Ex ma non troppo
Il post-rottura è una merda. Non sopporto la pietà e la compassione. Non l’ho mai sopportata da ragazzino figurarsi ora. Sono un adulto, sono benissimo in grado di riprendermi da una rottura. Il fatto che sia gay non cambia il modo di superarla. Alzo lo sguardo dal mio drink e incrocio quello di Francesco che mi ha trascinato a questa festa nel locale queer della città a fianco. Lui inclina la testa mentre mi guarda, fa volteggiare un paio di volte ancora sua sorella coperta di strass che sembra una palla da discoteca e fa per venire da me. Scuoto la testa, intercettando Chiara che sta ballando come una pazza e mi metto a ballare con lei. Un messaggio. Un segnale. Questo voglio mandare al mio amico. Sto bene, va tutto bene, smettetela di farmi pressione. Le luci mi accecano, la musica assordante mi riempie le orecchie e il sudore mi scivola sotto la camicia aperta, tuffandosi nell'elastico dei boxer sotto i jeans. Sono al terzo, o al quarto, gin tonic e voglio solo una dannata sbronza. Ma assolutamente non perché sono triste. No, assolutamente no. Cerco di avvicinarmi al bancone del bar, Chiara che non vuole lasciarmi andare il braccio.
«Dai Chia', torno subito.»
Le dico e lei mi lascia mettendo su un finto broncio mentre mi guarda allontanarmi. Ho chiesto al barista uno shottino di qualcosa di forte, che facesse lui che io non credo di voler provare a pensare nemmeno a un nome di un superalcolico, e mentre tracanno il liquido scuro tutto d'un sorso il telefono mi trilla in tasca. Scavo nella tasca sul retro dei jeans, estraggo il telefono che avevo dimenticato di mettere in silenzioso pronto a staccare la chiamata quando vedo il nome del mittente; Paolo. Oh merda.
«Ne posso avere un altro?»
Chiedo al barista e appena me lo riempie me lo porto alla bocca, non so se per prendere tempo o per darmi coraggio nel rispondere. Fatto sta che tergiverso troppo e la chiamata si stacca, scurendo subito dopo lo schermo del mio telefono. Faccio un sospiro e mentre sto per rimetterlo in tasca e tornare dai miei amici nel marasma di persone sudate e ubriache lo schermo si illumina di nuovo con una notifica.
“Vieni da me?”
Un messaggio, semplice e conciso, mi fa rabbrividire completamente come una folata di vento in pieno inverno. Mi destabilizza il suo messaggio, mi destabilizza così tanto che devo aggrapparmi al bancone del bar per non cadere accasciato a terra. Tutto intorno a me sembra così freddo e cupo. Vedo Francesco sbracciarsi affinché torni da loro. Alessia e il suo ragazzo che ballano vicini in un modo così sensuale che mi fa venire il voltastomaco. Chiara che bacia Gloria con passione. Tutto questo pride comincia a starmi stretto adesso, ora che il motivo per cui dovevo, secondo Francesco, distrarmi torna a bussare alle porte della mia mente. Ordino un altro gin tonic, più per avere altro tempo per pensare che per una vera voglia di cocktail, e lo sorseggio piano, respingendo l'impulso di buttarlo tutto giù. Il gusto aspro del gin mi brucia la gola e per un attimo torno lucido. Impugno il telefono come un'arma e rispondo al messaggio di Paolo con un secco rifiuto colorito da qualche insulto. Col cazzo che mi faccio usare da lui ancora, la sua occasione se l’è giocata tempo fa. È il momento di andare avanti. Credo.
Torno dai miei amici col cuore in tumulto, anche se so di aver fatto la cosa giusta. Penso di aver fatto la cosa giusta. Sarebbe da stupidi e da illusi sperare che un suo messaggio non mi avrebbe fatto sussultare, ma ho fatto la cosa giusta. Forse se me lo ripeto altre quattro o cinque volte riuscirò a mettere a tacere il mio cuore. I miei sentimenti per quel cretino sono ancora lì, basta grattare un po' il muro che c'ho costruito attorno e riemergono prepotenti.
