ƈą℘ıɬơƖơ 15
Compiendo movimenti lenti e ben calcolati, Jeff afferrò la catena ed aprì il lucchetto che la bloccava contro alla parete, per poi lasciarla scivolare via dai polsi arrossati di Selin.
Impattando contro al pavimento gelido, l'oggetto metallico emise un suono molto acuto.
-Muoviti- ordinò il killer, posizionandosi dietro alla schiena della ragazza, così vicino che con il volto le sfiorava i capelli: voleva essere certo che non avrebbe tentato di fuggire ancora, approfittando della situazione.
Selin si sfregò la pelle ormai piena di abrasioni e compì i primi passi insicuri in direzione del bagno, spostando nuovamente lo sguardo sul fermacarte; mentre vi passava affianco valutò di afferrarlo, ma sentire il fiato del killer sul suo collo le suggerì che probabilmente non vi sarebbe affatto riuscita.
Non si fidava ancora abbastanza di lei.
Aveva bisogno di più tempo.
Giunta dinnanzi alla porta del bagno la varcò con indecisione osservando brevemente la sporcizia accumulata sul lavello e sul fondo della vasca, ove tra l'altro erano stati gettati alcuni vestiti sporchi di sangue; ne fu disgustata, tanto che fece attenzione a non toccare niente. Lanciando uno sguardo alla sua stessa immagine riflessa dallo specchio, al cui centro era presente una grossa venatura che deformava l'immagine, Selin si voltò poi indietro.
Lui era lì, fermo sul ciglio della porta e con le braccia avvolte sul petto in attesa di poter riaccompagnarla al suo posto.
-Non è che potresti...- mormorò timidamente la ragazza, giocherellando con le dita per sciogliere la tensione. -Darmi un po' di privacy?-.
Jeff la guardò inespressivo, non sembrava aver capito esattamente che cosa intendesse o forse non gli interessava affatto; e così, sperando di non mettere alla prova la sua pazienza, lei fu costretta a ripetersi.
-Insomma, posso... Chiudere la porta?-.
Le parve una richiesta lecita, anche perché non avrebbe in ogni caso potuto fuggire da quel piccolo bagno totalmente privo di finestre.
Il killer aggrottò la fronte e restò ancora in silenzio per alcuni secondi, poi afferrò la maniglia e fece ciò che lei aveva chiesto senza replicare: doveva aver pensato la stessa cosa. Non poteva scappare, senza una effettiva via d'uscita.
Trovandosi da sola nel bagno Selin si sbrigò a svuotare la vescica ma poi attese prima di tirare lo sciacquone: colse l'occasione per frugare nei pochi mobili presenti alla ricerca di un'arma o uno strumento da utilizzare come tale. Dovette fare molta attenzione a non far rumore, alcune ante cigolarono in modo molto lieve; ma alla fine riuscì a recuperare dal cassettone sotto allo specchio un cacciavite di piccole dimensioni.
Non era certo l'arma ideale ma era sicura che se fosse riuscita a colpire quel mostro nel posto giusto e con la giusta forza avrebbe potuto fargli davvero male, soprattutto perché l'oggetto presentava una punta molto sottile.
-Ci stai mettendo troppo- borbottò ad un certo punto la voce infastidita di Jeff dall'altro lato della porta.
Agitata la ragazza si affrettò a tirare lo sciacquone mentre nascondeva il cacciavite sul suo fianco a contatto della pelle, sotto l'elastico delle mutande; poi si precipitò fuori, nel momento esatto in cui anche lui stava spalancando la porta per entrare. La scrutò con attenzione come stesse cercando di capire se avesse combinato qualcosa, ma poi limitò a condurla nuovamente alla catena con la quale tornò a legarle i polsi.
Selin, come sempre, lo lasciò fare.
