Sedicesimo
A Steph mancava il respiro. Naturalmente, non riuscendo a respirare, ogni momento e gesto della vita è impossibile da compiere. Senza fiato Steph non poteva più parlare, dormire e mangiare. Priva di ossigeno i suoi polmoni non erano più una foresta rosea e sanguigna di alveoli, ma un deserto annerito, come se i suoi due bei organi fossero cancerogeni per la nicotina. Steph non ce la faceva a respirare, e per questo nemmeno a dar retta a Pety, o ad occuparsi della casa, a uscire per fare le spesa o per cucinare. Steph aveva smesso pure di disegnare.
Pensava, per quello non c'è bisogno di aria. E quando lo faceva, pensava a Becky. Era stata ammalata di angoscia, nostalgia e dolore per nove interi giorni.
Il primo giorno che non vide Becky fu come uno dei tanti. Steph aveva provato a suonare alla sua porta, ma nessuno aveva risposto. Ipotizzò che la sua ragazza fosse a far la spesa o ancora a lavoro, e non ci pensò affatto a a mettersi pensiero. Le lasciò un biglietto nella buca delle lettere per riferirle di essere passata a trovarla, e poi trascorse il resto della giornata serenamente, certa di rivederla il giorno seguente.
Becky, però, fu assente anche il secondo giorno. La sua casa era vuota, nessuno accolse Steph, ed il biglietto che questa aveva imbucato il giorno prima stava ancora lì. Durante le ore trascorse fuori a far commissioni Steph si trattenne un po' di tempo in più, nella speranza di vedere Becky in giro. Jamie non era da nessuna parte.
Dal terzo giorno di totale assenza Steph iniziò a mancare di respiri. Dopo una settimana piangeva in bagno quando Pety era ancora al lavoro. Al termine dei nove giorni Steph era diventata completamente inappetente. La pelle troppo pallida, il corpo di gran lunga più magro, i biondo capelli in disordine e gli occhi estinti.
Pety le aveva domandato cosa non andasse, preoccupato. Steph l'aveva tranquillizzato, dicendogli che il suo asma la stava facendo faticare più del solito, che sarebbe stata questione di giorni e tutto sarebbe tornato come prima. Qualche giorno e, di certo, Becky sarebbe tornata. Ma perché era sparita?
Steph si svegliò preso quella mattina, il decimo giorno senza aver notizie o contatti con Beck. Né una lettera, né un telefonata o un telegramma, niente di niente.
Aveva ancora la vestaglia indosso, i capelli acconciati con diverse forcine arrugginite, ed una tazza di tè ormai fredda tra le mani, bevuta quasi per niente. Steph guardava fuori dalla finestra, un tempo grigio come il suo stato d'animo, quando qualcuno suonò alla porta. Inizialmente non aprì, non si sentiva in vena di visite, e poi stava ancora in pigiama. Il campanello, però, non smise di suonare, tanto da far innervosire persino la calma solita di Steph. Con le ciabatte che le si alzavano dai talloni, camminando, poggiò con irritazione la tazza sul primo mobile che le capitò sotto mano. Spalancò la porta e chiese agitata:
«Chi è?»
Il sorriso più bello che conoscesse rispose prima delle parole. Cristo, aveva praticamente dimenticato quanto fosse bella. I lunghi e sfatti capelli mori che profumavano di cannella, la pelle lievemente olivastra, e quelle labbra che erano la sua croce, e in un sorriso, l'atto della crocifissione stessa.
«Steph, sono io.» disse Becky con un sorriso eccitato, gettandosi ad abbracciare la più piccola. Richiuse la porta con un piede, e strinse con le mani i capelli di Steph, baciandole il collo, le guance ma non le labbra. Steph non le diede il permesso.
Il cuore di Steph, che fino a quel momento era stato fermo, compì un solo battito, quando vide Becky. Poi bruciò e divenne cenere.
Allontanò Becky prendendola dalle spalle, con lo sguardo severo ed enormemente ferito.
Becky, stupidamente, la guardò con fare interrogativo.
«Dove diavolo sei stata?» ringhiò Steph, incrociando le braccia.
Becky sospirò: «Hai ragione tesoro, avrei dovuto avvisarti prima, scusami.»
«Hai almeno la vaga idea di quanto io sia stata in pensiero? Di quanto abbia sofferto?» Steph trattenne a fatica il pianto, alzando la voce.
Becky si accorse solo in quel momento di quanto Steph fosse ridotta male.
«Lo so, avrei potuto avvisarti in qualche modo, perdonami.» dolcemente, la mora ritentò una vicinanza, un tocco. Steph indietreggiò bruscamente.
«Già, ma di fatto non ti è passato nemmeno per la testa! E' così che tieni a me? Dimenticandomi?! Mi ero fidata della nostra promessa!»
«Cosa vai dicendo Steph!»
«La verità!» strillò Steph.
