I - Golden
Solo pochi anni dopo si sarebbero ricordati tutti di quel caldissimo giorno di giugno, quando il mondo sembrava essersi capovolto e il sole dava la caccia a ogni ombra, ma senza riuscire a raggiungere quelle nel cuore di ciascuno.
La California era invidiata da tanti altri paesi, soprattutto d'estate: Malibu era intasata dalle onde dell'oceano e Hollywood pullulava di attori dalla pelle abbronzata.
Eppure, se si restringeva il campo, anche un'atmosfera dorata come quella di Los Angeles pareva arrugginirsi e, a campo ancora più ristretto, mancava così tanto l'aria che si stentava a credere potesse essersi ossidata.
Esistono posti e momenti nei quali è impossibile non notare la sfumatura ramata che li contraddistingue. Essi sono quei luoghi, attimi e spesso anche persone che hanno nuotato con l'acqua fino alla vita, sin quando non è arrivata un'onda troppo grande per loro che li ha trascinati via, li ha sommersi e che, a lungo andare, è finita per arrugginirli.
Cierra Sharp era il pezzo d'oro più brillante della famiglia; la più luminosa in un gruppo di amici, la più fulgida a scuola. Luccicava sotto le luci dei palchi che calcava come pochi erano capaci di fare, sfavillando come le stelle di notte a mare aperto.
Eppure l'acqua, analoga al fuoco che li liquefa, distrugge i metalli, e quella salata è capace di rosicare anche l'oro migliore.
A tre isolati di distanza dalla pietra d'oro della stagione, viveva la sua parte complementare; Hunter Jackson era la metà perfetta dell'intero, colui che riportava la bellezza pura allo stato originale.
Egli stesso era puro, chiaro, presente in coscienza e consapevole del proprio essere.
La linea telefonica che intercorreva tra i due giovani divideva la città degli angeli in due parti; si rincorreva di fretta e sfrecciava nel cielo azzurrissimo.
«Io punto su "I doni della morte". Ma la seconda parte, perché almeno abbiamo i coriandoli di Voldemort per festeggiare il tuo compleanno.»
Un cellulare schiacciato tra l'orecchio e la spalla, tenuto miseramente in equilibrio; l'ulteriore libro da sistemare tra i vari; una chiamata attiva da più di due ore; un sorriso stampato sulle labbra di entrambi i ragazzi e una risata dall'altra parte della cornetta.
Guardando fuori dalla finestra, quella mattina, Hunter pensò che il sole era parzialmente più vicino a Los Angeles che al resto del pianeta. Povero ragazzo, era costretto a soffrire il calore bollente delle giornate di quel tipo quando Cierra se lo trascinava per le vie della città californiana.
Cierra era nata durante l'estate; sorrideva in continuazione, parlava a radiolina, non la smetteva mai di scovare il lato positivo in ogni avvenimento. Trovava il lato buono delle persone anche dove, probabilmente, questo non c'era.
Hunter non era da meno, ma preferiva l'inverno; una bella coperta, un divano comodo, il tepore delle corde della sua chitarra che gli ardevano contro i polpastrelli. Preferiva il torpore accogliente della casa a un'uscita in compagnia.
Entrambi affermavano che se ne sarebbero stati sempre da soli se non fosse stato per l'altro, ma in fondo sapevano bene - tutti e due - che si completavano a vicenda e che, da soli, sarebbero stati superstiti, ma non avrebbero mai vissuto.
C'erano momenti dell'anno - e talvolta in una stessa giornata - in cui né la luce né l'ardere del sole scaldava o faceva risplendere la casa degli Sharp.
Momenti in cui un letto vuoto e un piatto in meno catapultavano una delle abitazioni più colorate del quartiere nella più fredda dello stesso.
Ci sono mancanze che sono incolmabili; alcune di esse ti entrano dentro e, come l'acqua di mare, ti ossidano. Si insinuano, si fanno spazio, e ti arrugginiscono: ti bloccano.
La catena di una bici arrugginita non si muove; ci prova, si sforza, ma resta esattamente lì dov'è: bloccata. Ed è questo che provocano certe mancanze nella vita delle persone: pausa. Una pausa colossale che ti lascia immobile, mentre il resto del mondo si rincorre attorno a te.
Esso prosegue la sua corsa senza mai fermarsi a riprendere chi è rimasto indietro; e camminava così da tre anni, il mondo: girava attorno a Cierra sfrenato, senza lasciarle tregua, e lei si era resa conto che restare al centro del ciclone era l'unica tregua che potesse concedersi.
