piccola ballerina

La notte non è mai silenzio sulla spiaggia.

La vita per lui non batte mai così forte come negli occhi arrossati dai falò, nei polpastrelli massacrati dalle corde della chitarra, nelle canzoni intonate tutti insieme, stiracchiate dalla birra e dal troppo ridere. È come un palco senza pubblico, senza ansie preliminari o la paura di cadere senza che qualcuno lo afferri. E quando ci viene da solo, se la sua chitarra non suona, il pubblico è lui; il concerto è del silenzio che, tra le onde e il vento, non lo è mai.

Stasera non sta suonando, ma non è solo. Siede sulla sabbia, molto più fina di quella di casa, una striscia di argento fresco sotto i piedi. L'oceano è infinitamente più grande del mare, ma fa comunque con il cielo un'unica pozza buia, brulicante di luci.

La guarda da poco lontano, la testa inclinata da un lato con curiosità. C'è qualcosa di lei che è musica, pura e amorfa, ma allo stesso tempo va ben oltre; i piedi scalzi che increspano il pelo dell'acqua, i jeans larghi strappati, una canotta dello stesso colore della luna e – molto probabilmente – della stessa consistenza del suo riflesso sull'acqua. La osserva mentre canticchia un motivetto e azzarda qualche giravolta, barcollando un po', ed è quasi stupito che il vento non l'abbia ancora fatta volare via.

Per essere una ragazza di cui non sa neanche il nome, si è intrufolata nei suoi pensieri probabilmente già troppe volte nell'arco di una settimana. Non ha voluto dirgli il suo nome e lui non ha insistito, perché non gli è sembrato che volesse propriamente nasconderglielo, ma, piuttosto, che non lo ritenesse un dettaglio importante. Così, per solidarietà, neanche lui le ha rivelato il proprio.

Non immaginava che, con queste premesse, lei avrebbe voluto continuare il gioco accettando di rivederlo e, addirittura, offrirgli un giro in macchina della città. Ai messaggi e alle promesse sui biglietti ci ha sempre creduto poco – ancor meno sabato scorso, mentre si stava affannando a scrivere il proprio numero di telefono sul primo pezzo di carta che era riuscito a strappare.

È stato lui a proporle di venire qui, nonostante l'ora tarda e il timore di passare per spina nel fianco, se non qualcosa di peggio. Più ripensa alla rapidità con cui gli ha detto di sì, meno condividere con lei questa piccola parte di sé ha l'aria di un gioco. Gli sembra giusto, in effetti, come se solo lei possa afferrarne la bellezza insieme a lui.

«Se ti chiamassi Blue?» chiede all'improvviso, prima ancora che possa rifletterci.

Ma lei si è già voltata, confermandogli che è troppo tardi per ritrattare. Ha appena una linea in mezzo alla fronte; a poco a poco snuda i denti in un sorriso di perla, un tantino sbilenco. Chiede perché, e lui fa spallucce. Risponde semplicemente che anche la piccola ballerina di Elton John balla sulla sabbia e veste blue jeans. Omette di dirle che anche lei, come quella donna per la voce narrante della canzone, è sempre con lui, nel palmo della sua mano. Si sente già abbastanza ridicolo.

A una folata di vento, la vede stringersi nelle spalle scoperte. Nell'aria soffia il profumo elettrico di una tempesta lontana. Gli viene incontro, facendo per sedersi accanto a lui. «Non è così male» commenta, le braccia allacciate alle ginocchia. A lui viene quasi da ridere, ma poi solleva lo sguardo. "Non essere così severo con te stesso" legge nel suo, e le crede.

"Non è così male". Ha detto lo stesso qualche ora fa, mentre stavano costeggiando il boulevard. Guardando fuori dal finestrino del passeggero, lui ha visto un tizio sul marciapiede sbracciarsi con un megafono in una mano e una Bibbia nell'altra. Come se avesse percepito i suoi occhi su di sé, lei ha distolto brevemente i propri dalla strada, rispondendo al suo stupore silenzioso con una scrollata di spalle, un sorriso apologetico e quelle esatte parole. E lui ha capito. Quello era pur sempre il suo, di mondo.

«Prendevo lezioni di danza quando ero piccola» soggiunge lei. «Mi sarebbe piaciuto diventare una ballerina».

Lui annuisce. Deve ancora decidere come si sta sentendo: rincuorato per non essere andato così fuori strada; onorato di aver appena scoperto un nuovo dettaglio di un dipinto ancora per la maggior parte oscuro; nostalgico per un passato non suo, mai diventato futuro. Quindi le sorride, senza dire niente, come un amico. Qualcosa gli dice che ne avrebbe bisogno.

