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Aprii gli occhi, con calma, poi mi misi a sedere.
Guardai la sveglia. Era quasi mezzogiorno.
Avevo decisamente dormito troppo.
Mi alzai di malavoglia dal letto, cercando di non strusciare inutilmente i piedi sul pavimento.
Preparai parecchio caffè e guardai fuori dalla finestra.
Il tempo sembrava fermo, in quell'istante.
Non si vedeva nessuno in strada, e anche i negozi sembravano vuoti.
Il cielo era grigio piombo e minacciava una tempesta in piena regola.
Sospirai, poi bevvi un po' di caffè.
Strinsi le mani attorno alla tazza, cercando di alleviare il brivido che mi era corso lungo la schiena.
Mi sentivo strana, quella mattina.
All'inizio pensai che fosse perché era la prima volta che mi risvegliavo a casa mia dopo sei mesi.
Ma non poteva essere solo questo.
Riuscivo ad avvertire con ogni fibra del mio corpo che qualcosa non andava.
Il cellulare squillò, ma quasi non lo sentii.
Non avevo voglia di sentire nessuno.
Era tutto troppo strano quella mattina.
Come se ogni cosa si fosse fermata in attesa della tempesta che si sarebbe abbattuta su New York quella mattina.
Il cellulare iniziò a suonare di nuovo, e questa volta mi costrinsi a guardare lo schermo.
Numero sconosciuto.
Sospirai.
Forse qualche call-center aveva deciso di strapparmi da quella mattina senza senso.
Risposi.
-Pronto?
-Jenna, sei te?- disse una voce che non riconobbi.
-Sì, sono io. Te sei...- dissi aggrottando le sopracciglia e sedendomi su una sedia al tavolo della cucina.
-Marc, il fratello di Frederick.
Aprii la bocca, sgomenta.
Come aveva fatto ad avere il mio numero?!
-So cosa stai pensando, e ti posso garantire che ti stai sbagliando.
-Ah sì?
-Ascoltami. Ieri sera è successo un disastro.
Frederick stava accompagnando Bonnie a casa, ma un camion è venuto loro addosso.
Sono in ospedale, e...
-Stanno bene?- dissi.
Sapevo che qualcosa non andava.
Me lo sentivo nelle ossa.
Il silenzio di Marc mi fece rabbrividire.
-Rispondimi. Stanno bene?
Sentii un nocciolo di pesca in gola.
No, non dovevo piangere.
Qualunque cosa fosse successa, non avrei pianto.
-MARC! Giuro che se non mi rispondi immediatamente, io...
-No, non stanno bene. Sono in coma.
Rimasi in silenzio, mentre una lacrima lentamente scendeva sul mio viso.
Me la asciugai.
Non dovevo piangere. Non dovevo piangere. Non dovevo piangere.
-Jenna? Jenna, sono in ospedale adesso. I genitori di Bonnie vogliono che te venga qui, pensano che la tua vicinanza potrà aiutarla.
Ma capiranno se non te la sentissi.
Respirai ed ingoiai il nocciolo di pesca in gola.
-No, certo che verrò.
Il tempo di prepararmi e sono là.
-Te la senti di guidare?- mi domandò.
-Non ho la macchina. Prenderò un autobus.
***
Il Lower Manhattan Hospital mi era sempre sembrato lontano da casa mia.
Ma quando i pensieri fanno una gran confusione, ti accorgi di quanto in realtà le cose brutte accadano sempre troppo presto.
Non vidi Marc quando entrai nel reparto di rianimazione.
Percorsi tutto il corridoio, cercando di non pensare a quanto in quel momento la vita fosse vicina alla morte.
Era una sensazione strana, ma non riuscii a classificarla.
Sentivo troppe cose per dare un nome ad ognuna di esse.
Vidi i genitori di Bonnie seduti sulle uniche due sedie davanti all'ennesima stanza.
Susan e Frank si alzarono, le lacrime ancora fresche evidenti negli occhi della donna.
Li abbraccai, senza dire niente.
Non c'erano e non ci sarebbero mai state parole in grado di alleviare un tale dolore.
Sentii una mano sulla schiena, e quando mi voltai, vidi Marc.
Aveva gli occhi leggermente gonfi, ma non riuscii a capire se per le lacrime o il poco sonno.
-Come stanno?- gli chiesi.
Non volevo chiedere ai genitori di Bonnie.
Se Susan fosse scoppiata a piangere, poi non sarei stata in grado di trattenere le lacrime.
-Il camion è piombato dalla parte del passeggero, ed è un miracolo che Bonnie sia ancora viva.
È in gravissime condizioni, ma almeno il suo cuore batte ancora.
Mio fratello non è messo molto meglio.
Ha un trauma cranico, ed i medici lo stanno tenendo in coma farmacologico.
Potrebbe aver riportato danni cerebrali.
Lo guardai negli occhi.
Sembravano quasi più dolci rispetto alla sera prima.
L'incidente al fratello doveva aver abbattuto quel muro di imperturbabilità che solo la sera prima sembrava così solido.
Distolsi lo sguardo.
Non dovevo mostrarmi debole.
Non ero debole.
Mi appoggai alla parete e lentamente scivolai giù.
Avevo un dolore assurdo alla testa, e mi lasciai andare ad un pianto silenzioso.
Marc si avvicinò a me e, con una dolcezza di cui non lo avrei mai ritenuto capace, disse:- Piangere significa che tutto è già andato a rotoli.
E non sarà così, va bene?
Andrà tutto bene.
Quanto avrei voluto che avesse ragione.
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