ƈą℘ıɬơƖơ 31
Jeff affondò le punte delle dita nella pelliccia sbiadita del peluche, che un tempo doveva essere stata lucente e morbida ma si era ormai ridotta ad un logoro pezzo di stoffa sgualcita.
La piccola Felia, in piedi davanti a lui con le mani unite dietro alla schiena, gli sorrideva con un entusiasmo sorprendente.
Strinse il pugno con delicatezza attorno al corpo del vecchio pupazzo, che poi adagiò con cura sul materasso proprio accanto a lui; non che avesse qualsiasi tipo di interesse a tenerlo lì, ma doveva aver capito che la cosa avrebbe fatto tremendamente piacere alla bambina.
Quindi perché no?
Non poté evitare di pensare ai tempi lontani in cui anche lui era stato ingenuo e spensierato esattamente come Felia, ricordava abbastanza nitidamente gli eventi felici della sua infanzia fino a che ogni cosa non aveva iniziato ad andare per il verso sbagliato.
Jeff era cresciuto in fretta, molto più in fretta dei suoi coetanei, molto più in fretta di tutti gli altri.
Aveva abbandonato prematuramente l'ingenuità della sua infanzia, il suo carattere era stato plasmato da ogni esperienza negativa che aveva vissuto e che aveva modellato la sua personalità in modo irrisolvibile.
Ma la cosa che sembrava più assurda in quel momento era una ironica ed aspra consapevolezza: ogni singola esperienza vissuta, ogni scelta sbagliata e folle impulso della sua vita lo avevano condotto fino a quel preciso istante.
Fino a quella vecchia casa abbandonata, in compagnia di quelle due persone che avrebbe dovuto uccidere, seduto affianco ad uno stramaledetto peluche a forma di coniglietto.
Che senso aveva tutto questo?
La piccola Felia gli sorrise un'ultima volta prima di voltare le spalle e tornare a giocare nella stanza affianco, lasciando il killer da solo ancora una volta. Non che la cosa lo turbasse in modo particolare, ma in quel momento si sentiva particolarmente fragile e si rese conto, con sua grande sorpresa, di trovare insopportabile il silenzio che aleggiava attorno a lui.
Con lo scorrere delle ore una nuova coltre di nubi grigie si stava ammassando nel cielo ricoprendo la città, ma ancora non aveva iniziato a cadere giù neanche una goccia di pioggia. Anche quella assurda giornata sarebbe prima o poi giunta al suo termine con l'arrivo della sera, e l'indomani sarebbe potuto uscire di nuovo allo scoperto perché sapeva per certo che le pattuglie di polizia avrebbero iniziato a mollare la presa.
Lo facevano sempre.
Mentre Jeff era avvolto dai suoi pensieri, seduto sul vecchio materasso e con le spalle poggiate contro alla parete umida, la voce di Selin lo indusse a sollevare di colpo la testa: lei gli si avvicinò lentamente, mantenendo un atteggiamento neutrale.
-Hei...- mugolò soltanto, come se intendesse verificare quale fosse il suo attuale stato mentale prima di approcciarsi.
Lui si limitò ad osservarla, e forse il suo sguardo rilassato le suggerì che non stava correndo alcun pericolo.
-Felia sta morendo di fame, devo trovare un modo per...-.
-Non possiamo uscire ora- la interruppe il killer, stringendosi nelle spalle. -Dovrà aspettare fino a domani. Dobbiamo farlo tutti-.
La castana emise un sospiro, lasciando cadere le braccia lungo le spalle. -Farò attenzione, ci serve almeno un po' d'acqua-.
-È pieno di poliziotti, fuori-.
Sapeva bene che lui aveva ragione, era ben conscia del fatto che abbandonare quel rudere adesso mentre le strade erano pattugliate dalle forze dell'ordine non poteva essere in nessun caso una buona idea.
Restando in silenzio e muovendosi molto lentamente Selin si mise a sedere a sua volta, sullo stesso materasso, a poche decine di centimetri dal killer. A causa della tensione trattenne il fiato per una lunga manciata di secondi dopo averlo fatto, e non osò voltarsi verso di lui ma restò in allerta a lungo prima di riuscire a rilassare i nervi.
Entrambi non dissero nulla, l'unico suono che interrompeva di tanto in tanto il silenzio era il canticchiare di Felia proveniente dall'altra stanza.
