🪶🪶 Il Club 🪶🪶

Ci voleva proprio.

Una bella serata di relax, una notte senza pensare a nulla. Basta fare le ore piccole davanti a un computer, basta infiniti rapporti, conti, documenti da controllare fino all'ultima virgola. Basta ansia costante di fare errori.

Marina era ancora più euforica di lei, non aveva nemmeno aspettato la conferma che già aveva prenotato il suo premio.

In realtà non c'era stata nessuna gara, lo sapeva anche Irene, ma non si era tranquillizzata fino a quando non era arrivata la notizia ufficiale.
Era state cooptate nella sede centrale della loro azienda, dritte tra i manager più prestigiosi.

Irene quasi non ci credeva ancora, ma mentre finiva di sistemarsi decise di non voler più farsi troppi problemi.

Quella era la serata del trionfo, e se la sarebbe goduta fino in fondo. A modo suo.

Che Marina si godesse la sua spa e il suo centro massaggi, e che Aldo andasse al ristorante con la sua ragazza.

Irene aveva una e una sola scelta, quando si trattava di festeggiare alla grande. La ragazza ridacchiò, guardando il proprio riflesso.

Bassina, anche con le scarpe col tacco rosse non toccava il metro e settanta. Per le sue gambe toniche aveva scelto un lungo pantalone formale nero, e per il torso una camicia color fuoco, in tinta con i suoi capelli. Sopra a tutto, una giacca elegante, color notte.

Irene controllò l'ultima volta lo chignon, anche se sperava di non doverli tenere acconciati per molto. Odiava quella pettinatura.

Odiava quell'intero abbigliamento, a essere onesta, ma era per quello che l'aveva scelto. Quella sera, voleva fare la parte dell'impiegata, della segretaria modello, della brava ragazza.

Un anno passato a comandare, e per una sera voleva essere comandata.

Sapeva che era un qualcosa di contorto, ma Irene lo adorava anche per la sua complessità. Inoltre, non doveva dar conto a nessuno di ciò che le piaceva.

Inforcò gli occhiali sugli occhi d'onice, e si assicurò di averne almeno altri due paia nella borsetta prima di uscire. Una volta le era successo di romperli, durante i giochi, e aveva passato l'intera serata a non vedere più niente. Da allora, faceva scorta.

Uscì dalla stanza dell'hotel, e si diresse a passo di marcia verso l'auto che l'aspettava. Ebbe anche la soddisfazione di veder girare più di una testa, sia maschi che femmine.

Come sempre, l'autista era parcheggiato il più in disparte possibile, ma l'auto era facilmente riconoscibile.

Un'elegante auto nera, con giusto una striscia di rosso sulle fiancate. Discreta, come poteva esserlo una Porsche, ma nulla che catturasse troppo l'occhio.

Il conducente, un tizio alto e palestrato che costrinse Irene a volgere indietro il collo per guardarlo, la scrutò da capo a piedi.

«Miss Karmazynowy?» Chiese l'uomo, scandendo con lentezza quel nome così difficile. La ragazza sorrise, soddisfatta della difficoltà dell'altro.

«Sì, sono io». Disse con un sorriso.

«La tessera, per cortesia». L'uomo le mostrò un piccolo pos, e Irene ci passò sopra una tessera magnetica rossa.

Quando ebbe conferma dallo strumento, il conducente la fece salire in macchina. Irene prese posto sui sedili posteriori, lasciandosi condurre verso il Club. Ci volle poco per arrivare a destinazione.

Un edificio basso, elegante, appena distaccato dai suoi vicini in una stradina incastrata dietro alti grattacieli. Essere così vicini al cuore di Brooklyn le faceva sempre uno strano effetto.

Irene scese dall'auto, e si diresse senza troppe cerimonie al Club. Ancora, nessun segno del tipo di struttura che era in realtà.

Una coppia di distinti anziani ben vestiti stava uscendo, tirandosi dietro piccoli trolley e chiacchierando tra di loro. Irene li superò, trattenendo appena un sorriso.

Alla reception, l'attempato dipendente le presentò con fare professionale un secondo pos. Irene passò di nuovo la tessera. Il receptionist le indicò la porta alla sua sinistra.

Sorridendo, la ragazza si allontanò.

I tre piani superiori erano occupati da un albergo di lusso, dove pensionati di tutto il mondo soggiornavano per le loro vacanze. Ciò che cercava Irene, invece, era ai piani sottostanti.

Dietro la porta, c'era un piccolo ascensore, grande al massimo per tre persone. Senza esitazioni, la ragazza spinse il pulsante per il secondo piano sotterraneo.

Non voleva bere. Voleva divertirsi. Prima che le porte si riaprissero, Irene indossò la maschera che portava nella borsetta, una sottile striscia di stoffa scarlatta che le copriva gli occhi, modellata per non dar fastidio agli occhiali.

