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Non capisco Giovanni. Il suo cambiamento di umore. Il suo cipiglio.

Poche ore fa mi teneva tra le braccia come il più tenero dei fidanzati e ora che sono sua moglie non mi degna di uno sguardo. Ha pronunciato i voti come se leggesse un atto notarile e mi ha stretto la mano invece di baciarmi.

Anelavo al tocco delle sue labbra sulle mie. La mia fronte ricorda ancora il pizzicore della barba corta. La mia bocca era curiosa e affamata del suo respiro.

Mai ho conosciuto il bacio di un amante, ora desidero il suo... Come vorrei che i suoi occhi si posassero su di me con quel calore che si è affacciato nel suo sguardo quando eravamo nello studiolo!

Eros potrebbe aver scoccato una sola freccia destinata meramente a me? Avrei ancora una speranza in questo caso, ma cosa accadrebbe se il dio dell'amore avesse già scelto Giovanni come bersaglio in passato? Se il suo cuore fosse legato a un'altra donna, che speranza potrei nutrire?

Una moglie indesiderata: è questo il mio destino?

Vestire i panni della sposa legittima ed essere in realtà l'ombra di una donna benedetta dal suo affetto? Raccogliere le briciole d'oro che la sua mano mi elargirà, sottostare ai gelidi doveri fino a quando crescerà in me il suo erede?

Ancora non sono sbocciata all'amore che la vita sembra condannarmi.

Maledetto il mio cuore traditore che si agita nel petto non appena scorgo il mio sposo entrare nel cortile a dorso del suo stallone, maledetto sia il contratto che mi porterà lontano dalla mia Ravenna. Anche se spero di tornare in visita al castello al più presto, so che queste mura non saranno più custodi della mia giovinezza. Πάντα ῥεῖ.

L'aria si riempie del profumo del vino cotto e del miele dei miei biscotti prediletti. Chiudo gli occhi per imprimere nella memoria questo odore, un ricordo che si affiancherà a quello della balia intenta a lavorarne l'impasto alla stregua di un artista che scolpisce l'argilla.

I dolci al vino cotto e miele avevano un sapore diverso quando era lei a farli, ma credo che il suo segreto sia scomparso con la sua morte. Forse, ora, la cuoca li ha fatti per me, un dono perché rammenti la sua cucina anche quando sarò lontana.

È arrivato il momento che saluti la mia Ravenna, i mosaici blu e oro dei luoghi sacri, la mia vita virginale, i servi che non mi hanno mai amata e che, infatti, si sono dileguati non appena hanno ottemperato il dovere di porgere gli omaggi alla nuova signora Malatesta.

Allungo gli occhi in direzione del mio sposo, lui continua a non degnarmi di uno sguardo e a conferire con la scorta.

In cortile sono rimasti i miei genitori. Non so nemmeno io cosa avrei voluto che dicessero, ma avrei preferito che avessero evitato tutte le raccomandazioni che hanno sciorinato al pari delle litanie dei santi, indicazioni che mi hanno ripetuto spesso anche nei giorni scorsi.

Hanno gli occhi asciutti. Le mani in grembo. I pensieri già rivolti altrove.

Si allontanano dal sole battente, rintanandosi nelle loro stanze, fuori dalla mia vista.

Chissà quando li rivedrò? Chissà se li rivedrò?

Cerco Elione con lo sguardo, le hanno concesso un asino dopo mia insistenza, è impacciata e l'animale s'è intestardito sul voler girare in tondo. I fratelli la prendono in giro, cercano di fermare la trottola afferrando la coda, gesto che scatena un ragliare insistente che fa scoppiare a ridere i più piccini.

Non ho ordinato a Elione di seguirmi, le ho chiesto dove volesse vivere: lei ha scelto me e una nuova vita, in mezzo a persone che non conosce.

Suo padre si fa largo, pone subito fine ai lazzi e alla follia dell'asino. Lo blandisce con una carota, lo accarezza in mezzo alla fronte e gli sussurra qualcosa nell'orecchio grande e grigio. Prima di alzare lo sguardo sulla figlia, si passa una manica sul viso per non mostrarle la propria emozione, poi la benedice mentre lei si china per farsi baciare sulla fronte.

D'istinto cerco le finestre delle camere di mio padre e mia madre nella speranza di scorgere le loro ombre e illudermi che, forse, un saluto più affettuoso sarebbe stato loro penoso e, dunque, siano rimasti a spiare la mia partenza nascosti.

Nessuno guarda verso di me, né i miei genitori, né Giovanni. Dalla cucina hanno preparato dei cesti per il viaggio. Mi avvicino al carretto per cercare un biscotto al vino cotto e al miele, forse mi addolcirà questo momento.

Non ne hanno messo nemmeno uno. Chiudo di nuovo gli occhi per capire se mi sia sbagliata, ma il loro profumo è indubbiamente nell'aria.

Lo stalliere mi porta Ištar, la mia cavalla araba color crema dalla criniera e dagli stinchi fulvi. Nitrisce, sente la mia tensione. Prima di montare, mi rivolgo sottovoce a lui chiedendogli di portarmi un involto di dolcetti.

Giovanni smonta dal suo stallone, mi si avvicina per prendermi le redini dalle mani e accarezza il muso liscio. Con un'occhiata gli intimo di lasciarmi montare senza il suo aiuto, ma le sue mani mi afferrano ai fianchi per mettermi in sella. Mi tratta come se fossi incapace di cavalcare, ma sono un'abile cavallerizza e se ne renderà conto. Voglio mostrargli la mia prodezza, la mia resistenza alla fatica.

Dimentico di me, monta di nuovo sul suo stallone e dà l'ordine di partire.

Cerco con gli occhi lo stalliere pregando che faccia in fretta, ma lo vedo dirigersi in direzione opposta alle cucine e capisco che l'antipatia nei miei confronti ha avuto la meglio sulla mia richiesta. Anche se la giornata è più calda di quanto avesse detto il consigliere, dal corteo non si leva si alcun lamento. Il padre di Elione mi fa un inchino, i fratellini salutano con la mano. Nessuna ombra si cela dietro le finestre del castello.

La mia partenza è avvolta nel silenzio, nessuno ha nulla da dire.

La brezza porta per l'ultima volta il profumo di vino cotto e miele. L'aroma si affievolisce sempre di più fino a rimanere solo un ricordo, proprio come la mia giovinezza.

Il patto è stato suggellato e il conto spetta unicamente a me.

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