Capitolo 4
"E così, ti ha riparato l'impianto elettrico" Rettificò Emma, inarcando le sopracciglia, con fare saccente, "Mica male, dovresti farmelo conoscere" Aggiunse in seguito, raccogliendo i lunghi capelli color ebano, intervallati da meches azzurrine, a tratti punteggiate d'un pallido giallo, segno evidente che il colore aveva ripreso a scaricare, com'era solito fare nel giro di un paio di settimane. "Bleah, guarda questo giallo! Direi che è proprio ora di toglierlo, in piedi, Ari, mi avevi promesso di darmi una mano con la tinta, ricordi?". Sì, Arielle se ne ricordava alla perfezione, tuttavia avrebbe decisamente preferito dimenticarsene, in quanto la prospettiva di trascorrere l'intero pomeriggio ad inalare l'insopportabile quanto penetrante odore dell'ammoniaca, di cui purtroppo erano invariabilmente fornite tutte le tinte di cui disponeva l'amica, non le sembrava certo la migliore a cui potesse ambire.
Si costrinse a sollevarsi dal proprio letto, un'azione che, fino ad un istante prima, avrebbe definito impossibile e che, tutt'ora, non si capacitava di essere stata in grado di compiere. Gettò una rapida occhiata oltre la propria finestra, il tempo necessario per constatare, con una punta di puro piacere, che i suoi adorabili dirimpettai, residenti al numero 505, fossero assenti, com'erano stati, con sua somma approvazione, fino a quel momento. Sorrise fra sè, riflettendo sul fatto che, alla fin fine, la loro assenza potesse aumentare i fattori positivi della giornata di un buon quaranta percento. Arielle aveva la bizzarra tendenza a scandire con metodo le proprie giornate, archiviandole nella propria memoria come positive o negative, in base alla percentuale più alta di elementi dell'uno o dell'altro.
"Basta con l'azzurro, trasmette vibrazioni troppo negative; meglio un bel verde, sì, il verde è perfetto" Decretò Emma, allungando ad Arielle un flacone contenente della tinta verde foresta. Le sorrise, certa che la ragazza che le si parava davanti dovesse essere realmente sua amica, per acconsentire ad ognuno dei suoi alquanto bizzarri rituali. A dirla tutta, Mi-Yon Emma Kim, era stata etichettata dall'unanimità di suoi conoscenti come bizzarra, da tempo ormai immemore. Coreana di nascita, aveva raggiunto la West Coast americana all'età di sette anni, non prima di aver emigrato dapprima in Malesia ed in seguito in Bulgaria.
Già nell'arco del suo lontano primo anno di scuola elementare, aveva presentato, in compagni ed insegnanti le prime avvisaglie di bizzarria, che si palesavano loro sottoforma di rari fiori esotici accuratamente posizionati sui capelli scuri, nonchè una quantità indefinita di informazioni riguardanti Woodstock 1969, del quale parlava con fare estatico ed occhi ammaliati, da dar invidia ad una veterana dell'evento. In quinta elementare era perfettamente in grado di elencare discografia in ordine cronologico e dati anagrafici di ogni membro di una trentina di gruppi, invariabilmente rock. In primo liceo, alla Roosvelt High School, aveva fatto la conoscenza di Arielle, a sua detta, la migliore ragazza che avesse passeggiato per le strade di Los Angeles, un epiteto che le veniva assegnato in special modo nei momenti in cui la sopracitata si arrendesse ed acconsentisse a prendere parte alle numerose iniziative oltre modo alternative, ideate da Emma. La loro amicizia, tuttavia, resisteva imperturbata, anche ora, che di anni ne avevano compiuti l'una diciannove e l'altra s'apprestava a raggiungere i diciotto, non mancavano mai di trascorrere ogni singolo venerdì assieme.
Quel venerdì, nello specifico, era in programma che Arielle lavorasse a partire dalle diciotto e trenta, impiegando quindi la propria serata nel consegnare cibo a domicilio, circumnavigando all'incirca l'intero distretto di Boyle Heights, un quartiere di medie dimensioni, che, con sua somma sfortuna ("Accidenti a te, giro delle consegne!") era nientemeno che il suo quartiere di residenza. Questa era un'altra delle molteplici ragioni per le quali Arielle detestava il proprio lavoro, nonchè, saltuariamente, anche la propria città. Ad alleviare il peso dell'ennesimo periplo del quartiere, le restava, fortunatamente, il patto stretto precedentemente con Emma: nel quale era espresso, nero su bianco, quest'ultima si sarebbe impegnata ad aiutare, naturalmente senza esplicitare la cosa, Arielle durante il suo giro di consegne, solo nel caso in cui la ragazza le avesse dato una mano con la sua preziosa colorazione ai capelli. Ad entrambe pareva uno scambio equo.
