L'amore è un déjà-vu
Intro
Salve a tutti.
Questo breve racconto è stato scritto per la sfida #Monthshot organizzata da WP_Advisor nel mese di Giugno 2018, e si è aggiudicato il primo posto. Il tema da seguire era: cambiare il passato.
Leggete e fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti.
Grazie.
L'amore è un déjà-vu
Vi siete mai trovati in quel particolare momento della vita in cui non si desidera altro che dare un colpo di spugna al passato e ricominciare tutto da capo? Quel momento bizzarro che vi ha lasciato l'amaro in bocca, e la consapevolezza che se ogni cosa è andata a... beh, all'aria, è tutta colpa vostra?
Scusate, domanda sciocca. Certo, certo che vi è successo!
Perché capita a tutti, prima o poi, di commettere un errore madornale. E non è sempre evidente quando sta accadendo, anzi non lo è affatto. Lì per lì appare come un dettaglio insulso, un atto superficiale privo di conseguenze. Ma si sa, anche il più piccolo battito d'ali di una farfalla può causare disastri inimmaginabili.
La mia vita era tranquilla, prima. Niente di eccezionale, badate bene, ma ci stavo molto comodo dentro. A un certo punto ho incontrato qualcuno – che dico? Era la mia anima gemella, non qualcuno.
E poi... Avanti, lo sapete già. Non c'è bisogno che ve lo spieghi, perché è accaduto anche a voi.
Forse avrei anche potuto passarci sopra, col tempo; farmene una ragione insomma. Si impara a convivere con gli sbagli, è la vita. Non esistono colpi di spugna abbastanza efficaci per certe cose, non c'è nessun tasto di reset.
Ma poi mi è accaduto quello che non è mai accaduto a nessun altro prima; mi è stata concessa una seconda possibilità – e una terza, una quarta.
Non ero preparato.
Inutile che facciate quell'espressione di disappunto, nemmeno voi avreste fatto di meglio al posto mio. Perché, ammettiamolo, è facile giudicare dall'esterno, dire che non ripetereste mai gli stessi errori ancora e ancora. Forse vi sorprenderà saperlo, ma nemmeno io l'ho fatto. Già, infatti ne ho commessi di nuovi. Tutti diversi, tutti ugualmente tragici.
Ormai rimpiango di averlo mai desiderato, riprovare intendo. Di poter rifare tutto, ma meglio.
Non esiste meglio. Non per me.
E voi che dite?
Cosa fareste se aveste la possibilità di incontrare qualcuno per la prima volta di nuovo?
Tutto ha avuto inizio un normalissimo venerdì mattina del mese di aprile.
Avete presente il detto 'aprile, dolce dormire'? Dovete sapere che non si applica affatto a me. Faccio il barista in un locale notturno di Edimburgo e di ore di sonno a disposizione ne ho poche o niente; non faccio una bella dormita ormai da due anni, cioè da quando ho lasciato l'Italia e mi sono trasferito qui per lavoro.
Come stavo dicendo, quel venerdì ero appena rincasato dopo il mio quarto turno di fila in una settimana ed ero talmente stanco che stavo per crollare sul divano, ma il mio cagnolino – Pasticca – continuava a tormentarmi per uscire. Alla fine mi sono trascinato fuori dal mio minuscolo ma confortevole appartamento, con immensa gioia di Pasticca.
Ovviamente pioveva.
Non mi sono ancora abituato all'immancabile e imprevedibile pioggerellina scozzese.
Me ne stavo lì, come uno zombie, a reggere il guinzaglio mentre lui faceva i suoi bisogni, quando il mio telefono ha squillato.
«Sì?» ho risposto con la voce impastata dal sonno.
«Ehi Nat, ciao. Sono Paula, mi senti?»
«Mm mm. Scusa, sono distrutto. Ho appena finito di lavorare.»
«Cosa? Devi dirgliene quattro a quella schiavista del tuo capo, non puoi andare avanti così.»
«Ho dovuto sostituire un collega, non capiterà più, tranquilla.»
«Ah, ok allora. Senti, ho chiamato per ricordarti che si gioca a Twister stasera. Non puoi mancare.»
