8

Marc

-E dimmelo, caro fratellino, ti piacciano le ragazze che ti picchiano?- mi chiese Frederick, chiudendosi poi la porta del bagno alle spalle.
Lo guardai male. Da quando Jenna se ne era andata insieme alla sua famiglia, senza rivolgermi nemmeno uno sguardo, Fred non aveva fatto altro che prendermi in giro per lo schiaffo.
Avrei voluto dirle qualcosa, scusarmi  ancora.
Ma poi ero stato placcato da Sara, e Jenna era salita sulla limousine prima che potessi fare qualcosa.
-È carina. Non devi vergognarti se ti piace.- disse ancora Fred.
Non risposi.
Non mi piaceva Jenna. Aveva gli occhi troppo grandi, ed era decisamente troppo bassa per i miei gusti.
Ma aveva un bel sorriso, questo dovevo concederglielo.
Mi lavai il viso, cercando di attenuare il rossore sulla guancia.
Ci andava giù forte, la ragazza.
-Si può sapere cosa le hai detto per farla scattare in quel modo? Un attimo prima è un'adorabile gattina, quello dopo tira fuori gli artigli e diventa una tigre.
-Non sono affari tuoi, Fred. Sul serio.
-Oh, sì che lo sono. Anche se non riesco a ricordarmi per quale motivo mi facessi chiamare Fred, prima dell'incidente. È orribile.
E, adesso che ci penso, anche Frederick è orribile.
Sorrisi. A volte riuscivo a riconoscere mio fratello a stento, ma il senso dell'umorismo era sempre il suo.
Se solo ne avessi avuto un po' anche io...
-Che ti piaccia o no, è il tuo nome.
Devi tenertelo.
-Probabilmente lo cambierò.- disse, incrociando le braccia al petto.
-E come vorresti chiamarti?- domandai, massaggiandomi le tempie.
-Probabilmente Archibald.
Scossi la testa, ridendo.
-Togliti dalla porta, Archie. Vorrei andare a casa.

***

Il mio appartamento si trovava poco lontano da Manhattan.
Lo avevo comprato dopo aver venduto i miei prima quattro quadri ad un anziano signore italiano.
Pagava bene, e questo mi era bastato.
Me ne ero andato di casa appena tornato dal college.
Ero fuggito da tutto ciò che i miei genitori amavano, volevo qualcosa di solamente mio.
Ero stufo di vivere lì.
Mia madre mi aveva chiesto più volte di tornare a casa, ma non volevo.
I miei genitori si erano costruiti un impero finanziario investendo nell'estrazione mineraria in Sud Africa.
Ero stato laggiù, una volta.
Avevo più o meno quattordici anni, ed ero rimasto scioccato da tutto ciò cui erano sottoposti degli operai, sottopagati, per estrarre i diamanti.
Me ne ero andato perché odiavo tutto ciò che mi circondava, eccetto mio fratello.
Stavo molto meglio da solo, guadagnandomi ogni giorno di che vivere con quello che veramente mi piaceva fare: dipingere.
Quella sera riuscii a tornare a casa senza imbattermi in nessuno dei miei genitori. Una vera fortuna.
L'odore familiare della pittura mi avvolse, e mi sentii di nuovo bene.
Mi prudevano le mani. Dovevo dipingere, anche se non avevo la minima idea di quello che avrei rappresentato.
Mi cambiai, poi guardai l'ora.
1,23.
Non avevo sonno.
Raggiunsi il mio studio, mi sedetti alla scrivania e cominciai a disegnare.

***

Driiin driiin driiin.
Grugnii, poi aprii gli occhi.
Mi ero addormentato sulla scrivania. Un'altra volta.
Il telefonino stava squillando senza sosta. Guardai l'ora.
Dannazione, erano le 11,34! Come avevo fatto a dormire così tanto?!
Presi il cellulare, e sgranai gli occhi quando vidi chi mi stava chiamando. Jenna Martins.
-Ehi.- risposi subito.
Stavo sorridendo. Perché ero felice che mi avesse chiamato? Probabilmente perché voleva dire che mi aveva perdonato. Forse.
-Sono due ore che ti chiamo.
Volevo darti la possibilità di farti perdonare, ma forse non ci tieni poi così tanto.
-Certo che ci tengo. Ho sbagliato, ieri sera e...
-Sì, va bene. Ho capito.
Adesso basta con le parole, passa ai fatti. Ci vediamo tra dieci minuti davanti all'appartamento di Bonnie.
Ho bisogno del tuo aiuto.

***

L'appartamento di Bonnie era un monolocale in centro.
Non ci ero mai entrato, ma mi era capitato di dover accompagnare Fred, qualche volta.
Quando parcheggiai l'auto davanti allo stabile, notai Jenna seduta sui gradini d'ingresso.
Indossava dei jeans scuri ed una felpa rossa.
I capelli castani le ricadevano sulle spalle, e gli occhi scuri erano arrossati.
Sembrava avesse appena finito di piangere.
-Stai bene?- le domandai non appena mi fui avvicinato.
Annuì, poi si alzò in piedi.
Incredibile quanto fosse minuta.
-Sì. Sto alla grande.
-Non penso.- le risposi.
Inarcò le sopracciglia, e si dondolò sui piedi.
-Pensi di conoscermi così bene, ma non è così. Se dico che sto bene, sto bene. Punto.
-Hai appena finito di piangere. Non stai affatto bene.
Mi guardò negli occhi, ed io ressi il suo sguardo.
Ora che ero più vicino, riuscivo a distinguere un marrone più chiaro, quasi, dorato, vicino alla pupilla.
Non rispose, si limitò a farmi strada dentro l'appartamento di Bonnie.