Emma, un impermeabile in plastica accuratamente indossato per evitare di dissacrare la t-shirt dei Sex Pistols che indossava, prese posto sul wc in porcellana, fino a quel momento immacolato, e sospirò, lasciando che le dita affusolate di Arielle, avvolte in un paio di guanti in lattice, le frizionassero la nuca. "Non resisto più, davvero. Ho intenzione di andarmene, Arielle" Comunicò, dopo qualche minuto di silenzio, colmo di parole a stento trattenute, traendo un profondo sospiro e rivolgendo uno sguardo d'intesa all'amica, che osservava riflessa nello specchio. "Non ti azzardare nemmeno, Emma!" Esplose Arielle, con un tono che non ammetteva alcuna replica.
Arielle contrasse le labbra, in un'espressione che assumeva ogni qualvolta fosse concentrata, si ritrovò a riflettere sulla condizione dell'amica, che oramai viveva da ben più di cinque anni: genitori restrittivi e bigotti, con ideali del tutto divergenti dai suoi, dai quali non riceveva rispetto alcuno, nè tantomeno comprensione o quantomeno un minimo d'ascolto. Che volesse andarsene da casa, ne era consapevole da un pezzo, tuttavia, non le avrebbe per nulla la mondo permesso di compiere un gesto simile. Non senza di lei, quantomeno. Tacque, scavando nel proprio inconscio alla ricerca di una potenziale soluzione alternativa, che allontanasse dalla mente di Emma quell'idea o che, quantomeno, la distraesse. "Io... allora, noi... ci sono!" Esclamò vittoriosa dopo qualche istante. Emma la fissò interrogativa, lanciandole occhiate a metà fra il dubbio e la curiosità. "Ho deciso, per il tuo compleanno, fra due settimane, non prendere impegni. Metti qualcosa in valigia, saltiamo in auto e guidiamo fino a Woodstock, è una promessa!" Annunciò, con una convinzione tale da sbalordire persino sé stessa.
Emma spalancò incredula i begli occhi a mandorla, lei era sempre in prima linea quando si trattava di compiere imprese folli, ma quello, Dio, quello sembrava irrealizzabile persino per lei! "Cosa?! Ma sei impazzita, Ari?! Sono più di 4700 km! È da suicidio pensare di percorreli in auto!" Fece presente la ragazza, non riuscendo, tuttavia, a nascondere una palese eccitazione, nonché una lecita curiosità di vedere sino a che punto si sarebbe spinta l'amica.
Arielle sorrise raggiante, certa d'aver colto nel segno. Tuttavia, non poteva certo negare che fosse impensabile guidare dalla California allo Stato di New York, avrebbero impiegato un minimo di due giorni, se avessero evitato qualunque sosta. Scelse di riflettere sul problema in seguito, sfoggiò il suo miglior sorriso, contagiato da quello comparso sul volto dell'amica. "Non preoccuparti, un modo lo troveremo. Stai per compiere diciotto anni, ci vuole qualcosa di speciale. Inoltre, ti ho fatto una promessa, e una promessa è una promessa" Scandì Arielle, in tono vagamente solenne.
Emma si voltò di scatto e avvolse l'amica in un abbraccio colmo di tutta quella infinita gratitudine, che difficilmente sarebbe riuscita ad esprimere a parole. Lei era fatta così, istintiva, che agiva d'impulso, e con una tendenza ad esternare anche fin troppo le proprie opinioni ed emozioni, un tratto caratteriale che la differenziava notevolmente da Arielle, nettamente più riflessiva. Nessuna delle due parve curarsi particolarmente delle macchie di tinta per capelli che andavano diffondendosi sui loro abiti, in quegli istanti non contavano più nulla. Ti voglio bene, fu il pensiero di entrambe, in quel momento, e, sebbene non potessero leggersi nella mente a vicenda, entrambe percepirono il pensiero dell'altra, e sorrisero.