L'atmosfera che la accolse era quella che amava, che adorava. Inspiró a fondo, lasciando che il miscuglio di rose, sudore, olio e chissà cos'altro le scendesse fin dentro i polmoni.

Sospirando di piacere, Irene attraversò la sala, guardandosi intorno. Un'immensa sala in penombra, rischiarata appena da luci soffuse dirette a divanetti di pelle candida. I suoi tacchi risuonarono sul nero pavimento marmoreo mentre camminava.

Intravide Miss Giglio seduta su un divanetto, i lunghi capelli dorati scendevano ai lati di una maschera decorata con i fiori di cui portava il nome. Davanti a lei, un duo di aitanti ragazzi dai corpi muscolosi e oliati volteggiava leggiadro su un paio di pali.

Mister Simba, nudo dalla cintola in su, mostrava il suo scultoreo fisico d'ebano a una ragazza minuta, che inginocchiata davanti a lui gli esponeva i glutei perché li colpisse.

Irene passò davanti ad altre coppie, oppure a gruppi di persone, tutti mascherati, tutti coi volti coperti. Tutti accomunati dal piacere per il sesso estremo.

Lei, così vestita e così elegante, stonava nell'ambiente. Era un'altra cosa che adorava. Si diresse al bancone, dove trovò senza difficoltà la sua amica.

La signorina Iride, come la chiamavano lì, aveva addosso un vestito da coniglietta, con un body rosso acceso, calze a rete nere sulla pelle candida, e sottili orecchie animali che spuntavano da una massa di capelli color smeraldo.

«Nuova tinta?» Chiese Irene, avvicinandosi di soppiatto all'altra. Come sempre, Iride non diede cenno di essersi sorpresa.

«Già! Volevo farmi rossa, ma non volevo farti un torto, Karma». Rise la ragazza. Come tutti, aveva difficoltà a pronunciare il suo pseudonimo.

Era una delle poche che potesse accorciarlo, però.

«Stai molto bene in verde». Le disse Irene. L'altra ringraziò, per poi scrutarla da capo a piedi. La coniglietta sorrise.

«Ooooh, qualcuno stasera vuole essere lee...» disse, in un sussurro suadente.

«Non sai quanto! Chi c'è libero?»

«Ragazzaccia!» Ridacchiò Iride, mentre recuperava un tablet e scorreva velocemente dei nomi. «Allora... mmm... il signor Wizard, il signor Sparrow... no, ti ci vuole qualcuno di abile...»

Irene si morse il labbro, prendendo coraggio.

«È libero il signor Teschio?»

Iride sollevò il volto, coperto dalla maschera integrale color avorio, ma anche così la sua sorpresa era evidente.

Teschio era conosciuto come il fiore all'occhiello del Club, quando si trattava di certe pratiche. Tutte lo esaltavano, ma fare una sessione con lui era difficile, quasi impossibile.

Non c'era spesso, e bisognava prenotare mesi prima per avere una sessione con lui. Ovviamente, i prezzi erano alti, perfino per un locale come il Club, dove sotto le maschere si aggiravano alti dirigenti e ricconi vari di New York e dintorni.

Tuttavia, Irene non sapeva di nessuna che si fosse mai lamentata. Per una serata come quella, la ragazza voleva osare, e tanto. Davanti a lei, Iride scorse il tablet fino al nome richiesto. La coniglietta sussultò.

«Che culo! È libero!» Disse, così sorpresa da farsi tremare le mani.

Irene si leccò le labbra, mentre sotto la maschera il sorriso le si allargava e brividi continuavano a rincorrersi lungo la sua spina dorsale.

«Lo prendo! Sessione completa, nessun limite di tempo, solita safeword»

L'altra balbettò qualcosa, prima di compilare i campi sull'applicazione.

«Piano meno tre, stanza otto». Le disse Iride, dandole un piccolo portachiavi nero lucido, con il numero romano impresso in rosso.

«Conosco la strada». Le rispose Irene, prendendo la chiave con mani tremanti.

«Ti invidio tantissimo... ma fa attenzione; ecco... Teschio... non tutte finiscono la sessione con lui»

«Sì, alla terza safeword la sessione si interrompe, lo so» fece Irene. Era una sfida, ma nessun ler era mai riuscito a farle dire la safeword più di una volta. Ed era almeno un anno che non la usava più.

«No, intendo... che ne ha fatte svenire almeno tre». Le disse la coniglietta. «Non sono nemmeno riuscite a dirla, la safeword!»

Quello intrigò Irene ancora di più.

Una sfida nella sfida. Tutti la elogiavano perché era impossibile spezzarla, e tutti elogiavano Teschio perché era capace di spezzare chiunque.

🪶🪶🪶🪶🪶🪶🪶🪶

Irene non perse altro tempo, si diresse veloce all' ascensore per il piano meno tre.

Adorava quel piano.

Il Club era diviso in molto preciso. Al meno uno c'era il bar, al meno due la discoteca e le sale da giochi più leggere, al meno tre i professionisti.