«Tutto okay Lu'?»
Mi domanda Alessia, ancora avvinghiata a Stefano, e mi rivolge uno sguardo preoccupato. Deve aver notato l'espressione turbata che sto cercando in tutti i modi di nascondere. È brava Alessia a capire gli altri, credo sia una dote di famiglia visto che anche Francesco è così. I due fratelli mi accerchiano e io avvicino la bocca alla cannuccia del gin tonic, tiro su un sorso e allargo le labbra in un sorriso.
«Dio ragazzi, siete così apprensivi. Mi sembrate i miei genitori.»
Scherzo, scuotendo la testa con leggerezza. Dovrei dire loro che lui mi ha scritto ma diventerebbero ancora più apprensivi e rovinerei la serata a tutti quanti; non posso proprio farlo. Quindi non parlo, resto zitto a bere il mio cocktail accennando qualche mossa di danza non troppo azzardata per non rovesciare il bicchiere. Passano diversi minuti e nonostante io mi stia sinceramente divertendo ballando coi miei amici non riesco a non pensare a quel dannato messaggio. Che cazzo vuole Paolo da me? Abbiamo rotto da mesi ormai e anche se giochiamo nella stessa squadra cerchiamo di non stare troppo vicini, cosa decisamente difficile per me visto che sono l’alzatore e il capitano della squadra. Mi ha scritto di venire da lui ma non riesco a capire perché, se volesse solo una scopata perché contattare proprio me? Dovrebbe esserci un minimo di rispetto di base anche se ci siamo lasciati. Non può prendere e mollarmi e poi dopo mesi cercarmi come se nulla fosse. Senza accorgermene sto digrignando i denti e Chiara sembra averlo notato. Con una mano mi toglie il bicchiere vuoto dalle dita appoggiandolo al tavolino vicino a noi e con l’altra mi prende un braccio trascinandomi verso l’uscita mentre grida agli altri che stiamo andando a fumarci una sigaretta. Accenno un sorriso, la mente che si rilassa per un attimo, e mi lascio trascinare fuori da quella che posso considerare tranquillamente la mia migliore amica. Ci appoggiamo alla barriera di sicurezza sull’altro lato del marciapiede e mentre guardiamo attraverso il vetro la gente ballare o semplicemente godersi un drink per la prima volta accetto la Winston blue che mi offre.
«Pensavo che gli atleti non fumassero.»
Mi sbeffeggia, io che accendo la sigaretta dopo di lei col suo accendino verde.
«Non dovrebbero nemmeno andare a ballare la sera ubriacandosi a merda eppure sono qui.»
«Giusta osservazione.»
Mi prendo un secondo per guardarla, e mi rendo conto che è la prima volta in questa giornata che mi prendo un momento per osservare chi mi sta attorno. Chiara ha i soliti capelli biondi tagliati a caschetto con la frangia dritta ma ha cambiato i suoi gioielli fatti di pietre e cristalli. Porta degli orecchini circolari con delle pietruzze bianche attaccate come pendente mentre come collana la pietra è verde scuro. I vestiti color pastello sono sempre gli stessi, i capelli son sempre gli stessi ma i piccoli particolari mi fanno sembrare la mia migliore amica un’altra persona, una persona nuova di cui mi sono perso la transizione. Tipo quando la sua relazione con Gloria si è evoluta fino a questo punto? E cos’altro mi sono perso in questi mesi di reclusione emotiva?
«Ehi Luca, va tutto bene?»
«Stavo solo pensando.»
Spegne la sigaretta e la butta dentro il cestino, un canestro perfetto. Si gira poi verso di me e incrocia le braccia al petto sotto il seno. È la sua posizione di ascolto, in tanti anni l’ho vista più volte ma anche in questo caso mi sembra che sia cambiato qualcosa ma di non riuscire ben a indentificare.
«A che cosa?»
