Capitolo uno
Ed in un attimo esplode e
mi scoppia la testa
Vorrebbe una risposta,
ma in fondo risposta non c'è
Il sale scende dagli occhi,
il sole adesso dov'è
[La notte] - Arisa
- Risveglio -
«Ottimo» constatò.«Quando hai finito vai nel reparto numero 12»
La voce aspra di un uomo baluginò nella sua mente, lontana. Si udì un tintinnare di chiavi, che echeggiò nel vuoto.
«Sì signore» rispose un'altra voce, seria, ferma e rigida. Udì dei passi svelti, qualcuno che si allontanava verso destra. O era sinistra?
Tutto tornò nel silenzio. Era come essere immersi in un liquido gelatinoso. Gli sembrava di girare, ma allo stesso tempo di essere bloccato sul ciglio di una scogliera, sospeso, in procinto di cadere nel baratro.
L'aria era pesante e impregnata di odore di piscio e muffa. Il ragazzo tossì ripetutamente, aveva la gola in fiamme. Avrebbe tanto voluto dell'acqua. Il suo corpo era scosso; si sentiva debole, impotente. Cercò di girarsi sul fianco, ma un dolore acuto alla spalla sinistra lo costrinse a tornare nella posizione di prima.
«Monsieur, desidera qualcosa?» chiese ad un certo punto, con tono beffardo, il primo uomo che aveva parlato; evidentemente era rimasto lì. Si stava rivolgendo a lui? Sghignazzava camminando su e giù, con passi lunghi e leggeri, quasi felpati.
Il ragazzo alzò la testa, il mento tremante. Schiuse le palpebre. Riuscì a vedere solo linee sfocate e ombre vaghe e tremule. Li richiuse e riprovò dopo esserseli strofinati con le dita. Ma tutto rimaneva indistinto, distante.
Dove sono? Pensò. Non ricordava nulla.
Un fievolo ricordo lo avvolse.
Mamma lo sta sgridando. Gli hanno appena annunciato che sarebbe stato rimandato, doveva ripetere l'anno, ancora.
Lui è col capo chino. Odia la scuola. Tutta quella gente che parla, parla e non dice niente.
Mamma non lo sa che cosa gli dicono. E forse è meglio così, prenderebbe paura.
Tiene il viso rivolto verso il basso, mentre una lacrima calda gli riga il viso.
«Vuoi rispondermi?» gridò irato qualcuno. Doveva essere lo stesso di prima.
Per qualche motivo gli venne in mente la parola prigione.
Una prigione... ma dove? E perché? Che aveva fatto?
«Smettila ti ho detto»
Mamma è arrabbiata.
«Ti prego mamy, non ho fatto nulla di male» sussurra stringendo le dita a pugno per calmare la rabbia.
«Sta' zitto e vai in camera. Ti troverò un impegno fisso. Almeno sarai occupato in altro»
Fuori, il cielo è azzurro.
L'immagine si dissipò svelta dalla mente, lasciando dietro di sè un fiume implacabile di incognite. Quando era successo? Quanti anni aveva? E dov'era? Ma piuttosto, dov'era ora?
Il pavimento su cui era seduto era freddo, rugoso e irregolare. Forse era anche umido. Cercò di non pensare cosa avesse potuto renderlo tale.
L'uomo diede un calcio a delle sbarre di ferro, producendo un forte rumore sferragliante, che gli martellò ripetutamente nella testa, a mo' di eco.
«Rispondimi, sudicia pantegana!» urlò rabbioso.
Si scosse, e cercò di tirarsi sù, nella testa una serie di fitte interminabili. Ignorò il dolore alla spalla e fece leva sui gomiti, cercando di vedere qualcosa. Era come se avesse tenuto gli occhi chiusi per secoli e si fosse risvegliato solo ora.
Gli spuntò un sorrisino sulle labbra, pensando a quanto potessero essere stupidi lui e i suoi inutili pensieri.
Poi si ricordò del tizio che stava urlando e della sua domanda, desiderava qualcosa?; si chiese cosa avrebbe dovuto fare, se sarebbe stato meglio rispondere o meno. Tanto valeva provare.
