ƈą℘ıɬơƖơ 18

Travolta da una nuova crisi di pianto Felia si sistemò a terra proprio accanto a Selin, cercando con disperazione il calore del suo corpo.
Ne aveva bisogno, aveva urgente necessità di sentirsi protetta qualcuno.
-È tutto ok- le ripeteva la ragazza, accarezzando la sua chioma di boccoli biondi. -Non hai nulla da temere-.
Avrebbe tanto voluto che fosse davvero così.
Per ore intere rimasero immobili l'una accanto all'altra, rincuorate del fatto di non essere sole ma rassegnate al loro destino. Un paio di volte con una certa insicurezza avevano provato a chiamare aiuto ma nessuno sembrava aver udito le loro voci, o più semplicemente chiunque le avesse potute sentire aveva preferito farsi gli affari propri.
Forse in un luogo come quello, pieno di tossicodipendenti e persone miserabili, non era poi così strano udire richieste di aiuto; e dall'altro lato di quella maledetta porta nessuno poteva immaginare quale fosse la loro reale situazione.
Il tempo iniziò a scorrere più rapidamente e la notte scese inghiottendo man mano la rassicurante luce del sole: era ormai sera, la stanza era diventata fredda e la visibilità si stava progressivamente abbassando sempre più.
Ma di Jeff, ancora nessuna traccia.
Selin non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando se n'era andato, ma era certa che fossero passate ormai più di dieci ore; si chiedeva per quale motivo non fosse più tornato, e non sapeva decidere se ritenere tale cosa positiva oppure negativa.
Il freddo e la fame iniziavano a farsi sentire sempre più intensamente.
-Selin...-.
La voce della piccola Felia era divenuta flebile e tremante, anche lei doveva ormai aver realizzato che ogni speranza si era del tutto assopita. -Ho tanto freddo-.
Muovendosi con estrema difficoltà la ragazza riuscì a recuperare da terra una coperta, la stessa che Jeff le aveva concesso di utilizzare la notte precedente. La consegnò alla bambina, che la utilizzò per coprire il suo corpicino tremante. Era adesso distesa sul pavimento come un cane a pochi centimetri di distanza da lei, suoi suoi occhi carichi di tristezza e rassegnazione fece calare le palpebre.
La situazione era disperata. Nel caso in cui il loro aguzzino non fosse mai più tornato, sarebbero finite per morire entrambe di fame e di sete con lo scorrere delle ore.
La stanza fu divorata da un'oscurità impenetrabile, il cielo quella notte era un'immensa macchia nera senza luna.
Intontita dalla stanchezza Selin finí quasi per addormentarsi, con lo sguardo sempre e costantemente rivolto verso la bambina; più la osservava e più le sembrava di rivedere la sua sorellina.
Molti dettagli del volto e del carattere dolce di Felia riportavano alla sua mente quei piacevoli ricordi, e per questo motivo la compagnia di quella piccoletta era per lei sinonimo di profonda gratitudine. Avrebbe tanto voluto averla incontrata in una situazione migliore, aver potuto condividere con lei momenti meno terrificanti di quello; e più di ogni altra cosa la rattristava la consapevolezza che, anche nel caso in cui la piccola sarebbe sopravvissuta a tutto quanto, il trauma vissuto l'avrebbe segnata indelebilmente per il resto della sua vita.
Era ormai tarda notte, quando il silenzio tombale che albergava nelle circostanze fu interrotto bruscamente da una serie di passi rapidi e pesanti che provenivano dal corridoio.
Il rumore allertò Selin nell'immediato, inducendola a sollevare la testa: qualcuno si stava avvicinando, creando un gan baccano.
Ebbe un forte brivido quando sentì la maniglia cigolare improvvisamente, ed a quel punto anche la bambina si svegliò con un gemito. La chiave fu inserita nella toppa dopo un paio di tentativi andati a vuoto, poi la porta fu spalancata con violenza e richiusa immediatamente dopo; fu udibile il suono metallico dell'ingranaggio, che veniva azionato con così tanta forza e fretta che la chiave finì per spezzarsi all'interno della toppa.
A causa dell'oscurità, tuttavia, non fu possibile vedere chi fosse appena entrato.