«Mi sono troppo estraniato negli ultimi mesi e mi sono perso piccoli dettagli della vita di chiunque. La mia è stata messa in pausa ma voi continuate a vivere e io ora mi sento circondato da persone nuove che in un qualche modo non conosco.»
«Non stai parlando solo di noi vero?»
«Sinceramente? Non ne ho idea.»
Sospiro l’ultimo tiro di sigaretta e faccio due passi per buttarla via. Prendo il telefono di riflesso e vedo che Paolo mi ha inviato un altro messaggio, stavolta una fotografia. Faccio un sospiro e mi giro di nuovo verso Chiara, il telefono ancora nel palmo della mia mano.
«Dici che le persone posso cambiare?»
«Penso che noi abbiamo il diritto di sperarlo. Ma dobbiamo fare i conti anche con quello che ci fa stare bene. Non possiamo passare la vita a sperare e rincorrere gli altri. La mia domanda è una, tu vuoi che lui sia cambiato?»
La domanda mi si sbatte in faccia come uno schiaffo. Voglio che lui sia cambiato e mi voglia di nuovo? Certo che lo voglio, sarebbe da ipocriti dire di no. Ma io mi merito questo? Non ne ho idea.
«Lu’, credo che tu ti scervelli sempre troppo. So che è un’abilità che in campo ti serve ma forse può aiutarti pensare col cuore ogni tanto.»
Resto in silenzio e torno a guardare il telefono. Mi ha inviato una foto, non dovrei guardarla ma la curiosità è più forte della ragione. Pensare col cuore eh? Io voglio che lui sia cambiato ma il solo fatto di volerlo non vuol dire che sia così. Mi maledico mentalmente; non dovevo uscire di casa, lo sapevo. Faccio un sospiro profondo sotto lo sguardo curioso della mia migliore amica, digito sulla notifica con le dita tremanti e rimango a bocca aperta, completamente asciutto dalla saliva. È una sua foto ed è mezzo nudo disteso sul divano di casa sua, un paio di pantaloni della tuta grigi che gli fasciano le gambe toniche e non solo. Il petto è coperto solo dalle linee di inchiostro dei suoi tatuaggi che conosco a memoria nonostante stia cercando di dimenticare ogni dettaglio del suo aspetto. Il viso è rivolto fuori inquadratura, per mettere in mostra i suoi lineamenti duri e spigolosi; se l’intento era quello c’è riuscito in pieno. L'acciaio del piercing al sopracciglio scintilla e riflette la luce della stanza mentre le labbra sono rilassate in un piccolo sorriso. L’unico orecchio che riesco ad intravedere dai suoi capelli corvini è ingioiellato con diversi orecchini e il dilatatore nuovo. È davvero uno spettacolo stupendo.
«Luca ehi, tutto okay?»
Chiara mi agita una mano davanti alla faccia e io reagisco davvero a fatica.
«Devo andare da Paolo.»
Questa frase non so da dove esca fuori, sono sicuro che il mio cervello non l’abbia elaborata ma non posso e soprattutto non voglio rimangiarmela. Chiara mi guarda per un secondo esterrefatta ma subito dopo si ricompone e sorride. Mi fa cenno con la testa verso la sua auto, parcheggiata lì vicino, e sventola le chiavi davanti al mio viso.
«Allora andiamo, no?»
Faccio un sorriso, il forse primo sincero della serata e letteralmente corro verso la sua auto insieme a lei. Chiara mette della musica dal suo telefono mentre guida e sono felice di non doverle dare indicazioni perché sento di avere il bisogno di pensare un attimo, ora che “l’effetto foto” è un po’ sceso. Mi estraneo da tutto cercando di far tornare a funzionare il mio cervello e la prima cosa che mi viene in mente è se non sto incasinando ancora di più tutto; ma non per me o per lui ma per i nostri compagni di squadra. Tutti in squadra lo sapevano, anche se noi non abbiamo mai detto niente, e quando “abbiamo” rotto nessuno ha fatto domande e siamo andati avanti come se nulla fosse. Ma non è mai stato, come se nulla fosse. Ora ne sono decisamente più consapevole. Ci sarà sempre qualcosa che mi attirerà a Paolo, che io lo voglia oppure no. Quell'uomo ha un potere incredibile su di me e dopo anni ancora non riesco a capacitarmene. Appoggio il viso contro il palmo della mano e mi faccio sorreggere dal finestrino che vibra ad ogni curva o buca. Non so cosa aspettarmi di preciso e sto fremendo dall’impazienza. Quando vedo il profilo del condominio di Paolo scalcio dal sedile e Chiara deve calmarmi con uno schiaffetto sul braccio.
