9 | In cerca di un perché
26 settembre 2016
Una volta salita a casa Giulia si è liberata con furia del capotto, gettandolo malamente sul divano e chiudendosi violentemente la porta di casa alle spalle.
Incredibile come un corpo così delicato riesca a sostenere tutta questa rabbia.
Poggia la schiena contro il legno freddo della porta e si lascia scivolare sul pavimento, per poi scoppiare violentemente in lacrime.
Stavolta non riesce a trattenersi né vuole farlo.
Nasconde il viso tra le mani, porta le ginocchia al petto e la casa silenziosa si riempie del suo pianto, dei suoi singhiozzi disperati e delle sue grida.
Non è giusto.
Una persona non può arrivare, stravolgerti la vita, fingere che gliene importi qualcosa e poi sparire così.
Piange Giulia e butta fuori tutta la sua delusione, tutta la sua tristezza e il suo rammarico.
Il suo cuore appartiene totalmente a Federico adesso e lei vorrebbe strapparselo via dal petto in quel preciso istante.
Vuole trovare un motivo valido al gesto del ragazzo ma non gliene viene in mente proprio nessuno, mentre con le unghie si tormenta le braccia e i capelli.
Se per Federico fosse stato solo uno stupido gioco l'avrebbe portata a letto molto prima e l'avrebbe troncata ancora più rapidamente.
Si alza come una furia e recupera con mani tremanti il cellulare che ha abbandonato sul divano, nella tasca del cappotto.
Compone quel numero che ormai conosce a memoria, non aspettandosi nemmeno di trovarlo libero.
Infatti il cellulare di Federico risulta staccato.
Preme il tasto indicato dall'operatore ed attende il segnale acustico che le dà il via per registrare il messaggio di segreteria.
Tira su col naso, provando a darsi un minimo di contegno.
"Federico... sono Giulia, nel caso avessi già cancellato il mio numero. Ho bisogno di una tua spiegazione, ti prego, per rendere almeno questa pena un po' più lieve. Non posso costringerti a ricambiare il mio... i miei sentimenti, ma se ci tieni – se ci tenevi – almeno la metà di quanto io tengo a te dimmi perché sei scappato. Sono io o te stesso quello da cui fuggi? Mostri ai giornalisti, ai tuoi compagni e ai tuoi amici il vero te stesso, dolce e genuino come un bambino, perché non a me? Non sono come un avversario in campo o un dirigente sportivo, Fede. Sono io, sono Giulia. E sono... accidenti Fede, sono innamorata di te e..." – a quel punto la voce le si rompe un po'.
"Cazzo, non dovevi saperlo attraverso uno stupido cellulare di merda. Ti prego, richiamami"
Preme il tasto di chiusura della chiamata, abbandonandosi ad un altro pianto liberatorio.
È fatta, ormai è finita.
Forse Fede avrebbe ascoltato il messaggio o forse no, ma lei non poteva andare avanti con la consapevolezza di non avergli detto tutto.
Nonostante la timidezza e il suo carattere riservato, se c'è una cosa che Giulia ha imparato nei suoi ventidue anni di vita è l'importanza del rischio. Non avrebbe più mentito a sé stessa.
Non si getta la spugna senza aver dato tutto ciò che c'è da dare.
Si infila il pigiama, esausta e spossata per il pianto e per quella notte da dimenticare. Si addormenta quasi subito, rigirandosi nervosamente in un sonno troppo agitato.
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Subito dopo aver ascoltato il messaggio che Giulia gli ha lasciato in segreteria, Fede in un moto di rabbia getta il cellulare contro la parete opposta, fottendosene altamente del se fosse andato in pezzi o meno.
Lasciandosi cadere malamente sul letto Federico vede la camera intorno a sé improvvisamente appannata, a causa delle lacrime che premono per uscire.
Il ragazzo nemmeno ha la forza di reprimerle così lascia che solchino, calde e dolorose, il suo viso candido.
L'ha persa, cazzo, l'ha persa davvero.
Ed è tutta colpa sua, perché era un coglione, un vigliacco, un egoista.
Nemmeno per lui la notte fu delle migliori, vuota e senza sogni, con il viso schiacciato contro il cuscino per nascondere alla solitudine del suo grande appartamento fiorentino i propri singhiozzi. Quando la mattina si svegliò aveva un fastidioso mal di testa, a causa del pianto e di qualche goccio di Campari di troppo durante la notte appena trascorsa.
Federico si fa una lunga doccia ma guardandosi allo specchio non può fare a meno di notare che il colorito cadaverico e gli occhi vuoti non hanno fatto una piega.
Va in cucina a prendere un'aspirina e una spremuta d'arancia, ringraziando il cielo di non dover andare agli allenamenti e si dà da fare per sistemare il cellulare.
In testa ha costantemente le parole di Giulia e il suo sorriso dolce, i suoi occhi sinceri e trasparenti, le sue labbra morbide...
Si massaggia le palpebre, la notte quasi insonne che gli pesa sulle spalle.
Ripensandoci, un allenamento non sarebbe stato male.
Decide di andare ai Campini, il centro d'allenamento della Viola. La palestra è aperta a qualsiasi orario per i tesserati, così avrebbe potuto scaricare tutta la terribile tensione che sente addosso.
Prima controlla i vari messaggi e chiamate, visto che il telefono sembra aver ripreso vita.
Sicuramente, anche dopo quella botta contro il muro, è più attivo di Federico stesso.
Giulia non ha scritto altro né lasciato altri messaggi in segreteria e lui non sa se esserne felice oppure no.
Qualche messaggio dal gruppo della squadra, con le solite battute squallide e qualche incitamento riguardo la prossima partita, un SMS di buongiorno scritto praticamente con i piedi da suo padre che, dedito al suo faticoso lavoro da marmista, con la tecnologica è totalmente negato e una sola chiamata persa, da Danilo.
Federico sape che avrebbe dovuto richiamarlo, probabilmente gli avrebbe anche fatto bene sfogarsi con lui ma il pensiero delle parole pesanti e dannatamente vere che il laziale gli avrebbe rivolto per fargli comprendere la stronzata appena fatta lo abbatte ancora di più, così decide di lasciar perdere.
Una volta arrivato in palestra si avventa subito e con rabbia contro il sacco da boxe, perdendo totalmente la cognizione del tempo.
Si rese conto di che ora fosse solo dopo che Davide fu entrato nella saletta, perché lui di solito si allenava dopo pranzo.
Sente il suo sguardo preoccupato bruciargli addosso e prova, con scarsi risultati, a mostrarsi impassibile.
Odia farsi vedere debole.
"Fede... hai le mani sporche di sangue"
Il biondo abbassa lo sguardo, smettendo di tirare pugni al sacco dopo ore.
È vero, le nocche gli bruciano e sanguinano, non ha neanche messo le fascette.
Si morde l'interno della guancia, senza sapere realmente cosa dire.
"Stai bene?"
Che domanda del cazzo, Davide.
E perché Federico sente d'un tratto bruciare anche gli occhi?
"Sì, devo solo... ho solo bisogno di calmarmi un attimo" risponde, con il respiro pesante, mentre si dirige a passo spedito verso le docce.
Il difensore lo guarda allontanarsi con apprensione.
Sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Federico, una volta entrato in spogliatoio, si poggia al lavandino, lo sguardo puntano verso le mani martoriate.
"Non provare a piangere, cazzo, non provare a piangere..." si ripete mentalmente.
Non ha il coraggio di alzare gli occhi verso il proprio riflesso nello specchio.
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