Come al solito me ne ero dimenticato. Era una stramba tradizione del mio gruppo di amici, ma ci si divertiva – soprattutto se ubriachi. Beh, non io. Io sono astemio. Sì, capito bene, un barman astemio. E allora?
«Va bene Paula. Ci vediamo stasera.»
E mentre rimettevo il telefono in tasca e svoltavo l'angolo trascinato da Pasticca, Bang! Ecco che mi sono scontrato con qualcuno.
Ho alzato lo sguardo... e mi sono innamorato.
No, non sto esagerando. È stato amore a prima vista. E non perché fosse una bionda stupenda con un fisico da modella, no, ma perché in qualche modo sapevo che era la mia anima gemella!
«Oh scusa, mi dispiace davvero» ho balbettato come un idiota.
E fin qui tutto normale.
A quel punto però non so davvero cosa mi sia preso, le ho chiesto di bere un caffè insieme. Era come se il fascinoso Tony Stark mi avesse posseduto. Capirete bene come la mia rapida trasformazione mi abbia scioccato non poco, ma mai quanto il suo sì, perché comunque lei sembrava Jennifer Lawrence in Red Sparrow e io quello sfigato di Newt Scamander.
A ogni modo, lei si è presentata: Laetitia White, venticinque anni, studentessa americana con un dottorato di ricerca in corso sulla lingua gaelica all'università di Edimburgo.
Ero fuori di me dalla gioia. Continuavo a parlare e parlare e lei mi sorrideva.
A ripensarci ora, avrei annoiato persino mia nonna.
Poi, non so perché, ho iniziato a descriverle il parto di mia sorella maggiore e a dirle quanto i bambini appena nati siano ripugnanti, con tutta quella roba addosso.
Voi direte, ma sei cretino?
Sì, evidentemente lo sono. E dire che ho sempre accusato i miei genitori di essere logorroici e inopportuni.
Apriamo una piccola parentesi su di loro. Per farvi capire devo fare un passo indietro e dirvi che ho sempre detestato il mio nome. Tutti mi chiamano Nat, ma in realtà è Natale. Lo devo al fatto che ai miei genitori piace pensare di avermi concepito durante una folle notte di passione, proprio la vigilia di Natale, come spesso raccontano – in modo assolutamente inappropriato – a chiunque li stia a sentire.
Capite ora cosa intendo?
Bene.
Volete anche provare a indovinare come è andato a finire l'appuntamento, o meglio, dove? Nel water, ecco dove.
Notate che non sono affatto un tipo volgare o scurrile, e non impreco quasi mai.
Laetitia – la dolce Laetitia – è andata via di corsa con una scusa, promettendo di richiamarmi. Solo dopo che ha lasciato Starbucks mi sono reso conto di non averle mai dato il mio numero.
Potete immaginare quanto mi sia sentito depresso dopo aver perso quell'occasione unica di ricongiungermi alla mia metà. Sì, lo so, suona sdolcinato, ma sono un tipo romantico.
Non piace a voi donne?
Vi risparmierò i miseri dettagli della mia triste e solitaria giornata all'insegna dell'autocommiserazione e passerò direttamente alla serata a casa di Paula.
Ricordate Paula? Twister? Bene, perché è un dettaglio molto importante della mia storia. Anzi riprenderò proprio dal momento in cui Brianna mi ha chiesto di girare la lancetta.
So bene che cercava di distrarmi perché avevo tenuto il muso tutta la sera, ma continuavo a pensare al mio incontro con Laetitia. Ho messo l'indice sull'astina di plastica, ripetendo fra me e me: Se solo potessi tornare indietro!
Sarete tentati di pensare che quando la magia dell'universo è all'opera si percepisca un cambiamento, qualcosa di palpabile nell'aria.
Non è così.
Il destino ti colpisce a tradimento, come un abile scippatore di cui non ti accorgi fin quando è troppo tardi.
Quando mi sono alzato dal letto, la mattina successiva, non avevo il più pallido sentore che qualcosa non andasse. Poi ho ricevuto una chiamata dal mio capo. Ho pensato: Che diavolo vuole? È sabato, ho il giorno libero!
Ma a quanto pareva non lo era. Era giovedì – esatto, giovedì! E dovevo sostituire Mikkel al bancone quella sera.