Noah Sharp era il figlio maggiore della famiglia: silenzioso, diplomatico, ti accorgevi della sua presenza solo quando voleva che lo facessi; altrimenti era invisibile, e ti osservava inosservato.
Era un tipo particolare: quelli che lo conoscevano lo definivano apatico; quelli che lo conoscevano davvero, invece, stentavano a credere che potesse essere così volubile in relazione alla persona che aveva davanti.
Era ciò che voleva essere e tu, poi, diventavi ciò che lui voleva fossi.
Era un buon amico, un bravo figlio e un ottimo studente. Era giusto, attento; non si sbilanciava mai e forse per questo mai neanche cadeva.
Quindi perché si era distratto, quella sera? Lui che non beveva mai, che non fumava, che era sempre vigile al volante. Come aveva fatto a deragliare, a girare su se stesso e a finire capovolto, la notte del suo compleanno di tre anni prima?
La sua famiglia non aveva mai avuto risposta. In cambio, però, aveva ricevuto un grande, grandissimo foro nel petto che, come un buco nero, risucchiava tutta la luce che cercava di diventare uno spiraglio nella loro vita.
E per Cierra era diventata acqua di mare; era stata una morta salata, troppo, che era finita per corrodere ogni pezzo della giovane e, alla fine, l'aveva arrugginita.
Quel giorno caldissimo di giugno era il suo compleanno, il sedicesimo; ma non avrebbe festeggiato, perché un vuoto così grande non glielo permetteva, e forse era lei stessa a non permetterselo. Aveva amato suo fratello in una maniera quasi surreale, e perderlo le aveva fatto perdere anche sé.
Eppure Hunter era un po' il suo angelo custode; le portava un pacchetto di fiammiferi ogni volta che incombeva il buio, e ne usava uno ogni volta che il precedente veniva risucchiato. Cierra gli era grata, perché lui aveva la pazienza di riaccendere la luce in continuazione, sebben consapevole che bastava davvero un soffio per farla cedere.
Era il compleanno della sua migliore amica e non l'avrebbe lasciata a sopperire alle tenebre. Sapeva che quello era uno dei momenti in cui l'assenza di Noah si sentiva particolarmente, e cercava di dividere il peso e prenderne una parte anche sulle proprie spalle, per aiutare la famiglia che lo aveva accolto quando la sua si era distrutta.
Hunter e Cierra, mentre conversavano al telefono, avevano dunque finito per dibattere su quale film della saga di Harry Potter, la preferita di entrambi, fosse meglio guardare per passare il tempo. Certo, i libri erano decisamente meglio, ma a tutti e due piaceva osservare con i loro stessi occhi l'utopia divenire realtà e chiedersi come ci si debba sentire a possedere poteri sovrannaturali.
E poi - entrambi lo credevano - Draco Malfoy era un bel pezzo di mago.
Si erano lasciati con l'appuntamento a casa di Hunter - che ormai era anche un po' casa di Cierra - e la lista infinita di quanto cibo dovessero gustare con lo stomaco, mentre gli occhi avrebbero gustato i capelli platinati di Tom Felton.
Cierra chiuse la telefonata con l'accenno di un sorriso sulle labbra. Poggiò il cellulare sul comodino accanto al letto e, dopo aver finito di sistemare la libreria, si avvicinò all'angolo della camera dove, su un tavolino di legno, era esposto un giradischi nero.
Si voltò e avvicinò di nuovo verso gli scaffali, stavolta alla sezione in cui teneva i tanti vinili; li guardò nel loro insieme, ammirandoli, poi cominciò a sfogliarli con la punta delle dita, delicata. Li studiò uno a uno, con la testa appena piegata di lato, e aveva l'espressione di chi scopre qualcosa per la prima volta, malgrado ella conoscesse ognuno di quei dischi come le proprie tasche.
La parte jazz era la più fornita; c'erano decine e decine di dischi, magari anche contenenti gli stessi pezzi ma registrati in momenti diversi. Era come avere differenti edizioni di uno stesso libro, ma meglio.
Quando l'indice della mano destra si posò sul bordo spesso di "Time in", uno degli album più famosi del Dave Brubeck Quartet, la mora ebbe un tuffo al cuore.
