, scherzosa. «Alzate la testa».

I due tipi Elettro obbedirono senza fiatare. Le vecchie storie ribadivano sempre una certa lezione, ossia; mai. Contrariare. Tapu Lele. Entrambi erano consci del fatto che quella Pokémon Leggendaria possedeva l'interessante capacità di spargere attorno a sé scaglie luminose, in continuazione. Se la Tapu era felice, le scaglie avrebbero avuto effetti benefici. Se invece fosse stata arrabbiata... una cosa era certa; né Yannie, né tantomeno Trevor avevano voglia di scoprirlo, visto che in quel momento Tapu Lele era circondata da un sinistro luccichio.

«S-se ci è permesso», balbettò Trevor, «possiamo sapere... il motivo della sua... onorevole presenza nei sogni di noi comuni mortali?».

«Ah, giusto, giusto!». Tapu Lele si sbatté una mano sulla fronte. «Il messaggio! Che sbadata!». Ridacchiò.

"Ti prego, Arceus, fa che si dia una mossa!", pensò Yannie, nervosa. "Tutta quest'attesa mi sta uccidendo".

«Anch'io ti posso uccidere», intervenne allorala Pokémon Leggendaria, che aveva letto la mente della Luxray. «E non immagininemmeno con quanta facilità. Tuttavia, non sono qui per questo». Si schiarì lagola con un finto colpo di tosse. «Ah-ehm! Dunque... una mia carissima amica miha pregato di informarvi che vostro figlio... Travis, mi sembra... ha un certocompito cui deve adempiere». Allargò le braccia in un gesto teatrale. «Uncompito affidatogli... da Arceus stesso!».

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