Non aveva idea di che ore fossero ma era certamente notte fonda; si sistemò la coperta addosso nel miglior modo che le fu possibile, e per diversi minuti restò ferma a guardare Jeff che, dopo essersi disteso comodamente sul suo letto, era tornato a fissare impassibile il soffitto ammuffito sopra alla sua testa.
Dormire le risultò un'ardua impresa e non solo a causa del fatto che non voleva abbassare la guardia: si trovava in una posizione estremamente scomoda, ed il dolore causato dai muscoli indolenziti stava diventando sempre più insopportabile. Nonostante ciò a tarda notte riuscì comunque a cadere nel sonno, esclusivamente grazie alla stanchezza.
Quando riaprì gli occhi, diverse ore più tardi, le luci dell'alba erano già penetrate nella stanza attraverso il vetro della finestra.
Jeff abbandonò la stanza poco dopo, ripetendo la routine che gli aveva già visto eseguire il giorno precedente: infilò nello zaino altri due o tre sacchetti di nylon contenenti parti del cadavere, lo richiuse con cura e lo caricò sulle spalle, per poi uscire senza degnarla di una singola parola.
Con l'avanzare della decomposizione di quelle parti l'aria all'interno della camera stava diventando irrespirabile, ed era probabile che l'odore stesse iniziando ad infastidire anche lui. Voleva liberarsene.
Selin attese con pazienza di vederlo uscire e rimase in ascolto dei suoi passi che si allontanavano lungo il corridoio fino a diventare non più percettibili; era ormai stremata, non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe sopportato quella situazione.
Con grande sforzo riuscì a sollevare la bottiglia d'acqua ed avvicinarla alla bocca, per poi sorseggiarla con molta parsimonia: non poteva sapere quando le sarebbe stata concessa un'altra razione, se mai sarebbe accaduto. E mentre beveva a piccoli sorsi, un suono familiare raggiunse le sue orecchie all'improvviso.
-Selin? Se sei li dentro mi rispondi, per favore?-.
Era ancora una volta la vocina della piccola Felia, tremante ed insicura, che proveniva dall'altro lato della porta chiusa.
Udirla fu un sollievo enorme, che fece immediatamente comparire sul volto della ragazza incatenata un grande sorriso; ed allora realizzò che Jeff, forse per la fretta, si era dimenticato di metterle il nastro adesivo sulla bocca.
-Sei qui dentro?- ripeté ancora la voce della bimba, che aveva anche iniziato a bussare con una mano.
-Si, sono qui!- gridò lei, sporgendosi in avanti fino a mettere in tira le catene. -Felia ti prego, ascoltami!-.
Sentì la bambina ridacchiare oltre la porta chiusa, per la felicità di averla ritrovata: era troppo ingenua per aver compreso appieno la situazione.
-Devi chiamare aiuto, hai capito? Vai a chiedere aiuto a qualcuno ti prego, sono chiusa qui dentro!- esclamò annaspando; la prospettiva di poter essere liberata aveva riacceso il lei la speranza, che aveva creduto ormai perduta.
La piccola Felia poggiò la fronte sulla superficie liscia della porta, cercando di udire meglio le sue parole nonostante i diversi metri che le dividevano. -Lo dico a papà!- esclamò con decisione.
-Dillo a chiunque! Per favore Felia fa presto, ho bisogno di aiuto!- ripeté ancora Selin, con gli occhi pieni di lacrime di gioia.
Ascoltando i passi della bambina allontanarsi velocemente lungo il corridoio, ebbe limpressone di essere tornata a respirare dopo ore di apnea: finalmente era riuscita ad avere un contatto con il mondo al di là di quelle maledette quattro mura. Era certa che Dan fosse in possesso di una copia delle chiavi, doveva averne una per ogni stanza.
Sarebbe stata liberata da lì a breve.
Agitata la ragazza iniziò a doldolarsi, e restò in vigile ascolto di ogni singolo rumore in attesa di sentire l'arrivo di qualcuno; ma i minuti passavano, ed un soffocante silenzio invadeva ogni metro quadro attorno a lei.