«Buona fortuna amico.»
Mi fa un occhiolino dopo avermi fatto scendere dall’auto e quando avanzo verso l’edificio trovo il portone lasciato socchiuso e mi ci infilo dentro con velocità. Arrivo davanti alla sua porta e suono il citofono che un po’ sto tremando, se devo essere sincero. Io mi sono fatto un pensiero su quello che voglio ma non posso sapere che cosa vuole lui, posso solo sperare che le due cose coincidano. Paolo viene ad aprirmi ed è uguale a come lo ricordavo, e lo so che ci vediamo ogni giorno ma questa è la casa dove abbiamo convissuto per mesi e mi sembra di non averlo più visto davvero da quando me ne sono andato da qui.
«Alla fine sei venuto.»
«Sono stupito quanto te.»
Mi squadra per un attimo e il suo viso si apre in un ghigno. Mi sento completamente esposto davanti ai suoi occhi ma non mi muovo di un millimetro, voglio che mi guardi e voglio che si ricordi che cosa eravamo. Io di certo non l'ho dimenticato. Faccio un sorriso nella sua direzione e lui si lecca velocemente le labbra, prendendomi poi il lembo della mia camicia ancora aperta strattonandomi dentro casa.
«Vuoi farmi impazzire?»
«Oh caro, non ho ancora cominciato.»
Ribatto a denti stretti e dio, quanto mi mancava flirtare con lui. Non ho mai osato ammettere quanto questo ragazzo mi fosse mancato ma ora che sono davanti a lui, completamente soli in casa sua, non posso che sciogliermi e far cedere un po’ la corazza. Si avvicina per baciarmi ma io mi scosto un attimo, mettendogli la mano davanti alla bocca.
«Prima dobbiamo parlare. Devi dirmi che cosa vuoi davvero.»
«Voglio te.»
Sbuffo una risatina, che risposta cliché.
«Non mi basta, devi dirmi la verità.»
«È la verità Luca.»
Non riesco a decifrare la sua espressione mentre lui si passa la mano tra i capelli scuri, sembra tormentato da qualcosa ma non sono sicuro. Non so più che cosa pensare.
«Voglio te ma non solo per il sesso. Voglio te di nuovo in casa mia, voglio che sia di nuovo casa nostra, voglio tornare a ridere e scherzare, toccarci in modo casuale in spogliatoio e in campo. Voglio svegliarmi di nuovo con te al mio fianco, baciarti fino a perdere il respiro e guardarti mentre tu non mi vedi. Voglio tornare a dirti che ti amo e voglio sentirmelo dire da te. Sono stato un cretino a lasciarti e so che non mi merito una seconda possibilità; ma se c'è quella piccola speranza che tu possa perdonarmi non posso che provarci. Sono innamorato di te, come la Luna è innamorata del Sole. Ricordi?»
