ƈą℘ıɬơƖơ 5

-Mi scusi, Dan?-.
L'uomo, intento a sorseggiare una tazza di caffè amaro, rivolse a Selin un'occhiata infastidita. -Uh?-.
Lei strinse i pugni ed emise un sospiro; erano circa le sette del mattino e aveva deciso di uscire in città, ma prima desiderava parlare con lui di una cosa che riteneva davvero importante.
-Io credevo che... Ospitassi solo donne- borbottò, seppur in evidente imbarazzo. -Invece...-.
-Io non ho mai detto una cosa del genere- ribatté immediatamente l'altro, posando la tazzina sul mobile e assumendo un'atteggiamtno schivo nei suoi confronti.
Selin abbassò lo sguardo. -Si, è vero, ma sul volantino che ho trovato...-.
-Senti- la interruppe bruscamente, ancor prima che potesse spegarsi. -Ti ho offerto alloggio nonostante tu sia immigrata iregolarmente, e stai pagando una miseria per stare qui. Qual'é il problema?-.
Stringendo le mandibole, a quel punto la ragazza tacque; non poteva permettersi di creare un cattivo rapporto con il padrone di casa perché nonostante tutto aveva bisogno di quell'alloggio, non avendo nessun altro luogo in cui poter andare. Fu scoraggiata da quella sua ostile reazione, così si limitò a stringere le spalle tenendo la testa bassa; avrebbe tanto voluto poter dire la verità, ovvero che non si sentiva al sicuro e che si sarebbe sentita molto più tranquilla se gli ospiti fossero stati tutti quanti donne o ragazze come lei; ma decise di tacere.
Dan le lanciò un'occhiataccia per poi voltare le spalle ed allontanarsi lungo il corridoio, così la ragazza si ritrovò immobile come una stupida davanti all'ingresso con lo sguardo perso nel vuoto. Era evidente che a lui, dei suoi problemi e delle sue preoccupazioni, non fregava assolutamente nulla.
Sospirò pesantemente e uscì dall'edificio inspirando l'aria fredda del primo mattino, che fece pizzicare le sue guance: di quel suo primo giorno da residente della cittadina ne avrebbe fatto tesoro, lo avrebbe impiegato per mettersi alla ricerca di un qualsiasi tipo di occupazione.
Aveva bisogno di soldi, non solo per procurarsi lo stretto necessario per vivere, come cibo, abiti e medicine: avrebbe dovuto trovare un modo per racimolare la somma sufficiente ad ottenere un passaporto.
Non appena vi sarebbe riuscita, avrebbe davvero potuto cambiare per sempre la sua vita e ricominciare da zero: ottenere un'occupazione regolare e magari  prendere in affitto un vero appartamento tutto per lei.
Così, con lo zaino in spalla ed i capelli color nocciola raccolti in una coda di cavallo, la giovane si mise in cammino verso le tristi vie del centro memorizzando ogni sua svolta per essere sicura che, al sopraggiungere della sera, avrebbe ricordato il percorso da fare a ritroso.
Camminò moltissimo quel giorno, e chiedendo indicazioni a qualche passante riuscì a raggiungere alcuni punti strategici ove avrebbe potuto trovare annunci di lavoro; passò in rassegna anche molti bar e ristoranti, tutti quelli che trovò, anche se nessuno dei proprietari sembrò accoglierla con entusiasmo.
Trascorse ore intere tra le strade ancora bagnate dalla recente pioggia, strisce d'asfalto corroso dal tempo che percorrevano spazi angusti tra le imponenti strutture dei palazzi, attraverso le cui finestre amò poter sbirciare qualche piccolo scorcio di quotidianità delle persone che li abitavano.
Pensando tra che avrebbe potuto tentare ancora l'indomani, verso le cinque del pomeriggio Selin si mise sulla strada del ritorno reggendo saldamente con la mano destra un sacchetto della spesa: si era fermata in un piccolo supermercato di zona a far scorta di snack ed acqua, attingendo ancora una volta dai pochi fondi che le erano rimasti a disposizione. D'altro canto qualcosa doveva pur mangiare.
Quando dopo l'interminabile camminata si ritrovò davanti all'ex hotel di Dan, osservandone la facciata scolorita e le crepe sui muri non si sentì affatto sollevata; ma le sue gambe stavano implorando riposo. Così recuperò la sua chiave dalla tasca ed entrò spingendo il portone con la mano sinistra.
Nella hall incrociò distrattamente gli sguardi di un paio di persone, ma proseguì dritta verso la rampa di scale che conduceva al piano di sopra; qui, seduta sul gradini, vi era una giovane donna vestita con un abito elegante di un rosso sgargiante, molto aderente al corpo e dotato di un lungo scollo a v.
Le passò accanto evitando volontariamente di guardarla in volto e salì fino al secondo piano, desiderosa di rifugiarsi nella sua stanza e trovare finalmente un po' di pace.
Qui il corridoio era sgombro, fatta eccezione per la presenza di una bambina intenta a giocherellare sotto a una finestra con qualcosa in mano. L'ambiente era avvolto in un totale silenzio, intriso di quel forte odore di muffa che caratterizzava in modo particolare i piani superiori dell'edificio.