Lo estrasse, con estrema lentezza, e lo portò al giradischi tenendolo appena tra le dita, come se avesse potuto romperlo da un momento all'altro.
Lo posizionò e ci poggiò su la puntina: il cerchio nero prese a girare, la musica del quartetto inondò la stanza come le memorie inondarono la sua mente.
Si ricordò di quando aveva ballato con suo fratello "Cassandra", barcollanti come due ubriachi; entrambi amavano quel brano alla follia. Si ricordò di quando lui la suonava al pianoforte o di come discutessero su quale fosse il pezzo migliore.
Si guardò intorno e, dalla porta aperta, scorse quella appena di fronte a camera sua; era chiusa, la chiave chissà dov'era. Non se lo ricordava più. Probabilmente aveva dimenticato anche come fosse la stanza di Noah; quali vestiti c'erano nell'armadio che era rimasto al cambio invernale di tre anni prima.
Con la vista appannata dalle lacrime, si precipitò a spostare la puntina e spegnere la musica. Ripose il vinile in fretta e furia, recuperò il cellulare dal comodino e discese le scale.
Le capitava spesso di perdersi tra i ricordi ingarbugliati; alcuni non sapeva più neanche se fossero reali o frutto della sua fantasia. E tentava di oltrepassarli, di chiudere anche quella porta che, però, sembrava riaprirsi sempre, pure senza chiave.
Non aveva quasi mai il coraggio di affrontarli; chiunque le parlasse le diceva che il tempo avrebbe aggiustato le cose, che l'avrebbe aiutata ad abituarsi al dolore. Ma a che prezzo?
Cierra stava perdendo se stessa per abituarsi al dolore al quale, detto francamente, neanche riusciva ad abituarsi.
Scappava dal treno in corsa ogni volta che la ferita bruciava, ma forse scappare non era la soluzione migliore. Se magari si fosse fermata e avesse abbracciato quello strazio piuttosto che continuare a esserne vittima... Lui non avrebbe smesso di pugnalarla, ma magari sarebbe stata lei a non sentire più i colpi.
Discendendo le scale di legno che portavano al piano terra dell'abitazione, Cierra si voltò a guardare le foto appese al muro chiaro: c'erano immagini della famiglia riunita, dei ragazzi da piccoli, di alcuni spettacoli in cui Cierra era stata tra i personaggi principali. Danzava da quando ne aveva memoria e la dedizione che impiegava in ogni passo l'avevano portata ad essere prima ballerina del Los Angeles Ballet.
Sorrise nell'ammirare la foto che la ritraeva durante l'ultima esibizione, durante le variazioni di Giselle. Era stato l'assolo migliore che avesse mai fatto, il più brillante e preciso.
Hunter e le punte erano le uniche cose che la salvavano dal burrone; aveva perso tante persone negli ultimi tre anni e Noah era solo quella che le mancava di più.
Scese ancora un gradino, lentamente, e spostò lo sguardo sull'unica foto insieme a suo fratello che avesse mai stampato, e che loro madre aveva insistito per esporre. Con estrema cautela la prese tra le mani e accarezzò la cornice sottile, quasi avesse paura di rovinare un singolo fotogramma.
Il terrore di dimenticare la risata di Noah o alterare il suono della sua voce erano presenti ogni giorno. Erano cambiate tante cose da quando lui non c'era più: Cierra non era più la stessa e le persone se n'erano accorte. Persino il modo di camminare, alle volte, mutava. Era sempre parso un andamento delicato, come se sul cristallo, ma a tratti ora appariva incerto, confuso, come se la ragazza non avesse la totale sicurezza di sapere dove andare.
Con la punta dell'indice Cierra percorse la figura di suo fratello: ricalcò i suoi capelli ricci e neri, e quasi riuscì a sentire le lamentele del più grande che l'ammoniva di non rovinarglieli; sfiorò gli occhi verde smeraldo nascosti dietro agli occhiali spessi e la pelle diafana costellata di lentiggini.
L'ultimo messaggio sulla loro chat risaliva a quella sera, a quel gelido 17 dicembre. Avrebbero dovuto guardare una sitcom insieme, come facevano ogni sera da qualche settimana, e Noah le aveva scritto che sarebbe stato a casa nel giro di una decina di minuti.
Cierra lo aveva aspettato, ma i minuti erano diventati venti, trenta, un'ora. Poi la telefonata della polizia, la corsa in auto; suo padre non aveva mai guidato così veloce e sua madre non aveva mai pianto così forte. La strada non era mai stata così lunga e le luci dell'ambulanza mai così abbaglianti.