Wow, nemmeno nelle mie più rosee aspettative avrebbe detto un qualcosa di così bello. Il ricordo dei nostri soprannomi, lui la Luna e io il Sole, mi scalda completamente il cuore e butta giù ogni mattone del muro che avevo costruito attorno al mio cuore. Non ci sono parole che possano rispondere a quello che mi ha appena detto e mi permetto di muovere un paio di passi verso di lui, unendo le nostre labbra in un bacio. La situazione si scalda velocemente e io mi tolgo la camicia di dosso lanciandola da qualche parte della casa verso il divano e mi lascio cadere sulle ginocchia, aprendo appena le gambe per stare seduto comodo. Mi avvicino ai suoi pantaloni con la faccia e struscio il viso sopra l’erezione ben visibile anche se col tessuto ancora in mezzo. Le mutande vengono tirate giù con lentezza, si accartocciano sulle sue ginocchia insieme ai pantaloni e credo di fissare la sua erezione per un attimo di troppo. Paolo perde il controllo. Perde totalmente il controllo e ogni briciolo di apparente calma si sgretola davanti al mio sguardo. Ha gli occhi socchiusi ma riesco a vedere tranquillamente le pupille che inghiottiscono l’iride, scintillando in un modo deliziosamente sensuale, le labbra sono socchiuse e imperlate della sua saliva. Che visione magnifica. Sbatte la mia testa contro il legno della porta che non mi ero reso conto che aveva chiuso, la tira indietro senza paura di farmi male e con l’altra mano mi obbliga a sganciare la mascella inferiore, facendomi aprire la bocca.
«Tieni la bocca bene aperta. Non ho intenzione di andarci leggero.»
E quando mi vede annuire, senza muovermi di un millimetro da come mi ha lasciato, si permette di affondare i fianchi dentro la mia gola. La sensazione è celestiale, dio quanto mi era mancato tutto questo. Entra ed esce velocemente, gustandosi la mia espressione pienamente soddisfatta dal farmi usare, dal prendere il suo cazzo in gola in modo così passivo. Ripiego la testa indietro per poterlo accogliere il più possibile e quando sento il glande toccarmi la parete della gola mi sento tremare tutto. Per un folle attimo, annebbiato dal piacere, credo fermamente che io, il suo cazzo e la mia gola siamo stati disegnati apposta per stare in questo modo per l’eternità. Mi discosto velocemente da quel pensiero osceno quando faccio uscire il suo cazzo dalla bocca abbastanza per riprenderlo velocemente e passarci la lingua sopra. Da lì è tutto confuso tra lui che mi tira i capelli e io che sollecito con la lingua e le labbra tutti i suoi punti sensibili. Viene con un gemito roco ripetendo il mio nome a voce alta e io ingoio, percependo il suo sguardo sulla mia glottide che scende e risale con velocità.
«Forza ragazzone, non abbiamo ancora finito. Cos’è? Ormai sei troppo vecchio per soddisfare anche me?»
Paolo cede alla provocazione facilmente. Scalcia via i pantaloni dalle caviglie e mi carica addosso, dirigendosi verso la camera da letto. Mi spiaccico contro il suo petto nudo, parte del suo corpo che ho sempre adorato, e comincio ad accarezzare ogni singola linea del tatuaggio che si spande sul pettorale destro.
«Smetterai mai di toccarmi i pettorali?»
«Tu smetterai mai di toccarmi i capelli?»
Alludo al fatto che mentre una mano mi tiene per la vita e le ginocchia per tenermi sollevato l’altra mi sta accarezzando dolcemente i capelli, credo a mo’ di scusa per avermeli tirati prima. È un gesto che faceva molto spesso, ben prima di questa sera, quando stavamo insieme. Trovo rilassante sentire le dita tra le morbide ciocche castane e credo che dovrò solo ricordarmi che ci sono parti del mio corpo che Paolo trova particolarmente belle.
«Sei sicuro di volerlo fare con me?»
Per un secondo penso che sia preoccupato poi lo guardo in faccia e mi rendo conto che sta solo chiedendo il mio consenso verbale. Arrossisco per un attimo, non so come mai ma questa cosa è sempre stata estremamente sexy.
«Muoviti a scoparmi cretino e non montarti troppo la testa, renderò i tuoi futuri allenamenti un inferno se domani riesco ancora a camminare.»
Borbotto a denti stretti, cercando di non far vedere quanto sto arrossendo schiantando la faccia in mezzo ai suoi pettorali.
«Non ci saranno problemi, fidati di me.»