***

Rimasi fermo sulla soglia.
La stanza si apriva su una cucina, con un isola che la divideva dal salotto.
Davanti ad un divano rosso fuoco trovava posto un piccolo televisore e, sopra, era appesa un'enorme bacheca.
Mi avvicinai, poi sorrisi quando individuai una foto di qualche anno prima.
Bonnie teneva stretta a sé Jenna, ed entrambe sorridevano radiose.
Sullo sfondo c'era un lago che non riconobbi.
Erano bellissime, e negli occhi di Jenna era vivo qualcosa che non avevo ancora mai visto in lei: la felicità.
Il resto della bacheca era pieno di foglietti vari, biglietti da visita ed altro.
Era come se la vita si fosse fermata.
Congelata.
Era, in un certo senso, terrificante.
-Non è molto grande, ma a Bonnie piaceva avere un posto tutto suo, indipente dai genitori. Lavorava come barista in una discoteca, e con le mance riusciva benissimo a coprire l'affitto. Era contenta, e con una vita davanti.- disse Jenna.
Mi voltai.
Teneva le mani nelle tasche sul retro dei pantaloni.
Si guardava intorno, spaesata in mezzo a tutta quella desolazione.
-Era per questo che piangevi, prima?- le chiesi, avvicinandomi a lei.
Scosse la testa.
-C'è un motivo per cui ti ho chiamato. Ed è nella porta a sinistra.- rispose.
Le sorrisi:- Pensavo volessi consolazione. Magari hai deciso che non sono più un farabutto o...
Riuscii a farla sorridere.
Aveva davvero un bel sorriso. E una fossetta sulla guancia destra.
Come avevo fatto a non notarla prima?
-Non abbiamo tempo da perdere. Vai a vedere cosa ho trovato stamattina nel suo studio.
Accantonai quella piccola vittoria ed aprii la porta che mi aveva indicato.
La prima cosa che mi colpì fu l'odore intenso della pittura.
E, quando vidi il resto, non riuscii a credere ai miei occhi.
Bonnie dipingeva. E lo faceva anche bene.
Aveva spostato tutti i mobili della stanza verso la parete di fondo.
Ma non ce l'avrebbe mai fatta da sola. Probabilmente Fred l'aveva aiutata, anche se adesso non se lo ricordava più.
I mobili avevano lasciato libera un'intera parete, che Bonnie aveva affrescato, disegnando lo stesso giardino e la stessa panchina che Jenna aveva riconosciuto nel disegno, realizzato dieci anni prima.
La panchina era in primo piano, l'unica cosa che Bonnie era riuscita a realizzare.
Lo sfondo era a matita, ma si intravedevano perfettamente le forme. Mancava solo il colore.
-Jenna, è...
-Bellissimo? O terribilmente inquietante? - rispose, avanzando verso di me.
-Questo esclude tutte le teorie che abbiamo fatto ieri.
Non c'entra nulla la morte di suo nonno. È qualcosa di più.
Altrimenti non lo avrebbe riportato anche sulla parete del suo studio.
Annuii, poi mi portai una mano sul mento, cercando di ragionare.
-Ti ricordi dove era messa la scrivania prima che fosse spostato tutto quanto?
-Sì, era più o meno qui.- Jenna si spostò verso il centro della stanza.
-Ho un'idea. Qualsiasi cosa rappresentasse il disegno per lei, doveva essere importante.
Ogni volta che si fosse seduta alla scrivania, Bonnie avrebbe visto l'affresco. Ciò significa che è qualcosa che voleva sempre tenere a mente.
-Non so cosa possa essere, però.
Pensavo mi dicesse ogni cosa, ma non avevo la minima idea che sapesse disegnare o dipingere.
Sono stata via molto tempo, e ci siamo sentite poco, ma escluderei il fatto che qualcosa fosse diventato importante per lei in quel periodo.
Il disegno nel suo diario risale a dieci anni fa.
È qualcosa di più profondo.
-Penso anche io.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.
-Cosa ci facevi qui, stamattina?- le chiesi allora.
-Susan e Frank mi hanno mandato un messaggio, stamattina. Volevano che li aiutassi a sgomberare l'appartamento.
Sono andati via un quarto d'ora prima che arrivassi te.
-Non hanno detto nulla quando hanno visto il dipinto?
Jenna scosse la testa:- Frank ha detto che era una cosa normale che Bonnie dipingesse. "Lo faceva sempre quando era piccola" testuali parole.
E io non ne sapevo nulla. Non ho voluto indagare oltre.
Mi sedetti a terra, e Jenna mi imitò. Mi piaceva la sua compagnia, il suo modo di ragionare.
Forse aveva ragione Fred. Mi piacevano le ragazze determinate.
-Hai detto che questa panchina esisite veramente?- le chiesi.
-Sì, è nel giardino della casa dei suoi genitori.
-E se fosse la chiave del mistero?

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