18

L'aria fredda mi colpì in pieno viso quando uscii dall'albergo.
Avevo lasciato la felpa ed il giubbotto in camera, ma non sarei salita a prenderli ora.
Rabbrividii, poi mi avviai lungo la strada. Non avevo voglia di pensare a ciò che era accaduto. Non avevo voglia di pensare proprio a nulla.
Senza accorgermene mi ritrovai davanti al locale dove avevo cantato la sera prima. Entrai immediatamente.
Era molto carino, ed interamente in legno. Alle pareti erano appese stampe di New Orleans degli anni 60 e 70.
Un ragazzo, forse qualche anno più grande di me, stava suonando una vecchia canzone con la chitarra.
Il locale era deserto, ma lui era così assorto nella musica che sembrava quasi non accorgersene. Avrei voluto fotografarlo. Gli occhi, forse castani, erano leggermente socchiusi, le labbra curvate in un sorriso appena accennato.
Distolsi lo sguardo e mi sedetti al bancone, poi tornai ad osservarlo.
Il suo viso non era nulla di speciale, ma aveva un qualcosa di intrigante. Forse era lo sguardo assorto, la più totale concentrazione, o il sorriso quasi impercettibile. 
Una signora tracagnotta arrivò al bancone: mi osservò continuando ad asciugare con uno strofinaccio un bicchiere.
-Thomas!- urlò all'improvviso- Smettila di strimpellare quella vecchia chitarra! Abbiamo una cliente!
Thomas. Doveva chiamarsi così quel ragazzo.
La musica si interruppe, e nel silenzio si sentì chiaramente un'imprecazione.
Sorrisi finché non mi ritrovai davanti Thomas.
-Cosa posso darti?- mi chiese.
-Una cioccolata calda.- risposi, cercando alcuni spicci che avevo nei pantaloni, per poi appoggiarli sul bancone.
Mi soffermai ancora su Thomas: ora che aveva smesso di suonare il suo viso aveva perso quel qualcosa di intrigante che avevo notato prima.
-Senza offesa.- disse, poggiando una tazza colma davanti a me- Ma hai una pessima cera.
Scoppiai a ridere:- Non mi offendo. Mi hanno detto decisamente di peggio.
Stavolta fu lui a ridere, per poi poggiare i gomiti sul bancone:-Hai un accento strano. Di dove sei?
-New York.- risposi, poi bevvi un sorso di cioccolata calda, beandomi del suo calore e scaldandomi le mani.
-E cosa ci fai qui a New Orleans?- domandò ancora.
-Se te lo dicessi non mi crederesti mai.
Sorrise:- Mi sono trasferito a New Orleans a sedici anni, dopo essere scappato di casa quattro volte perché non sopportavo il compagno di mia madre. Così il 21 Aprile del lontano 2004 sono salito su un treno e sono venuto qua, da una vecchia zia che vedevo solo a Natale e sapeva pochissimo di me.
A distanza di tredici anni posso dire che sia stata la scelta migliore mai fatta.
-Hai avuto un bel coraggio. Ti sei gettato da un ponte senza sapere cosa avresti trovato sotto. È da matti.
Sorrise, distolse lo sguardo dal mio ed osservò il palco:- A volte è necessario essere matti per tornare alla normalità.
Restammo in silenzio per qualche minuto, mentre fuori iniziava a piovere e la cioccolata calda diventava tiepida.
-La mia migliore amica è morta qualche mese fa in un incidente. - cominciai a parlare. E non mi fermai più, un fiume in piena che sta per straripare da un momento all'altro.
Gli raccontai di Bonnie, di Frederick e di quanto fossi arrabbiata con lui, di Marc e del nostro strano rapporto.
Thomas mi ascoltò in silenzio, lasciando che mi sfogassi con lui e facendo solamente leggeri cenni con il capo.
-E così sono fuggita.- conclusi, poggiando le mani sulle cosce ed incontrando ancora il suo sguardo.
-Anche tu non stai vivendo un periodo facile.- commentò Thomas- Ma non è altro che questo. Un periodo. Niente può andare storto per sempre.
Sospirai. Speravo vivamente che avesse ragione.
-Per quanto riguarda il tuo ragazzo...
-Non stiamo insieme.- precisai, provocandogli un sorriso.
-Prova a metterti nei suoi panni- continuò- Il fratello ha perso la sua ragazza ed ha un'amnesia, vuole rifarsi una vita e ha conosciuto una ragazza carina.
Lui vuole che suo fratello sia felice, e vuole che lo sia anche te perché prova qualcosa nei tuoi confronti.
Ma se sei felice tu, non lo è suo fratello, e se lo è suo fratello non lo sei te.
È davanti ad una scelta, se ha favorito suo fratello non puoi fargliene una colpa.
Rimasi in silenzio. Non avevo analizzato la situazione da quella prospettiva.
Sbuffai, poi misi una mano sulla fronte:- Hai ragione. Mi sto comportando da egoista.
-Non è vero, sei stata solo troppo precipitosa.
Sorrisi, e lui fece lo stesso:- Grazie Thomas.

***

Uscii dal locale, consapevole che un totale sconosciuto mi aveva aiutato a fare chiarezza. Era stato liberatorio parlare con lui. Ora mi sentivo meglio.
La pioggia continuava a cadere dal cielo e non aveva intenzione di smettere.
Cominciai a correre cercando di ripararmi sotto le tettoie, ma quando entrai nella hall dell'albergo ero comunque fradicia.
-Jenna!- mi sentii chiamare, prima che Marc mi venisse incontro.
Mi abbracciò, fregandosene dei miei vestiti fradici e dei capelli che gocciavano a terra.
-Mi dispiace- disse.
Ricambiai la stretta:- Non devi. Ho sbagliato ad arrabbiarmi in quel modo.
-Stai tremando.- mormorò fra i capelli, poi mi strinse ancora di più.- Dobbiamo tornare in camera, altrimenti ti prenderai un bel raffreddore.
Annuii, prima di sciogliere la stretta:- Dopo, però, ho bisogno di parlare con Frederick. E con te.
-Anche io devo parlarti. Di noi.

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