ƈą℘ıɬơƖơ 13

Lo scorrere dei minuti divenne per Selin uno snervante susseguirsi di pensieri e un continuo amplificarsi del dolore che tormentava il suo corpo, mentre l'ombra della sera iniziava a distendersi sulla facciata del vecchio hotel.
Legata a terra, tremava a causa del freddo che le penetrava le ossa attraverso il pavimento e non poteva far altro che tener chiusi gli occhi e tentare con ogni sua forza di dissociarsi dalla realtà attorno a lei, nel tentativo di rassicurarsi.
Tanti erano i pensieri che affollavano la sua mente, ma primo fra tutti uno in particolare la tormentava senza sosta: per quanto ci provasse, non riusciva proprio a capire per quale motivo quel folle non l'avesse ancora uccisa così come aveva fatto con chissà quante altre persone prima di lei.
Non riusciva a comprendere le sue intenzioni, e questo la snervava oltremodo.
Erano passate ore intere da quando era stata legata a quel maledetto tubo di ferro, ma non avrebbe saputo dire con precisione quanto tempo fosse effettivamente trascorso perché in quella stanza maleodorante non erano presenti orologi; l'unico indizio che suggeriva fosse passato diverso tempo era il progressivo sopraggiungere dell'oscurità della sera.
Il suo aguzzino, che aveva dichiarato di chiamarsi Jeff, non aveva più mosso un muscolo: se ne stava disteso sul suo letto sempre nella stessa posizione, così immobile che pareva non stesse neppure respirando.
Torturata da continue fitte di dolore che provenivano dalla sua schiena incurvata e dalle gambe indolenzite, Selin trovò la forza di riaprire gli occhi solo nel momento in cui, ad un certo punto, non si accorse che il moro si era svegliato. Lo vide sollevare la schiena e stropicciarsi gli occhi, per poi rivolgere in sua direzione uno sguardo privo di emozioni; si muoveva come un robot, del tutto disinteressato ad ogni cosa.
Per un attimo valutò di chiedergli se potesse liberarla anche solo per pochi minuti, per concederle di sgranchirsi il corpo; ma scelse di restare in silenzio.
E così, infreddolita e dolorante, la ragazza restò ferma a guardarlo mentre lui lentamente si alzava poggiando a terra i piedi ancora affondati nelle scarpe. Si alzò poi in piedi senza degnarla di attenzione e ciondolandosi raggiunse la vecchia scrivania, posizionata sotto alla finestra; aprí di fretta il cassetto sottostante e ne estrasse una piccola busta di plastica trasparente, la quale conteneva una sottilissima polvere bianca che rovesciò con cura sul pianale.
Poi, arrotolando un pezzetto di carta, inarcò la schiena ed iniziò a sniffarla energicamente.
Cocaina.
Nell'osservare quella squallida scena, Selin capì che le cose stavano andando di male in peggio.
-..Sto congelando- mormorò con un filo di voce, sfregandosi addosso i palmi aperti delle mani nonostante l'impedimento delle catene che limitavano sensibilmente i suoi movimenti. -Ti prego, dammi almeno una coperta..-.
Jeff posò sulla scrivania la cartina arrotolata e si voltò verso di lei, restando fermo a scrutarla per una manciata di secondi che le sembrò eterna, mentre ancora inspirava la piccola qualità di droga rimasta nel naso. Poi, allargando un piccolo sorriso maligno, le si avvicinò.
E non sembrava avere buone intenzioni.
-Oh, hai freddo- le disse con un tono fastidioso, chinandosi per sciogliere la catena che le bloccava i polsi. -Perché non l'hai detto subito?-.
Selin lo lasciò fare, seppur ogni singolo nervo del suo corpo fosse in quel momento teso a causa della paura; lui la separò dal tubo che la teneva bloccata contro alla parete ma non le liberò i polsi, che erano ancora costretti tra loro dalla catena in ferro. Poi, afferrandola malamente per i capelli, la costrinse ad alzarsi in piedi.
La ragazza obbedí e si sollevò con un gemito di dolore, continuava ad assecondarlo in ogni sua richiesta sperando di ottenere la sua compassione.
Non osò neanche tentare di sfuggirgli.
Senza dire una parola Jeff la spinse con violenza sul letto, e prevedendo la sua ribellione le avvolse subito una mano attorno alla gola applicando una pressione sufficiente a far gonfiare le vene del collo; con l'altra mano poi recuperò un coltello dalla tasca, che poggiò sul letto come deterrente.
Selin lo guardò negli occhi, e si accorse che a lui non piaceva affatto; sembrava non apprezzare i suoi continui tentativi di stabilire un contatto emotivo di qualsiasi genere.
-Ti prego...- mormorò, mentre tentava di respirare nonostante la pressione della sua mano sulla gola. -Questo no... Ti prego-.
