5. Kleis

16 Agosto 1716

[...] Giunsi alfine in quella terra che cotesti selvaggi appellan Fiume della Pietra Gialla, d'onde la mia guida pellirossa presentommi al capo del governo suo, uomo di gran possanza che elli nomò Corvo Bianco. Costui, mi disse la guida, avea conosciuto altri europei, perciocché affatto ignote gli eran le voglie de' bianchi, ma giammai niuno a lui avea presentato simile richiesta. S'offrì adunque in servigio per recarmi onore e per una certa disposizione dell'animo suo alla canoscenza, invero cosa non bizzarra in cotesta razza. Rammentò il mio avolo Percival De Le Roi e gli tributò ottime lodi ed eziandio s'adoperò a comprendere la cagione del mio iter. Mostrai al mio nobile ospite il libello da cui ogne cosa trasse principio. Parv'elli grandemente interessato alla ricerca della Chiave e promisemi di interpellar un tale del villaggio il cui ausilio sarebbe stato lieto.

La medesima sera cotesto popolo di pellirossa - seppi che eglino si nomano con il nome di Shoshoni - fé in onor mio un luculliano convivio sì ricco di canti, danze e cibo da eguagliar pressoché la corte de' governanti del savio mondo europeo. Non giammai il mio viaggio parvemi sì diletto.

18 Agosto 1716

Il Principe Shoshoni mantenne il voto fattomi e presentommi codesto suo singolar canoscente, che la mia guida celebrò in guisa di fattucchiere. Siffatta nazione è difatti ben certa che taluni individui sieno periti nell'arte della divinazione ed a trattar coi morti. Codesti affari riferisco sine argumento. Costui apparve con sembianti crudeli alla mia vista: vestiva di penne nigre e bianche, avea la faccia pinta e buia come la notte e movendo gl'arti tinniva sì sonaglio preda del vento. Elli non favellava lingua mortale ma solo la lingua del Dio. Codesti Shoshoni credon invero che'l mondo il quale ben creato fu da Nostro Signore, fu disposto da un Corvo, lor deità col cane selvatico e l'orso. Quello era, di fatto, il suo Sacerdote. 

Disseromi il suo nome: Shechayo, colui che con i Sette Corvi favella. La mia buona guida rese elli sapiente della mia ricerca. Alla vista del mio libello, costui s'infiammò gaudentemente e disse ch'ella era sacra cosa pel Shoshoni. Adunque esiste! Il mio stimato maggiore avea cagione de' sue parole!

19 Agosto 1716

Il Principe, Sechayo e'l mio interprete condusserommi da una vecchierella del loro Paese che, dissero, sapea ogne cosa su la Chiave che andavo cercando. Era cieca fin da infante e avea ottenuto in grazia dal Dio la veggenza degl'oscuri simboli della nattura. Ella m'interrogò sulla cagione per cui m'ero messo in viaggio e, saputala, mi fé certo che avei potuto mirar la Chiave, che pendea da un grande abete, ma non pigliarla. Ella si fé cupa quando fei insistenza e categoricamente negommi la sua compiacenza. Ci accordammo adunque secondo siffatte regolamentazioni. Mi avrebbero dotto al loco presso cui la Chiave avea preso dimora. 

20 Agosto 1716

Parata ogni cosa, partimmo prima luce. Il rifugio della Chiave era ottimamente protetto da possenti caldere di rovente umor terracqueo a quasi sei giorni di cammino. Il Principe mi concedette cinque uomini de la sua guarnigione personale e Sechayo desiderò divenire parte della nostra società. Con lieto stupore l'accolsi in tra le nostre fila. Mi disse che giammai avea veduto con i suoi occhi la Chiave ed il suo viaggio infra gli spirti. Ella è effigie del mondo de' morti pei Shoshoni, laddove per me è il cardine della canoscenza. Il mio onoratissimo antenato fu il fattore di questo libello che mi ivi mi condusse. Codesto picciolo ma prezioso lavoro gode della veggenza e della lungimiranza del parente mio. Par quasi infuso di magia, tanto grande è la sua propria autorità. Altresì niuno credé nel suo animo da profeta. Solo la mia persona. L'unico grande orgoglio in me. 

