10^ Amnesia: Dietro un monitor che dimentica

Un anno dopo...

Si svegliò presto, quel giorno alla radura.
Non poté fare a meno di fare una smorfia, di dolore, di frustazione, non appena si ricordò cosa avrebbe dovuto fare quel giorno.

Si alzò pigramente dalla brandina nella stanza poco illuminata e, senza tanti giri di parole inutili, scese già in cucina a rubare qua e là qualcosina.
Le ultime qualcosine.

Non poteva stare fermo, non ci riusciva. Aveva paura e fretta allo stesso tempo, voleva che quel giorno si concludesse come voleva tornare indietro a ieri.
O a un anno fa, così da capirci un po' di più di tutto quello che lo circondava.

Con lo zaino in spalla, un sorriso smagliante e i capelli -indovinate?- perfettamente in ordine, un Minho raggiante e allegro saltellava sul posto sorridendogli, poco distante da lui.
"Giorno pive!"

"Giorno Minho... dov'è Ben?" Cercò di deviare le domande, quante più possibile, o di ignorare la stretta al petto che lo stava invadendo. Cercò di guardare Minho il più a lungo possibile, come ad imprimersi qualunque altro particolare che gli fosse sfuggito.

"Dovrebbe arrivare a breve. Credo che stia per ammazzarmi, l'ho buttato in una maniera poco gentile giù dal letto." L'asiatico accompagnò la frase con una risatina, per poi mettersi a saltellare sul posto di fronte alle porte.

Poi però Minho smise di saltellare e si girò verso di lui. Ma non era Minho. Era... un altro viso, un altro corpo, un'altra persona.
Ancora una volta, però, riusciva solo a scorgere la zazzera scura dei capelli, gli occhi penetranti di cui ne definiva solo il colore e le labbra, distese in un sorriso.
Non erano più ad aspettare che le porte si aprissero, erano in un corridoio totalmente bianco e quella figura era vicinissima a lui.

Di nuovo.

Poi il ragazzo di fronte a sé, di cui non riusciva a delineare i contorni, si avvicinò ancora maggiormente a lui. E chiuse gli occhi.
E Newt era tentato di chiudere gli occhi e provare a vedere cosa sarebbe successo...
Ma una voce lo interruppe.

"Giorno pive" narrò, e di colpo tornò tutto come prima: la radura, il corpo e viso di Minho, i colori, la senzazione di casa e insicurezza allo stesso tempo, la leggera brezza che c'era tra quelle mura.
Ben era appena arrivato, sorrideva mentre dava uno scalpellotto dietro la testa del ragazzo asiatico.

Newt ormai si era abituato a questi scatti, e non l'aveva mai detto a nessuno. Erano specie di visioni, cosa avrebbero fatto o detto gli altri se l'avessero saputo?
E poi riviveva ogni volta l'angoscia e la preoccupazione che questi flashback gli creavano. Chi era quella persona? E perché sentiva di odiarla e amarla nello stesso tempo? Perché provava un rammarico e una morsa allo stomaco pensandola?

Non lo sapeva, ma questo continuo essere lì, rinchiuso, con questo odio che gli bruciava i polmoni ogni volta che ci pensava e questo suo essere diverso dagli altri lo innervosiva, lo portava ad odiare sé stesso.
E quel giorno avrebbe smesso di odiarsi.

"Andiamo pive?" Sorrise ancora Minho, e solo in quel momento Newt si accorse che le mura erano già pronte per essere attraversate. Un brivido gli corse lungo la schiena.

Ben partì, Minho lo seguì, e Newt fissò ancora una volta la radura, ne annusò l'aria, poi sforzò un sorriso, e raggiunse i due.

***

Quando fu di nuovo solo, era così immerso nei pensieri che inciampò nei suoi stessi piedi, la faccia shiacciata contro la pietra e le mani protese in avanti, in un tentativo inutile di attutire la caduta.
Lo zaino rotolatò più in là, le gambe scomposte, un sospiro sfuggito dalle labbra e gli occhi chiusi.

Cosa aveva fatto per meritarsi tutto questo?
Ora doveva solo rialzarsi, lasciare con quel coltellino che si era sempre portato dietro un piccolo messaggio a chiunque avesse provato a raggiungerlo, un'ultima supplica.
Eppure era solo, al limite, e volle completare una delle visioni che lo perseguitavano da un anno.
Chiuse gli occhi, una gli sarebbe bastata.

Stavolta nel buio scorse una figura, che si avvicinava.
La scrutava, eppure era troppo buia per descriverla. Poi si rese conto che era lui ad avvicinarsi, e resistette alla tentazione di aprire gli occhi. La sua figura si staccò dai suoi occhi, e si andò a sdraiare sopra il ragazzo che, ora che ci vedeva meglio, era steso e sembrava quello che tentava di baciarlo, di sollevarlo, di abbracciarlo.
Si rese conto solo dopo di come sarebbe andata a finire, e sbarrò gli occhi, impaurito.
Si alzò, di scatto, quasi tremante.
Cominciò a correre, più veloce, dentro il Labirinto, tra quelle mure che sembravano opprimerlo, togliendoli spazio e fiato.

