Please. Don't let me drown



« I am made of whispers, kiss her
Before I feel my lips burn I snap
I am made of nightmares, I didn't care
Before you took her right there and I cracked »

[Never forgot - Kendra Dantes]


⋆☽⋆


C'è grazia, nella morte.

Silenzio in vesti umane che scivola nell'opacità malinconica di stelle spaurite.

Kaz riesce a vedere la sua ombra famigliare nell'accenno invisibile dei fruscii notturni. La vede da sempre, mentre si tuffa nell'argento freddo della luna piena; mentre il gelo sibilante dei suoi pugnali lacera il tessuto fragile della tenebra.

C'è un'eleganza selvaggia, nel modo in cui una lama si fa spazio nella carne nuda; armonia nei fiori rossi che si schiudono da un taglio e si disperdono in strie sottili di brividi serrati, galleggiando come gerani avvampati sulle acque sporche di una città maledetta.

Ma c'è una regalità nascosta anche nel modo in cui la morte affonda i suoi coltelli in un animo ignaro, attraverso il fremito incerto di labbra inclinate in viso; nei candori, figli di un timido sole, che si inseguono in due pozze gemelle di cacao amaro.

E c'è devastazione nella bellezza travolgente di una voce. Si cela un fascinoso orrore tra le pieghe setose dei sussurri, che ora gli ricadono addosso in un susseguirsi ardente di soffi alieni. Gli si muovono frenetiche lungo la pelle, fini lingue di fuoco che stuzzicano paure proibite, lambiscono desideri incauti e spalancano crepacci di ricordi corrotti.

Kaz la sente, la seduzione di un tocco tiepido mentre, arrancando in un tramestio di flutti insanguinati, si ritrova ad allungare le dita nel buio, nella speranza folle e terribile di incontrare quelle di lei.

Sono qui, vorrebbe dire, se solo non si sentisse annegare, mentre annoda con frustrazione le estremità instabili di se stesso, Voglio esserci.

Voglio te.

Artigli gli si stringono addosso per trascinarlo via; nella gola si riversano onde amare come veleno che affogano la limpidità del respiro; ma le sue dita, tremanti come steli fantasma, affondano sempre di più nelle tenebre, alla ricerca disperata di una riva.

Strofinii dolci di coperte calde. Una successione avvolgente di fiati più famigliari dei propri. E altre dita incontrano con gentilezza la pallidezza inerme delle sue.

Il mondo si rimescola nel frullare convulso di un mazzo di carte, scombinandosi in sequenze che Kaz non riesce a riconoscere. Un martellare sordo di terrore mordace gli si conficca dietro gli occhi, e il gelo del porto risale come acido lungo il suo corpo spaventosamente bianco.

Ritira la mano. Fermati.

Non posso.

Lo voglio.

Le dita si intrecciano e baratri si dilatano in boati assordanti dentro di lui.

Kaz cammina sui bordi. Ha una mano in quella di Jordie mentre gioca su un muretto di mattoni fingendo di torreggiare sulla città. Ha il palmo inabissato in carne putrida e molle, i sensi avviluppati dal sentore acre e salato della morte che ondeggia in mari di catrame. No. Ha le dita dolcemente avvinghiate a quelle di lei, e le lenzuola frusciano loro attorno mentre, la mascella serrata e la lingua intrappolata tra i denti, Kaz si sospinge in avanti.

C'è grazia, nel modo in cui il respiro di lei è morbido come stoffa pregiata, in un contrasto incoerente con gli ansimi secchi e nervosi che scombussolano il petto di lui.

Non lasciarmi annegare.

Ti prego.

Non permettermi di farti andare mia.

Odio ribolle tra i cadaveri. Becchi aguzzi di corvo gli divorano gli occhi. E improvvisamente, in una preghiera muta di deboli riflessi argentati, che non si sa spiegare – ma che lei capisce –, una lacrima gli fiorisce tra le ciglia.

Kaz si disperde in quella goccia vietata, che traccia un solco lucido nel pallido reticolo di tonde cicatrici lasciate dalla malattia che ha strappato, come un giunco fragile, l'innocenza di una vita passata.

La sua mano trema dentro quella di lei. Ma non può impedirlo, le forze prosciugate da quel minimo contatto, dal ribrezzo colpevole che ora gli scivola inevitabile giù per le guance.

