Capitolo 3 ⎯ Macchia Corvina
Fibre vigorose, traboccanti di magia, sagomavano le radici delle querce.
Cordelia lo sapeva da quando era bambina. Bastava avvicinarsi a una di loro, lambire la corteccia e sibilare un sortilegio per dislocarsi da un luogo a un altro; un teletrasporto che i Gruarius annoveravano da eoni.
Ed era proprio quell'incantesimo che aveva scortato la ragazza dal villaggio dei pescatori fino a casa; provocandole un mal di stomaco, disgusti che non erano paragonabili al ribrezzo delle occhiate dei parenti.
Giunta alla foresta Salézh che attorniava le cinte mura del castello a forma pentagonale, Cordelia seguì un sentiero, attraversò un mucchio di betulle e si infilò in una strada principale per raggiungere il corpo di guardia del maniero. Si scansò di lato per dei carri mercantili e cavalieri, adocchiò da distante le dieci torri merlate dove le bandiere reali sventolavano; differentemente dal Villaggio di Cucàl la nebbia non si era dilatata in quelle zone del regno. Una volta superato il ponte del fossato, lasciò che gli strilli dei mercanti e dei cavalieri in sella ai destrieri fluissero all'ingresso, sfruttò la sventatezza dei soldati e penetrò nella corte del castello.
Cordelia sorpassò delle dimore e dei depositi, non infastidì i fabbri e i contadini che vivevano all'interno del maniero, sorrise un po' alla vista degli animali da cortile, ma si abbuiò allo sguardo di due zii: come tutti quelli della sua stirpe magica erano riconoscibili per i vari tipi di biondo, ornati da un ciuffo malva e dalle labbra violacee, gli occhi variavano dalle sfumature bluastre o verdi.
«Oh, ma guarda, Cordelia. Dov'eri andata?» proferì serio uno degli uomini dalla barba e dai capelli biondo cenere.
Quest'ultima sbuffò e finse un sorriso: «Stavo... vedendo gli ultimi raccolti.»
Gli zii si scambiarono un'occhiata, gli occhi turchesi sembravano punzecchiare la tunica lunga dell'adolescente.
«Sei di nuovo uscita dal castello?» sospirò l'altro zio con i capelli raccolti in una treccia, si sistemò i guanti in pelle.
«Oh, no, certo che no, nobile zio Ernesto.»
«Cordelia...» sottolineò lo zio dai capelli corti «Lo sai che tua nonna non vuole che esci senza qualcuno.»
L'adolescente sfoggiò un'espressione di scherno: «Non penso che rimarrebbe sconvolta, nobile zio Orlando.»
Orlando si massaggiò le palpebre ed Ernesto sospirò.
«Dea Avàl, perché devi essere così eversiva, Cordelia? Credi che sia un gioco?» pronunciò duro Ernesto, il viso quadrato era ricco d'ira. «Dovresti essere matura e meno irresponsabile nei confronti della famiglia.»
«Soprattutto stasera» suggerì Orlando.
«Che c'è stasera?» Strabuzzò gli occhi Cordelia.
«Non lo sai? Tornano le tue sorelle. Ci sarà una cena di benvenuto.»
Cordelia storse la bocca, schifata: «Sto balzando dalla gioia.»
Orlando si avvicinò alla giovane e mise una mano sul fianco coperto dalla tunica viola stretta da una cintura di cuoio, i calzoni beige erano sporchi di fango: «Invece d'essere così tagliente con la lingua, dovresti essere decorosa. Sei una dama, se fossi mia figlia non mediterei due volte a farti maritare con qualcuno che ti controlli.»
«Già, molto emozionante.» si burlò Cordelia e posò una mano sulla fronte in modo teatrale, «Non vedo l'ora che un uomo mi faccia sua. Oh, me stolta, sono solo una povera principessa che aspetta un cavaliere rozzo e violento, magari egocentrico, dove il mio compito sarà attutire le sue voglie.»
«Ascolta un po', sciagurata...» tuonò Orlando e le puntò un dito.
«Orlando. Basta.» sussurrò Ernesto e fermò l'uomo con un braccio, «È evidente che non ha ricevuto un'adeguata educazione. Cosa puoi aspettarti...» la vista severa dello zio squadrò Cordelia, «...dalla figlia del pazzo corvo.»
Anche se Cordelia aveva l'aspetto della nobile stirpe della gru, salvo gli occhi, le pungenti critiche le squarciavano l'animo; non aveva mai conosciuto suo padre, sapeva solo il lato oscuro, maligno e invidiabile dei racconti da parte della famiglia. Di rado il pazzo corvo veniva interpellato per nome e sostituito da appellativi ben peggiori.
«Avete concluso? Posso avviarmi o volete che ascolti ancora le vostre parole?» sputò con disgusto Cordelia.
I due zii non dissero nulla, agitarono stanchi le braccia e la lasciarono andare.
La ragazza li salutò ed entrò nel torrione.
