Fuga.
3
"Seconda porta a destra...
Poi dritto, fino all'uscita..."
Il fiato era corto. Le urla degli inservienti echeggiavano dietro di me, per tutti i corridoi. Un allarme scattò, accompagnato da luci rosse lampeggianti nei corridoi. Dovevo trovare un modo per fuggire da quel luogo. Il cuore sembrava volermi uscire fuori dal petto. Poi mi tornò in mente la stanza di Trilli, e la finestra priva di inferiate. "Seconda porta a destra Peter" pensai, e mi trovai davanti alla cella. Rapidamente presi il mazzo di chiavi in mano, e cercai quella giusta.
«Tu di là! Noi da quest'altra parte!» Sentivo le urla degli inservienti avvicinarsi a me.
«Di qua, da questa parte! È passato di qui!» sempre più vicino. Non trovavo la chiave, e l'agitazione mi faceva tremare le mani.
«Non può essere andato lontano cazzo!»
«Qui! La porta è aperta, è passato per il corridoio che porta alle celle!» si stavano avvicinando sempre di più. Uno spasmo della mano, accompagnato da un balzo del cuore che quasi mi soffocò, fece cadere il mazzo di chiavi dalla mia mano, creando un rumore che sicuramente avevano sentito.
«Merda è di qua! Ho sentito qualcosa! Presto!»
I passi di più uomini si stavano avvicinando sempre di più, ancora non li vedevo, ma presto avrebbero girato l'angolo del corridoio, e allora sarei stato perduto. "Trovata" e aperta la cella mi intrufolai dento la stanza, chiusi la cella e mi nascosi sotto il letto, appena in tempo per non essere visto. Vidi i passi di più uomini di corsa che superarono la cella di Trilli.
«Si è volatilizzato. Merda!»
«Io torno indietro. Voi altri invece controllate le cantine e la sala delle caldaie."
«Io chiuderò il passaggio qui, se dovesse tornare indietro di qui lo prenderò alle spalle.»
«Non deve fuggire, è pericoloso, potrebbe fare del male a qualcuno. Presto, non perdiamo tempo»
Poi sentii vari movimenti, alcuni tornarono indietro, altri uscirono dal corridoio, Qualcuno però era rimasto lì, nascosto da qualche parte. Dovevo trovare un modo per aprire la finestra. Sembrava molto robusta, ma avevo poco tempo. Strisciai fuori dal letto, e cercai qualcosa oltre le sbarre che potesse servirmi per forzare il meccanismo della maniglia, che era stata rimossa, o per sfondare il vetro. Una grossa vertigine mi investì, come quando si ondeggia in mare aperto. Mi trovavo in un corridoio illuminato da una luce rossa intermittente e questo insieme all'effetto delle droghe che stava finendo mi permetteva di capire dov'ero esattamente: nella cambusa. La luce rossa non era altro che le lanterne appese nel corridoio, che scosse dalla furia del mare, creavano questa sorta di intermittenza. Mentre guardavo oltre le sbarre e finalmente acquisivo coscienza di ciò che avevo intorno, presi contro ad una catena appesa, che schioccò contro le sbarre della cella.
«Eccoti maledetto!» disse il pirata che era rimasto nei paraggi, avvicinandosi alla gabbia. Mentre sguainava la spada tirò un calcio contro l'ingresso della cella, che era leggermente aperta. Ero convinto di averla chiusa a chiave, ma forse l'iniezione che mi avevano fatto mi aveva davvero confuso le idee.
«Ti aprirò in due come un lurido verme Pan!» disse avvicinandosi lentamente e vibrando un fendente nell'aria, «Capitan Uncino sarà fiero di me, quando gli porterò la testa di Peter Pan!»
Mentre il pirata si avvicinava vidi che stava mettendo un piede dentro un gruppo di corde lasciate in terra in modo disordinato, e con tutta la forza e rapidità che avevo in corpo le tirai verso di me. Il pirata rimase ingarbugliato, lasciando cadere la spada a terra. Mentre cadeva si gettò su di me per tentare di strozzarmi. Mi stava stringendo il collo con tale ferocia, che i suoi occhi erano iniettati di sangue. Lentamente il mondo intorno a me si stava spegnendo. Stavo indietreggiando per divincolarmi, e preso dalla disperazione per sottrarmi alla presa mortale, mi riuscii a gettare dalla murata della nave, dove uscivano i cannoni. Stavamo cadendo in mare aperto. Lui penzolava a testa in giù dalla corda che lo teneva legato solo per una caviglia, ed io sopra di lui. Il mare infuriava, i fulmini di una tempesta che si scatenava sopra le nostre teste, illuminavano a giorno gli istanti che precedevano il boato che copriva il rumore delle onde che si infrangevano sulla chiglia della nave. Dovevo tornare sulla nave, o sarei morto certamente, trascinato dalla furia del mare. Mentre stavo cercando di arrampicarmi sulla corda, che ad ogni movimento del pirata scorreva sempre di più, riuscii distintamente a sentire "Tick Tock... Tick Tock", e illuminato da un lampo vidi il Coccodrillo uscire fuori dalle onde con un grosso balzo, e ingoiare in un sol boccone il corpo dell'uomo, trascinando ciò che rimaneva della corda giù insieme a lui, portandosi dietro anche me.
Era finita. Le onde del mare mi stavano accogliendo come denti acuminati, pronti al loro imminente pasto.
Dolore in tutto il corpo. Un fischio dentro le mie orecchie. Odore di erba falciata. Il vociare di uomini in lontananza, ed un allarme che rimbombava dentro la mia testa. "Dove era finito il mare? E la nave?" pensai mentre mi alzai lentamente, accompagnato da dolori forti ad ogni parte del mio corpo. Ero nel giardino del manicomio, con cocci di vetro intorno, ed un inserviente a terra a pochi passi da me, a pancia in giù. Ero caduto insieme a lui dalla finestra del secondo piano, infrangendola in un qualche modo. Mi avvicinai lentamente all'uomo a terra, che sembrava non respirare. Lo girai lentamente, temendo il suo risveglio. Quando lo voltai capii che era una paura infondata. Un coccio di vetro grande quanto un pugnale si era conficcato dentro il suo occhio, ed il resto della sua faccia era martoriata dalla caduta. Scattai lontano dal corpo, spaventato da quello scempio. Il giardino era immerso in una nebbia fumosa, densa e bianca. La tempesta era sparita, senza lasciare traccia, ed era giorno, anche se il sole non riusciva a scalfire la coltre umida che non permetteva di vedere oltre un paio di metri. Cominciai a correre lontano dal manicomio infilandomi nella nebbia quando sentii dei cani dietro di me abbaiare.
«Seguite i cani!» dissero le voci dei miei inseguitori, «Di là, ho sentito delle urla!»
Il dolore che sentivo in tutto il corpo era come lame, che mi recidevano la carne, ma la paura mi diede la forza di andare avanti, arrampicandomi sulla rete, scavalcandola. Il filo spinato mi portò via parti della coscia, accompagnate da un mio urlo straziante di dolore. Non so cosa mi avesse dato la forza di andare avanti e non arrendermi, ma caduto dall'altra parte, mi rimisi subito in piedi e zoppicando continuai a correre. Attraversai una strada che affiancava l'inizio di un bosco, dove mi rintanai, lasciandomi alle spalle il vociare dei miei inseguitori, immersi nella nebbia, e che probabilmente presto mi avrebbero trovato.
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