Lì per lì ho creduto di essere pazzo. Un terribile senso di déjà-vu mi ha perseguitato per tutto il giorno e non riuscivo a capire cosa stesse accadendo.
Come forse immaginerete già, non ho mai preso droghe in vita mia. Quindi quell'episodio si spiegava solo con un tumore al cervello o una schizofrenia in stadio avanzato.
Mi ero immaginato tutto o stavo davvero rivivendo la stessa giornata due volte?
Ho cercato di ignorare quella sensazione e ho continuato a lavorare. Erano le quattro del mattino quando Aidan – il boss – è venuta da me.
«Ricordi che prima di andare dobbiamo fare l'inventario?»
«Cavolo, è vero.»
Abbiamo iniziato subito, essendo solo in due ci sarebbe voluto un bel po'. Lavoravamo in silenzio, scambiandoci come sempre solo qualche parola, l'essenziale.
Noi due non ci prendiamo molto. Sarà che lei è una tipa un tantino aggressiva – è un'esperta di arti marziali, credo. E non è affatto una gran chiacchierona. Vi assicuro che non c'entra niente il fatto che è il mio superiore nonostante abbia ventisette anni, ovvero due meno di me.
Abbiamo terminato verso le sette e sono tornato a casa. Poi sono uscito con Pasticca a fare una passeggiata.
Allora Laetitia White mi ha colpito come un fulmine a ciel sereno.
Saprete che è matematicamente impossibile che un fulmine cada due volte nello stesso punto, eppure è successo.
Laetitia deve aver creduto che mi fosse preso un ictus, perché si è offerta addirittura di accompagnarmi all'ospedale. Ma io sono riuscito a convincerla che stavo bene e, per scusarmi di averla travolta, le ho offerto un caffè.
Non potevo credere a quello che mi stava succedendo. Cioè, immaginate come mi sentissi? Voi come vi sareste sentiti al mio posto?
Per uno strano scherzo del destino avevo una seconda chance di conquistare la mia anima gemella, e non importava come o perché, non l'avrei sprecata per nulla al mondo.
Così mi ero ripromesso, quantomeno.
Invece ho toppato ancora, e in modo ancor più madornale della prima volta se possibile. Me ne sono rimasto zitto – non zitto come uno timido, ma come uno strambo asociale – e per cercare di recuperare ho anticipato alcune delle sue frasi sperando di risultare brillante e perspicace, invece sono passato per uno inquietante. Magari ha pensato che ero uno stalker e che sapevo tutte quelle cose su di lei perché la seguivo già da prima. Magari ha creduto che le fossi andato a sbattere contro di proposito. Oddio!
Così, l'ho guardata allontanarsi da me senza neanche voltarsi indietro – di nuovo.
Devo davvero raccontarvi come ero ridotto dopo?
Ecco appunto, lo sapete già.
Diventato l'ombra di me stesso, non volevo altro che rattoppare il mio cuore martoriato con del buon cioccolato fondente e annegare i dispiaceri in un tè verde allo zenzero, e magari rivedere per la milionesima volta Dirty Dancing – la passione per il mambo è il mio segreto più oscuro, ma a voi lo confesso. Tanto più ridicolo di così non si può.
Poi ho avuto un'idea.
Non potevo arrendermi così. Baby non l'ha fatto, lei ha lottato fino alla fine. Dovevo capire come si era riavviata la mia giornata. Dovevo aver fatto qualcosa... ma cosa? L'unico modo per scoprirlo era rifare tutto esattamente come la prima volta.
Sono andato alla festa, ho chiacchierato poco, ho persino mangiato e bevuto le stesse cose dell'ultima volta. Poi il Twister.
Il mattino dopo ho acceso la TV sul canale del notiziario.
Giovedì ventuno aprile.
Bingo.
Con un sorriso idiota sulla faccia mi sono vestito per andare a lavoro e ho indossato le mie Converse di pelle rossa, l'elemento più audace del mio guardaroba – a parte la maglietta con Wonder Woman nuda, ma quella la indosso solo come pigiama.
Come previsto, Aidan mi ha chiamato per il turno e io ho accettato. Insomma, poi tutto identico fino al mattino seguente. E finalmente, l'incontro col destino.
