Poche parole
Non avevo la minima intenzione di pubblicare questo scritto, perché troppo semplice per i miei standard (benché io ami le cose semplici... frutto del lavoro di altri).
Tuttavia, qualcuno mi ha consigliato di pubblicare comunque e io ho deciso di ascoltare questo qualcuno (PagesHunters, non sentirti chiamata in causa, per niente... *fischietta*)
Quella che spero deciderete di leggere dopo questa noiosa sottospecie di prefazione è l'esecuzione di una consegna del mio libro scolastico di antologia.
Ve la riporto parola per parola:
In un testo lungo circa una pagina (HAHAHAHA) racconta un episodio in cui sei stata protagonista di un atto di solidarietà, di amicizia o di affetto.
Questo solo dopo esserci soffermati su "Il racconto di Auggie Wren", di Paul Auster. Dato che l'avvenimento principale del racconto viene citato in ciò che ho scritto io, vi lascio anche un breve riassunto (che potrei aver preso da Internet.)
L'autore Paul Benjamin deve redigere una storia a tema natalizio su richiesta del New York Times, ma, in crisi di ispirazione, si ritrova a confidare le sue perplessità all'amico Auggie, il quale si offre di narrargli la miglior novella di Natale che Paul abbia mai ascoltato.
L'episodio risale a dodici anni prima e racconta di come Auggie si sia procurato la macchina fotografica che ha suscitato in lui l'amore per la fotografia.
Dopo aver subito un furto da parte di un ragazzino, Auggie, nel vano tentativo di rincorrerlo, trova il portafoglio del ladruncolo, completo di indirizzo e di foto. Per compassione, decide di non denunciarlo e - la mattina di Natale - pensa di restituirlo al legittimo proprietario.
Si reca quindi a casa del ragazzo, in un quartiere piuttosto malfamato e popolare di Brooklyn, e gli apre la porta un'anziana signora di nome Ethel, cieca, che - volutamente - scambia Auggie per il nipote, passato a trovarla per il giorno di Natale. Il tabaccaio si presta al gioco e la strana coppia finisce per passare insieme tutta la giornata di festa.
Una volta finito di cenare, l'anziana donna si addormenta e Auggie ne approfitta per andare in bagno dove trova sei o sette macchine fotografiche; pensando fossero il bottino di una rapina recente, Auggie ne prende una, pur non avendo mai rubato nulla e pur non avendo mai fatto una foto in vita sua. Non volendo svegliare la donna, Auggie lascia il portafoglio su un tavolo e va via.
A questo punto lo scrittore, affascinato dal racconto, chiede al tabaccaio se è mai più andato a trovarla e Auggie risponde che qualche mese dopo, sentendosi in colpa per il furto, era tornato per restituirle la macchina, ma l'anziana signora non abitava più là e al suo posto c'era un nuovo inquilino. Paul allora riflette sul fatto che probabilmente la signora era morta e che quindi Auggie aveva passato con lei il suo ultimo Natale, compiendo così una buona azione.
Tanto non mi fregate, lo so che il 60% di voi lo ha saltato u.u
Vi ho rotto le scatole troppo a lungo, perciò direi che possiamo iniziare.
Non so voi, ma leggendo storie come questa mi sovviene il pensiero che amore, affetto, amicizia, solidarietà... siano valori irraggiungibili, frutti di gesta eroiche. Perché diciamocelo: non capita proprio tutti i giorni di tallonare un ladruncolo per strada, ritrovare il suo portafoglio e restituirlo alla nonna in fin di vita il giorno di Natale. Pensando anche ad uno solo di questi valori, non mi verrebbe mai in mente nulla del genere, un episodio tanto articolato e curioso. Situazioni struggenti come questa sono manifestazioni estreme ed entusiastiche, di cui io non sono mai stata protagonista, né spettatrice.