"Dai che è l'ultima consegna della serata, tieni il morale alto, soldato!" Rise Arielle, rifilando una leggera gomitata nello stomaco di Emma, mentre prendeva posto sul sedile del guidatore, all'interno della sua Mini Cooper. Erano da poco scoccate le ventitrè, ed entrambe le ragazze gongolavano, al pensiero di quante poche consegne vi fossero state quella sera. Avevano lasciato il ristorante e circumnavigato il quartiere, all'incirca una mezza dozzina di volte, il che era definito un evento eccezionale, più unico che raro, se si considerava che si trattava si un venerdì, il Thailandia Time* fosse l'unico ristorante thailandese dell'intera zona a nord-est del centro; checché ne pensasse il suo capo, il signor Lee, Arielle non poteva che gioire di quello scarso afflusso di richiesta, e s'era messa alla guida tutta allegra, canticchiando un motivetto allegro.
"Dovresti togliere questo deodorante per auto, mi fa venire il volta stomaco" Puntualizzò Emma storcendo il naso, era seduta sul sedile del passeggero, le gambe accavallate, come suo solito, fra le mani, stretto ben saldo, un pad thai ** ancora fumante. "Che dici? E' un Arbre Magique, e poi è buonissimo" Ribattè Arielle, ruotando le chiavi e mettendo in moto l'auto. "Apri i finestrini, se non vuoi che vomiti sul cruscotto" Consigliò Emma, scherzando solo a metà, difatti non sopportava per nulla l'odore di qualsiasi deodorante per auto, che fosse Arbre Magique o di qualunque altra tipologia. Arielle eseguì sbuffando sommessamente, imboccando, nel frattempo, la Olympic Boulevard "Allora, questo dove dobbiamo portarlo?" Chiese in seguito, i grandi occhi verdi fissi sulla strada davanti a sè, illuminata quasi a giorno da un caleidoscopio di lampioni e insegne al neon, nonché dai bagliori lontani di un fuoco d'artificio solitario, probabilmente appartenente a qualcuno che intendesse festeggiare il quattro Luglio, con due settimane d'anticipo. Lo scoppio riecheggiò distante, segno che a dividerle dal lampo color verde acceso, vi fossero almeno otto isolati.
"Dobbiamo portarlo in... oh, che fortuna!" Esclamò Emma, ravviandosi i capelli (ora striati d'un bel verde acceso). "Cosa? Abbiamo vinto un premio per le migliori fattorine della storia?" Ironizzò Arielle. Emma scelse di ignorare il commento "Dobbiamo consegnarlo giusto giusto nella via di casa tua, Lincoln Avenue". La brusca frenata che ne seguì, fece sì che Emma appurasse il significato di quello che viene comunemente definito 'principio di infarto', mentre Arielle, dal canto suo, imprecò a gran voce, citando una quantità indefinita di non meglio identificata donne di malaffare. Riuscì a comporre una frase di senso compiuto solo alcuni minuti dopo, non prima d'aver inspirato tanto profondamente da rischiare d'aspirare via l'intero Oceano Pacifico. "Sai questo che significa?" Chiese Arielle, con una'evidente nota isterica nel proprio tono di voce, lo sguardo vacuo ed i capelli in disordine, Emma scosse la testa, oltremodo impaurita dall'amica "Al numero 503 abitano i Robinson, che sono vegetariani, quindi è impossibile che abbiano ordinato il pad thai. Al 506 la signora Davis, e, sai com'è, dubito fortemente che una novantottenne incarriolata, per di più sorda, sia ancora sveglia alle undici. Escludendo casa mia, restano il 504 e..."
"Il 505. Eccoci, ci siamo. La mia fine è giunta. Caput, fine della storia. E dire che questo settembre sarei andata a Yale... ma niente, tutti i sogni sono destinati a naufragare. Dì ai miei che gli ho voluto bene e a Paul che Bethany Dickerson non accetterà mai di uscire con lui, perchè si vede con Helen Rosenberg il giovedì e con Patrick Henderson la domenica..." Arielle sproloquiava con fare drammatico, fissando estatica il numero civico, che segnalava irrimediabilmente la sua presunta condanna a morte. Emma roteò gli occhi, oramai fin troppo abituata alla tendenza a drammatizzare dell'amica, tuttavia, si limitò a restare immersa nella penombra del portico, inconsciamente un minimo timorosa. Arielle prese un gran respiro ed allungò un indice verso il campanello, avvertiva il battito del cuore accelerato, un sintomo anomalo che scelse di attribuire all'ansia.
