Quindicesimo
Una donna che parlava a voce troppo alta al figlio per sgridarlo si udì dalla strada. Becky stava sfogliando un libro con i gomiti poggiati alla finestra. Arricciò il naso sentendo quel suono così acuto utilizzato per il rimprovero del bambino. Pensò che mai avrebbe voluto diventare come quella donna, lei non era fatta per essere madre. Come esempio la sua famiglia era stata ottima, il cuore le si riempiva di tenerezza quando ricordava le carezze e le premure materne, assieme ai giochi vivaci con il padre. Ma Becky non voleva un figlio, il solo pensiero di badare ad un altro individuo per il resto della vita, ed averlo sotto la propria responsabilità le dava l'ansia. Stava aspettando che Steph suonasse alla sua porta. Era domenica pomeriggio e la mora non aveva l'obbligo di lavorare. Steph solitamente era confinata a casa con Markus quel giorno della settimana, ma fortunatamente (un po' cattivo da dirlo nel confronti di Pety) l'uomo aveva delle pratiche da sbrigare a Long Island, addirittura sarebbe stato occupato per tre giorni interi. I programmi gioiosi delle due ragazze erano di rimanere a dormire assieme e viversi senza perder tempo, ne avevano poco a disposizione.
Quando Becky sentì l'ospite alla porta si fiondò a piedi scalzi incontro a lei, accogliendola con un abbraccio fortissimo e qualche bacio di troppo. Steph, timida e pallida, tutta chiara con i capelli lasciati sciolti, rise piena di amorevole contentezza. Sentirsi amata da Becky era la cosa più bella che potesse avere nella sua vita. Subito acquisirono una sintonia irreale, come se per tutto quel tempo Steph fosse sposata con Becky, ed entrambe avessero condiviso quel tipo di situazione familiare da sempre. Cenarono con un'atmosfera a tratti romantica, serena, ricercata d'istinto quando due innamorati si trovano bene assieme e sentono il bisogno di avere tempo da spendere in simbiosi. Si vestirono comode, lavandosi assieme. Scherzarono facendosi dei dispetti e poi finirono per fare l'amore. Tre volte. Però non avevano ancora sonno.
Timida e rossa sulle guance, Stpeh tirò a se una delle sue borse che aveva portato come fossero bagagli per una vacanza da Becky. Il contenuto che uscì fuori fu' un album da disegno con i fogli ingialliti. Lo strinse al petto nudo, il cuore le scoppiava ancora per tutto il sesso ricevuto. Steph si poggiò contro Becky, altrettanto nuda. A coprire le loro gambe aggrovigliate soltanto le lenzuola. Il letto era un campo di battaglia distrutto dalla lotta.
Becky sorrise, curiosa ed emozionata. Non aveva mai avuto l'occasione di vedere uno dei disegni di Steph, e la sua immaginazione le aveva fatto studiare in mente una miriade di ipoteso che alla fine pensava sempre troppo diverse dalla realtà. Abbracciò Steph, magra e calda, aguzzando la vista sui fogli.
«Volevo mostrati qualcuno dei miei disegni. Io la tua arte nelle fotografie la vedo in continuazione, tu il mio povero lavoro non l'hai mai guardato.» disse Steph.
Becky, tanto felice, la strinse forte e le baciò il capo che odorava di fiori.
«Sono certa che il tuo talento sarà cento volte migliore del mio.» Becky le rispose dolcemente. Steph si sentì ancora una volta enormemente lusingata. Passò le mani magre sulla copertina dell'album e lo aprì. Steph sapeva già su quale opera andare, difatti saltò tutti gli altri fogli in precedenza a quel preciso disegno. Becky rimase sbigottita; nel quaderno pieno di pagine spiccava un ritratto dettagliatissimo di Beck. Il viso tondo e rilassato con la bocca semichiusa e gli enormi occhi brillanti a fissare un punto lievemente in alto. Il soggetto era sfumato dal grigio opaco di una matita, Steph non aveva usato colori. Becky rappresentata in quella carta aveva lunghi capelli scuri che andavano ad ondularsi nella lunghezza, e lo spazio della riga centrale a dividerli. La prima cosa che disse, e forse la pensò ad alta voce, fu': «Come diavolo hai fatto a disegnarlo così bene? Intendo, in base a cosa l'hai riprodotto? Hai una mia foto? Mi hai ritratta di nascosto?»