Avreste dovuto vedermi. Sareste stati fieri di me stavolta.
Niente sproloqui o silenzi imbarazzanti, niente esitazioni o stramberie. Sono stato un perfetto gentleman, carino, cortese, simpatico. Ce l'avevo fatta. Lei mi ha persino chiesto di accompagnarla alla libreria lì accanto per ritirare dei libri.
«Non posso crederci. Anche a te piace questo genere?» ho chiesto eccitato come un bambino che scarta un regalo quando il commesso le ha consegnato Notte eterna, terzo volume della trilogia di Guillermo del Toro e Chuck Hogan. Non le ho praticamente lasciato il tempo di rispondere, e mi sono lanciato in una rassegna di tutti i film e i libri horror che adoro.
Forse non ve lo avevo ancora detto, ma ho una passione morbosa per l'horror.
Quello era un segno evidente, avevamo qualcosa in comune. Mi correggo, avevamo tante cose in comune: entrambi secondogeniti, entrambi vivevamo in un paese straniero, ci piacevano la cioccolata calda e le passeggiate in spiaggia. Era ovvio che eravamo fatti per stare insieme.
Allora ho lasciato che il carisma di Tony mi guidasse ancora una volta e le ho chiesto di accompagnarmi alla festa dei miei amici.
«Intendi tipo... un appuntamento?» ha chiesto lei.
«Sì, certo.»
«Mi dispiace Nat, sei molto carino, ma non il mio tipo. Saresti perfetto come amico però.»
Amico? Amico? Amico un corno!
Non so proprio dove ho sbagliato, ma sono riuscito a mandare a monte anche il terzo tentativo. Adesso crederete che questo mi abbia abbattuto, che ne avessi abbastanza di umiliare me stesso – e invece no!
Ero infuriato, ma determinato a riprovare fino a quando quel maledetto primo incontro non fosse stato perfetto e Laetitia mi avesse ricambiato. Quindi ho lasciato scorrere il tempo fino al momento del riavvio.
Stavolta però ho notato un dettaglio alla festa che prima mi era sfuggito.
«Ehi Paula, è nuovo questo Twister?»
«Te ne sei accorto! È vintage, un pezzo raro, ce ne sono soltanto cento in tutto il modo. Non è fantastico? E l'ho preso pure a poche sterline in un negozietto dell'usato.»
Ecco. L'avevo trovato. Il tasto reset. Non c'era altra soluzione, doveva essere quell'oggetto unico e magico ad avermi intrappolato nel loop temporale. Ma quante possibilità avrei avuto ancora? Se c'era un limite, non volevo scoprirlo. Non potevo rischiare, la prossima volta doveva essere quella buona.
Cosa ho fatto quindi secondo voi?
Mi sono documentato, ovviamente! Ho chiesto a tutte le ragazze che conosco dei consigli.
Poi la giornata è ricominciata con una nuova speranza.
«Ricordi che prima di andare dobbiamo fare l'inventario?» mi ha chiesto Aidan per la quarta volta.
«Certo boss. Senti, posso farti una domanda?»
«Dimmi.»
«Cosa attrae voi ragazze in un uomo? Cioè, cosa dovrebbe succedere a un primo appuntamento per far sì che lo richiamiate?»
Allora lei mi ha rivolto uno sguardo perplesso, arricciando il naso leggermente a punta cosparso di lentiggini. «Mi stai davvero facendo questa domanda?»
«Direi di sì. Sono disperato, ma forse l'hai intuito.»
Lei mi ha squadrato dall'alto in basso – ebbene sì, è due centimetri più alta di me – e mi ha risposto: «Sei italiano. Non dovresti essere un seduttore nato?»
La risposta la conosco io, la conoscete voi, e la conosceva già anche Aidan. Ma è sadica, e le piace torturami.
«Non so, posso parlare per me stessa. Direi che non ci sono vere e proprie regole. Basta uno sguardo nel modo giusto, o una parola al momento giusto... l'importante è sentirlo giusto.»
Ho fatto una risatina nervosa. «Ah, grazie, ora mi è tutto più chiaro.»