Chi mi conosce bene sa che, oltre le chiacchiere, le battute scadenti e le risate inopportune, si cela un personaggio timido, impacciato... maldestro, se si vuole essere schietti. Mi mette a disagio consolare un compagno, abbracciarlo se ha bisogno di sentire qualcuno vicino; mi pone in seria difficoltà la prospettiva di dover fronteggiare una persona con gli occhi lucidi di pianto. Ma per gli amici questo e altro, ovvio: ci si mette d'impegno. Tuttavia, se posso scegliere, preferisco decisamente poter esprimere la mia empatia tramite parole scritte, per mezzo dell'inchiostro, di lettere nere su bianco, mentre avverto la distanza o la carta come protezione.
La voce e il corpo sono grandi traditori.
Più volte mi è capitato di ricevere un messaggio da un amico che aveva bisogno di sapersi compreso ed essere rincuorato, e certamente in quei casi non avevo il diritto di tirarmi indietro, di anteporre ai fatti la mia personalità chiusa per non essere costretta a dare il mio contributo e palesare il mio dispiacere.
Confessare le proprie emozioni non è mai semplice, tradurle in pensieri concreti, poi, è un lavoro sporco e sfiancante.
E imbarazzante.
Ma le parole sono l'arma e la cura più efficaci a nostra disposizione, e sapere come adoperarle non è esattamente quel che si dice svantaggioso, tutt'altro: spesso ciò che si può scrivere ad una persona a cui vogliamo bene è più incisivo di una carezza.
È un contatto più umano di un abbraccio.
Nelle parole, se ben manipolate, ritroviamo tutto: ciò che avevamo intenzione di dire, il concetto che a voce non sapevamo illustrare, i sentimenti più reconditi che una vicinanza respinge.
Perché è normale provare vergogna, è normale che ci capiti di non restituire un portafoglio perché semplicemente non sappiamo da dove cominciare, è normale ignorare le lacrime di un amico perché ci fa comodo.
Anche questo è umano.
La paura di esporsi.
Ed è la nemesi più temuta da tutto quel che è amore e solidarietà.
A volte basterebbe un semplice "grazie". Sì, una così piccola e semplice parolina di gratitudine.
Forse nonna Ethel non ha mai ringraziato suo nipote quando ancora era presente, e forse è anche per questo che è divenuto un furfante incapace.
Quando starnutisci e qualcuno ti dice "salute!", ringrazia! Caspita, quello ti ha augurato il meglio, sperando che non incappi in un raffreddore o un'influenza, e tu non ringrazi? Per un augurio così grande, tu non ringrazi?
Quando qualcuno ti raccoglie la penna da terra, ringrazia! Poteva fare una bruttissima fine, poteva venir calpestata da una vecchia suola insozzata di fango o scagliata contro una parete da un passante distratto. Quella persona gentile e altruista ha pensato che di quella penna a te importasse, che ti sarebbe quantomeno dispiaciuto dover uscire quel pomeriggio per acquistarne un'altra, e tu non ringrazi?
Anche "scusa" è una parolina niente male.
Se pesti il piede a qualcuno, scusati. Quello stesso piede, se rancoroso, potrebbe decidere di vendicarsi, magari lasciando la sua impronta sul tuo fondoschiena.
Se hai insultato ingiustamente qualcuno e poi te ne sei pentito, abbi il coraggio di scusarti. Quella persona apprezzerà. Ma se ti rifiutassi di farlo, allora quella persona potrebbe pensare che insultare è un modo proprio bello di fartela pagare con la tua stessa moneta, e allora fidati che tu non apprezzeresti.
Forse è così che alcune guerre sono iniziate. Perché qualcuno è stato troppo timido per ringraziare o scusarsi. O anche per salutare. Succede anche questo. Succede che la timidezza abbia il sopravvento sul buon senso, succede che le guance diventino così rosse da impedirti di essere affettuoso nei riguardi di un amico.
Ma anche questo è amore, anche questo è affetto, anche questo è amicizia e solidarietà: trovare la forza di professare i propri sentimenti, di condividere le proprie emozioni e sensazioni.
L'uomo è fatto per aprirsi, non per chiudersi, non per essere timido, un esserino piccolo e scarlatto di vergogna.
Perciò a te che hai letto questo, io dico grazie.
Ecco il mio gesto di affetto.
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