Risalire dal tre sulle proprie gambe era difficile, si diceva, ma lei lo aveva fatto più volte. Non era un posto per stomaci deboli.

Fremente, Irene si mordicchiava le labbra mentre l'ascensore scendeva.

Una volta fuori, la ragazza si diresse dritta allo spogliatoio. Non aveva tempo da buttare in spogliarelli o altre scemenze; una volta che la sua tessera sbloccò l'armadietto, la ragazza ci buttò dentro senza pensarci due volte pantalone, giacca e camicia.

Era indecisa sulle calze, ma decise di tenerle, così come le scarpe. Odiava camminare a piedi nudi, anche se sul pavimento c'era un liscio e caldo parquet.

La stanza otto era un po' lontana dallo spogliatoio, così Irene si concesse una bella passerella lungo il corridoio.

In fondo, anche gli uomini della sicurezza, che fossero nelle alcove ai lati o intenti a guardarla dalle telecamere, avevano diritto a quella vista.

E, soprattutto, a Irene piaceva essere guardata, almeno in quelle circostanze.

Adorava il suo corpo. Le gambe atletiche, il sedere sodo, la pancia piatta e il seno piccolo. Amava i suoi capelli rossi e i suoi occhi neri.
Sapeva che lì c'erano donne molto più sensuali di lei, ma non gliene fregava nulla.

Entrò nella stanza numero otto, ammirando l'arredamento. Molto minimale.

Alle pareti due grosse croci a muro, di due misure diverse; un ampio letto dalle coperte soffici, su una pedana rialzata; un trio di tavoli da legatura per varie posizioni.

Rastrelliere piene di frustini, piume, plug, spazzole facevano bella mostra di loro.

Teschio era mollemente seduto su una poltrona. Irene lo scrutò con attenzione, lo trovò un po' più anonimo del previsto.

Non era così alto, forse un metro e settanta, con la pelle pallida come chi non prende molto sole. Era a torso nudo, e Irene poté constatare che non era muscoloso come molte lo descrivevano, magro e ben proporzionato, con addominali evidenti ma non scolpiti.

Indossava solo un pantalone aderente, che metteva bene in mostra la forza delle gambe, oltre che organi molto più intriganti.

Sulla spalla destra, quando si girò, Irene vide il tatuaggio di due piccole ali di pipistrello.

«Miss Karmazynowy?» Fece Teschio.

Irene alzò un sopracciglio.

Nessun accento, ma nemmeno una vaga traccia di incertezza. La ragazza aveva scelto quel nome per la sua complessità, e vederselo pronunciare in quel modo, come la parola più semplice del mondo, le lasciò uno strano amaro in bocca.

«Sì». Disse lei, con la voce più lasciva che riuscì. «Il signor Teschio, presumo»

L'altro si limitò ad annuire. Irene ne studiò il volto.

La maschera, dalla forma scontata, glielo copriva interamente, lasciando liberi solo una massa di capelli sottili e nerissimi, che scendevano in un intreccio disordinato fino alle orecchie.

Irene ne vedeva appena gli occhi, ma perfino nell'oscurità della maschera parevano riflettere come piccole sfere d'acciaio, d'un azzurro quasi fastidioso a vedersi.

«Conferma che "telos" è la sua safeword?» Chiese Teschio. La voce era sottile, morbida, e Irene si perse nel suo suono un attimo di più del necessario.

«Confermo, telos come safeword». Fece qualche passo nella stanza, lasciando che il ticchettio dei tacchi risuonasse intorno a lei. «La informo che non l'ho mai usata più di una volta».

Se Teschio si stupì della cosa, non lo diede a vedere. Così come non parve accorgersi delle sue movenze sensuali.

Irene storse il naso, perché anche se non era lì per una scopata veloce, non le sembrava di essere così poco in forma.

«Nessun limite, se ho ben capito». Senza prestarle attenzione, Teschio le indicò un lettino. «Prego».

La ragazza sussultò solo un momento.

Di sicuro Teschio voleva andarci pesante, molto pesante. Era una di quelle legature crudeli, e molto umilianti, che Irene adorava.

Prese posizione come necessario, infilando il capo nella rientranza apposita, inarcando la schiena e permettendo al suo aguzzino di legarle ginocchia e caviglie. Così, si ritrovò col sedere all'aria, le gambe inginocchiate e divaricate. Inoltre non vedeva nulla di quello che le sarebbe successo.

Niente da dire, la sessione era iniziata alla grande; quella era una posizione che adorava.

Certo, adesso doveva vedere di cosa era capace; Irene aveva rinunciato da tempo a nutrire speranza troppo alte.

Era sicura che, come tutti, anche Teschio sarebbe andato dritto per dritto sui suoi piedi. Non che potesse biasimarlo, erano così invitanti, a penzoloni nelle scarpe scarlatte.

Non le sarebbe dispiaciuto, non era quello che cercava, ma una bella sessione di tickling duro non le avrebbe fatto schifo.

