1 - Partenza indesiderata
Guardava distrattamente le nuvole dall'oblò dell'aereo privato che stava portando lui e la sua band a Tokyo per un importante festival musicale.
Sarebbero stati le guest stars internazionali di una grande settimana di concerti rock.
La sua mente vagava fra le immagini di ricordi lontani.
Era molto turbato da quando aveva ricevuto quel sms. Anche Hiro, il suo migliore amico, o forse era meglio dire ex, avrebbe preso parte alla stessa manifestazione, perciò si sarebbero incontrati nuovamente.
Se lo avesse saputo non avrebbe mai accettato di partecipare, ma quando il suo manager gliene aveva parlato mesi prima non aveva preso in considerazione quella possibilità. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Sapeva che anche lui suonava in una band e che aveva riscosso un discreto successo in Giappone, però da lì a ritrovarsi a partecipare allo stesso evento ne passava. Forse se si fosse fermato un attimo a riflettere...
in quel periodo era impossibile: quando la sua mente non era immersa nella musica preferiva annullarla...
Ma ora non poteva non pensare a lui.
Quando aveva saputo del suo trasferimento in Giappone, solo la sera prima della sua partenza, si era sentito tradito e abbandonato e non aveva voluto saperne di rispondere alle sue numerose telefonate.
Poi la rabbia piano piano era scemata e la certezza dell'importanza del loro legame l'aveva convinto a perdonarlo e a provare ad essere almeno amici.
Così non passava un giorno senza aver sentito la sua voce.
Ultimamente però lo chiamava di rado a causa dei molti impegni legati al loro tour e del fuso orario sempre diverso che li separava, era più semplice comunicare lasciandosi un messaggio.
Inizialmente Hiro aveva provato a dire qualcosa assicurandogli che poteva chiamarlo a qualunque ora, ma poi ci aveva rinunciato.
Quelle erano solo delle mere scuse e questo lo sapevano bene entrambi.
Le rare volte che si sentivano si limitava a frasi di circostanza e a non parlare mai di cose troppo personali così da poter facilmente dissimulare.
Però ora guardandolo in faccia avrebbe capito tutto.
I pochi che lo conoscevano bene gli dicevano sempre che i suoi occhi azzurri erano lo specchio della sua anima e riuscivano a trasmettere i suoi veri sentimenti.
Adesso, ne era certo, avevano perso la loro luce innocente e Hiro non poteva non accorgersene.
E la colpa non poteva darla solo a quello che gli era accaduto, era stata una lenta discesa nell'abisso.
Erano passati solo tre anni da quando si erano visti l'ultima volta, ma in quel lasso di tempo erano cambiate parecchie cose.
Aveva raggiunto finalmente il suo obiettivo, aveva realizzato il suo grande sogno: diventare una star internazionale, acclamata e osannata, e le loro canzoni erano conosciute ovunque.
Nel giro di pochi mesi avevano vinto innumerevoli premi come band rivelazione dell'anno, il loro album era primo nelle classifiche di molti paesi e il loro tour mondiale era "sold out" da mesi.
Però a quale prezzo?
Una volta il suo tutore gli avevano detto che "più è luminosa la luce più è fitto il buio che si cela dietro".
Quella frase era perfetta per descriverlo.
Quando si erano salutati Hiro gli aveva chiesto di fargli una promessa, che lui però aveva mantenuto solo in parte, gli aveva chiesto di diventare il numero uno senza però perdere se stesso; di restare la persona che aveva amato e che lo aveva amato.
Aveva lavorato sodo ogni giorno e aveva lottato duramente e alla fine aveva realizzato il suo sogno, ma lungo la strada aveva perso ciò che di buono aveva.
Aveva venduto la sua anima.
Oramai era l'ombra di ciò che Hiro aveva conosciuto.
Erano mesi che facevano concerti in giro per il mondo, con continui spostamenti in aereo e fusi orari da smaltire, per non parlare delle apparizioni in tv, le riprese dei video e tutto il lavoro per scrivere le nuove canzoni.
Per sostenere quei ritmi infernali e al contempo non pensare a quello che aveva attorno, aveva iniziato ad assumere diverse sostanze, a bere e a portarsi a letto ragazze che neanche conosceva.
Dopo di lui non aveva più avuto una relazione stabile, passava da un amante ad un altro senza tanti rimorsi.
