Capitolo 2
Come prevedibile, la strada si rivelò deserta, l'asfalto illuminato a stento dalla flebile luce di un paio di lampioni, scampati, a quanto pareva, al blackout. Arielle si avviò a passo svelto, tentando di ignorare il tedioso scricchiolìo che le sue infradito semi umide, producevano ad ogni suo passo. Desiderava ardentemente concludere al più presto, sperando con tutta sè stessa che la poca visibilità impedisse al suo interlocutore di realizzare che indossasse un accappatoio, un abbigliamento quantomai alternativo.
Una serie di villette a schiera, invariabilmente fornite di un fazzoletto di giardino rigorosamente ben curato, costeggiato da uno steccato che, alla sera, pareva essere di un bianco puro, perlaceo, tuttavia, al mattino, era possibile individuarne con facilità ognuna delle sfumature, dovute al clima ed allo scorrere del tempo. In effetti, Arielle era quasi certa che, in assenza delle suddette sfumature, chiunque avesse visitato la sua strada vent'anni prima, e l'avesse rivista quell'anno, avrebbe potuto affermare che il tempo, in quel luogo, non fosse trascorso.
Soppesò per qualche istante l'idea di fuggire il più lontano possibile, per poi ricomparire solo qualche giorno più tardi, affermando convinta di non ricordare assolutamente nulla di quella serata. Per un istante, all'immagine della porta dipinta di verde brillante del numero 505, si sostituì quella di una testata giornalistica, che riportava a caratteri cubitali il titolo Diciannovenne Sparisce e non Ricorda Nulla dell'Accaduto. Rabbrividì.
Decise che prima avesse terminato, prima sarebbe potuta rientrare in casa a tentare di rimuovere del tutto il ricordo di quella serata, archiviata in seguito sotto la voce Disastro, in qualche recondito fondale del suo cervello. Puntò un indice sul campanello, privo di qualunque informazione che potesse fornire un'identificazione agli inquilini del numero 505, ed stette in ascolto della rapida diffusione del trillo argentino. Incrociò le braccia al petto ed assunse una posa di annoiata superiorità, la quale, sperava, avrebbe potuto aiutarla ad apparire un tantino meno patetica di quanto non si sentisse in quel momento.
Pressochè nel medesimo istante, Arielle udì chiaramente una serie di esclamazioni, a sua detta colme di stupore, provenire dall'interno, ed una serie di contestazioni, piuttosto accese, su chi dovesse avere l'infausto compito di andarle ad aprire. A quanto pareva la zia Lisa non aveva avuto tutti i torti, quando aveva affermato con convinzione che gli abitanti del 505 fossero dei nottambuli, Arielle riusciva a percepire il ghigno gongolante che doveva aver assunto nello scoprire di aver ragione, pur senza voltarsi verso la soglia di casa, dove la zietta l'attendeva impaziente.
Arielle non ebbe il tempo di contare i passi che dividevano il sorteggiato dall'ingresso, come avrebbe voluto, poiché, pochi istanti dopo, la porta dipinta di verde del numero 505 si spalancò, rivelando una figura maschile visibilmente stupita ed al contempo quasi divertita, dal constatare chi fosse il misterioso pseudo ospite. Tale figura, agli occhi della ragazza, apparve spiacevolmente nota: un metro e settanta circa di aspirante chitarrista, fornito di occhi e capelli castani, orecchie vagamente appuntite, labbra sottili, al momento curvate in un ben visibile ghigno, ed un marcato accento inglese, che rispondeva al nome di Jamie Cook, alias, il vicino della casa di fronte.la sagoma ch
Jamie scrutò la vicina per qualche istante, saettando rapidamente lo sguardo dai capelli umidi, all'accappatoio sul quale spiccava prepotentemente una stampa fiorata piuttosto pacchiana, alle infradito fluorescenti che calzava ai piedi. Arielle, o qualcosa del genere, non aveva l'aria di essere molto a suo agio, un punto a suo favore, si ritrovò a riflettere il ragazzo. "Cosa ti porta qui, vicina? A quest'ora non dovresti essere a letto? E' molto tardi, sai?" Berciò Jamie, incrociando le braccia e mantenendo lo sguardo fisso in quello della ragazza, la quale, con suo sommo stupore, ricambiava l'occhiata, perfettamente impassibile.
Arielle lanciò una rapida occhiata oltre la sagoma che le si stagliava davanti, avendo modo di constatare che quello che pareva essere il salotto dell'abitazione, oltre ad essere patria di un disordine perpetuo, composto principalmente da una serie di bagagli semi aperti, il cui contenuto se ne stava bellamente sparso sul pavimento, era anche piacevolmente illuminato. "C'è stato un blackout e mi è stato chiesto di verificare se riguardasse l'intera strada o solo casa nostra. Beh, mi sembra di capire che qui la luce ce l'avete, perciò tolgo il disturbo. Grazie, prego e buona notte" Affermò Arielle in tono piatto, tentando di far trasparire che le frecciatine del ragazzo avessero, per lei, poca o nulla importanza.