Così, Irene non riuscì a trattenere un sussulto, quando invece sentì le dita di Teschio percorrerle la schiena.

Senza volerlo, si irrigidì, contraendo tutti i muscoli dal collo fino al bacino.

Cazzo. Cazzo se era bravo!

Non sentiva il minimo sfiorare di unghie, ma anche così, con solo i polpastrelli, Irene avvertiva quel tocco leggero e delicato che le contava le vertebre una per una.

Era andato a colpo sicuro, il maledetto, partendo dal fondo della sua schiena, appena sotto le sottili mutandine che le avvolgevano il sedere svettante in aria, fino alla base del collo.

Lì, Irene dovette farsi forza per non lasciarsi sfuggire un suono.

Non gli avrebbe permesso di averla vinta, non così facilmente.

Va bene, aveva trovato subito un punto sensibile, ma era solo fortuna. Miss Karmazynowy non si sarebbe messa a ridere, non subito, non dopo nemmeno due minuti di sessione.

Se le risate erano fuori discussione, però, contenere i gemiti iniziò ad essere un serio problema. Teschio sembrava conoscere il suo corpo, come se fossero due habitué e non la prima volta volta che si vedevano. Sfruttava i suoi capelli scarlatti per attutire il tocco delle sue dita sul collo, poi la accarezzava tra di essi, e proprio quando Irene era sul punto di lasciare andare un sibilo di piacere, il malefico stronzo iniziava a risalire.

Quelle dita ondeggiavano lungo la sua spina dorsale, gustandosi e inseguendo ogni brivido che provocavano. Quando arrivavano al termine, convergevano vicinissimo alla sottile fessura del suo sedere, indugiando il tempo necessario perché, di nuovo, Irene si convincesse che fosse giusto dare a Teschio la soddisfazione di sentirla ridere.

E, ancora e ancora, il suo aguzzino pareva deciso a non concederle quella liberazione. Pareva che non volesse farla ridere; o meglio, pareva che volesse decidere lui, solo lui, quando lei poteva avere il diritto di ridere, genere o emettere qualsiasi altro suono.

Per quello che Irene poteva capire, erano passate ore, giorni, oppure pochi attimi, quando le mani di Teschio si staccarono da lei.

La ragazza lasciò andare un sospiro, rendendosi conto solo in quel momento di quanto tesi fossero i suoi muscoli.

Borbottò nella sua lingua, a voce bassa. Se Teschio la sentì, non diede cenno di voler approfondire.

Invece, si girò verso il lungo tavolino pieno di strumenti. Irene sapeva che la maggior parte di quella roba era lì più per spettacolo che altro, ma, per la prima volta dopo molto tempo, si domandò se invece ogni oggetto non sarebbe stato usato.

Scosse la testa, per quello che poteva.

Di nuovo, doveva essere stato un caso. Solo un caso.

Non era possibile che un tizio sconosciuto, andando a intuito, trovasse subito uno dei suoi punti più sensibili.

«Tutta fortuna...» lo disse a voce un poco più alta del dovuto, e Teschio si girò verso di lei.

Irene vide due lunghe piume nelle sue mani.

«Scusi?» Se aveva capito, e si era irritato, non lo diede a vedere.

«Ho detto» Irene contorse il collo, in modo da mostrargli al meglio il sorrisetto di sfida. «Che hai avuto fortuna! Tutto qua!»

Di solito, Irene sapeva bene che provocare un tizio che poteva farle qualsiasi cosa, mentre era legata, non era proprio l'idea più intelligente.

Ma, da un lato, sapeva benissimo che era al sicuro. Le sessioni erano monitorate, e al primo segnale di pericolo un paio di gorilla sarebbero accorsi.

Dall'altro, non era mai stata nota per sapere quando star zitta. Se il suo cervello partoriva un commento sarcastico, la sua lingua doveva pronunciarlo. Rischioso, certo, ma tremendamente eccitante.

Ancora, Teschio non diede cenno di prestare attenzione alle sue parole. Quel suo apatico distacco stava iniziando a far infuriare Irene.

Lei era lì, mezza nuda, a sculettare e trattenere versi di piacere, e quel maledetto pareva un pezzo di marmo.

E che cazzo!

Non pretendeva che si masturbasse davanti a lei, ma nemmeno che rimanesse impassibile! Nulla! Nulla di nulla! Né un'occhiata lasciva, né un gemito, né una cazzo di erezione!

Seriamente, Irene iniziò a pensare che Teschio fosse gay.

Ogni suo pensiero, in ogni caso, venne soppresso quando il maledetto iniziò a passare le piume sulle sue cosce.

«Cazzo!» Irene si morse le labbra. Tre su tre; prima la sua posizione preferita, poi il solletico con le dita sulla schiena, adesso le piume sulle cosce.

Dal retro delle ginocchia fino ai glutei, evitando con cura il suo sesso e l'ano. Poi giù, al contrario, superando il ginocchio e volteggiando sul polpaccio.