Uomini o donne faceva poca differenza, l'importante era distrarsi, dare libero sfogo alla rabbia che sentiva crescergli dentro prima che diventasse incontrollabile.
Come quando aveva completamente distrutto una camera d'albergo, arrivando a lanciare il televisore fuori dalla finestra. Fortunatamente nessuno si era fatto male e il proprietario era stato ricompensato profumatamente, ma la notizia era trapelata.
Era finito spesso per la sua condotta sulle prime pagine di gossip e i giornalisti avevano sempre un occhio puntato su di lui in attesa di qualche "notiziona".
Si divertiva a scandalizzare e ad essere sempre sopra le righe, più lui sprofondava più i suoi fan lo amavano. Peggio si comportava, più la sua fama aumentava. Tutto gli era permesso, tutto gli era concesso. Come se il suo soprannome giustificasse tutto.
Solo quando suonava era completamente se stesso. La scarica che gli dava sentire scorrere la musica nelle sue vene era una droga più che sufficiente, la sua preferita, e non l'avrebbe mai tradita.
Gli altri membri della band non si erano mai lamentati della sua condotta, finché dava il massimo nel suo lavoro, finché suonava e cantava come nessun altro, finché sul palco era una vera forza della natura, nella sua vita privata poteva fare ciò che voleva.
Lui non si era mai fatto nessun problema al riguardo. Però adesso, davanti alla prospettiva di rincontrare il suo migliore amico, si sentiva malissimo. Come se dopo mesi la sua coscienza fosse venuta a chiedergli il conto.
In quel periodo, per la stampa, stava con una famosa attrice, ma la loro storia era solo apparenza. Erano stati visti insieme ad una festa e il loro manager aveva colto l'occasione per farla diventare qualcosa da sfruttare, solo pubblicità e nient'altro.
Partecipavano insieme ad eventi mondani, che lui cercava sempre in ogni modo di evitare, ma per il resto erano due estranei.
Sospirò chissà se anche Hiro era cambiato così tanto?
Ne dubitava, era sempre stato testardo e tremendamente orgoglioso, non era mai sceso a compromessi, solo a letto si lasciava sottomettere.
Era perso nei suoi ricordi quando sentì Keita sederglisi accanto.
"Qualcosa non va?"
"Tutto ok, sono solo un po' stanco."
"Non devi mentire con me. Te lo leggo negli occhi."
Keita era uno dei suoi migliori amici e l'unico con cui parlava di ciò che provava veramente.
Era da lui che si rifugiava quando si sentiva giù e aveva bisogno di conforto. Lo accoglieva sempre a braccia aperte e alla fine riusciva sempre a farlo sentire meglio.
Keita era il secondo chitarrista della band ed aveva grande successo soprattutto con il gentil sesso.
Aveva lunghi capelli chiari che si divertiva a tingere dei più svariati colori, adesso erano di uno strano rosa, un viso delicato e un fisico snello ben modellato decorato da diversi tatuaggi.
Si conoscevano ormai da 3 anni e in quel lasso di tempo la loro amicizia era diventata qualcosa di molto profondo.
Quando si erano incontrati, lui stava vivendo il suo momento peggiore.
Hiro era appena partito e lui era arrabbiato e depresso, si erano lasciati perché nessuno dei due era in grado di portare avanti una relazione con migliaia di chilometri a dividerli.
Anche il suo sogno di diventare un musicista stava vacillando, il gruppo che avevano fondato insieme si era sciolto.
Keita era stato un raggio di sole in un giorno di fitta nebbia. Quando rischiava di perdere di vista ciò che voleva fare della sua vita.
Erano diventati subito buoni amici, avevano parecchie cose in comune a cominciare dall'amore per la musica. Un giorno Keita sentendolo cantare e suonare gli aveva offerto di entrare nella sua band e la sua vita aveva ripreso ad avere un senso.
Vedendo che continuava a guardare fuori dal finestrino senza rispondere, decise di non insistere.
Gli scompigliò i capelli biondi e prima di ritornare al suo posto gli disse semplicemente "Se hai bisogno di parlare o di sfogarti, io ci sono sempre."
"Lo so. Grazie" e gli rivolse un sorriso pieno di gratitudine.
"Demon" sentì il loro manager King chiamarlo.
Sbuffò, ormai erano pochi a chiamarlo con il suo vero nome.
Quel soprannome glielo avevano affibbiato i suoi amici quando ancora non era famoso, semplicemente perché nel suo primo video vestiva i panni di un demone con tanto di corna e coda.