Fece per voltarsi indietro, quando una voce apparentemente sconosciuta, sopraggiunse, testimoniando l'arrivo di una seconda persona "Ehi, Cook, come mai c'è una ragazza in accappatoio nel nostro vialetto? Che hai combinato, amico?". Arielle si voltò nuovamente verso l'ingresso, ed il suo sguardo incrociò quello di un individuo che le pareva di aver già incontrato, qualche giorno addietro. Sì, di certo doveva trattarsi di uno dei nuovi coinquilini. Non differiva particolarmente dall'amico, esteticamente, se non nell'altezza, difatti torreggiava su Cook, riportando alla mente di Arielle l'Empire State Building, visitato nel corso di una gita a New York di parecchi anni addietro.
L'Empire State in forma umana le rivolse un'occhiata sospettosa, quasi sospettasse che Arielle fosse una sorta di infiltrata del governo russo, in cerca di informazioni. "E' la nostra adorabile vicina, Matt, portale rispetto" Fece Jamie, ponendo in evidenza il proprio tono sarcastico, tanto che Arielle si ritrovò a pensare che fosse una sorta di bizzarre estensione della voce del ragazzo. "E cosa ti porta qui?" Chiese Matt, questa volta rivolgendosi direttamente alla sua, alquanto tediata, interlocutrice, e dimostrando di possedere il medesimo accento inglese dell'amico, segno evidente che i due provenissero dallo stesso luogo, in cui Arielle sperava di non dover mai mettere piede.
"Un blackout" Borbottò la ragazza, inserendo le mani nelle ampie tasche dell'accappatoio e dondolandosi impercettibilmente sulle punte. Jamie parve soppesare, per un istante, l'intera situazione, quasi fosse alla ricerca di un espediente che evitasse di lasciargli sfuggire l'occasione, agognata per mesi, di scoprire qualcosa in più sulla sua tanto graziosa quanto altera dirimpettaia. Improvvisamente, un sorrisetto saccente gli si dipinse sulle labbra sottili, e nei suoi occhi balenò una scintilla che ad Arielle non piacque per nulla, anzi, le lasciava presagire che il ragazzo che le si parava davanti avesse qualcosa in mente, il che non poteva essere positivo. Insomma, non era come se quei tipi avessero davvero una mente, giusto?
"Matthew, non credi anche tu che non sia per niente galante, da parte nostra, non dare nessun aiuto alla nostra amica? Insomma, non possiamo permettere certo che, a causa del buio, si faccia male, giusto?" Riflettè il giovane chitarrista, strizzando l'occhio all'amico, in direzione dell'interno. Matt parve afferrare al volo dove Jamie intendesse andare a parare, difatti sorrise di rimando, cosa che infastidì non poco Arielle. "Non ho bisogno della vostra galanteria, sono felicissima di quella delle mie torce elettriche, quindi grazie, ma no grazie" Stabilì la ragazza con fermezza, scostandosi rapidamente un ciuffo ancora umido dagli occhi.
"Non ne dubito, mi inchino davanti alla potenza delle tue torce elettriche" Mimò il gesto di sfilarsi un cappello immaginario e fece una riverenza "Ma lascia che ti offriamo l'aiuto del fantastico nostro elettricista onorario, arrivato giusto giusto oggi dall'Europa" Jamie si voltò verso l'ingresso, con l'intenzione apparente di tirare in ballo un presunto nuovo coinquilino. "No! Davvero, non è il caso..." Il tono di Arielle s'era fatto, con suo sommo disappunto, quasi supplichevole, tuttavia, non le fu prestata alcuna attenzione. Difatti, Jamie, stava apprestandosi a scostarsi dall'ingresso, per lasciar passare un terzo individuo, materializzatosi, come dal nulla, in quell'istante.
"Arielle, ho l'onore e il privilegio di presentarti il nostro John Travolta, Alex". Arielle squadrò da capo a piedi il sopracitato John Travolta: si trattava di un ragazzo in apparenza poco più alto di lei, aveva occhi scuri che lasciavano trasparire una certa profondità, quasi fossero una sorta di abisso; labbra sottili, al momento serrate fra loro, in quello che Arielle interpretò come un chiaro segno di impazienza; il naso, piuttosto importante, spiccava prepotentemente sul suo viso; i capelli erano completamente fissati dal gel, eccezion fatta per un ciuffo sul davanti, emulo di quello tipico di Travolta nel celeberrimo film Grease. Indossava un paio di jeans scuri, tanto stretti che Arielle si ritrovò a domandarsi se la sua circolazione funzionasse a dovere, ed una giacca in pelle piuttosto consunta, per quanto la ragazza non ne vedesse la necessità, dato che si era trovato al chiuso fino a pochi istanti prima. In equilibrio fra l'orecchio destro e la tempia, portava una sigaretta, con estrema, quasi spiazzante, disinvoltura. Avrebbe certamente potuto definirsi un bel ragazzo, se non avesse avuto quell'aura di arroganza ed altera indifferenza che gli ruotava costantemente attorno, come un satellite attorno ad un pianeta.