Sbruffone maledetto, penso, mentre ridacchio e mi lascia scendere fino al letto. Mi arpiona i jeans per sfilarmeli, finalmente, di dosso. Mi siedo sul materasso dopo essermi allungato alla ricerca di un preservativo, trovandolo nel solito cassetto del comodino, e glielo lancio tra le mani. Le mie mutande volano via e la mia lingua finisce dentro la sua bocca o è la sua lingua che finisce dentro la mia. Mi stacco dal bacio e lui prova a rincorrermi bisognoso col volto. Lo fermo poggiandogli due dita alla bocca e lui le prende tra le labbra e le passa eroticamente con la lingua lasciandomi a bocca aperta. Quest’uomo sarà la mia rovina. Paolo fa uscire le mie dita dalla sua bocca e mi guarda impaziente, come se sapessi che cosa devo fare. O forse sto solo facendo finta di non saperlo perché mi vergogno.
«Devi farlo da solo Luca, dai fammi vedere.»
Deglutisco un attimo, merda lo sto davvero per fare? Il fatto che le mie dita si stanno muovendo da sole verso la mia entrata mi fa dire che sì, lo sto per fare davvero. Stuzzico un po’ il mio punto debole e impreco a denti stretti, è da un po’ che qualcuno non tocca quel punto ed è più delicato del solito visto che lo sto facendo io davanti a Paolo. Reagisco bene all’intrusione ma quando dopo qualche stimolazione provo ad aggiungere il secondo dito incontro un po’ di resistenza. Singhiozzo forte, cercando di rilassare la carne contratta e lui mi accarezza dolcemente un fianco.
«Shh, va tutto bene. Luca sei bravissimo. Stai facendo un ottimo lavoro, tranquillo e rilassati.»
Mi tranquillizza, muovendo la mano su e giù sul fianco liscio, e gemo alle sue parole. Il secondo dito entra e mentre sforbicio un po’ mi rendo conto di una cosa, la vergogna si sta smontando sempre di più lasciando spazio all’eccitazione. Il modo in cui mi guarda, il modo in cui ha cominciato a stringere il fianco con impazienza, mi fa eccitare e non credo di essere mai stato più impaziente per una scopata. Le dita si muovono ancora un po’ e poi le tiro fuori con calma, respirando a pieni polmoni. Lui mi sale sopra e ammiro come il suo corpo riesca facilmente a sovrastare il mio. Non è la prima volta che facciamo sesso ma mi sembra che lo sia; non è passato così tanto tempo dalla nostra ultima volta ma diavolo se mi era mancato tutto questo. Mi lascia un bacio sulla clavicola, seguito subito dopo da un morso giocoso.
«Squalo.»
Lo apostrofo e lui scoppia in una risatina mentre continua a mordermi sentendomi tremare sotto i suoi denti. Ridiamo per qualche secondo, incastrati in un abbraccio distesi sul letto. Quando torniamo seri gli occhi di Paolo si scuriscono tutto su un colpo e io deglutisco con forza.
«Sei pronto?»
«Scopami.»
Rispondo facendogli l’occhiolino e lui acconsente mettendosi il preservativo e entrando dentro di me tutto in un colpo. Mi lascia senza fiato per qualche secondo e lui resta fermo, facendomi abituare un attimo alla sua presenza di nuovo dentro di me.
«Posso muovermi?»