Tentò di scalciare per allontanarlo da lei ma Jeff le bloccò le gambe, e nel contempo iniziò a strapparle i vestiti di dosso: era bravo a farlo, sapeva esattamente in quale modo afferrare il suo corpo per impedirle di sfuggirgli.
Gridando la ragazza tentò più volte di sottrarsi al suo controllo, non riusciva ad immaginare di poter sopportare un abuso sessuale, le veniva da vomitare.
Ma il killer, stringendo con più forza il suo collo e privandola quasi interamente dell'aria, riuscì poco dopo a farla smettere di agitarsi.
-Mi basterebbe ucciderti per rendere tutto più facile- ghignò, avvicinando il proprio volto sfigurato a quello di lei. -Preferisci che ti uccida?-.
La castana non disse niente, anche se pensò che la sua risposta sarebbe stata affermativa: avrebbe certamente preferito venir ammazzata subito, per non dover continuare a subire quelle violenze.
Ma nel giro di pochi secondi si ritrovò completamente nuda dalla vita in giù, e solo allora il suo aguzzino allentò la presa concedendole di riempirsi i polmoni d'aria; tentò di chiudere le gambe, si vergognava a morte e si sentiva sporca.
Lurida.
Sbagliata.
-Per favore non farmi questo...- mugolò in modo appena percettibile.
L'odore di Jeff le dava la nausea, detestò fin dal primo istante il contatto con la sua pelle; e così, non potendo fare nient'altro, chiuse gli occhi e pregò che tutto sarebbe finito prima possibile.
Il killer posò la fronte sul suo petto mentre si abbassava i pantaloni, senza mai smettere di tenerla ferma con la mano libera seppur lei avesse ormai smesso di agitarsi; respirava lentamente, stava eseguendo il tutto con una calma disumana.
Con il mento sfiorò entrambi i suoi seni, ancora intrappolati nella veste.
Quella ragazza gli piaceva, per questo desiderava conservarne il profumo prima di strapparle la vita del tutto. Ne avrebbe ottenuto un ricordo piacevole, da portare con sé nei giorni che seguivano.
Selin strinse le palpebre con tutta la forza che aveva ed iniziò a piangere in silenzio nell'attesa di venir violata da quel mostro senz'anima: ed allora lui si sarebbe preso davvero tutto.
Anche la sua dignità.
Trattenne il fiato, i secondi passavano, il suo tormento saliva ma ancora non era accaduto niente.
Sentiva il corpo di Jeff premuto sul suo che la schiacciava contro al materasso, percepiva in lui una certa agitazione. Non le fu chiaro esattamente che cosa stesse tentando di fare anche perché si rifiutava di aprire gli occhi, ma ancora non l'aveva violata.
Poco dopo, con sua immensa gratitudine, lo sentì mollare improvvisamente la presa sul suo corpo.
-Fanculo, cazzo!- esclamò rabbioso, mentre poggiando i palmi sul materasso si alzava, allontanandosi da lei.
Il tono della sua voce era carico di rabbia, delusione e forse anche un pizzico di vergogna.
Terrorizzata e confusa Selin schiuse le palpebre mentre si raggomitolava tra le lenzuola spiegazzate; solo allora trovò il coraggio di voltarsi in sua direzione. Lui si stava infilando nuovamente gli indumenti che poco prima aveva gettato a terra, con movimenti frettolosi e carichi di nervosismo.
Il suo membro non si era eretto.
Adesso capiva per quale motivo si fosse arreso.
-Maledetta stronza...- borbottò, stringendo in vita una cintura di finto cuoio.
Dopo essersi riverstito, senza più degnarla di un singolo sguardo tornò alla sua scrivania, solo per riporre la droga al sicuro dentro al cassetto e lanciare un'occhiata distratta al vetro della finestra.
Seduta sul letto Selin poteva adesso vedere solo le sue spalle, e scelse di restare in silenzio stritolando con le mani un lembo delle lenzuola; non era certa di cosa fosse appena accaduto, ma era grata di aver scampato quella disgustosa violenza. Forse lui non la riteneva abbastanza attraente, o forse soffriva di impotenza; ma questo adesso non aveva importanza.
Restò immobile finché non vide il suo aguzzino tornare da lei, e non si ribellò nel momento in cui la afferrò per una spalla e la condusse nuovamente contro alla parete, legando la catena che bloccava i suoi polsi al medesimo maledetto tubo di ferro arrugginito.
Non aveva idea di che cosa lui avrebbe deciso di fare adesso, ma le era chiaro che sarebbe stata tenuta prigioniera all'interno di quella stanza ancora per molto tempo. E la cosa che la faceva soffrire più di tutte era la consapevolezza che oltre quella dannata porta chiusa vi era il corridoio, attraversato ogni giorno da tutti i residenti di quel piano. Si trovava molto vicina alle altre persone, eppure le era impossibile comunicare con loro.
Era sola in mezzo a tanta gente.
Completamente sola.
E consapevole che Jeff l'avrebbe uccisa istantaneamente, se solo avesse provato a gridare aiuto.

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