Becky rimase ammutolita per come Steph le aveva risposto, sia per il tono che per le parole. Stando via non si era resa conto di come avrebbe potuto stare Steph, all'oscuro di tutto.
Steph aveva iniziato a piangere, con le mani sul viso. Becky spostò i lunghi capelli sulla schiena, si inumidì le labbra e provò ancora a chiedere scusa.
Abbracciò Steph, anche se questa inizialmente non ricambiò, ma non si divincolò, perché aveva fisiologicamente bisogno di quelle braccia.
«Sono stata una stronza, un'idiota. Una mia collega in fabbrica mi aveva raccomandata come domestica ad una famiglia molto ricca, così, quando gli sono servita sono corsa senza altri indugi. Mi hanno solamente messa alla prova per qualche giorno. E' un lavoro migliore di quello che ho adesso, anche se gli orari sono comunque intensi, la fatica è minore, e lo stipendio più giusto.»
Steph tirò su con il naso; «E' una cosa fantastica Beck, ma avresti potuto avvisarmi, credevo ti fossi stancata di me, che non mi volessi più, che mi ignorassi.»
Becky sorrise, intenerita dalle motivazioni di Steph. Le asciugò le lacrime con i pollici.
«Ma no, cosa vai dicendo. Mi era difficile avere un po' di tempo per me, non sono stata nemmeno a casa.»
Steph tentò ripetute volte di nascondersi il viso, ma le mani di Becky, impossibili da combattere, la riportavano sempre in direzione dei suoi occhi. Steph aveva smesso di piangere, anche se i suoi begli occhi celesti stavano bruciando tanto erano arrossati per colpa delle lacrime. Becky le baciò la fronte e le disse: «So di non meritarmelo in fondo, ma riuscirai a perdonarmi?»
Steph le cinse la vita con le braccia magre, stringendo a se Becky più che poté; «Io voglio solo stare con te.»
Becky la portò sul suo petto.
«Il nostro è un legame sacro, eterno, più di qualsiasi altro matrimonio. Questo tu lo sai, non è vero Steph?»
«Adesso ne ho la certezza.» le rispose la bionda. Si alzò sulle punte e finalmente baciò Becky. Questa apprezzò la sua arte, quella del viso e del capelli, accarezzando le ciocche scompigliate e i lineamenti morbidi.
«Sono venuta a casa tua anche per portarti un invito.»
«Come dici?» chiese Steph, confusa.
Becky sorrise: «Un invito. Te lo dico con troppo poco preavviso, ma stasera alla sfarzosa e regale casa in cui lavoro daranno una festa. La governante, una dura ma buona signora di mezza età che mi sono fatta amica, mi ha detto che puoi venire anche tu come ospite. Ho parlato molto di te, e alla fine, senza nemmeno che lo chiedessi, mi è stato proposto di invitarti.»
Stpeh rimase a bocca aperta; «Wow, forse non dovrei accettare...»
«E perché mai? Dovresti divertirti una volta ogni tanto. Non siamo mai state ad una festa insieme.»
A dirla tutta, Steph non era mai stata a nessuna festa.
«Ecco, sono piuttosto malconcia, e poi Pety...»
«Andiamo, a renderti bella non ci vorrà nulla! E poi al tuo maritino puoi pur sempre mentire, dicendogli che magari tua madre ha bisogno del tuo aiuto.» Becky si morse il labbro.
Steph rise, mangiandosi le dita delle mani.
«Tu sei davvero matta.» rispose a Beck, con un mezzo sorriso convinto.
«Allora?» le domandò Becky.
«Ecco, potrei dire a Pety che mia madre è caduta facendosi male ad un'anca, e che le servo tutta la notte per prendermi cura di lei dopo le dimissioni dall'ospedale.»
Becky abbracciò la ragazza più piccola. «E' esattamente così che ti voglio!»
Le due scoppiarono a ridere, saltellando di qua e di là per la casa. Steph lasciò un messaggio scritto su di un bigliettino a Pety, sul tavolo della cucina. Lei e Becky sarebbero uscite prima che lui fosse tornato. Steph indossò uno degli abiti migliori che aveva, e nonostante il suo aspetto ancora fisicamente malandato, la felicità di essere con Becky le ridiede la sua bellezza originaria. Elegante e posata, Steph era pronta. Così come Becky che, tornata a casa sua assieme alla compagna, indossò la sua divisa da cameriera e si truccò leggermente sotto consiglio di Steph. La bionda, prima di andare, prese la macchina fotografica di Becky e le suggerì di mettersi in posa per fotografarla. Mise a fuoco proprio il viso, nel dettaglio di quella bellezza esotica. Le lunghe ciglia di Becky toccavano le nuvole, e la pelle levigata sembrava una pianura in primavera.
Steph esitò, fissa su quella bellissima immagine. Fu Becky a distoglierla dai suoi pensieri di meraviglia. Abbandonarono ogni cosa vecchia e nuova ed insieme, belle ed emancipate, andarono a divertirsi.
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