Una volta superata la cucina ampia, dove in un camino arrostiva del fagiano e delle erbe essiccate pendevano sul soffitto, Cordelia salutò le cuoche per poi dirigersi ai piani superiori, lasciò alle spalle la cantina e la dispensa. Giunse al primo piano e seguì dei corridoi stretti dove il sole filtrava dalle finestrelle. Ignorò uno dei tanti portoni che conducevano a una delle sale nobiliari; c'era movimento nei corridoi pieni di servi.
«Cordelia Gruarius.»
Quella voce gelida e a tratti calcolatrice risuonò in una sala impreziosita da affreschi, la ragazza si fermò.
Cordelia alzò le spalle per velarsi, pregava la Dea Avàl che la risparmiasse dal tono composto della nonna materna. Chiuse gli occhi, per poi sospirare e indietreggiare, mettendosi in mezzo all'entrata della sala.
«Nobile nonna, mi stavate chiamando?»
La regina Cesara alzò un sopracciglio grigio, mentre tra le mani rugose stringeva una pergamena, il viso spigoloso era tirato e gli occhi turchesi, ornati dalle occhiaie, erano glaciali.
«Non ti ho visto stamattina.» disse severa Cesara e gettò la pergamena su un tavolo quadrato vicino ad alcune panche di legno, un camino intiepidiva l'area. «Sei scomparsa come i soffioni in mezzo alla nebbia, nel completo nulla. Inoltre quando Filomena è entrata nella tua stanza non c'eri.» si sistemò la crocchia grigia e il ciuffetto malva, un profumo di mandorle inebriava l'abito viola dai ricami grigi, «Il tuo tutore mi ha avvertito che sei mancata alle sue lezioni in biblioteca.»
«Ah, vedete, nobile nonna, io...»
Cesara batté una mano sul tavolo quadrato, Cordelia sussultò.
«Mi sono stancata della tua condotta.» mormorò aspra la sovrana, il mantello d'orso che le copriva le spalle magre la riscaldava, «Sedici anni, Cordelia Gruarius, hai compiuto sedici anni. Alla tua età, tua madre era già sposata e aspettava Celia.»
«Ma nobile nonna non...» farfugliò Cordelia.
«Silenzio!» sospirò Cesara e lambì la fronte grinzosa, «Mi sono immolata per questa famiglia per anni, ho condotto i miei fratelli e prozii per strade fruttuose, sottoponendomi al peso della dinastia della gru. Battaglie aspre, fendenti e magie, eppure... eppure tu, Cordelia, sembri essere l'unica a restituirmi dei problemi.»
La ragazza si mordicchiò le labbra. Non sottovalutava l'attendibilità della nonna, una donna in mezzo a un mondo di uomini, salita al trono per colpa di uno spregiudicato odio tra rivalità fraterne, dove i duelli magici erano stati i pugnali dell'ostilità.
«Ho rischiato di morire per cinque volte per opera dei tuoi zii, lo so da te potrei essere vista come un'entità deforme, priva di compassione, ma invece...» Cesara nascose le braccia dietro alla schiena, «ti offro la possibilità di studiare, di apprendere e di prepararti, ti ho concesso pure l'uso di un'arma.» lei fissò l'arco della nipote, «Eppure combatti e falisci.»
«Ma... nobile nonna, ieri notte ho studio assiduamente filosofia e...»
«Non basta!» Tuonò Cesara, le labbra si arricciarono: «Conseguire un ottimo giudizio in filosofia, matematica e astronomia non porta alla costruzione di un regno, Cordelia. Pensi che vedendomi come donna indipendente, tu possa ricalcare le mie gesta?»
«No, assolutamente no, nobile nonna.» spalancò gli occhi Cordelia, la voce le mancava, mentre si accarezzava un braccio «Io... non ho mai creduto di imitarvi. So che nessuna, né me né le mie sorelle oserebbero tanto, siete stata chiara un tempo.»
«Bene, ti sei risposta da sola. Allora... devi essere più operosa, Cordelia. Non devi saltare le lezioni di postura e di danza.» sussurrò Cesara e si avvicinò alla nipote, si arrestò di fronte a lei, le alzò il mento: «Pensi che la sacra Nivia sia soddisfatta di assistere a uno scempio del genere? Se solo sapesse che uno dei frutti della sua stirpe è stato concepito dal sangue di un alchimista, maledirebbe ognuno di noi.»
«Io...»
«Tu sei solo un esito inconciliabile ideato dall'anormalità di mia figlia Niamh e di quello scempio. Nulla di più. Persino i tuoi zii, ti vorrebbero distante da queste terre, eppure sono così generosa da tenerti qui.»
«Perché non mi scortate dai corvi?» chiese furiosa Cordelia.
Cesara ghignò con spregio e si spostò: «Affidarti a loro sarebbe un oltraggio. Non sopravvivresti nemmeno un giorno con i corvi.»