22 Agosto 1716

La pioggia rallentò il nostro cammino e quello de' nostri cavalli. Scese furiosa per una notte ed un dì, mutando il sentiero in fango. C'accampammo a poche leghe dal Paese de' Shoshoni e parammo un rifugio sì da sfuggir al freddo vento e alle fiere selvagge che raminghe van per cotesti loci. Udii il lamentarsi cupo de' lupi e l'infelice bramito del cervo braccato. I miei soci principiaron a narrarmi le gesta de' loro eroi e deità. Con mio diletto furono ore lietamente spese malgrado il gelo e la paura. La compagnia di cotesto Popolo mi è più diletta di quella di molti europei.

24 Agosto 1716

Nell'ora di riposo della cavalcata Shechayo, uomo d'insaziabile curiosità, uno scienziato del Popolo suo, interrogommi su la necessitate di proseguir la ricerca del mio nobile avolo. Lo feci immantinente chiaro: persona illuminata ei fu et previde spezialità natturali di felice importanza. Cotesto libello che io porto meco è ciò che perdura de' sua canoscenza. Shechayo dimandò se il mio maggiore fu in cotesta nazione. Risposi sì. A quel punto l'uomo parve soddisfatto.

25 Agosto 1716

Giungemmo alfine alle caldere. Se gli Shoshoni avessero deità di fabbri, le loro dimore sarebbon ascose in cotesto loco. Giammai ho visto spettacolo di sì grande beltà e crudeltà. Soffioni d'acqua s'elevavano verso il cielo, rumoreggiando come demòni, caldi come gl'inferi stessi. Le mie guide disseromi che sarebbe stato un inutile periglio tentar di traversarle, adunque pigliammo la via più lunga. La foresta era aspra e selvaggia,  ma'l sole profondeva i rai suoi nella verzura dimodoché parea indorata da luce divina. Mi sentii votato a giusta causa. 

28 Agosto 1716

La pioggia dei dì precedenti avea ingrossato i fiumi lungo il nostro iter e fu complessa cosa tradursi sulla ripa opposta, anelando a guadi adeguati. Grazie a Nostro Signore i cavalli de' Shoshoni sono creature mansuete e obedienti, con robuste zampe e alti garresi. 

30 Agosto 1716

I miei buoni amici asseriron ch'ormai la Chiave si trovava ad una lega di distanza. Ci fermammo adunque per posare le nostre stanche membra nel mezzo d'una abetaia. Osservai i cavalli pascersi delle alte erbe del sottobosco ed una volpe guizzar via repente, un topo tra le fauci.

1 Settembre 1716

Come novella Odissea, ogne cosa trovò il proprio termine. Sotto splendidi sidi cangianti nel bujo della notte, si palesò dinnanzi a tutti noi il gargantuesco abete di cui la vecchierella m'avea fatto cenno. Su di elli, mille e mille puntolini bianchi divenivan testimoni della profezia dell'avo mio, e della mia giustezza. Il suo libello avea ragione: ecce! Le creature tanto cercate! M'inginocchiai e caddi in un lungo pianto, e con me Shechayo - anch'elli era commosso dalla magnificenza dell'opra compiuta - bene dicendo la mia ottima società, il mio cortese maggiore e il Padre Onnipotente, che diede la nattura a tutti gli uomini e le Chiavi della sua canoscenza agli uomini savi. 

La mia propria Chiave era ivi, su quell'abete maestoso ed avea lietamente aperto uno in fra le porte dell'intendimento del maggior presente che Dio fé all'uomo: la Terra. 

Io ne fui teste e fattore, nell'anno di Nostro Signore millessettecentosedici. 

Sia lode e gloria a Dio, nell'alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà. Amen.


Dal diario di viaggio di Charles De Le Roi, nobile e illuminato scienziato, nato a Manchester nell'anno 1667 e morto a Black Rock, villaggio Shoshoni, Wyoming, nel 1725, alla ricerca del lepidottero migratore da lui battezzato Reina Kleis (esperienza messa in atto grazie ad un primo sopralluogo di suo nonno, sir Percival De Le Roi). Le sue ricerche misero in luce per la prima volta una migrazione non aviaria, il primo caso documentato al mondo di spostamenti di massa di farfalle durante i mesi freddi verso il meridione. Fu la Chiave per la comprensione del comportamento complesso di molte famiglie di Lepidotteri in tutto il mondo. Charles De Le Roi fu, a tutti gli effetti, uno dei padri fondatori dell'etologia entomologica e oltre a numerosi appunti sulla biologia della Reina Kleis, ci lasciò una preziosa testimonianza degli usi e costumi di un popolo semisconosciuto come quello degli Shoshoni. Sia la comunità di Zoologia sia quella di Antropologia gli deve molto. 

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