L'auto era isolata nel bel mezzo della strada; non era sbattuta contro niente e nessuno, si era solo catapultata su se stessa finendo sottosopra.
Erano riusciti a malapena a estrarre il corpo e nessuno della famiglia l'aveva mai visto, perché era inguardabile.
Quando il ricordo della puzza che l'aveva investita quando aveva cercato di aprire lo sportello, strisciante in ginocchio, le tornò alla mente provocandole la nausea, Cierra ripose la fotografia al suo posto e si portò una mano alla bocca. Bastò qualche respiro profondo per farle passare il malore.
Tenne lo sguardo fisso sul sorriso accennato di suo fratello che non variava mai in ogni foto; si portò una mano al cuore, come a volersi assicurare che questo battesse ancora, e discese gli ultimi scalini prima dei quali si era fermata, per recarsi dal suo migliore amico.
La morte di Noah l'aveva arrugginita.
Ma, se voleva superarlo, sapeva che Hunter l'avrebbe presa per mano e l'avrebbe trascinata via dal burrone.
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Cierra rientrò a casa quando ormai era calata la sera.
Varcò la soglia con le labbra piegate in un sorriso candido, delicato com'ella stessa era, e gli occhioni blu oltremare che le luccicavano di quiete.
I suoi genitori, Susan e Jonathan Sharp, erano seduti nel salotto, all'ingresso, e guardavano tranquilli un programma in tv, commentandolo di tanto in tanto. Susan rideva di continuo e si portava le mani alla bocca, coprendola appena, mentre suo marito le circondava le spalle con un braccio e si lasciava sfuggire qualche sorrisetto. Cierra notò, come faceva spesso, che Noah gli assomigliava molto.
La mora era entrata in casa senza fare rumore, tanto che i suoi genitori non se n'erano neppure accorti. Sorrise beata, con la testa piegata di lato, alla vista degli altri due così sereni; si rese conto che, per quanto le cose potessero andare male, a un certo punto della vita di ognuno, c'era sempre uno spiraglio di luce nel buio. Che, per quanto le ancore fossero pesanti e trascinassero sul fondo dell'oceano, c'era sempre qualcuno o qualcosa capace di farti tornare a respirare.
Strinse tra le dita chiare della mano destra un ciondolo legato alla collana che portava ora al collo, mentre teneva, nella sinistra, una polaroid fresca di stampa. Hunter le aveva regalato una collanina d'argento con un semplice cuoricino e avevano scattato una foto, felici e sorridenti, che la ragazza - ogni tanto - accarezzava con il bordo dell'indice.
Cierra salutò i suoi, interrompendo la loro concentrazione sul programma in tv; i due si voltarono a guardarla e ricambiarono il saluto. Susan le fece cenno con una mano di andarsi a sedere accanto a lei.
Madre e figlia avevano sempre avuto un bel rapporto: stretto, confidenziale, si dicevano tutto e si prendevano cura l'una dell'altra. Dalla morte di Noah era diventato più complicato gestirlo, perché sembrava che tutte le emozioni più belle si fossero lacerate un po', ma non si era certamente rovinato.
Visto da fuori, in quegli attimi, si notava un meraviglioso e perfetto quadretto familiare: la giovane raccontava ai suoi com'era stata la giornata; chiacchieravano tranquilli, guardavano la televisione insieme mangiando snacks e sorridevano. La morte di Noah sembrava essere rimasta fuori la porta, per una volta.
Eppure, avvicinandosi, si notava che c'era qualcosa di sbagliato; Cierra stessa se n'era capacitata.
Susan aveva le mani fredde, non riusciva a riscaldarle; era una particolare condizione che avveniva quando la donna era nervosa. Jonathan, invece, lanciava occhiate alla moglie come a cercare rassicurazioni che sapeva non avrebbe ricevuto. Entrambi, poi, tentavano di nasconderlo, ma fallendo miseramente.
Cierra si voltò a guardare prima un genitore, poi l'altro, accigliata. Si strinse nelle spalle e tentò di mettersi più comoda tra i due, senza riuscirci. Suo padre la guardò con la coda dell'occhio, dopodiché si portò la mano destra al colletto della camicia sottile e la sbottonò, come se non avesse avuto abbastanza aria da respirare.