La sente avvicinarsi, e la distanza tra loro si accartoccia, finché Kaz, trasalendo appena, non sente le labbra morbide di lei sfiorargli con cautela la fronte, tra i capelli impastati di sudore, posandosi sul candore umido di pelle intonsa.

– Fermami, se vuoi – bisbiglia lei, le parole pronunciate lentamente, premute piano sulla sua tempia. Il suo pollice gli carezza con attenzione gli spigoli delle nocche – Non ti farò del male.

L'universo si ribalta. L'orgoglio batte rabbioso tra le costole di Kaz, come un animale in gabbia, e lui, senza accorgersene, contrae le dita tra quelle di lei.

– No – esala, aggrappandosi agli intervalli tra i singhiozzi – Vai avanti.

Finisci la storia.

Ricuci le mie ferite.

Inej alza adagio l'altra mano, e Kaz avverte il brivido di quelle dita muoversi a ritroso lungo il percorso delle sue lacrime, delicato come un filo di vento.

L'indice raggiunge il groviglio madido dei suoi capelli, scivolando tra le increspature del suo viso, carezzando con cura le lacrime nuove in bilico sul bordo dell'occhio. E le sue dita gli si infiltrano tra i ciuffi corvini, come bambini che sgusciano titubanti nelle viscere di un corridoio oscuro.

A Kaz si mozza il fiato di netto, in modo doloroso, un colpo di pistola piantatosi al centro dell'anima. Inej, sentendolo, si cristallizza, allontanando le labbra dalla sua fronte e allentando la presa sulla sua mano.

– Basta – e questa volta la voce di Kaz inciampa su un singulto. Deglutisce, la bocca piena di vetro – Non posso – si ritrae da lei troppo bruscamente, ma Inej non lo ferma. Le membra di Kaz sembrano bruciare dove lei l'ha toccato, e quelle ustioni fantasma cozzano con il gelo che lo sta serrando come una cappa intessuta di neve nera di polvere.

– D'accordo – sussurra lei, la sua ombra oscilla morbida nella penombra, raddrizzandosi sulle lenzuola con grazia silenziosa – Va tutto bene.

Kaz nasconde le mani nelle maniche, le unghie conficcate nei palmi. Si detesta. Detesta il buio; le scie umide sul proprio volto. Detesta la nudità atterrente delle mani; gli occhi vuoti di Jordie che ammiccano minacciosi dai recessi più infernali di se stesso.

– Puoi andartene, ora – sibila con asprezza, la lingua che pulsa insanguinata per averla morsa con troppa violenza. Serra con forza le palpebre e si addenta un labbro per fermare il tremore instabile del tono – Torna a casa, Inej.

Per favore.

Non lasciarmi.

– Sono qui, Kaz – risponde Inej, paziente, la sua sagoma che tremola attraverso le lacrime che, traditrici, gli inondano gli occhi quando prova a socchiuderli – Non ti lascio.

E Kaz piange, sentendosi annichilire, soffocando i brividi nel silenzio tiepido delle coperte.

Si stringe come un naufrago allo sguardo caldo di lei.

Desiderando con rabbia bruciante di saperla avere vicino.


Fine


⋆☽⋆


Cover credits: @ / cossiopea_ su Instagram (hello, it's me!)

NdA:

Io annego troppo tra le fragilità di Kaz, non avete idea. Mi sembra sempre di oscillare tra un Kaz versione Manisporche, di una rigidità quasi mostruosa; e un Kaz spezzato, che mostra lati umani che probabilmente non vedremo mai.
Ma, come mi disse una fantastica autrice in un commento sotto un'altra os: questo è il bello delle fanfiction. E, maledizione, esplorare un Kaz umano mi scioglie qualcosa dentro ogni volta, anche se sforo dalla sua più fredda caratterizzazione.
Però fatemi sapere cosa ne pensate liberamente, davvero **
Ho scritto questa os di getto, perché dopo aver provato a trasferire tutta la straziante bellezza della Kanej nell'illustrazione in copertina, necessitavo anche di avere un riscontro con il mio fidato ticchettio di tastiera.

Grazie infinite di aver letto <3 Voti e commenti sono sempre ben accetti <33

Nessun rimpianto. Nessun funerale,

Coss

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