Mormoro una risposta affermativa ma è più uno sbiascico che altro. Paolo comincia a muoversi piano, non staccando gli occhi di dosso dal mio viso e posandomi qualche bacio fugace sulle guance. L’ho già detto che non sono più abituato all’intrusione? Beh, le mie dita non erano niente in confronto al suo cazzo. Ma non glielo dirò mai, quel ragazzo è fin troppo arrogante a letto, figurarsi se mi ci metto pure io ad alimentargli l’ego. All’inizio, alle prime spinte, era strano e faceva quasi male ma riesco ad adattarmi in fretta. Non posso negare che volessi rifarlo ancora e ancora dopo che ci siamo lasciati, il sesso nella nostra relazione era una componente molto presente ma non è l’atto in sé ad essermi mancato così tanto. Mi era mancato avercelo addosso, essere una cosa unica in un certo senso, e vedere quanto potessimo diventare devoti l’uno all’altro. Puoi trovare diversi partner con cui fare un buon sesso, alcuni anche dell’ottimo sesso, ma c’è solo una persona che fa diventare il ragazzo testardo che sono in un qualcuno di ubbidiente; e quella persona è proprio Paolo. Più le spinte vanno avanti più, ironicamente, divento bisognoso e chiedo di avere di più, che sia più forte dentro di me, che lasci un segno indelebile della sua presenza. Non se lo fa ripetere due volte. Spinge, graffia, morde, bacia, accarezza; è ancora più feroce di quanto mi ricordassi. Forse avrò qualche livido domani, dei succhiotti di sicuro e per un fugace momento vorrei che domani avessimo allenamento per svettare quei segni come medaglie ma la stagione è finita e domani saremo solo io e lui nella privacy del suo appartamento; e forse va bene così, che un po’ timido lo sono diventato stando con lui. La mia voce si deflette in gemiti sempre più rumorosi, l’orgasmo si annida attorno alla pancia come se mi arrotolasse tutte le viscere in un nodo stretto e quando Paolo mi sussurra all’orecchio qualcosa di sconcio che non riesco a decifrare tutto si scioglie e io vengo, schizzandomi la pancia bianca di sperma. Mi affloscio su me stesso, vedo bianco per qualche istante ma ritorno in me quando Paolo mi afferra saldamente per i fianchi e mi trascina a cavalcioni sopra il suo corpo.
«Mi spiace tesoro ma non ho ancora finito con te.»
Sussurra con voce roca, gemiti gutturali che gli escono dal fondo della gola si fondono alle sue parole mentre mi manovra senza molta premura. Un sospiro mi esce dalle labbra e quando rientra in me, dopo avermi posizionato per bene, i miei occhi si sgranano e comincio ad arrancare. In questa posizione il suo cazzo tocca punti che prima non riusciva a raggiungere e anche se mi ritrovo quasi senza forze con le gambe che tremano cerco di muovermi ad un ritmo più sostenuto per soddisfarmi a pieno. Tutto questo è una tortura. Paolo non va abbastanza veloce e io non mi reggo più sulle gambe per aumentare il ritmo, inoltre il mio cazzo chiede di fermarsi che la morsa tra i nostri corpi sta creando anche fitte di fastidio al glande per lo strusciamento. Cerco di pronunciare il suo nome ma una spinta particolarmente decisa mi spezza il fiato in gola e fa uscire un po’ di saliva che cola dalle labbra. Le mie pupille provano a spostarsi sul suo viso ma la vista è appannata dalle lacrime che escono veloci e scivolano lungo le guance. Le sue spinte si fanno più irregolari e io mi stringo alle sue spalle mentre lui viene dentro di me piantando i denti sulla mia spalla per non fare troppo rumore.
«Era da tanto che non mi sentivo così vivo.»
Mormora Paolo, uscendo piano, e non posso che annuire, sono estremamente d’accordo. Ci sdraiamo l’uno contro l’altro, a darci una lavata ci penseremo dopo, ora voglio solo godermi il calore del suo corpo addosso al mio.
«Sei sempre stato uno squalo.»
Lo prendo in giro mentre mi allungo a prendere il telefono caduto ai piedi del letto insieme ai miei vestiti. Guardo l'ora, non è troppo tardi, possiamo rimanere in piedi a parlare con calma per un po'. Sorrido e guardo le notifiche. Chiara mi ha mandato un messaggio. L’orario di invio è di qualche ora prima ma mi perdonerà per la risposta tardiva.
«Chiara mi ha scritto se ne valeva la pena.»
Ironizzo, sventolandogli il telefono davanti alla faccia.
«Non so per te, ma per me decisamente sì.»
Sorrido, lo guardo per un attimo mentre si stiracchia la schiena e poi digito velocemente la risposta. Ne è valsa decisamente la pena e per quanti problemi potremmo mai avere io e lui sono convinto che ne varrà sempre la pena.
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