ƈą℘ıɬơƖơ 41
Gli occhi di Selin si spalancarono, con entrambi i pugni stretti si ritrovò a stritolare inconsciamente le lenzuola.
Non era pronta a sentirsi dare quella notizia, per un attimo pensò che Rose fosse stata meschina a dirglielo con tutta quella fretta e in un momento per lei così difficile.
-C..Cosa?- borbottò.
Le sue braccia, la cui pelle olivastra era attraversata da innumerevoli graffi e lividi dalla colorazione scura, iniziarono visibilmente a tremare a causa della tensione. -Io credevo che... Avrei scontato la mia pena qui- aggiunse.
Lo sguardo di Rose si fece carico di rammarico, mentre lentamente allungava una mano e la posava sulla sua spalla. -L'ho sentito dire da uno degli agenti che mi ha interrogata. Mi dispiace tanto, Selin-.
La castana sollevò lo sguardo di colpo, tormentata da qualche fitta di dolore che proveniva da diverse parti del suo corpo. -Ma non c'è proprio niente che posso fare per evitarlo?-.
L'altra si strinse nelle spalle emettendo un lento sospiro, senza mai distogliere lo sguardo dall'amica distesa sulla branda. In quel momento avrebbe tanto voluto poterle dare notizie più positive ma non voleva mentirle, offrirle la triste illusione di una bugia, né tantomeno raccontare una verità falsata con l'aggiunta di un po' di zucchero.
Sapeva per certo che Selin era rimasta fortemente traumatizzata dalla morte di Jeff, che era profondamente confusa in quel momento ed anche che si sentiva responsabile per quanto era accaduto. Per questo motivo tentò di essere delicata, ma si rifiutò di mentirle.
-Ok, senti- mormorò la donna, sforzandosi di allargare un sorriso. -Verrai di certo interrogata anche tu, forse molto presto. Immagino che sarà la polizia stessa a spiegarti la situazione-.
Selin annuì debolmente, aprendo finalmente i pugni stretti che avevano sbiancato le punte delle sue dita. -Sì, capisco- rispose voltando la testa in direzione della finestra. -In ogni caso, non credo possa andare peggio di così-.
La donna inspirò aria dal naso serrando le palpebre, tentò di trattenere le emozioni ma non riuscì ad impedire a qualche lacrima di scappare fuori dai suoi occhi lucidi.
-Selin, mi dispiace tantissimo che le cose siano andate a finire in questo modo- rivelò, con la voce soffocata dell'imbarazzo del pianto.
La ragazza aprì le braccia senza dire niente, per invitare l'amica ad avvicinarsi a lei in modo che potesse stringerla.
Non aveva mai visto Rose comportarsi in quel modo, adesso che stava mettendo in mostra le sue debolezze non aveva più alcun dubbio in merito alla sua sincerità.
-Lo so, lo so- le rispose, stringendo forte le braccia che aveva incrociato dietro alla sua schiena.
-Avrei voluto suggerirti meglio, aiutarti meglio, prendere decisioni diverse da quelle che ho preso- continuò Rose. -Non vorrei mai doverti dire addio... Sei davvero un'amica speciale per me-.
Selin poggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi, perdendosi per un attimo ad inspirare il costoso profumo che indossava. -Neanche io, Rose. Mi hai... Aiutata molto in questi giorni, sei stata un punto di riferimento-.
La donna piegò le labbra in un ampio sorriso che l'altra non poté vedere. I capelli le scivolarono sulla fronte mentre a sua volta si aggrappava all'amica stringendola contro al petto.
La sentì tremare sotto alle sue mani.
-Qualunque cosa accada, Selin, abbi cura di te. Sei una brava ragazza e io lo so-.
Solo un attimo dopo un pugno bussò con poca delicatezza sulla porta chiusa per un paio di volte, poi la maniglia fu premuta. L'intrusione di un medico, ben riconoscibile grazie al camice bianco che indossava, interruppe l'intima conversazione delle due.
-Chiedo scusa, è terminato il tempo concesso per le visite- asserì l'uomo, che per qualche ragione sembrava essere piuttosto a disagio.
Rose si alzò in piedi frettolosamente e si voltò verso Selin, quasi come sapesse che quella era l'ultima volta che i loro sguardi si sarebbero incrociati. Allargò un piccolo sorriso e le fece l'occhiolino, per poi voltare le spalle e dirigersi con tranquillità verso la porta d'uscita; passando affianco al medico lanciò un'occhiata anche a lui, ma restando in totale silenzio.
Selin era ferma, con le braccia intrecciate sul petto e uno sguardo pieno di nervosismo; era certa che il dottore stesse attendendo di trovarsi da solo con lei, forse per dirle qualcosa.