La ragazza dovette stringere tutto ciò che si poteva stringere, dagli occhi fino alle dita dei piedi nelle scarpe.

Teschio le esplorava le calze con lentezza, ora usando tutta la piuma, ora solo la punta, ora entrambe e ora una da un lato e l'altra dall'altro.

La somma di delicata dolcezza e della calza sulla pelle la mandava ai matti.

La safeword iniziò a premere contro la sua bocca, mentre il cervello le elencava i motivi per cui dirla.

«Quanto?» Disse, lottando strenuamente contro la necessità di ridere.

Teschio prese un orologio dal tavolo degli attrezzi, mostrandoglielo. Irene sbiancò.

Non era possibile! Non poteva essere arrivata così vicina al crollo in soli dieci minuti! Non lei! Va bene che quel bastardo se l'era presa comoda, ma lei aveva retto due ore piene!

Era troppo eccitata, quella la verità; o almeno, così disse l'orgoglio di Irene, mentre vedeva Teschio tornare dietro di lei.

Stavolta la aggredì da entrambi i lati. Una piuma sulla coscia, una mano sulla schiena.

Si sincronizzò alla perfezione, manco fosse la normalità. Nel momento in cui le sue dita le sforavano il collo, la piuma le danzava vicino all'inguine.

Con la testa piegata in modo che lui non le vedesse la faccia, e gli occhi chiusi quasi a volerli ficcare nel capo, Irene, per la prima volta da quando era entrata nel Club, si ritrovò alla piena mercé di qualcuno.

🪶🪶🪶🪶🪶🪶🪶🪶

Irene resse stoicamente per un altro minuto intero.

Fu forse il minuto più lungo della sua vita, e quello con più incertezza da che riusciva a ricordare.

Gemere e non gemere, ridere e non ridere, tutte opzioni che si rincorrevano nella sua testa rossiccia, mischiandosi in modi complessi.

Ormai non era più in grado di capire dove le mani di Teschio la stessero toccando, tutto il suo corpo era diventato nulla più che un oggetto in balia dell'altro.

Cosa peggiore, se la sua mente si dava da fare per lottare, la sua libidine si era bella e che arresa da tempo.

Stretta la lingua con forza, Irene iniziò a sentire in bocca il sapore ferroso del sangue. E, tra le cosce, un gocciolio sospetto che sembrava scandire il tempo alla sua sofferenza.

Non poteva andare avanti così, anche se quel sadico stronzo non pareva per nulla intenzionato a fermarsi.

Certo, il piacere galoppava al passo con la sofferenza, e Irene lo sapeva benissimo che, se si fosse lasciata andare e avesse iniziato a urlare tutto il suo coinvolgimento, quella sarebbe stata la miglior serata da molto, troppo tempo.

E una parte del suo cervello non chiedeva di meglio, abbandonarsi al fiume di risate e gemiti che le stava esondando dai denti.

Irene arrivò vicinissima a cedere, con le labbra già dischiuse e la safeword già pronta sulla lingua, quando Teschio si fermò.

La ragazza prese un lungo respiro, realizzando solo in quel momento quanto avesse trattenuto il fiato. La testa le girava, la vista le sfarfallava, e tutto ciò che la sua mente riusciva a concepire era quella maledetta parola che voleva dire, ma non poteva.

Non era la prima volta che Irene malediceva il suo orgoglio, ma adesso si stava davvero superando. In fondo, se avesse lasciato perdere quell'inutile gara, era ormai certa che Teschio l'avrebbe fatta impazzire dal piacere.

L'orologio, che il malefico le aveva lasciato davanti agli occhi, segnava ormai i quindici minuti, e con la regola del massimo di quattro ore per le sessioni, Irene, pur con la mente annebbiata, capiva che sarebbe stata ancora molto, molto lunga.

Stava ancora forzando il suo cervello a fare quei ragionamenti, quando sentì qualcosa di freddo e duro sulle labbra.

Irene quasi strillò, perché era persa nel suo mondo al punto da dimenticarsi che era legata, e in compagnia.

«Beva». Disse Teschio, e allora lei realizzò che le stava offrendo un grosso bicchiere d'acqua con una cannuccia di metallo.

Con la gola secca che chiedeva pietà, Irene decise di accettare. Mentre succhiava avidamente, non poté evitare di sentire gli occhi gelidi dell'altro su di lei, e quello sguardo glaciale le fece avvampare le guance.

Era una cosa stupida, aveva fatto cose molto peggiori e umilianti che bere da una cannuccia, ma per qualche ragione in quel momento, forse per la troppa astinenza, il risucchio delle sue labbra le sembrava osceno.

«Le fa male?» Chiese il torturatore, quando Irene smise di bere.

«Che cosa?» Domanò di rimando la ragazza, sorpresa. «La legatura? No, non ti preoccupare, sto bene»

La posizione era un poco scomoda, ma lei l'adorava al punto che non sentiva dolore.