Al suo manager era piaciuto talmente tanto che aveva iniziato a pubblicizzarlo dicendo che gli avrebbe portato tanta fama e tanti soldi, adesso per il grande pubblico era solo Demon.
Si girò per vederlo arrivare con una pila di giornali in mano.
Era raggiante "Siete su tutte le principali riviste del Giappone."
Gli mostrò le varie copertine, la loro foto campeggiava ovunque.
Il manager si girò verso gli altri componenti della band e aggiunse "Credo proprio che il vostro arrivo non passerà inosservato. Preparatevi ad affrontare un bagno di folla"
Lui non rispose e tornò a guardare fuori dal finestrino.
"Non essere così scontroso ragazzo. Dovresti essere contento di tutto questo successo. Sono i fan che decidono chi è all'apice e chi no. Sono loro che comprano i vostri dischi e riempiono i vostri concerti. Quindi vedi di averne migliore considerazione. Se non vuoi farmi incazzare"
Non riusciva proprio a sopportarlo, era interessato solo al denaro ed era disposto a fare qualunque cosa per guadagnare, anche quella volta era stato lui ... scosse la testa per scacciare quel pensiero.
"Non c'è bisogno che tu me lo dica. Farò quello che devo quando sarà il momento... come sempre. Quindi non rompere."
King ormai era abituato ai suoi sbalzi d'umore e non gli interessavano molto, purché avesse continuato ad essere la sua miniera d'oro.
Quel ragazzo aveva una forza dentro che riusciva a conquistare tutti e lui sapeva come sfruttarlo. Sorrise quella sarebbe stata una grande settimana.
"Hai mangiato? Quando non mangi sei sempre intrattabile. Ti porto qualcosa."
Così dicendo si alzò e si diresse verso la zona anteriore dell'aereo.
Fosse così semplice...
Ad essere sinceri una volta lo era.
Quando era di cattivo umore si rifugiava in qualche fast food e dopo essersi riempito lo stomaco con qualche schifezza si sentiva decisamente meglio.
Adesso mangiava di rado e di malavoglia, e sempre ad orari strani. Erano mesi che non faceva un pasto decente.
Dopo poco vide una hostess arrivare con un vassoio in mano che appoggiò sul tavolino lì vicino. La ragazza gli fece un gran sorriso e gli disse "Se ti serve altro chiamami" alludendo chiaramente a qualcosa di più di un semplice bicchiere d'acqua. Lui non rispose e la ragazza se ne andò delusa, ritornando alle sue occupazioni.
In un altro momento avrebbe colto l'occasione al volo, sarebbe stato un bel modo per occupare quelle lunghe ore dentro quello stupido aereo. Guardò nuovamente il cibo, ma nemmeno quello aveva nessuna attrattiva.
Si sentì nuovamente chiamare. Questa volta era Kelly la loro addetta stampa, organizzava i loro appuntamenti e faceva da interprete.
Che palle, pensò, non volevano proprio lasciarlo in pace.
"Su questo giornale dicono che hai origini giapponesi. È vero?"
Era stata assunta da poco, solo all'inizio della tournée, e lui non parlava volentieri della sua famiglia, quindi poteva anche non sapere tutto di lui, ma bastava pensare al suo vero nome per notare che era tipicamente giapponese. Se un addetto stampa non sapeva queste cose cosa ci stava a fare?
Sbuffò e fece solo un cenno affermativo.
"Non l'avrei mai detto. Tu sembri tutto fuorché asiatico. Capelli biondi e occhi blu non sono proprio caratteristiche nipponiche."
Sapeva che avrebbe continuato a rompergli se non gli avesse dato una risposta così si rassegnò e spiegò "Il mio bisnonno era giapponese."
"Conosci il giapponese?"
"Sì, ma non lo parlo da molto" stava per aggiungere: "da quando sono morti i miei", ma quelli erano solo cazzi suoi!
"Allora dovresti essere contento di visitare la terra dei tuoi avi."
Si girò senza rispondergli.
Keita capendo che l'amico non era dell'umore per sopportare quella donna, decise di salvarlo.
"Ho sentito Dexter dire che è indispensabile decidere cosa dire alle prime interviste. Penso che sarebbe felice se gli dessi una mano."