Iniziò a chiedersi se la bambina non avesse capito quello che doveva fare, se per caso avesse pensato si trattasse di uno scherzo.
L'attesa durò decine e decine di minuti, e fu straziante.
Proprio quando stava iniziando a pensare che l'avesse abbandonata al suo destino, Selin tornò finalmente ad udire i passi leggeri di Felia avvicinarsi frettolosamente alla sua porta.
-Sei ancora lì?-.
-Sì!- rispose, quasi gridando. -Hai chiamato qualcuno?-.
Dall'altro lato della porta la voce della bimba risuonava amareggiata. -Papà non mi crede, non vuole venire a vedere- rispose.
La ragazza emise un energico sospiro e tentò di mantenere la calma. -Ok, non importa. Devi scendere subito al piano di sotto e cercare Dan, okay?-.
Questa volta non udì alcuna risposta, ma era certa che la piccola fosse ancora li. -Felia, hai capito? Devi chiedere aiuto a Dan, il padrone di casa... Digli di venire subito qui!-.
A quel punto finalmente la piccola Felia capí che cosa avrebbe dovuto fare, e non si tirò indietro nonostante fosse certa che il suo papà si sarebbe arrabbiato molto; anche se non capiva con esattezza che cosa stesse accadendo, aveva realizzato che la sua nuova amica si trovava in grave pericolo.
-Va bene, corro subito a chiamarlo!- le rispose, poggiando il palmo di una mano sulla porta. -Torno subito, Selin!-.
Ma non appena la bambina ebbe pronunciato quella frase carica di convinzione ed entusiasmo, la sentì cacciare un gridolino e sbattere la schiena contro alla maniglia. Con una violenza inaudita la porta fu spalancata dall'esterno, e la piccola fu catapultata dentro con uno spintone che la fece sbattere a terra ad un paio di metri di distanza; la sua fronte impattò sul pavimento con tale forza che per poco non perse i sensi.
Jeff era tornato.
Ed era a dir poco adirato.
Inerme Selin osservò la scena senza avere la possibilità concreta di intervenire, e vide le sue speranze sgretolarsi tutte assieme come un castello di carte spinto giù da un soffio di vento. La piccola Felia sollevò lo sguardo e vide le condizioni in cui lei riversava, scoppiando quasi subito in un pianto incontrollato.
-Chiudi quella cazzo di bocca!- le ordinò il killer, afferrandola per le spalle e costringendola con la forza ad alzarsi in piedi: scambiarsi uno sguardo con quel viso infantile carico di terrore non lo scosse affatto. -Zitta, ho detto!-.
Il cuore di Selin batteva così forte nel suo petto da farle male. -È solo una bambina!- esclamò, iniziando a strattonare le catene. -Ti prego non farle male!-.
Jeff sbatté la piccola contro alla parete e le portò una mano al collo, senza stringere troppo. Si soffermò per diversi secondi ad osservare i suoi occhi grandi, pieni di lacrime che fuoriuscendo le rigavano le guance rotonde. Apprezzò molto il fatto che avesse smesso di fare rumore: nonostante la sua tenera età non sembrava stupida, e doveva aver capito che piangere ed urlare equivaleva a venir uccisa subito.
Tenendo la bambina premuta contro al muro a quel punto si voltò verso Selin, con il volto distorto dalla rabbia.
-Ti credi tanto furba, Selin?- le disse. -Pensavi di potermi fregare in questo modo?-.
La ragazza iniziò a balbettare, annaspando e singhiozzando. -Lasciala stare per favore, non ha nessuna colpa!-.
Ma in tutta risposta lui assestò uno spintone alla piccola, facendola nuovamente cadere sul pavimento.
-Certo che no, certo che non ha colpa!- ribatté, avvicinandosi minaccioso alla castana ed afferrandole il mento, per costringerla a guardarlo dritto negli occhi.
-Infatti è solo grazie a te, se adesso sono costretto a farla fuori-.
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