«La lingua, se la sta mordendo dall'inizio» Replicò l'altro. Irene non realizzò nemmeno di avvampare.

Se ne era accorto? Davvero? Come cazzo aveva fatto? Irene si sentì esposta, vulnerabile. Poteva sembrare strano, visto che era legata a un lettino, col culo per aria, con addosso solo l'intimo, ma pensare che quell'uomo potesse entrare nella sua testa mandò un brivido di terrore lungo tutta la schiena di Irene.

Peccato che quel gelido panico si riscaldò, e tempo che il brivido ebbe raggiunto l'ultima vertebra le aveva iniziato a bruciare dentro.

La stragrande maggioranza dei torturatori e delle torturatrici impiegavano ore a penetrare la mente dei sub; Irene stessa, quando si trovava dall'altro lato, aveva bisogno di almeno mezz'ora per capire cosa frullasse nella testa della sua vittima.

Teschio, invece, si era accorto di un gesto così piccolo che Mister Shengsuo, con cui aveva fatto sessione per un anno e mezzo, aveva impiegato ben undici mesi a scovare.

Irene realizzò che la sua mente, il punto più privato, intimo, personale del suo intero essere era stata appena messa a nudo, e che Teschio le riusciva a guardare dentro come, e forse perfino meglio, di lei stessa.

Invece che terrorizzarsi, la ragazza sentì una tale eccitazione, per essere stata violata in un qualcosa di così segreto, che stavolta non riuscì a trattenere un lungo e appassionato gemito di piacere.

Mugugnò come una gatta in calore, tutto il corpo che si copriva di pelle d'oca. Se avesse avuto una coda, Irene era sicura l'avrebbe ondeggiata nell'aria come un vero e proprio felino.

Ancora, se Teschio ebbe una qualche reazione o pensiero a quella vista, lo tenne per sé. E stavolta, Irene non riuscì a trattenersi.

«E che cazzo!» Sbottò la ragazza «Pronto? Mi vedi? Tizia sexy tutta legata? Hai presente?! Come cazzo è possibile che non ti si alza? Che c'è, non ti piace quello che vedi?»

L'unica reazione di mister Teschio, a quella sfuriata, fu tornare verso il tavolino degli attrezzi.

«Ho capito! Ti ho ferito nell'orgoglio eh? Povero mister Teschio, quindici minuti e la sua vittima ancora non implora pietà...»

Irene era al limite della sua resistenza, ed anzi era sicura che, nel suo stato, sarebbe scoppiata a ridere anche solo se l'altro avesse mosso le dita nell'aria.

Quello sfogo era il suo ultimo slancio, la sua ultima scintilla di indisciplina prima che il master di turno la devastasse.

Adesso, ne era certa, perfino uno come Teschio sarebbe passato alle maniere forti, e già pregustava l'assortimento di tecniche e strumenti che si sarebbe abbattuto sui suoi piedi e sul suo fondoschiena.

«Miss Karmazynowy». La voce dell'uomo era monotona come prima. «Credo lei non abbia mai usato la safeword più di una volta, giusto?»

Era la cosa più simile a una minaccia che Irene avesse sentito da quando era lì, e di nuovo un gemito le scappò dalle labbra.

Annuì, come possibile, un po' perché non riusciva ad articolare una frase, un po' perché le piaceva l'idea di lasciarlo senza una risposta.

Invece che armarsi di chissà quale utensile, Irene già fantasticava su spazzole e oli, Teschio si girò verso di lei con una piuma piccola, sottile, della dimensione di un mignolo.

«Che cosa vuoi fare con quella?» Un certo fastidio montò nella ragazza, perché per l'ennesima volta quel maledetto si rifiutava di impegnarsi.

Però, quando se lo vide venire incontro, Irene dovette realizzare che, pur avendo disatteso tutte le sue ipotesi, Teschio l'aveva portata sull'orlo del collasso con meno sforzo e in meno tempo di chiunque altro.

All'improvviso, si mise a pensare a cosa diamine avrebbe potuto fare con quella piuma.

Quando le artigliò i capelli, Irene squittì, la faccia cremisi come le ciocche nella mano pallida dell'altro.

Non vide la piuma, la sentì percorrerle l'orecchio sinistro. Per un breve istante, tutto l'universo si fermò. Fu come se Irene si trovasse sospesa, immobile, il quantitativo di informazioni semplicemente troppo grande da elaborare per la sua mente.

La piuma fece in tempo a percorrere la distanza tra lobo e padiglione, che, infine, il corpo della ragazza comprese cosa doveva fare.

«AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHH!» Irene scoppiò a ridere come un'ossessa, dimenando il corpo per quel poco che i legacci le consentiva.

Era una sensazione incredibile, impossibile, che aveva in un lampo sovrastato qualsiasi cosa. Niente più fastidio alla schiena, niente più cuscini morbidi sotto il corpo, niente più formicolio sulla pelle. Esisteva la piuma, la piuma e basta, l'intero cosmo era collassato in una semplice piuma di pochi centimetri che scivolava dolcemente lungo il suo orecchio sinistro.