A Kelly si illuminarono gli occhi, aveva una vera venerazione per Dexter e la prospettiva di essergli d'aiuto e passare del tempo con lui era troppo allettante per non coglierla al volo. Così lasciò immediatamente perdere il biondo e si alzò per andare da lui, guardando Keita con infinita gratitudine.
Keita si girò e gli fece l'occhiolino.
Anche Keita, a suo dire, aveva degli antenati giapponesi, ma soprattutto era un amante della cultura nipponica e dei samurai.
Questa passione gliel'aveva trasmessa suo padre, grande studioso della cultura asiatica e per questo gli aveva anche dato un nome tipicamente giapponese.
Le sue origini, insieme alla sua passione, erano ben conosciute da tutti perché ne andava talmente fiero che a volte durante i concerti portava una sorta di Kimono slacciato e una katana infilata nella cintura.
Sorrise pensando che lui e Keita si erano conosciuti grazie a questa sua ossessione per il Giappone.
Lui stava come sempre litigando con diversi ragazzi, in quel periodo era spesso coinvolto in risse, non ricordava il motivo del diverbio, erano sempre comunque cose futili fatte solo con l'intento di attaccar briga.
Aveva iniziato ad imprecare e ad offendere i suoi avversari in giapponese. Ogni tanto gli capitava quando era incazzato.
Keita passando di lì per caso si era sentito attratto da quel suono e si era subito schierato al suo fianco aiutandolo contro quei tizi.
Lui e Keita avevano avuto la meglio e dopo aver messo in fuga gli avversari erano andati a festeggiare. Da quel momento erano diventati grandi amici.
Ringraziò dal profondo del cuore Keita, adesso sostenere una conversazione con Kelly non era proprio la cosa migliore, era sicuro che l'avrebbe mandata facilmente "a cagare".
Sorrise vedendo la donna ritornare al suo posto con un'espressione delusa, aveva trovato Dexter addormentato e non aveva avuto il coraggio di svegliarlo. Adesso stava guardando Keita con odio per averla illusa.
Dexter dormiva con il viso appoggiato al finestrino e ogni volta che l'aereo faceva un piccolo movimento i diversi piercing che portava alle orecchie e alle sopracciglia tintinnavano a contatto con il vetro.
Era un bel ragazzo di 24 anni, con capelli rossi, occhi nocciola e un fisico palestrato.
Il suo carattere però era freddo, spietato e calcolatore.
Era sempre pronto a tutto per raggiungere il suo fine. Oltre a suonare il basso era stato lui ad occuparsi concretamente di trovare i loro primi ingaggi e aveva spesso strigliato gli altri, considerandoli solo dei sognatori.
Diceva sempre che con la sola musica non si arrivava da nessuna parte. Le porte le aprivano le giuste conoscenze.
Per ottenere qualcosa bisognava forzare la mano ed usare anche metodi poco ortodossi.
Anche Andy, dormiva pacifico, sembrava un orso in letargo. Era un uomo alto e imponente, aveva capelli e pizzetto biondi. La musica per lui veniva prima di tutto. Ogni momento era buono per scrivere parole e musica, tutto poteva essere fonte d'ispirazione. Era veramente un grande musicista, sapeva suonare diversi strumento, anche se il suo vero talento lo esprimeva con la batteria.
Era sempre pronto a dare consigli a tutti sui vari spartiti.
Lui e Andy passavano parecchio tempo insieme quando dovevano comporre, chi dei due aveva il lampo di genio per la nuova canzone lo esponeva all'altro e insieme ci lavoravano.
Si rispecchiava nel suo carattere, come lui era irruento, testardo ed impulsivo.
Doveva cercare di riposare visto quello che li attendeva.
Doveva smettere di pensare a quanto era cambiato, tanto non poteva cancellare quello che aveva fatto o ciò che era diventato e infondo nemmeno lo voleva.
Adesso lui era questo: era Demon degli Skeezer.
E così si doveva far vedere da lui.
Basta menzogne o mezze verità.
E poi ad essere sinceri, se Hiro non aveva vissuto in un convento di clausura le notizie delle sue bravate e della sua condotta sregolata erano arrivate anche a lui.
Se dopo il loro incontro non avesse più voluto avere niente a che fare con lui, non avrebbe insistito e non lo avrebbe più cercato.
Lo avrebbe lasciato fra i suoi ricordi più cari e un'altra parentesi della sua vita si sarebbe conclusa.
Sentì finalmente la stanchezza assalirlo, chiuse gli occhi e sperò in un sonno senza sogni.
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