"Turner, ti presento Arielle, la nostra vicina. Bene, a casa sua, al 502, c'è appena stato un blackout. Ora, tu te la cavi con gli aggeggi elettrici, giusto?" Alex annuì, apparentemente disinteressato, alla situazione, studiando sottecchi la ragazza in accappatoio che gli si parava davanti. Aveva un qualcosa, nelle linee scolpite del volto, che la faceva apparire smagrita, e gli occhi, in quella bizzarra tonalità di verde, gli pareva che prendessero tutto il viso. "Perchè non dai un'occhiata all'impianto della nostra amica? Non vogliamo certo apparire maleducati" Berciò Jamie, dandogli una gomitata in pieno stomaco, che istintivamente lo fece curvare in avanti, dandogli un'aria piuttosto buffa. Arielle rise sommessamente nel vedere la smorfia contorta apparsa sul viso distaccato del ragazzo.
"D'accordo" Disse Alex, rivelando d'avere una tonalità vocalica alquanto bassa ed avanzando lungo il vialetto acciottolato. "Muoviamoci" Aggiunse. Nessuno dei presenti ritenne necessario domandare l'opinione di Arielle, nè tantomeno il suo consenso. La ragazza, piuttosto spazientita, si ritrovò a far strada a quell'individuo verso casa propria, tentando, più o meno inutilmente, di apparire un minimo più rispettabile.
"Qui abbiamo il contatore, vedi di fare in fretta, per favore, dato che la tua presenza non è stata richiesta, ma imposta" Ordinò Arielle, aprendo una porta in legno che svelava l'interno di quello che pareva essere una sorta di ripostiglio, posto in fondo al corridoio del pianterreno. Alex scrollò le spalle, afferrando la torcia elettrica che la ragazza stava porgendogli, e puntandola verso il quadro elettrico, posto al di sopra di una cassapanca polverosa, dall'aria antiquata. "Allora, giri spesso seminuda di notte?" Chiese il ragazzo, spezzando l'imbarazzante silenzio che s'era creato, che pareva essere una sorta di invalicabile barriera fra lui e la ragazza. Arielle ignorò la domanda, limitandosi ad incrociare le braccia e a battere rumorosamente il piede destro, componendo un rif immaginario.
"Perchè, sai, se fosse così puoi passare a trovarmi" Concluse Alex, voltandosi con una rapida piroetta nuovamente verso la ragazza ed inserendo una mano nella tasca del jeans, un gesto apparentemente impossibile, data l'aderenza del tessuto alla pelle. In capo ad un istante, l'intero corridoio tornò ad illuminarsi.
Arielle agrottò le sopracciglia, puntando un indice al petto del ragazzo "Li conosco quelli come te. Vi conviene non farmi perdere tempo, o potreste ritrovarvi nei guai" Minacciò la ragazza, tentando di apparire quanto più intimidatoria possibile, imponendo la sua altezza ed assottigliando lo sguardo. Il ragazzo non sembrò per nulla turbato, si passò distrattamente la lingua sul labbro superiore, inumidendo le labbra, ed inarcò un sopracciglio "Sai..." Tentò di rendere il proprio tono di voce quanto più ammaliante possibile, un gesto che Arielle trovó quantomai inutile, nonché ridicolo, "...la buona educazione vorrebbe che tu mi ringraziassi, ma per oggi ho deciso che potrei passarci sopra, mi sei simpatica, in fondo. Basta solo che ti tolga quell'accappatoio..."
La ragazza gli rivolse uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo, se gli sguardi avessero bruciato, e fece per sollevare un pugno. Alex indietreggiò "Frena i bollenti spiriti e lasciami almeno finire! Stavo giusto per aggiungere 'e che ti metta addosso qualcosa di un po' più coprente'. Non che a me dispiaccia, naturalmente, il panorama da qui è letteralmente fantastico" Sfoderò un sorriso a trentadue denti, passandosi una mano dietro la nuca.
Fu solo in quel momento che Arielle realizzò quanto del suo corpo quell'indumento risalente, con tutta probabilità, agli anni '80, rivelasse. Prese a spingere violentemente il ragazzo verso l'ingresso, facendo appello a tutte le proprie forze, desiderava solo poter mettersi a letto e dimenticare quella orribile serata. "Wow, wow, d'accordo, tolgo il disturbo. Grazie, Alex, sei stato davvero un angelo" Ironizzò Alex, imitando la voce piuttosto acuta di Arielle, con esito quantomai comico.
Arielle attese sulla porta d'ingresso, che il ragazzo avesse superato il vialetto del numero 502, temendo seriamente che potesse tornare indietro. Stava giusto per chiudersi la porta alle spalle e tirare un meritatissimo sospiro di sollievo, quando la voce di Alex le giunse alle orecchie "Ci vediamo in giro... Sirenetta"
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