In capo a mezzo minuto, sulla soglia si stagliò una figura alta e dalle spalle ampie, che Arielle associò a Matt, del quale avrebbe felicemente evitato di fare la conoscenza, la vola precedente. Sul volto del ragazzo, nello squadrarle, comparve d'improvviso un ghigno saccente, l'espressione d'un gatto che ha fra le zampe un topo. Anzi, due. "Thailandia Time, consegna a domicilio. Ecco il vostro pad thai, sono quindici dollari" Espose Arielle, come da copione, cercando di mantenere un tono neutro e professionale, nel tentativo di nascondere la sensazione di disagio che provava in quegli istanti. Sfoderò il sacchetto contenente il cibo, in attesa che il ragazzo lo afferrasse e pagasse, tuttavia, Matt pareva come immobilizzato, congelato. "Allora, devo aspettare ancora molto?!" Chiese Arielle, portando una mano sul fianco e battendo il piede sinistro per terra, in un chiaro segno d'impazienza.
"Ma guarda che sorpresa!" Esclamò il ragazzo, come riconoscendola solo in quell'istante, "La nostra carissima vicina Arielle, che ci consegna la cena. Cosa potevamo chiedere di meglio? E vedo anche che hai portato un'amica, sù vieni avanti, non essere timida, io e Arielle siamo ottimi amici" Berciò Matt, con un sorriso beffardo. Emma si trascinò avanti, puntando gli occhi a mandorla in quelli azzurro pallido del ragazzo, con la solita determinazione d'acciaio che la distingueva. Matt avvertì un tremito, a quello sguardo, e sentì il bisogno di abbassare il suo, ma fu solo per un misero istante, difatti riprese quasi immediatamente il suo invariabile alone saccente.
All'incirca nello stesso istante, quasi misticamente, sulla soglia si materializzò Alex, l'elettricista della domenica. Fra i denti stringeva una sigaretta spenta e con la mano destra stringeva il manico di una chitarra elettrica, una Fender Stratocaster, per la precisione. Per una frazione di secondo, i grandi occhi cangianti di Arielle, incontrarono quelli scuri e magnetici di lui, ed un brivido gelido le corse lungo la schiena, costringendola a guardare altrove. Ad Alex tale dettaglio non sfuggì affatto, sebbene finse di provare poco o nullo interesse, per la questione.
"Ehila, Sirenetta, non ti sei più fatta vedere in giro, eh?"
"Probabilmente è perché non avevo più voglia di vedere la tua faccia" Bofonchiò Arielle.
"Certo, questo lo vedo, infatti stai evitando il mio sguardo da quando sono arrivato"
Arielle avvampò, metà per la rabbia e metà per l'imbarazzo. Come aveva potuto notarlo? E poi, anche se fosse, non stava mica evitando il suo sguardo perché imbarazzata, come poteva pensare una sciocchezza del genere, quel montato?
"Sto ancora aspettando il favore che mi devi, per averti riparato il quadro elettrico, sai"
Emma e Matt tacevano, studiando la scena, l'una indispettita, l'altro divertito.
"Io non ti devo proprio niente, visto che ti sei presentato a casa mia senza il mio consenso. Potrei anche denunciarti per violazione di domicilio"
"D'accordo, d'accordo, facciamo così: io non ti assillerò più a patto che..."
"Che cosa?" Sibilò Arielle, preoccupata e incuriosita al contempo.
"Che tu e la tua amica vi uniate a noi per la cena. Allora, ci state?"
Emma ed Arielle si scambiarono un'occhiata d'intesa e, prima che Arielle avesse il tempo di dare una risposta, Emma intervenne, imponendo il proprio metro e sessanta d'altezza
"Sì, ci stiamo"
Note dell'autrice
* mi scuso per il nome penoso del ristorante, ma non mi veniva in mente altro
** piatto tipico thailandese, a base di noodles e gamberetti
Spero che la storia vi stia piacendo, sarei felice se mi faceste sapere la vostra opinione :)
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