Le pareti, però, di colpo cambiarono.
Non erano più ammassi di pietra e rami di edera. Adesso erano ordinate, bianche, di un bianco accecante.
E poi di nuovo la figura che l'aveva perseguitato per un intero anno lo raggiunse.
Era onnipresente in questi sorta di flashback. Strano che non fosse qualcuno della radura. O che lui non ne ricordasse affatto il nome, o il motivo per cui fosse così importante per lui.
E stavolta Newt aveva già gli occhi aperti, non poteva sfuggire a quella visione (perché si, era certo che fosse una visione).
La figura si avvicinava, e sorrideva furbastro, e prese ad accarezzargli il viso, e le spalle, e i fianchi.
E Newt non capiva, perché lo sentiva e allo stesso tempo no, voleva scappare e allo stesso tempo rimanere. E come sempre lui ne riusciva a scorgere solo una massa informe di capelli scuri e due occhi dolci al cioccolato.
E fu il volto sempre più vicino del ragazzo ad impaurirlo, e a dargli la forza di mettersi a correre come se ne dipendesse la sua vita.

E mentre svoltava l'angolo, e guardava un'ultima volta indietro, si rese conto che il ragazzo era sparito.
Newt era terrorrizato ora. Come ogni volta che le visioni si facevano insistenti, nonostante in quel preciso istante lui non sapesse affatto come farla svanire.
I suoi piani quel giorno era mettere fine a tutto, quel posto, quelle visioni, quelle emozioni. Tutto.
E fu sollevanto, quel piccolo puntino di speranza in un abisso di preoccupaziome e panico, quando vide una scala a pioli sul lato del corridoio. Era abbastanza alta.
Probabilmente nel labirinto, dove ora lui era e non era, sarebbe stata un'intera pianta di edera, che saliva il necessario per la sua impresa.

Proprio quello che gli serviva, come si era immaginato tutto.

Provò a chiudere gli occhi, mentre afferrava i pioli all'altezza delle sue braccia e alla cieca ci saliva.

Ma nella sua testa un ragazzo gli sorrideva. E sentiva che perfino le sue stesse labbra erano curvate in un sorriso.

Continuò a salire, un ritmo costante. No, non avrebbe mollato ora.

Ma nella sua testa un ragazzo gli sussurrava che era bellissimo, e lui arrossiva.

Ad occhio o croce, secondo i suoi calcoli, doveva più o meno essere arrivato all'altezza desiderata.

Ma nella sua testa il ragazzo rideva intenerito dal suo imbarazzo, e diceva "Ti amo, Newt".

Si bloccò. Non ne poteva più. La sua vita, quella nuova, faceva schifo. Se continuava di questo passo non l'avrebbe mai conclusa, sarebbe vissuto in questo stato orribile, a suo parere.
Non se lo poteva permettere.

Ma nella sua testa lui schiudeva le labbra per rispondere.

Non riaprì gli occhi, ma se toglieva le mani dal legno sarebbe caduto. E sarebbe riuscito nella sua ultima e fantastica impresa.

Ma nella sua testa lui diceva "Ti amo..."

Ma nella realtà cadde.
E si sentì cadere, lo sentì sulla pelle, nel petto, e lo sentì mentre un dolore lacinante gli trafiggeva la caviglia.
E non ci volle tanto a capire che il suo piede era incastrato tra il piolo e il muro, o tra la pietra e l'edera. E mentre con uno sforzo sovraumano, che lo stupì abbastanza, riusciva finalmente a liberarsi,
Nella sua mente lui sussurrava "...Tommy"

La terra era vicina.

E lui non sapeva chi fosse Tommy.

La terra lo annientò.

E lui amava Tommy.

***

Thomas fissava lo schermo, e annaspava, e urlava a tratti. La gola gli bruciava e le lacrime gli inzuppavano gli occhi.

Aveva ucciso Newt? Modificando il suo chip nella speranza che si ricordasse di lui, con il solo risultato di provocargli visioni al punto ralrda farlo impazzire?
Aveva ucciso la persona che amava? L'unica che aveva mai amato?
Come aveva potuto?
Aveva fatto tutto ciò nella speranza che la promessa fatta anni prima fosse mantenuta, ma l'aveva distrutto.

Pezzo per pezzo aveva fatto crollare lui.
E pezzo per pezzo, dietro quel maledetto monitor che li separava, dietro quel pezzo di vetro che dimenticava entrambi, l'un l'altro, anche lui si stava sgretolando.

E il diventare piccoli pezzi fino a sparire sembrava così invitante come soluzione per il dolore...

Non fa schifo, ma di più, e lo so. Vi prego di perdonarmi, davvero, perché avevo scritto questo capitolo tempo fa, e oggi faccio per rivederlo e correggerlo, ma la seconda metà aveva fatto puf.
Mi scuso davvero, era anche un po' diverso l'altro, migliore e il resto, però volevo aggiornare lo stesso.
E nulla, questo è il penultimo capitolo (lascio immaginare voi cosa tratterà il prossimo)
Ah, e se non si fosse capito, è Thomas che ha modificato i progetti nella testa di Newt nella speranza di farsi ricordare di lui.
Ma ha fallito.
SAPPIATE CHE VI VOGLIO BENE, EH.
Uh, un'ultima cosa. Non è che passate a leggere la mia nuova Newtmas AU, Broken Home?
Mi farebbe piacere!
A Mercoledì con l'ultimo capitolo  (sig sig)
-Claud

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