Felia si allontanò istintivamente dalla ragazza per andare a rannicchiarsi contro alla parete, e nel frattempo la lampada ad incandescenza appesa al soffitto fu accesa: nell'attimo in cui la luce inondò la stanza, si palesò la figura di Jeff in piedi in prossimità dell'ingresso.
Selin spalancò gli occhi sbattendo le palpebre più volte, notò subito che vi era qualcosa di molto strano in lui: aveva una postura insolita, teneva la testa bassa ed una mano premuta sul fianco destro. Con l'altra invece reggeva una busta di plastica sulla quale era inciso il maschio di un supermercato, che lasciò cadere a terra poco dopo.
In pochi secondi si rese conto che il killer era ferito: una evidente macchia rossa si stava allargando sul tessuto bianco della sua felpa in prossimità del bacino e della spalla. Anche entrambe le sue mani erano sporche di tracce ematiche dal colore acceso, ne aveva sporcato persino la parete quando vi si era appoggiato per accendere la luce.
Selin lo guardò per qualche secondo, immobilizzata dalla paura; a causa dei ciuffi che perdevano sul viso del ragazzo era impossibilitata a scorgere il suo volto, perciò non riusciva a capire quale fosse il suo stato d'animo. Ma era terrorizzata alla sola idea che lui potesse essere arrabbiato con loro, per qualsiasi motivazione.
Tentò di dire qualcosa ma non una sola sillaba salì dalla sua gola; restò così inerme ad osservarlo mentre si avvicinava a lei, zoppicando vistosamente. Soltanto adesso aveva notato che una terza grande chiazza rossa albergava sui suoi pantaloni, in prossimità del ginocchio sinistro.
Iniziò a tremare nel momento in cui il ragazzo si fermò davanti a lei, ed in quell'attimo crebbe che l'avrebbe uccisa una volta per tutte.
Era giunto il momento.
Era spacciata.
Ma lo vide invece chinarsi con un movimento estremamente lento, afferrare la catena ed aprire il lucchetto con una piccola chiave dorata che teneva nella tasca. Ecco dov'era. 
Pietrificata la ragazza non osò muovere neanche un muscolo ma si limitò ad osservarlo, mentre con enorme sollievo sentiva finalmente la catena scivolare via dai suoi polsi ormai gonfi e lacerati.
Era libera, dopo interminabili ore di continua agonia.
E non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo.
Brevemente voltò lo sguardo verso la piccola Felia per assicurarsi che lei stesse bene, la trovò seduta a terra con la schiena premuta contro al muro e la testa nascosta dietro alle ginocchia; quando tornò a rivolgere il suo sguardo al killer, lo vide mentre le voltava le spalle con indifferenza e si dirigeva zoppicando verso il suo letto. Forse intendeva raggiungerlo, per sedersi o sdraiarsi: sembrava reggersi in piedi con estrema fatica, e in effetti poco dopo crollò a terra ad un passo dalla meta generando un colpo sordo che fece vibrare il vecchio pavimento.
-...Hei!- esclamò istintivamente la ragazza, che per una ragione che non seppe spiegarsi ebbe l'immediato impulso di alzarsi in piedi ed avvicinarsi rapidamente a lui.
Con la faccia a terra il killer poggiò i palmi sul pavimento ed espirò una consistente quantità d'aria che fece sollevare della polvere; tentò di alzarsi ma si rese conto che, forse a causa della grave perdita di sangue che aveva subito, non aveva le forze necessarie. Proprio a causa di quella stessa debolezza fisica non fu in grado di arrabbiarsi o di reagire in alcun modo, nel momento in cui sentì le mani di Selin appoggiarsi sulle sue spalle.
-Hei, che cosa ti è successo?- mormorò la ragazza con evidente titubanza. Nonostante tutte le atrocità che lui le aveva riservato nel giro di quei giorni ebbe come primo impulso quello di aiutarlo, ma allo stesso tempo era riluttante a farlo; ancora una volta si voltò brevemente vero la piccola Felia e per un attimo pensò di prenderla per mano e fuggire via assieme a lei, ma non ne ebbe il coraggio.
Lei non era quel tipo di persona.
Non poteva semplicemente abbandonarlo e scappare via.
E inoltre Jeff in quel momento non sembrava fisicamente in grado di fare del male a nessuno, se anche avesse voluto. 