Deglutì un po' di saliva Cordelia, strinse la corda dell'arco e della faretra, le ciocche bionde le scivolarono sul viso.
«Comunque stasera, alla cena, starai seduta vicino a zia Amelia e mangerai, intesi? Perché i tuoi digiuni, sebbene siano a parere mio nauseanti, devono essere evitati ai banchetti. Sei pur sempre una principessa, nessuno della famiglia vorrebbe una Gruarius priva di carne.»
Cordelia trattenne le lacrime, il cuore le scoppiava nel petto.
La nonna sapeva che evitava di mangiare, non per una stranezza ma perché la dolenza dell'animo era penetrata in profondità.
L'adolescente ascoltava ogni sillaba maligna, le stritolavano l'animo da quando aveva perso la madre.
«Ora va'. Al tramonto inizierà la cena.»
Cordelia fece un breve inchino e si dileguò. Salì le scalinate a chiocciola per raggiungere il terzo piano del torrione. Aumentò il passo nel corridoio ed evitò i servitori che portavano degli abiti, aprì infine la porta della sua stanza e la chiuse. Gettò a terra, vicino a dei bauli in betulla, l'arco, la faretra e si tolse il mantello.
"Vi odio tutti, tutti!"
A quel pensiero Cordelia afferrò su un mobiletto, adiacente al letto a baldacchino e a una finestra chiusa da una porticina di legno, una collana con un pendente: una conchiglia bianca dalle sfumature giallognole. Si gettò sul letto e singhiozzò, si lasciò trasportare da un pianto rantolante fino a cadere nel sonno.
***
Dopo qualche ora un picchiettio rimbombava nella camera, non era convulsivo ma invadente.
Cordelia bofonchiò e si ridestò dal sonno, sostò ferma e osservò le mura ornate dai dipinti. Strinse la conchiglia, si stropicciò gli occhi e si spostò. Non smetteva di udire quel strepitio sul legno, aprì la soglia della stanza e lasciò passare il chiarore delle torce accese dai servitori.
"Non può provenire dal camino o da un baule" rifletté Cordelia e adocchiò il focolare spento della stanza.
A gesti felpati si avvicinò alla porticina della finestra, rilasciò un sospiro e l'aprì.
Un corvo imperiale sbatté le ali sul davanzale, non gracchiò come spesso si immaginavano i paesani, gorgheggiò e dilatò il collo.
«Ma che...»
Cordelia indietreggiò e depose le mani sul petto. Fissò da lontano il tramonto e poi il corvo. Era abituata a vedere quelle bestie nelle stagioni fredde, alzò un sopracciglio e piegò il capo.
«Beh, che vuoi signor corvo? Su, via,» mosse le dita Cordelia, «Non è un luogo adatto a te.»
L'animale gracchiò e zampettò, le piume nere erano lucide. Sbatté ancora le ali e si librò lontano dalla finestra.
Cordelia rilassò i muscoli e si toccò la fronte, trattenendo un'imprecazione. Legò la catenella al collo e si precipitò a uno dei bauli, consapevole che era in ritardo per la cena. Aprì uno dei mobili, si svestì e lanciò la tunica del mattino, per poi infilarsi un vestito porpora, stretto da una fascia che le reggeva lo scarso seno. Si asciugò le poche lacrime sulle guance e prese da un mobiletto un pettinino d'osso e si lisciò i capelli.
«Non posso arrivare in ritardo, non posso. Non posso.»
Una volta finito l'atto, lanciò il pettinino sul letto e intrecciò due ciocche per formare un'acconciatura.
«Se mamma fosse viva avrebbe il coraggio di rispondere a tutti loro.» mormorò Cordelia, mentre delle lacrime le rigavano il viso, «Un esito inconciliabile, sciocchezze! Mamma non ha mai pensato che fossi un errore... ha avuto solo...» si asciugò una guancia con il palmo della mano «...un'avventura con mio padre. Tutto qui.» si sfiorò la conchiglia, «Già, un'avventura matrimoniale. Eppure... sembrava così serena.»
Un altro battito d'ali disturbò Cordelia, la quale si voltò verso la finestra.
Il corvo era tornato e aveva posato con il becco qualcosa sul davanzale di pietra.
«Oh, di nuovo tu.»
L'animale gracchiò mostrandosi imponente.
La ragazza storse le labbra e si avvicinò timorosa all'animale, fissò l'oggetto sul davanzale: «Quello è un gancetto di ferro. È per me?»
Il corvo girò la testa e gracchiò, lasciò che Cordelia afferrasse l'utensile.
«Ti ringrazio, signor corvo.» sorrise la ragazza, Cordelia fece una riverenza alla bestia, «Ti porterò qualcosina dal banchetto. Ora perdonami, ma devo andare, a presto signor corvo.»
Svelta come se le mancasse il fiato uscì dalla stanza e chiuse la soglia.
A quel gesto il corvo volò via.
Salézh – Salice Piangente (Veneto)
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