Così socchiuse le labbra, e dopo un po' esordì, con la mascella tremante:
«Desidero... sapere dove sono, se mi è concesso»
L'uomo guardò verso il corridoio con sguardo perso e scosse la testa, ridendo. «Questi giovani d'oggi» sospirò.
«Cosa?» disse dopo un po'. «Questi giovani cosa?».
Aspettò la risposta invano. C'era solo silenzio.
«Emh...» mugolò intimorito. «Ho detto qualcosa di sba-»
«Voi» esclamò l'uomo all'improvviso, interrompendolo. Il suo tono era cambiato. Era malinconico, quasi gentile. «Voi ragazzi ancora non capite»
Restò in silenzio, tutto quello che sperava era avere delle risposte e per fortuna sembrava volesse proseguire.
«Sta succedendo un casino e voi siete qui, legati come cani al loro servizio» scosse la testa sorridendo amareggiato.
Si sentiva solo il ticchettio di una lontana perdita d'acqua. Echeggiava tra le pareti. Ogni tanto qualcuno gridava di dolore. Erano voci giovani. Quei gridi facevano accarponare la pelle.
Ci volle un po', prima che le informazioni venissero recepite.
Cosa sta dicendo, sono pure legato? - pensò - imprigionato di sicuro ma dove sono?, sono stanco, ma forse mi sono appena svegliato, com'è possibile, e chi è quest'uomo, cosa vuole da me - sospirò - ma se chiudo gli occhi e abbandono tutto? no dopo magari mi ammazza - rise tra sè e sè, quasi in trance - eh vabbè, fa nulla, tanto che bella vita questa in prigione... ma che prigione è? e perché sono qui ahi, la spalla!, che mi sono fatto? - mugolò innervosito - e dov'ero prima di essere qui? ma perché non parla più?...
«Finiscila» esclamò con voce ferma e distaccata.
Il suo flusso di pensieri si arrestò.
Quella parola riecheggiò nella sua mente. Rimbalzava da una parte all'altra, finiscila... finiscila... finiscila...
«Smettila, hai capito?»
Smettila... smettila...
«Ti ho chiesto una cosa, hai capito?» urlò alzando la voce.
Al ragazzo venne un colpo di tosse che gli mosse il petto con violenza. «Cosa...» domandò confuso scuotendo la testa da una parte all'altra. Pareva immerso in un incubo.
«Basta pensare, ok?» esclamò, parendosi agitare.
«Ma...» sussurrò, lasciando la frase in sospeso. Pareva confuso.
«Come? E perché?»
Sbattè ancora le palpebre e finalmente riuscì a scorgere qualcosa di più.
Si trovava su un pavimento irregolare, doveva essere una sola gettata di cemento e tra l'altro il lavoro doveva essere stato fatto alla svelta e con poca cura. Davanti a lui c'erano altri quattro metri di vuoto. Dopodichè, delle sbarre di ferro si innalzavano fino al soffitto, il quale lo opprimeva, lugubre e minaccioso. Sembrava fosse lì solo per schiacciarlo, una trappola a sorpresa per farlo a polpette.
Dall'altra parte delle sbarre c'era una figura, in piedi. L'uomo era fermo, immobile e volto verso di lui. Alle sue spalle però non c'era nessuna fonte di illuminazione, e la misera luminosità che c'era non era sufficiente a permettere al ragazzo di vederlo bene.
Spostò intimorito lo sguardo, sia a destra che a sinistra. Lì si stagliavano due muri massicci e grezzi, immersi nell'ombra.
Alzò di poco la testa verso l'alto girandosi verso l'indietro e notò una piccola finestrella nella parte superiore del ruvido muro su cui era appoggiato. Era veramente stretta, doveva essere trenta centimetri per trenta, se l'occhio non lo ingannava. Di sicuro non sarebbe scappato nessuno per quel buchetto, lasciava filtrare solo della luce giallognola tra i bastoni di ferro.
L'uomo sospirò rumorosamente, avvicinando alla cella una sedia, presa dal losco corridoio in cui si trovava. La posizionò e si sedette, divaricando le gambe e appoggiandovi i gomiti. Giunse le mani, ci appoggiò la fronte e chinò quindi la testa, toccando col mento le clavicole.