-Ti aiuto ad alzarti- bisbigliò, mentre con decisione lo afferrava per le spalle.
Anche se la cosa non gli piaceva per niente il killer la lasciò fare, con la poca forza che gli era rimasta tentò di collaborare; riuscì a rimettersi in piedi, giusto il tempo di lasciarsi cadere a peso morto sul materasso. A quel punto Selin lo afferrò con un certo timore per un braccio cercando di posizionarlo meglio, ed anche per verificare il suo effettivo stato di salute: a giudicare dagli strappi che presentavano i suoi vestiti e dalle abbondanti chiazze di sangue era sicura che lui avesse diverse ferite sparse lungo il corpo, anche se non poteva conoscerne la natura.
-Lasciami in pace, cazzo...- borbottò il moro, tentando invano di allontanarla.
Lei deglutí nervosamente ed assunse un'espressione indecisa. -Fammi controllare, ci vorrà un attimo- borbottò, e nel pronunciare quelle parole percepì una sensazione di profonda confusione: non aveva idea del perché avesse deciso di farlo, non aveva alcun senso considerate le circostanze.
Ma ignorando quella voce che continuava ossessivamente a suggerirle di andarsene subito, Selin afferrò con entrambe le mani uno dei grandi squarci che erano presenti sulla sua felpa e lo allargò più che potè, per esporre la pelle lacerata sottostante. Proseguì poi anche con le altre zone in cui era presente del sangue, ed in questo modo poté avere una visione chiara di tutte quante le ferite che il moro aveva riportato: un taglio piuttosto profondo sulla spalla, un altro paio lungo il fianco, in prossimità della vita, ed infine un ultimo squarcio molto evidente sotto alla coscia destra vicino al ginocchio. Vi erano poi alcuni lividi e diverse abrasioni sparse lungo il resto del corpo, o almeno nelle zone che le erano visibili in quel momento.
Nel pugno chiuso della sua mano sinistra era ancora stretta la metà di chiave che si era spezzata nella porta, anche se lei non vi badò.
A colpo d'occhio sembrava trattarsi di ferite causate da un'arma da taglio con lama seghettata, come un coltello da cucina o forse una piccola sega per il legno; poteva capirlo dal bordo irregolare che presentavano.
-Credo... Credo sia meglio medicarle- disse, con un filo di voce. Il sanguinamento era stato abbondante, anche adesso alcune lacerazioni stavano continuando a sanguinare imbrattando le lenzuola.
In quel momento lo sguardo di Jeff si sollevò sul suo volto: iniziò a guardarla in silenzio, posando silenziosamente i suoi occhi chiari su di lei, e questa volta non vi era nulla di crudele o maligno nella sua espressione.
Al contrario, sembrava esserle profondamente grato.
-Tu devi essere pazza- borbottò. L'espressione tesa sul suo volto suggeriva che stesse lottando silenziosamente contro al dolore che stava patendo.
Selin allargò un sorriso carico di amarezza, e timidamente annuì. -A questo punto lo credo anch'io- ripose. -Ma non mi va di lasciarti crepare-.
Quelle parole risuonarono nella mente di Jeff più e più volte, come fossero l'eco infinito di qualcosa che non era in grado di elaborare coscientemente. Non era proprio possibile che lei dicesse sul serio, eppure sembrava volerlo aiutare per davvero.
E lui, che era un folle ma non uno stupido, era assolutamente certo di non meritare affatto quel trattamento di favore.
Spostò lo sguardo sul soffitto sopra alla sua testa, iniziava a sentirsi stanco al punto da non riuscire a tenere aperti gli occhi; e così, a quel punto non fu più neanche in grado di parlare.
Sentì che Selin gli stava dicendo qualcos'altro ma non riuscí ad afferrarne le parole, perché velocemente stava perdendo conoscenza.
Gli abiti che indossava erano ormai zuppi del suo sangue, che a contatto con l'aria si stava seccando sul tessuto. La sua pressione sanguigna si era ormai abbassata in modo preoccupate, e l'ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu un insopportabile freddo penetrare fin dentro alle ossa.
-Hei, cerca di restare sveglio! Vado a cercare qualcosa per tamponare le ferite-.

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