Di fatti, non appena Rose ebbe abbandonato la stanza, lui si posizionò ai piedi del letto ed estrasse una cartella sulla quale iniziò a scrivere qualcosa, con l'ausilio di una costosa penna stilografica.
-Come sta in questo momento?-.
Selin abbassò lo sguardo, si sentiva infastidita e non era affatto dell'umore giusto per affrontare quella sorta di interrogatorio. -Bene, solo qualche dolore-.
-In quale punto esattamente sente dolore?- chiese ancora l'uomo.
Lei espirò lentamente. -Al petto, alla schiena e alle gambe. Ma direi principalmente al petto-.
Il dottore sollvo le sopracciglia e si piegò lievemente in avanti. -Nei pressi della ferita?- domandò, indicando la garza che copriva il foro di proiettile sulla sua spalla.
-Sì-.
-Molto bene- continuò a dire poi. -Le sue condizioni comunque sono buone, abbiamo effettuato analisi del sangue e radiografie. Il mio parere è che sia in grado di sostenere un interrogatorio-.
La ragazza annuì con debolezza, come se non le importasse. E in effetti era così, dopo tutto ciò che era accaduto non aveva più speranze di ottenere un lieto fine a quella maledetta storia.
-Tra un'ora circa verranno degli infermieri a prenderla, avrà un incontro con la polizia nell'apposita sala al terzo piano. Buona fortuna-.
-Non credo che mi servirà a molto...- borbottò la ragazza.
Proprio come aveva detto il medico rimase da sola in quella stanza per circa cinquanta o sessanta minuti in attesa degli infermieri, che arrivarono puntuali e accompagnati anche da un agente di polizia.
Selin fu invitata ad alzarsi, sostenuta per i primi passi per scongiurare la comparsa di vertigini e condotta ai piani superiori tramite uno degli ascensori per procedere con l'interrogatorio di routine.
La stanza in cui fu accolta si presentava come molto piccola e completamente spoglia, eccezion fatta per una misera scrivania ed un paio di sedie. Si trattava di una stanza che l'ospedale aveva lasciato a disposizione della polizia nei casi in cui, proprio come questo, si ritenesse necessario sottoporre ad un interrogatorio urgente uno dei pazienti ospedalizzati.
Quando Selin giunse sul posto fu invitata a sistemarsi in una piccola sedia in plastica posta davanti al vecchio tavolo, ora utilizzato come scrivania; dall'altro lato sedeva un poliziotto anziano con le braccia intrecciate sul petto. Aveva dei baffi ben tagliati, una capigliatura bianca del taglio quasi aderente alla cute e due occhi profondamente severi, contornati dai profondi solchi che lo scorrere degli anni aveva scavato sull'intero suo viso.
-Buongiorno. Vogliamo iniziare?- disse, conficcando addosso a Selin uno sguardo truce che la fece sentire fin da subito profondamente a disagio; la prima cosa che la ragazza pensò fu che odiava il suo odore, un mix di sudore coperto a stento da una colonia al mughetto.
Dietro di lui vi erano altri due agenti decisamente più giovani e un infermiere, tutti quanti intenti ad supervisionare in silenzio l'intero processo.
La ragazza si limitò ad annuire con un rapido movimento della testa, evadendo volontariamente lo sguardo; non le andava proprio di parlare con quel tipo, ma se era costretta a farlo almeno avrebbe sprecato la minor quantità di fiato possibile.
L'anziano poliziotto gettò sul tavolo un fascicolo e iniziò a sfogliarlo nervosamente, uno dei fogli di carta gli procurò una sottilissima ferita sul pollice, che portò alla bocca.
-Qui leggo che sei un'immigrata, priva di documenti o permesso. È corretto?- domandò, alzando gli occhi.
-..Sì-.
-Puoi dirmi per quale motivo ti trovavi presso la residenza privata di Daniel Whatsoe?-.
Selin aggrottò la fronte, impiegando qualche secondo a realizzare che stava parlando del vecchio hotel fatiscente di Dan. Quella era la prima volta che sentiva pronunciare il suo nome per intero.
-Ero sua ospite- si limitò a dire.
Il poliziotto annuì. -Molto bene. È qui che hai conosciuto la signora Rose Helsink?-.
-..Sì-.
-E che mi dici di Phil Edwin? Stando a ciò che dicono i testimoni non solo eri presente al momento del suo omicidio, ma vi hai partecipato... attivamente-.
All'improvvisto il ricordo di quel momento attraversò la mente della ragazza come una freccia, una sequenza di immagini cruente e più vivide che mai riempì i suoi pensieri. Ricordava bene il volto agonizzante del padre di Felia, il suo sangue sul pavimento, il terrore provato dalla bambina e la tranquillità disarmante di Jeff mentre reggeva il coltello.