Poi, di punto in bianco e senza un'apparente motivazione, Jeff emise un pesante sospiro ed iniziò a parlare.
-Volevo rispondere alla tua domanda-.
La castana aggrottò la fronte, dapprima non capì a cosa si riferisse: non gli aveva fatto nessuna domanda, era rimasta zitta fin da quando si era seduta.
Il killer, tuttavia, continuò a parlare ed a quel punto le fu tutto più chiaro.
-Prima mi hai chiesto di cosa ho paura, ma non ti ho risposto-.
Selin annuì brevemente, mentre con timore si voltava verso di lui. Il tono della sua voce era piuttosto stanco, come se facesse una certa fatica a parlare di quell'argomento anche se sembrava volerlo fare.
Piegando in avanti la testa Jeff fece scivolare i suoi lunghi capelli neri davanti alle spalle.
-Più di ogni altra cosa, anche più della morte stessa, c'è una cosa di cui ho paura-.
-E qual'é?- domandò infine la ragazza, a voce bassa.
Il moro allargò un piccolissimo sorriso mentre stringeva le labbra. -Perdere il controllo del tutto- rivelò, con amarezza. -Non riuscire più a gestire la mia mente-.
Selin tacque, non sapeva che cosa avrebbe potuto o dovuto rispondere a questo.
Si era certamente resa conto del fatto che Jeff avesse gravi problemi mentali, istinti animaleschi che non riusciva a controllare ed un generale scarso controllo delle sue emozioni; ma non aveva idea di quanto questa cosa gli pesasse. Era sicura che non gli importasse affatto, o che fosse addirittura molto compiaciuto di se stesso per tutte le cose mostruose che era in grado di fare, ma adesso si rendeva conto che la verità era molto diversa.
Sospirò svuotando lentamente i polmoni, a quel punto si sentì quasi costretta a rilevargli a sua volta qualcosa di personale, come se si fosse trattato di una sorta di scambio.
-Sai, avevo una sorella minore, somigliava molto a Felia- mugolò, e mentre parlava aveva l'impressione che le stesse mancando l'ossigeno; non si sarebbe mai aspettata che un giorno sarebbe finita per aprirsi così tanto con Jeff.
-Saremmo dovute scappare qui in America insieme, sono stati i nostri genitori a volerlo-.
Il killer non la guardò, ma le rispose tenendo gli occhi fissi sulla parete ricoperta di crepe e ramoscelli secchi. -E perché?-.
-Non avevamo da mangiare, non avevamo niente. Pensavano che avremmo trovato una vita migliore qui ma... La mia sorellina non è mai partita-.
La castana restò in silenzio, in attesa di sentirlo chiederle per quale motivo: ma lui non lo fece. Sembrò aver intuito quanto quell'argomento le facesse male ed aver preferito non chiederle nulla.
Ma Selin ormai sentiva il forte desiderio di sfogarsi, di gettare fuori dalle labbra quella cosa che fino ad allora non aveva mai detto a nessuno, liberarsi di quel maledettissimo peso; così continuò a raccontare ugualmente, con una voce tenue che tremava costantemente.
-Si è ammalata un mese prima della partenza, e purtroppo non ce l'ha fatta...-.
Sentì i suoi occhi inumidirsi ma si rifiutò di piangere, lo aveva già fatto un numero infinito di volte e nessuna di queste era stata utile a riportarle la sua sorellina; fin dal giorno della sua morte si era promessa che sarebbe andata avanti anche senza di lei, e che sarebbe stata felice anche per lei.
Nell'udire quelle parole Jeff sembrò irrigidirsi, ma nuovamente restò in silenzio.
Nessuno dei due osò più dire una singola parola da quel momento, e dopo alcuni infiniti minuti di tensione e imbarazzo Selin decise di alzarsi e raggiungere la piccola Felia, lasciando Jeff da solo. Si sentiva a disagio per il fatto di essersi aperta con lui fino a quel punto, e a sua volta non sapeva più che cosa dire; il ragazzo non mosse un singolo muscolo quando la vide andar via, e proseguì nel suo totale mutismo.
Entrambi forse erano pentiti di aver parlato troppo.