Ora che era più vicino lo potè osservare con più attenzione.
Indossava una divisa semplice e scura a maniche lunghe. Sulla giacca c'erano quattro o cinque medagliette dorate a cui erano appesi due nastrini rossi. In testa non aveva nulla, i suoi capelli erano lisci e grassi, pettinati verso sinistra con un pettine e molta molta lacca. Per terra, accanto ai suoi scarponcini militari, c'era un cappello, che con molta probabilità faceva parte del completo. Faceva fatica a scorgerlo nell'ombra, ma dalla forma non sembrava un berretto da contadino.
«Basta pensare» ripetè l'uomo con voce rauca. Sospirò nuovamente.
Vedendolo calmo, decise di fare qualche domanda. Come poteva smettere di pensare se non sapeva nulla del luogo in cui si trovava. Non sapeva nemmeno chi era!
Quel pensiero lo colpì. Non sapeva neanche il proprio nome nè l'età che aveva.
«Mi scusi, ma chi sono?» disse, con un tono freddo ma non scortese.
«Tu sei tu» si schiarì la voce, per poi continuare dopo qualche secondo: «Vedrai, ci sarà un posto per tutte le tue paure»
Il ragazzo lo fissò a lungo.
Poi si alzò. Fece leva sulla spalla non dolorante e si mise in piedi. Avvertì un capogiro e si appoggiò un attimo al muro, poi si staccò e camminò spedito verso l'uomo.
Quando gli arrivò davanti, quello alzò la testa e lo guardò, con un misto di stupore e fastidio. Non avrebbe dovuto avvicinarsi così tanto a lui.
Il prigioniero afferrò con entrambe le mani le sbarre e le scosse con forza.
«Mi faccia uscire!» gridò.
«Non urlare» rispose semplicemente.
«La smetta di prendermi in giro, sappiamo benissimo entrambi che sono in una qualche prigione per un qualche schifoso motivo e che lei è qui per farmi da guardia, quindi ora apra questo cancello e facciamola finita» tirò un calcio alle sbarre e ansimò osservandolo con odio. Da quando si era svegliato ad ora, non aveva fatto altro che urlargli, parlargli di cose incomprensibili e dirgli di non pensare. Come poteva ignorare tutto? Abbandonarsi e tornare a sedersi e fare "la cuccia", da brava bestiolina?
No, non avrebbe fatto quello che voleva lui.
Poco importava se per non uscire di testa doveva urlare contro uno sconosciuto.
«Si calmi, Moriconi» disse l'altro annuendo piano.
Moriconi.
Il ragazzo mollò la presa sulle sbarre.
«Come mi ha chiamato?» lo osservò, dritto in quegli occhi scuri e infossati.
«Moriconi. Niccolò Moriconi» lo osservò a sua volta, osservando la sua reazione. «È il tuo nome»
Non disse niente e l'uomo abbassò lo sguardo, fissando imbambolato le proprie scarpe.
Niccolò Moriconi.
Dopo qualche minuto, chiese: «Perché sono qui?»
L'interpellato sollevò di scatto la testa. Sorrideva, e i suoi occhi ardevano come brace. Erano rossi, accesi, e gli zigomi del suo viso erano molto più accentuati. La pelle stava attaccata alle ossa e delle rughe profonde gli solcavano la fronte, come crepe.
Il cuore del ragazzo saltò un battito.
«Non sono sicuro che vorresti saperlo, Niccolò» ghignò.
Per qualche motivo, sentire pronunciare il proprio nome da quell'essere, gli lasciò addosso un senso di nausea e terrore.
Esso si alzò con una velocità incredibile e si fiondò sulle sbarre. Avvicinò il viso nello spazio tra due di esse e lo guardò, bramoso. I suoi occhi sporgevano verso l'infuori, venati di sangue.
«Pronto?» gracchiò.
~•~•~•~•~
Heylà bimbi ;D
Finalmente eccomi qua con il primo capitolo. Spero vi sia piaciuto e che vi sia rimasta almeno un po' di tensione AHAHAH che cattiva che sono - ok no.
Ci ho messo molto perché è anche più lungo, e sono lentissima a scrivere. Se trovate errori non fatevi problemi a segnalarmeli❤
A presto🛁
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