Il panico iniziò a salire.
Le parole divennero un nodo nella sua gola.
L'ossigeno le bruciava nel petto come fosse stato mischiato al veleno.
-Questo non è vero- rispose secca, annaspando. -Io non ho ucciso nessuno, mai-.
Il poliziotto allargò un sorrisetto che non riuscì a interpretare. -Quindi neghi di aver frequentato, protetto e collaborato con l'individuo denominato Jeff the Killer?-.
La castana spalancò gli occhi, irrigirì i muscoli e tentò di mantenere ancora il controllo: doveva assolutamente riuscirci, almeno fino al termine dell'interrogatorio. -Jeff the Killer?- ripeté.
Intrecciando le mani ed abbassando lo sguardo sulla cartella riposta sul tavolo, il vecchio agente si lasciò scappare una risatina. -Jeffrey Alan Woods- esclamò, leggendo tra le righe impresse sulla carta bianca. -Accusato di numerosi omicidi ma ufficialmente identificato e ricercato a livello nazionale solo di recente. Grazie a tutto il caos che hai generato siamo riusciti a fermarlo, finalmente-.
La ragazza tacque. Non aveva idea che a Jeff fosse stato affibbiato uno pseudonimo, né che fosse già così noto alle forze dell'ordine da essere considerato un ricercato a livello nazionale.
-Quanti... Quanti omicidi?- domandò d'impulso, pentendosi di averlo fatto solo un attimo dopo. -No, anzi, non voglio saperlo-.
L'uomo le lanciò un'occhiataccia raggelante, poi proseguì con le sue domande.
-Che tipo di rapporto ha avuto con lui?- le chiese, puntando i gomiti sul tavolo.
Deglutendo a vuoto Selin distolse lo sguardo, d'un tratto si sentiva completamente spoglia e disarmata davanti al suo interlocutore. Non le andava proprio di parlare di questo, non dopo ciò che era accaduto a Jeff; ma si rendeva conto di non avere scelta. -Lui mi ha aiutata, io ho aiutato lui- disse con un filo di voce.
-Curioso, dal momento che parliamo di uno squilibrato mentale di tale portata- commentò aspramente il poliziotto. -La tua amica Rose Helsink ha dichiarato che sei stata rapida e tenuta prigioniera da Jeff the Killer per alcuni giorni-.
Selin tacque.
-Che hai subito abusi ripetuti all'interno di una stanza chiusa a chiave. L'hai per caso dimenticato?- domandò ancora l'uomo, con troppa insistenza e poco tatto. Aveva il totale controllo della situazione, e gli piaceva fin troppo.
-E poi ancora, mi sto domandando anche questo- aggiunse. -Come potresti giustificare il fatto che hai aiutato un ricercato a scappare, tentando poi di impedire il suo arresto?-.
-Gli ero riconoscente, ok?- rispose frettolosamente lei, con i nervi tesi. -E questo è tutto-.
Nella sua mente continuava a ripetersi che non avrebbe più dovuto dire una singola parola a quel poliziotto, che non aveva alcuna stima o pietà di lei e che era chiaro che stesse solo attendendo il momento più giusto per darle la sua sentenza. Ma dentro di sé provava troppo odio, troppa rabbia e troppa tristezza per restare impassibile.
L'anziano agente si grattò distrattamente la testa, senza distogliere lo sguardo.
-E che mi dici della bambina? Dopo l'omicidio di suo padre i testimoni dicono di averti vista mentre la rapivi e la costringevi a seguirti nella fuga-.
-Dov'è Felia adesso?- domandò istintivamente la ragazza, sporgendosi in avanti. -Sta bene?-.
-Certamente, sta ricevendo tutte le cure e le attenzioni necessarie. Sarà affidata ai servizi sociali-.
Alcuni secondi di silenzio tombale si frapposero tra i due, aleggiando in un'atmosfera in cui i pensieri frenetici di Selin parevano quasi risuonare all'esterno della sua mente.
-Per quanto questa storia mi incuriosisca, ho ordine di allontanarti dal territorio americano- continuò il poliziotto, rompendo il silenzio. -E impedirti di avervi accesso in futuro, per tutto il resto della tua vita-.
Lo sguardo di Selin si fece più attento, la fronte aggrottata e le labbra strette fino a ridursi ad una linea sottile.
-Considerato il tuo ingresso illegale in America, il rapimento di una minorenne e la collaborazione con un serial killer ricercato a livello nazionale, possiamo dire che la decisione di rimandarti al tuo paese è fin troppo generosa da parte nostra-.
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