Anche quella sera lo ha pensato. L'ha incontrata fuori dal locale dopo il concerto, appoggiata alla balaustra della terrazza con lo sguardo perso nell'oceano. Le sembrava comunque molto più nel suo elemento di lui; gli altri ragazzi della sua band volevano trascinarlo con loro in un piccolo drappello di ammiratrici e lui aveva accampato la scusa di prendere un po' d'aria per allontanarsi. Quando gli ha chiesto perché non fosse con loro, le ha spiegato che non era il tipo da queste cose. Lei gli ha rivolto un sorriso dolce con un che di piratesco; gli ha detto di non essere così ingenua da mettere la sua vita nelle mani di una rockstar. Al che lui ci ha pensato un po', prima di rispondere che allora, forse, un pianista avrebbe fatto al caso suo.

Un altro soffio di vento gli soffia sulla nuca, riportandolo al presente. A lei che si stringe ancora di più le ginocchia al petto, incassando il mento nello spazio nel mezzo. Sta cominciando a fare troppo freddo per poter rimanere ancora a lungo e la delusione inizia a strisciargli fin dentro le pareti dello stomaco.

Senza pensarci due volte, si sfila la giacca e gliela sistema intorno alle spalle. Osserva prima la confusione, poi la ritrosia, fiorirle in rosea gratitudine sul viso, come fosse stata sul punto di dirgli che non ce ne fosse bisogno, ma avesse cambiato idea all'ultimo.

«Ricordami di rendertela prima che ti riaccompagni al tuo indirizzo» gli raccomanda, quasi severa.

Lui fa scattare la testa di lato, una piccola manifestazione di noncuranza. «Anche la prossima volta» la rassicura, ma è attento a riservare un minimo spazio all'incertezza.

Alla sua decisione.

Non gli è nuovo, il modo in cui lei lo sta guardando ora, e ha la sensazione che neanche in questa occasione può sfuggirgli. È lo stesso di quando, dopo averlo conosciuto da appena tre minuti, gli ha detto che ha una faccia troppo onesta per un cuore spezzato; che questa è la città dei cuori spezzati, degli angeli che sono solo diavoli in borghese e delle grida di aiuto che non si sentono mai, in mezzo alla folla.

«Non mi piace essere in debito».

«Non la vedere così. Consideralo un ringraziamento».

«Per cosa?»

«Per oggi... Soprattutto per non avermi ancora lasciato a piedi».

Lei trattiene una risata. Le sue pupille guizzano da una parte all'altra della sclera, mentre pondera il nuovo cambio di prospettiva. Presto riparano nello sciabordio delle onde nere lungo la riva, e lui si ritrova a pensare che il mare di notte, solitario, oscuro e cristallino insieme, non è poi così diverso da lei. E lui sarà pure ingenuo, come tutti i forestieri che in questa città cercano l'occasione della vita. Però non si ritiene egoista. Non vuole legarla con quella giacca alla promessa di un prossimo incontro, se non lo vorrà. In questo momento, fa solo fatica a rinunciare al pensiero di lei tra qualche ora intenta a disfarsene prima di andare a dormire.

Sa che se in quel momento pensasse a lui, anche solo per un istante, sentirebbe quel pensiero increspare il suo, fisso e stagnante già da diverse notti, come il suo sguardo insonne sul soffitto buio della sua stanza. Dove non c'è palco, né il bagno di luci alcoliche, né il viale con i lampioni che smette di contare quando capisce che sono troppo identici per non sbagliare e ricominciare da capo, e diventa improvvisamente tutto troppo reale: la solitudine, la nostalgia di casa, un mondo che ancora non conosce e che potrebbe inghiottirlo vivo se solo glielo consentisse.

«D'accordo» fa lei all'improvviso. Poi, diplomaticamente, gli tende una mano. «La prossima volta».

E lui esita, ma solo per l'attimo che gli serve per realizzare di aver conquistato la sua fiducia. Le prende la mano e gliela stringe, su, giù, sigillando l'accordo, e da bravo ingenuo spera che il calore che si sta propagando dal centro del suo petto non raggiunga quell'intreccio di dita, finendo col tradirlo. Si consola pensando che, con la luna crescente di quel sorriso impigliata nei suoi sogni, forse questa sarà la notte buona che riuscirà a dormire, e almeno questo lei non potrà mai saperlo.

§

A/N:

Una delle mie colleghe ha definito il nostro lui (a cui non ho neanche dato un nome, ma pace) "cucciolino insicuro" e c'è mancato poco che la mamma popo fiera che è in me non se ne uscisse con un diplomatico YAS, THAT'S MY BOY. <3

Retroscena a parte, volevo più che altro testare le acque della scrittura originale, nel mentre che rimugino su un progettoserio-wannabe che ad ora si sta trascinando solamente a sprazzi di creatività e malinconia (siamo sorpresi? non siamo sorpresi). 

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