«ahahAhAhAHAHAHAHAHAAHAhahhahAHAahAh! Fermo! AHHAHAHaHAHahAhAHHA bastaagaaahahahahahahahah! AAHAHAHAHAHaHaHAHAHAhaa!» Irene, se avesse potuto pensare, si sarebbe meravigliata di star implorando per una cosa così piccola.

Ma alla fine, non sarebbe mai stata in grado di capire dopo quanto, la ragazza prese a strillare, lottando contro le risate.

«Telos! AHAHAhahAAHAHAHAHAHAHAHAHA telos! AHAHaHAHahAhAHAAHAHAHAHAH!» Accompagnò la safeword con altre frasi, parole sconnesse nelle sue lingue madri, ma solo quando riuscì a far lavorare di nuovo il cervello, Irene si rese conto che Teschio si era fermato all'istante.

I polmoni presero a bruciarle, si accorse che tutto il corpo era coperto da sudore, la schiena le faceva male e perfino i legacci a caviglie e ginocchia avevano iniziato a dar fastidio. Era stata riportata indietro di anni, quando era ancora una novellina e sperimentava le gioie del Club per la prima volta.

«Ha due minuti di pausa, vuole essere slegata?» Chiese Teschio, con la voce monocorde come se lui, invece, fosse quasi annoiato.

Irene scosse la testa, movimento di pochi centimetri che le fece girare intorno l'intera stanza.

Anche se l'avesse liberata, non sarebbe mai stata in grado di alzarsi. Inoltre, non era così sicura che vedesse il lago che andava formandosi tra le sue cosce.

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Irene trascorse i due minuti a mettere ordine nei suoi pensieri, senza riuscirci.

La testa le girava, il cervello non voleva saperne di funzionare, e tutto il suo corpo si trovava in una drammatica sospensione di piacere e sofferenza.

Così, quando il tempo della pausa terminò, Irene non comprese davvero il sentimento che la colse.

Da un lato, terrore puro per essere nelle mani di quello che, aveva capito, era un tickler eccezionale. Dall'altro, estasi assoluta per lo stesso motivo.

Quando si rese conto che Teschio le stava sfilando le scarpe, Irene non riuscì a decidersi sul verso da fare, se di piacere o panico.

I piedi erano da sempre un punto ambivalente, per Irene. Secondo solo alla sua vagina come zona erotica, e primo in assoluto per sensibilità.

Così, quando Teschio la costrinse, senza che lei opponesse davvero resistenza, ad aprire le dita, Irene morse a fondo la spugna del tappetino, per non dar sfogo ai suoi versi osceni.

L'altro le legò alluci e mignoli, attraverso la calza, ad appositi supporti, in modo che lei potesse muovere solo le tre dita centrali.

E, ancora, Teschio ci aveva preso. Irene soffriva di più con indosso le calze, specialmente se sottili come quelle che indossava; ma anche il piacere le era maggiore, alle stesse condizioni.

Irene sentì le dita di Teschio percorrere dolcemente il bordo dei suoi piedi immobili.

Fu più forte di lei, iniziò a scalciare e divincolarsi, azzannando il tappetino e la propria lingua nel disperato tentativo di tenere a bada ogni suono.

«Ihihihihihihihihihih!» Come prevedibile, i suoi sforzi non portarono a nulla.

Teschio proseguiva la sua tortura, con calma e metodo grattava piano a partire dai talloni, scendeva evitando con cura la pianta, arrivava appena al bordo delle dita e poi risaliva.

«ihihihihihihihihihihihi! Mmmmmmmm! Ahahahahahaha!» Irene forniva la colonna sonora a quella marcia, mentre lacrime scendevano dai suoi occhi e qualcos'altro iniziava a gocciolare lungo le sue cosce.

Non poteva andare avanti in quel modo. La sua mente si mise in frenetico moto per trovare una soluzione, senza che ve ne fosse una. Era legata, immobilizzata, in totale balia di un uomo che non aveva altro obiettivo che torturarla per ore.

E, cosa peggiore, le piaceva. Irene sapeva benissimo che tutte le sue fantasie di fuga erano speranze vuote, voli pindarici che la sua mente elaborava per il contorto piacere di vederli infrangere.

«Iihihihihihihihihhihhihihih hahaahahahahahahha! Aaaaaaha! Ahahahahahaha! Aaaaaaaaaaaaaaaah!» Irene sentì le proprie risate crescere, mischiandosi con gemiti sempre più profondi, man mano che le dita di Teschio si muovevano verso il centro della pianta.

«Una ahahahahahahahaahhaha una ball! Ahahahahahahaha dammi una ball gang! Ahahahahahahaahahh!» Il delirio di vergogna sorprese Irene per prima, ma sembrò non sortire effetti su Teschio.

Per contro, quello mise due dita al centro della pianta, e iniziò a punzecchiare la pelle attraverso la calza.