Con un pesante sospiro Selin inserì la chiave nella toppa della sua porta, e proprio mentre la stava aprendo sentì qualcosa andare a sbattere contro al suo piede: abbassò lo sguardo, e notò una piccola palla di gomma che rotolando sul pavimento si era appena fermata vicino alla parete.
-È mia, scusa- mormorò una vocina timida e insicura.
La ragazza raccolse l'oggetto da terra e si voltò, notando che la stessa bimba di un attimo prima le si stava avvicinando con insicurezza.
-Potresti restituirmela?-.
Istintivamente sorrise, nel notare quanto la piccola fosse in apprensione per la sua pallina di gomma. La riconobbe senza fatica, si trattava della stessa bambina che aveva incontrato nel salone al piano terra il giorno precedente.
-Ma certo- le rispose, allungando la mano destra e porgendole l'oggetto. -Ecco, tieni-.
Lei sorrise e la afferrò con evidente titubanza, come avesse paura ad avvicinarsi troppo. Aveva un viso rotondo e delicato, sul quale risplendevano due occhi grandi.
Anche Selin allargò un gran sorriso, seppur se dentro di sé stesse in realtà provando un'immensa tristezza. -Come ti chiami, piccoletta?-.
-Felia- rispose decisa l'altra, ricambiando finalmente il sorriso. -Abito là!-. Nel pronunciare quelle parole la bambina allungò una mano per indicare una delle porte posizionate sul lato sinistro del corridoio.
Selin annuì, unendo le mani ed inarcando lievemente la schiena. -Oh, siamo abbastanza vicine allora- disse, spostando lo sguardo laddove le era stato indicato. -Ti saluto Felia, alla prossima-.
La bambina le fece un energico saluto agitando la mano destra, e restò ferma a guardare Selin mentre scompariva dietro alla sua porta, sempre con la sua palla saldamente tretta in pugno.
"Cavolo, smettila di pensarci".
Selin si chiuse a chiave nella sua stanza e poggiò la schiena contro alla porta, lasciandosi scivolare giù fino a sedersi a terra con la faccia nascosta dietro alle mani.
Lo sguardo di quella bambina le ricordava inevitabilmente quello della sua sorellina minore, che aveva perduto ormai da diversi anni; la sensazione scaturita da quell'incontro fu per lei devastante.
Iniziò a singhiozzare reggendosi la testa con una mano, mentre si ripeteva continuamente che non avrebbe dovuto più pensarci. Si trattava solo di un ricordo, come tale irraggiungibile, che si sforzava di tener nascosto nei meandri della sua mente ma che puntualmente tornava a galla.
La sua sorellina le mancava da morire, così come la mancava anche il resto di quella che fu la sua famiglia.
Tentò più volte di calmarsi, lasciando scorrere le lacrime anziché impedirle perché solo così sapeva di potersi tranquillizzare davvero; e alla fine, ci riuscì.
Puntando i palmi sul pavimento gelido si alzò in piedi e istintivamente aprí di nuovo la porta facendo un passo nel corridoio, per controllare se la bambina si trovasse ancora lì; ma non la vide.
Forse era scesa al piano di sotto, o rientrata nella sua stanza.
Delusa la castana digrignò i denti e si ripeté ancora che andava tutto bene: quel piccolo crollo emotivo era stato probabilmente in parte causato anche dalla stanchezza fisica dovuta alla dura giornata appena affrontata. Stava per voltarsi e tornare dentro, quando un particolare che prima aveva ignorato catturò improvvisamente la sua attenzione: abbassando lo sguardo sul pavimento, davanti alla porta della camera centoquattro, notificò la presenza di una strana chiazza.
Aggrottò la fronte e si avvicinò di qualche passo, ricordando che quella era proprio la stanza dalla quale aveva udito provenire quei fastidiosi rumori la notte precedente. Si trattava di un liquido dentro di un intenso colore rosso, che proveniva dall'interno e passando attraverso lo spiraglio posto sotto alla porta si stava lentamente diramando lungo il corridoio.
Nel vederlo la prima cosa che Selin pensò fu che fosse del sangue, e sentì un nodo stringersi nel suo stomaco.
Pensò di chinarsi per osservarlo meglio, magari toccarlo con la punta dell'indice, ma si scoprì del tutto incapace di farlo; facendo qualche passo indietro si allontanò preventivamente da quella porta. Ancora una volta scelse di ignorare la cosa e tornare a chiudersi nella sua stanza.
Dopo aver svuotato la vescica in bagno si gettò sul letto e tentò di distrarsi in qualche modo, ma i suoi pensieri continuavano a riportarla con la mente a quel dannato liquido rosso; non aveva alcuna certezza che fosse effettivamente sangue, anche se lo sembrava, e soltanto questa consapevolezza la aiutava a mantenere la calma.
Si sdraiò in posizione fetale con lo sguardo fisso sull'ingresso, e pensò che di cose strane, in quel posto, ne erano già accadute diverse nonostante si trovasse lì da meno di quarantotto ore.
Un fascio di luce giallastra penetrava attraverso il vetro scheggiato della finestra tingendo la parete della stanza; vi proiettava le ombre di alcuni oggetti poggiati sul davanzale.
I pochi mobili presenti nella camera erano ricoperti di un fitto strato di polvere che Selin si era ripromessa di rimuovere l'indomani.
"Non era del sangue. Non era del sangue. Non era del sangue".

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