Varcando la soglia sverniciata della porta che conduceva alla camera adiacente la castana trovò Felia seduta a terra sotto alla finestra, con il foglio da disegno poggiato sulle gambe: stava ultimando i dettagli della sua piccola opera d'arte, anche se con notevole fatica. La punta delle matite forava facilmente il foglio sprovvisto di un decente piano d'appoggio, oltre al fatto che per riuscire ad imprimere del colore Felia era costretta a calcare molto la mano.
-Com'è venuto?- le domandò sorridendo mentre si avvicinava. Si accomodò a sedere accanto alla bambina che nel frattempo, entusiasta del suo interesse, le sventolava il disegno davanti.
-L'ho finito, ti piace?- esclamò.
La castana annuì energicamente. -Oh si, eccome- le rispose. -Sei proprio brava-.
Per una manciata di secondi si fermò ad osservare il volto felice della piccola, ancora una volta pensò a quanto quel suo sguardo somigliasse a quello della sua amata sorella minore.
E di nuovo sentì un nodo stringersi nel suo stomaco.
-Sei stata molto carina a prestare a Jeff il pupazzo- esclamò di colpo come volesse scacciare via i suoi stessi pensieri, sforzandosi di tornare a sorridere.
Non voleva che il suo malessere finisse per condizionare anche lei.
Felia sollevò la testa di scatto. -Ora lui sta meglio?- domandò.
La castana annuì debolmente, fu profondamente intenerita da quella domanda. -Si, sta meglio-.
Con il sopraggiungere della sera la temperatura all'interno del vecchio rudere iniziò ad abbassarsi in modo progressivo, man mano che la luce si faceva più scarsa. Iniziarono anche a cadere le prime gocce di pioggia fredda giù dalle nubi che ricoprivano il cielo, queste impattando sulle tegole rotte generavano un ticchettìo melodico.
L'atmosfera divenne tranquilla, ma a causa del freddo fu difficile per Selin e Felia riuscire a prendere sonno: si erano rifugiate nell'angolo più asciutto e riparato della stanza, stringendosi nei loro stessi vestiti nel tentativo di trovare un po' di calore, mentre Jeff era rimasto da solo nella camera adiacente.
Selin non si fidava ancora abbastanza da scegliere di dormire vicino a lui, e tantomeno si sarebbe fidata a lasciare che fosse Felia a farlo; nonostante il fatto che, se fossero stati tutti e tre vicini, sarebbero di certo riusciti a scaldarsi a vicenda con il calore dei loro corpi.
Forse grazie alla stanchezza la bambina riuscì ad un certo punto a prendere sonno cullata dalle braccia di Selin la quale, al contrario, non riuscì a chiudere occhio per diverse ore.
Si addormentò soltanto ad un'ora decisamente molto tarda, ormai infreddolita ed esausta.
Quella notte fu silenziosa, ostile, tremendamente buia: neanche un lampione illuminava la strada adiacente.
Cullata dal ritmico respiro della bambina, Selin riposò quasi ininterrottamente fino a che i primi raggi del sole non penetrarono tra i fori sulle pareti del rudere, proiettando alcuni fasci luminosi all'interno della stanza.
Schiuse gli occhi e sbattè le palpebre più volte, i suoi arti erano gelidi e si sentiva piuttosto scossa mentre la piccola Felia, avvolta tra i suoi vestiti, se ne stava al calduccio.
Intontina si guardò intorno un paio di volte, poi si alzò in piedi facendo molta attenzione a non svegliare la bimba. Si stiracchiò la schiena emettendo un piccolo sbadiglio e camminando lentamente si avvicinò alla porta, facendo qualche passo lungo il corridoio tra tegole spezzate e foglie secche; solo un attimo dopo si ritrovò a lanciare una rapida occhiata all'interno della stanza adiacente, per poi osservare confusa il materasso di Jeff.
Era vuoto.
Piuttosto confusa Selin spostò lo sguardo lungo la stanza e si accorse che lui non c'era, eppure era assolutamente certa di non averlo sentito muoversi una singola volta in quella notte. Era sicura che se fosse accaduto lei si sarebbe svegliata, aveva sempre avuto un sonno molto leggero.
Ma la stanza era completamente vuota e del killer non c'era più alcuna traccia.
Nulla suggeriva che lui fosse mai stato li per davvero, se non il piccolo pupazzo a forma di coniglietto adagiato a terra accanto al materasso.
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