Capitolo 1

Appena la metropolitana si mise in moto, le tenebre della galleria risuccchiarono il veicolo, spietate come belve. Cullata dal metallico suono delle ferrovie, Julie appoggiò la testa al gelido vetro del finestrino e assaporò i pochi minuti che le restavano prima di andare al bordello gestito da sua madre. Una signora dal viso eccessivamente truccato e con la certezza che sarebbe rimasta per l'eternità su dei tacchi a spillo. A volte la ragazzina si ricordava dei momenti in cui la madre si fosse sforzata di manifestare l'affetto che provava nei suoi confronti, ma quei ricordi erano rinchiusi in quella parte della mente, nuda e trista, quella parte che nessuno osava sfiorare con i pensieri. Non che quella donna fosse una persona orribile ma ogni volta che aveva una di quelle crisi di pianto patologico, sua madre si lamentava e chiedeva all'amante di percuoterla affinché smettesse di "frignare". E così quel mongolo dalle dita giallastre per il fumo, la picchiava con i suoi grandi pugni. E quei pugni la facevano sanguinare parecchio. Si ricordò di aver ricevuto un pugno così forte da dover andare al pronto soccorso e dopo il congedo aveva visto nello specchio un viso deforme, un viso che neanche quello del Fantasma dell'Opera poteva battere per quanto fosse raccapricciante. Ripensò alle lacrime che aveva versato, al pensiero di nascondersi dal mondo per la sua bruttezza fisica. Ma ormai quegli avvenimenti non avevano più importanza. Ne avevano più senso. Julie aveva dodici anni ma sapeva che cosa fosse la tristezza e il dolore dell'anima. Era un dolore lancinante, squarciava lo spirito e lo riduceva a fare un grido senza suono. Quel dolore lo aveva provato. Vedendo suo padre disteso a terra, circondato da una pozza di sangue scura e rossa, pallido, con gli occhi chiusi. Si era suicidato, almeno questo credeva. Non lo aveva visto buttarsi dalla finestra. Quel giorno era a lezione di danza classica per un provino. Non era stata egoista quando non era andata al funerale, aveva uno spettacolo da fare e se mancava Madame si sarebbe arrabbiata. Nessuno voleva farla arrabbiare. Neanche lei.

Dopo venti minuti la metropolitana raggiunse la stazione e velocemente, la ragazza scese, circondata dall'oceano di umani che si era formato. Dopo essere uscita da quella stazione sotterranea, Julie attraversò il marciapiede a passo svelto senza curarsi degli uomini con il volto coperto da una maschera da clown che in quel momento stavano passando. La giovane appena li vide non si scompose. Dopotutto era stato Arthur a creare tutto questo. Già Arthur Fleck. L'uomo che sognava di essere un comico. Lo desiderava fin da bambino ma visto che tutti lo trattavano male aveva deciso di portare il caos a Gotham in tutti i modi possibili. Julie, durante il tragitto verso il bordello pensò di fermarsi davanti alla casa dell'uomo pensando che una sua visita lo avrebbe fatto felice. Voleva sentirlo ridere. Le piaceva la risata acuta e penetrante che quell'uomo produceva dalla sua gola e poi era la stessa cosa del suo pianto ripetuto in continuazione, monotono e straziante, un pianto che tutti odiavano udire. Ma sentendo un senso del dovere che la stava possedendo proseguì verso la sua squallida destinazione

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