La tensione si sarebbe potuta tagliare come burro con un coltello; Susan e Jonathan erano nervosi per qualcosa che la figlia non sapeva né riusciva a capire, e questo rendeva nervosa lei, ma preferì non fare domande. Magari si trattava di qualcosa che riguardava lo loro questioni "adulte", come tasse e cose del genere.
D'un tratto, suo padre si alzò dal divano e andò a recuperare il telecomando posto accanto alla tv, sulla mensola di fronte a loro. La pubblicità scorreva fastidiosa davanti ai suoi occhi: parlava di un qualche prodotto che non avrebbe mai comprato e che non gli interessava minimamente.
Premendo il tasto mezzo rotto di gomma, cambiò canale; perse qualche minuto noioso a fare zapping, ma nessun programma sembrava andargli bene. Era una cosa che capitava spesso, ma in quel momento Jonathan pareva così poco curante di ciò che faceva che Cierra ebbe il dubbio stesse davvero ponendo attenzione ai programmi in tv.
Si fermò infatti dal suo infinito fare zapping solo quando sua moglie, al quarto richiamo, attirò finalmente i suoi pensieri. Lasciò quindi che le notizie dell'ultima ora del telegiornale scorressero come fiumi, dettate dalla voce stridula della conduttrice che parlava veloce.
Un intero condominio era andato a fuoco a New York. Sarebbe stato un evento sconcertante se solo non così comune. Oramai si udivano notizie di catastrofi naturali - o causate da elementi naturali - ogni settimana. Era come avere a che fare con un bambino stralunato che combinava guai di continuo, e al quale ci si abituava dopo un po'.
Uno sbuffo da parte di padre, un sospiro da parte di madre. Erano le solite reazioni che Cierra si aspettava, mentre tentava sempre, senza resa, di capire come potesse accadere tutto ciò.
Come potevano esserci maremoti e terremoti all'improvviso, senza avvisi? Capitava spesso che palazzi andassero a fuoco, anche per colpa di fulmini pesanti, o che uragani distruggessero piccole cittadine calmandosi subito dopo, fino al sereno totale.
Si raccontava addirittura che alcune persone venissero portate in centri di recupero all'estero per aver dato fuoco intenzionalmente alle suddette abitazioni o per aver raccontato di aver visto i vicini controllare gli oggetti senza toccarli.
La magia di cui scrivevano nei libri si stava fondendo con la cartomanzia e le pratiche per risvegliare i morti e stava dando alla testa alle persone. Ecco cosa pensava davvero Cierra su certe reazioni esagerate.
La giovane si alzò anch'ella dal divano scomodo e si stiracchiò, facendo per andare in cucina. Nello stesso attimo, però, il campanello suonò, e la ragazza si fermò per controllare che i suoi stessero andando ad aprire.
Ma Susan e Jonathan si scambiarono uno sguardo terrorizzato, come se avessero saputo chi c'era dietro la porta e ne fossero stati spaventati.
Susan corse dalla figlia e la prese per un polso, nel tentativo di trascinarla via. Contemporaneamente, Jonathan intimò ad entrambe di restare nel più totale silenzio, portandosi un dito alla bocca con autorità.
La confusione pervase completamente Cierra; se prima era incerta di cosa fosse tutto quel nervosismo, ora non capiva assolutamente nulla di ciò che stava succedendo.
E la cosa peggiore era che non aveva la minima idea di cosa sarebbe successo subito dopo.
Il campanello bussò di nuovo e poco dopo arrivarono anche i colpi sul legno. Susan rimase ad abbracciare la figlia, come se avesse saputo che sarebbero morti di lì a poco e che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrebbe tenuta stretta.
Cierra era così intimorita che crollò sulle ginocchia; ricambiò lo sguardo sgranato della madre e pensò seriamente di star per finire.
Suo padre si girò a guardarle, e lei notò un velo di lucidità nei suoi occhi. A quella vista si rese conto di aver perso l'ultima briciola di freddezza che le sarebbe dovuta restare e si abbandonò alla confusione totale.
Si aspettava che, da un momento all'altro, la porta si staccasse dai cardini, e non solo per i colpi che stava ricevendo. Ma d'un tratto il rumore cessò, e Cierra sperò che fosse tutto finito.
Ma, quando cercò conferma negli sguardi dei genitori, provò una sensazione strana, come se avesse percepito le emozioni dei suoi. Essi non erano sereni come la figlia si aspettava, ma avevano una particolare consapevolezza che tutto era finito per far iniziare qualcosa di peggiore.