La somiglianza era straordinaria, a dir poco impressionante, e Becky non si spiegava come potesse essere rappresentata in quel disegno senza essere osservata ore ed ore in una posa studiata. Steph fece spallucce e rispose: «Semplicemente mi ricordo di te, l'ho fatto con la memoria.»
Becky esalò un respiro capace di esitare, l'unica risposta da dare in mezzo a così tanto stupore. Steph non le diede nemmeno il tempo di guardare meglio quel bellissimo lavoro a matita che voltò pagina e gliene mostrò un altro. L'oggetto rimaneva Becky, bellissima, forse con delle qualità fisiognomiche ancora più accentuate rispetto alla realtà. Era presa fino all'altezza del seno, in prospettiva dall'alto. Il capo piegato lievemente all'indietro, in dosso una canotta bianca e leggera, sgualcita, con le spalline sottili. Era quasi nuda ma senza mostrare volgarità. La scollatura che lasciava intravedere il seno aveva particolari di ogni genere. Ombre e profondità perfette, incredibilmente realistiche. Becky disegnata in quella fotografia a matita teneva gli occhi chiusi -le chiglia lunghe e le sopracciglia perfette- con le labbra da divorare e due denti bianchi che si intravedevano nell'erotismo della sua espressione. Stava godendo, ma con discrezione, le braccia distese lungo i fianchi e i capelli disordinatamente arruffati.
«Steph...» lo disse come un sussurro. Tra le gambe si sentì inumidita.
«Forse ho esagerato, ma in questo modo mi vieni in mentre troppe volte. E poi ti ho messo addosso un vestito bianco, come una sposa. Non potrei mai metterti nuda.» spiegò la bionda. Becky le afferrò il viso con una mano e la spinse a baciarla, rumorosamente e a lungo tempo.
«Ti amo.»
«Anch'io Beck, tanto.»
Le carezze che si facevano sulla bocca, con la bocca, rappresentavano tutto, che non aveva bisogno di una definizione. Passarsi le carezze sul viso, poi, rubava ogni cosa stimolasse il cervello a provare sensazioni.
Becky, con gli occhi colmi di meraviglia, non resistette all'impulso di voltare pagina e guardare il successivo disegno. Forse ne rimase più stupita di tutto il resto che aveva visto.
Steph non aveva rappresentato i volti. In primo piano ci stava la schiena del soggetto femminile reso più importante, tutta nuda. Era seduta su un letto, con le cosce divaricate. Le increspature del tessuto bianco delle lenzuola creavano una tridimensionalità naturale ed armoniosa. La bella ragazza non era volgare, teneva i capelli scuri sciolti sulle spalle, che si muovevano maggiormente sulla sua sinistra. Stava baciando, abbracciata difronte a lei, vicinissima, un'altra femmina. Di lei si distingueva maggiormente il braccio piegato verso il petto, che stringeva la mano al primo soggetto. Le si vedeva il viso fino all'altezza del naso, e le labbra, posate sulla prima. Ella era bionda. Lungo l'ampia schiena della protagonista, però, Steph aveva realizzato un disegno particolare ed eccentrico. Quelli in fondo, vicino al coccige, erano tutti scuri e sembravano pianeti, mentre a salire, seguendo una linea retta in verticale, pareva crearsi una frase in corsivo, che Becky non riuscì a leggere.
Ridendo con impertinenza, emozione che non le apparteneva, Stephanie si portò i capelli dietro alle orecchie e fece spallucce.
«Okay, forse ti ho disegnata nuda. Ma senza rubarti l'intimità.»
«Quando la smetterai di meravigliarmi?» le chiese emozionata la mora.
«Che domanda.» Steph rise, coprendosi il volto con le mani per l'imbarazzo. Becky la strinse in un abbraccio, facendola stendere sul materasso e gettandosi sopra di lei in un tumulto di risate.
Trascorsero quel loro tempo di libertà come fosse una vacanza. Scherzarono, furono romantiche, si annoiarono, danzarono, mangiarono, fecero l'amore e dormirono nello stesso letto.
Becky domandò cosa significassero quei simboli che Steph aveva disegnato sulla sua schiena, e lei le rispose;
«Un allineamento di pianeti, come se tu fossi lo spazio, il mio, pieno di stelle.»
Poi arrivò il momento triste e angoscioso di tornare alla vita castigata di sempre, tra il lavoro ed i doveri matrimoniali. Il periodo che seguì dopo quel bellissimo salario fu parecchio sofferto da parte di Steph.
Becky sparì da lei per nove giorni consecutivi.
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