Irene non avrebbe saputo dire che verso fece, ma solo che il cosmo attorno a lei si annullò, per far spazio a un'ondata di piacere che per poco non la travolse.

«No». La voce di Teschio veniva da lontano, da oltre le stelle, da una galassia a parte. Eppure le rimbombava diretta nella testa.

«No... cosa?» Balbettò Irene.

«Niente ball gang». La voce monotona di Teschio accompagnò l'inizio dell'assalto alle sue dita. Le unghie del malefico stronzo grattavano piano alla base, proprio al confine ultimo della pianta.

«Ahahhaahahahahahah! Per favore! Ahahahahhahaahh! Una benda! Una ahahahahahahah una cosa qualsiasi! Ahahahhaahahha! Tappami la bocca!» Irene aveva sempre trovato umiliante ridere di fronte ad altri, e con la faccia cremisi stava facendo di tutto per trattenersi.

Come prevedibile, la somma di umiliazione e sofferenza la stava scuotendo nel profondo, e ormai gli argini del suo piacere erano prossimi al crollo.

«No». Teschio continuò nel suo assalto, ormai doveva essere ben conscio dell'effetto che le sue dita stavano ottenendo.

«Vaffanculo! Ahahahajahahahahahahh! Stronzo! Ahahahahahahaha bastahhahaahahahahah! Fermaahahahahahahahahahti!» Irene diede libero sfogo al suo repertorio di insulti, suppliche, minacce, tutto mentre le risate continuavano a impastarle la bocca e ormai le lacrime le oscuravano le vista.

Insensibile a tutto, Teschio andò avanti, proseguendo nella sua sadica arte.

Irene non aveva idea di cosa stesse avvenendo là dietro, i suoi piedi erano un unico blocco di solletico, e ormai era andata ben oltre il poter capire dove veniva solleticata.

Poi, di colpo, qualcosa di soffice la sfiorò tra le cosce.

«Oooooooooooooooooooh!» Il verso le nacque dalla figa, le risalì tutto il corpo rimbombando vertebra per vertebra, e quando finalmente le uscì dalle labbra era così viscerale, lussurioso, arrapato che Irene stessa se ne meravigliò.

Rimase a sentirne l'eco in mente, mentre lo strano strumento continuava la sua corsa.

Partiva dalla fessura delle natiche, scendeva lento lungo tutta la spaccatura della sua femminilità, senza sforzo trovava il clitoride e, dopo un dolce affondo al più sensibile lembo del suo corpo, tornava indietro.

Il tutto, mentre una mano continuava a solleticarle i piedi, saltando da uno all'altro.

Irene aveva la safeword sulle labbra, ma come il solletico si impennava, e quella premeva più forte sulla lingua, allora il piacere iniziava a gonfiarsi, e lei trovava la forza di ingoiare la parola.

Irene stava fissando il nulla, le lenti degli occhiali zuppe di lacrime come la sua faccia, ciocche di capelli intrecciate alla sua maschera, la bocca che non sapeva più come atteggiare.

E infine arrivò.

Lo sentì nascere da dentro, da molto più in profondità di qualsiasi altro l'avesse mai scossa. Non esplose in un colpo solo, ma prese a scorrere lento e dolce lungo le sue cosce.

L'orgasmo le fece irrigidire ogni muscolo, ogni osso si scaldò; il cuore prese a pompare a un ritmo indiavolato, i polmoni cacciavano aria a lunghi sospiri.

La sua figa bruciava, dilatata ben oltre ciò che Irene avrebbe mai detto possibile. L'onda bianca le riempiva la vagina, e non faceva in tempo a defluire che già una seconda, una terza e una quarta ondata l'avevano raggiunta.

Infine, Irene sentì le palpebre chiudersi, il dolce abbraccio dell'oblio la accolse mentre continuava a godere.

🪶🪶🪶🪶🪶🪶🪶🪶

Si risvegliò in un'altra stanza, su un comodo letto.

Irene aprì gli occhi, dolorante in ogni arto. Provò a tirarsi a sedere, ma la figa le lanciò una fitta di dolore che la fece desistere.

Un attimo dopo, alla sofferenza si era sostituito il godimento, come se il suo corpo avesse ancora della lussuria da tirar fuori.

Mugugnando, rossa d'imbarazzo, Irene si rigirò nel letto, mordendo il cuscino e le coperte, rincorrendo con le mani dita invisibili che le percorrevano tutto il corpo.

Strinse le cosce poi forte che poté, ma non riuscì a impedire alla sua figa un ultimo spruzzo di piacere.

«Però... mi sa che ti sei divertita!» Solo allora Irene si rese conto che Iride era accanto al suo letto, e che se la rideva soddisfatta.

Rendendosi conto che una macchia oscena continuava ad allargarsi sul materasso, Irene, la faccia indistinguibile dai capelli, si tirò le coperte sul capo.

«Sì... la miglior sessione della mia vita...» Riuscì a mugugnare.

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