«Non scervellarti troppo, se è destino accadrà. Guarda me e questa città, follemente innamorate l'una dell'altra. Sei anni fa volevo a tutti i costi andare a vivere a Londra, così mondana, affascinate. Poi mi sono trovata per caso a Edimburgo e lei mi ha fatto l'occhiolino. È bastato per stregarmi. Non è esattamente una metropoli, ma possiede una bellezza unica. C'è qualcosa di indescrivibile qui. Sarà che è una contraddizione vera e propria: sole e pioggia, antico e moderno, il verde smeraldo dell'erba e il grigio ardesia degli edifici storici; gli opposti convivono in un'armonia perfetta qui. Immagino sia questo che tutti cerchiamo, qualcosa di unico che ci catturi. Ed è diverso per ognuno.»
Era la prima volta che parlavamo davvero, e mi ha sorpreso che anche lei provasse quella stessa sensazione che io sperimento ogni giorno camminando per le vie lastricate in pietra della città.
Non so perché, ma anche se quel discorso era servito solo a confondermi di più, sentivo di essere finalmente pronto ad affrontare il mio destino. Armato dei consigli che avevo ricevuto da amici ed estranei, mi sono incamminato con Pasticca sulla solita strada.
A proposito, non vi ho ancora spiegato perché chiamo il mio cane in questo modo. In realtà non è niente di particolare; è solo che una volta ha rovesciato un flacone di aspirine che avevo lasciato aperto e le ha divorate.
Ma torniamo a me e Laetitia. Perché è di lei che volete sapere, giusto?
Bene.
Lo scontro è stato puntuale, come al solito.
Stavolta però non l'ho portata da Starbucks, ma l'ho invitata a cena. Secondo Paula una donna ti prende più seriamente in questo modo. Una cena denota una maggiore disponibilità a impegnarsi, da entrambe le parti.
Non ve la faccio troppo lunga. Sono stato molto galante, ma senza passare per un damerino affettato. Gentile, ma senza essere uno zerbino. Simpatico, pur mantenendo un pizzico di mistero per incuriosirla. E ho aggiunto qualche sfioramento educato ma abbastanza esplicito da uscire definitivamente dalla zona amicizia, come suggerito da Brianna.
Volete sapere cosa è successo dopo?
Lo so che volete saperlo. Va bene, ecco.
Laetitia mi chiesto: «Ti va di andare da me a bere qualcosa? Così possiamo parlare con calma, non mi piacciono molto i locali rumorosi.»
Fuochi d'artificio sono esplosi nel mio petto.
Io ci vivo praticamente in uno di quei locali rumorosi di cui parlava, ma ero così felice che ho risposto: «Sì, anch'io li odio. Andiamo a casa tua.»
Era un piccolo appartamento in centro, molto carino e ben arredato, ma lo stile era un po' eccentrico. C'erano delle scarpe a spillo di vernice rossa appese alla parete accanto al divano e il lampadario del salottino era un enorme acchiappasogni con tanto di piume di pavone che scintillavano con riflessi sgargianti.
Era stranamente accogliente.
«Bello questo posto» le ho detto.
«Grazie. Scusa, ti spiace se vado un momento a cambiarmi le scarpe?»
«No, fa pure.»
Nel frattempo mi sono guardato un po' intorno, a caccia di indizi su Laetitia.
C'erano delle riviste di moda sparse sul tavolino di fronte al divano, e un sacco di involucri vuoti di cioccolatini – i miei preferiti! Poi ho anche visto un CD dei Fleetwood Mac, un gruppo che adoro, e una piccola collezione di film fantasy accanto al televisore.
Sembrava incredibile che avessimo così tanto in comune, non mi era mai capitato! Laetitia e io eravamo decisamente fatti per stare insieme.
«Ti va se metto un po' di musica?» le ho chiesto quando è tornata, mostrandole il CD che avevo trovato.
«Preferisco Bruno Mars, quello è della mia coinquilina.»
«Oh, pensavo fosse tuo questo posto.»
«No, affitto solo una stanza. La maggior parte della roba che c'è qui intorno è sua. Solo le riviste sono mie. In realtà anche l'arredamento è opera sua, lei è qui da più tempo di me.»
Un terribile senso di vuoto allo stomaco cominciava a divorarmi dall'interno, come una larva si faceva largo nella mia carne riducendomi a un guscio.