Nel silenzio tombale della casa, interrotto solo dai respiri affannati degli Sharp e la tv di sottofondo, irruppe il rumore di una chiave che si muoveva nella serratura e che, con un giro secco, aprì appena la porta.
Questa si spostò dapprima con una lentezza estrema; strisciò a un dito dal pavimento, producendo un suono che era tra uno stridio e un sospiro, come se qualcuno avesse fatto scorrere le unghie su una lavagna mentre ci soffiava sopra.
Il telegiornale era ancora in onda, ma nessuno gli dava attenzione; era così ignorato che quasi non parlava più. Cierra fu l'unica a ricordarsene, e per un momento parve esserci una parentesi politica che la estraniava da tutta quell'ansia che le si addossava attorno.
Per un attimo parve il solito: scontri tra il presidente e gli oppositori sotto le luci di un'America che non si faceva andare bene niente.
Ma poi la porta si spalancò con un tonfo, finendo con lo sbattere contro la parete spessa dell'atrio.
Sull'uscio si presentarono due uomini in giacca e cravatta; alti, robusti, avevano un paio di occhiali scuri e si osservavano intorno come se avessero temuto di essere notati.
Non sembravano per nulla cordiali: avevano le sopracciglia corrugate e la mascella serratissima, tanto che Cierra ebbe paura si potesse spezzare.
Il primo era appena avanti al secondo; si mosse con uno scatto, attraversò il salotto a falcate, così velocemente che quasi parve si fosse teletrasportato. Si accanì contro il divano che spostò con forza bruta, digrignando i denti.
Per riflesso, Susan strinse di più la figlia tra le braccia, trascinandosela l'ennesimo passo indietro.
Suo padre, invece, si intromise tra loro e l'uomo in nero, serrò i pugni e guardò lui e l'altro sulla porta con autorità.
«Non porterete via anche lei» intimò, puntandogli un dito contro.
«Non ne siete neanche sicuri!»
«Vorrà dire che, se ci sbagliamo, te la riportiamo indietro come pacco regalo» rispose il primo, abbozzando una risata sfacciata condivisa anche dal collega lontano.
«Eppure l'ultima volta avevamo ragione.»
Jonathan gli si scaglio contro, ma Cierra si perse nell'ambiente dalla vista appannata. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo e questo la frustrava, ma il fatto che i genitori, al contrario, sapessero anche troppo - almeno, da quanto stava capendo - le imponeva una preoccupazione non indifferente.
E poi, cosa significava quel "anche lei"? Che i due uomini avessero a che fare con Noah?
La giovane era spaventata; avrebbe voluto fare domande, sbottare. Eppure le parole sembravano morirle in gola a ogni tentativo di richiesta. Tutto ciò che le rimase fu ingoiare a vuoto il groppo che le si era formato a mandare giù ogni certezza.
Tremante, si guardò i palmi pallidi, ma la vista offuscata non le permetteva di vedere granché. Le immagini attorno a lei erano confuse e i suoni le giungevano ovattati. Riusciva a concentrarsi solo sul suo respiro, affannato e veloce, come se fosse stata astratta al proprio corpo e ora stesse tentando di ricongiungervi, mentre lo chiamava in terza persona. Il battito accelerato le martellava nel petto, e Cierra ebbe il timore potesse uscirle dalla gabbia toracica da un momento all'altro.
Tentò di staccarsi le braccia di sua madre di dosso, come se queste le impedissero di respirare. Arrancò, prendendo grossi respiri dalla bocca, ma continuava a non essere abbastanza.
Lanciò veloci occhiate dappertutto, come se alla ricerca di un qualcosa di valore inestimabile, ma invano. L'ansia, la paura, l'ignoto, la preoccupazione e a quel punto anche la disperazione si miscelarono del tutto, finendo col diventare un infuso letale che la costrinse a collassare sul pavimento.
Era una sensazione familiare, che però era solitamente evitata prima di arrivare all'apice come quella sera.
Le scene attorno a lei si oscurarono del tutto ed ella non riuscì più neanche a distinguere le sagome dei genitori.
L'ultima cosa che vide prima di abbandonarsi al suolo freddo fu uno dei due uomini che la guardava con gli occhi di un viola brillante e le passava una mano davanti al viso, sibilando qualcosa di incomprensibile con le labbra.
Poi, il buio.
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