«E che mi dici dei film horror, ti piacciono quelli vero?»
Lei ha storto il naso. «Non molto a dire la verità.»
In un flash allucinante, vedevo passarmi davanti la nostra cena e gli incontri precedenti. Ho realizzato solo allora che ogni volta che le avevo parlato dei miei interessi e delle mie passioni, persino del mio lavoro, Laetitia si era limitata a sorridere gentilmente senza mai esprimere un'opinione.
Possibile che mi fossi reso cieco a tal punto? Possibile che mi fossi innamorato di una finzione nata dalla mia immaginazione?
«Aspetta, ma il libro di Guillermo del Toro che hai ritirato stamattina allora?»
«E tu come lo sai? Comunque era per la mia coinquilina.»
Non potevo crederci.
Avevo fatto di tutto per riuscire a cambiare l'esito di quella giornata, per cambiare ciò che era successo, quell'unico momento in cui avevo mandato tutto all'aria.
Ed era stato per niente.
Per un'illusione.
Allora ho sentito una porta che si apriva e una ragazza lentigginosa dai capelli rossicci è entrata in salotto.
«Ah eccola» ha esclamato Laetitia. «Lei è Aidan MacKenzie, la mia coinquilina.»
Siete sorpresi da questo risvolto?
Forse alcuni di voi se lo aspettavano, quelli più svegli, che vedono più lontano degli altri.
Io invece ero letteralmente sopraffatto.
Il caro, vecchio destino aveva deciso di giocarmi davvero un gran bello scherzo. Tutto ciò che amavo di Laetitia, tutto ciò che pensavo di condividere con lei, che la rendeva la donna perfetta per me... ma non lo era mai stata.
Era Aidan, fin dall'inizio.
Mi ci era voluto un evento sovrannaturale per realizzarlo, ma ora che sapevo non potevo ignorare quella verità.
Certo, avrei potuto fare una piccola deviazione a casa di Paula, riavviare tutto e fingere che nulla di tutto ciò fosse mai accaduto. Ma che senso avrebbe avuto?
Quindi sono tornato a casa, dal mio fedele amico Pasticca.
E sì, mi sono abbuffato di cioccolato. Quello fondente non fa ingrassare comunque. Ma poi, che me ne faccio di una forma fisica perfetta quando non sono neanche in grado di riconoscere la mia vera anima gemella?
Sono patetico.
La sigla di Stranger Things mi butta giù dal letto.
Non ricordavo nemmeno di essermi addormentato mentre facevo l'ennesimo riesame dei miei fallimenti.
Sembra tutto così strano ora che il tempo ha ricominciato a fluire normalmente. Spengo la sveglia e mi rimetto a dormire. Ma poi suona il campanello. Non voglio andare ad aprire! Però lo faccio lo stesso.
«Ciao Nat. Bella maglietta» esclama Aidan con un fischio.
Cavolo, Wonder Woman!
«Ah sì» dico incrociando le braccia e cercando di coprirla.
«Ieri sera sei scappato via, non sembravi stare molto bene. Va meglio?»
«Sì, grazie. Molto meglio. Non c'era bisogno che passassi.»
Allora arriva Pasticca e comincia a tirarmi i pantaloni del pigiama con i denti.
«Sembra che il tuo cane voglia essere portato a spasso.»
«Lo farò più tardi.»
«Credo che lui non sia molto d'accordo» dice Aidan sollevando un sopracciglio. «Mettigli il guinzaglio e vi porto tutti e due a fare colazione, così mi racconti che ti è preso ieri. Laetitia ha pensato che fossi matto da legare.»
«Ah sì? Non fa niente comunque.»
Aidan mi dà dei colpetti sulla testa. «C'è nessuno? Allora che fai, vieni o no?»
Sapete che vi dico? Lasciamo fare al destino.
«Arrivo subito. Prima mi cambio.»
«Ok, ma tieni la maglietta. Mi piaci di più così trasgressivo» dice lei facendo le virgolette in aria con le dita per sottolineare l'ultima parola.
Io le sorrido e dico: «Scusa se ci ho messo tanto.»
«A fare cosa?» chiede lei confusa.
«A capire il destino. I segnali erano un po' ambigui, ma ci sono arrivato alla fine.»
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