Nono
Steph pestò le erbacce giallognole riempiendosi le calze e le scarpe basse con un grosso groviglio di sterpaglie e spine. Sentì un calabrone ronzare sopra le loro teste, Becky con i lunghi capelli scuri appuntati disordinatamente per attenuare il caldo del pomeriggio rovente.
Steph si lamentò con un sospiro affaticato; aveva indossato una camicia davvero inappropriata per quelle temperature improvvisamente alte. Eppure era una delle sue preferite, visto che l'intento di quella avventurosa camminata in mezzo al verde poco curato era esclusivamente quello di far delle fotografie.
Becky le aveva proposto, uno di quei giorni di settembre, prima che il sole tramontasse e con esso anche il coprifuoco di Steph, la ricerca di una nuova location in cui scattare qualcosa di nuovo e originale.
Steph ci aveva pensato per due notti di fila, giungendo ad una conclusione più che geniale! Lontano dal centro abitato in cui erano abituate e girare, appena in direzione della metro, una vecchia cooperativa abbandonata, mai terminata, si ergeva isolata e silenziosa in mezzo ad erbacce e carcasse di automobili. Un posto piuttosto suggestivo, quieto come una stanza vuota.
Il sole batteva sui mattoni scoloriti di quella costruzione che doveva essere destinata ad una caserma dei pompieri, successivamente spostata in una zona più ampia e comoda della città. Pattumiere e sacchi neri dell'immondizia disseminavano l'entrata, il contenuto sparso in terra dai gatti che avevano fatto razzia degli avanzi.
«Seugimi, da questa parte!» Steph chiamò Becky con voce entusiasta, invitandola a venirle dietro con un gesto del braccio. Jamie tenne stretta la macchina fotografica ed aumentò il passo.
Steph conosceva quel posto grazie a Markus; il marito gliene aveva parlato spesso, ricordando le sue avventure adolescenziali con gli amici, a perlustrare posti simili, nei pomeriggi afosi di estati giovani. Steph aveva buona memoria e ottimo senso dell'orientamento, memorizzando le informazioni che Pety le aveva dato riusciva benissimo a muoversi in quel luogo adesso soltanto suo e di Becky.
I raggi di sole su quelle due snelle figure crearono una sorta di quadro dai colori sgargianti. Becky si fermò un istante per fotografare Steph, avanti a lei di qualche passo, camminare in mezzo all'erba alta. Le scattò una foto di spalle, tra il vasto sfondo riempito dalla struttura abbandonata.
Quando le suole delle scarpe tornarono a toccare il terreno più o meno cementato le due ragazze poterono finalmente camminare una di fianco all'altra. Non c'erano porte nè finestre, solo un tappeto di vetri lungo le scale che portavano al piano superiore, sbriciolati sicuramente da qualche ragazzino euforico.
Becky osservò con attenzione i punti di luce più adatti per il viso di Steph. La bionda però non le diede occasione di studiare la struttura dell'estraneo. Le prese le mano e la trascinò dentro al caseggiato.
Le stanze prive di porte, le pareti bianche rovinate dal tempo e da qualche graffito politico e di protesta. Non c'erano mobili, in terra soltanto polvere, finestre rotte e immondizia.
Salirono le scale strette, prive di corrimano, per evitare la vertigine toccarono con una mano il muro. L'ambiente superiore era una copia spudorata della pianta al piano terra, forse, meno caotico.
Dalle finestre ampie un soffio di aria tiepida assieme alla luce del sole abbagliante prendevano possesso delle stanze. Steph corse per tutte le camere, che, spoglie e incomplete, comunicavano tutte tra di loro. Rise, voleva che anche Becky assecondasse quel suo dispetto.
Come in un labirinto, Jamie alla fine si appostò con fermezza, riuscendo ad acciuffare la ragazza che strillò di sorpresa. Le strinse la vita magra, appropriandosi delle sue risate e del profumo dei capelli sciolti contro il suo viso.
Le baciò il capo con ripetitivi e rumorosi schiocchi di labbra, quasi fosse la sua bambina. Steph le strinse le mani che la avvolgevano da dietro, in un'immagine piena d'amore e tenerezza.
«Qui! È perfetto!» Steph si piazzò davanti ad una parete chiara, sporca soltanto nella parte alta da qualche spruzzo di muffa appena nata.
Becky rise, avvicinandosi il più possibile in modo tale da mettere a fuoco la figura di Steph.
«Hai un debole per gli sfondi uniformi e chiari.» le disse chinandosi un po' più in avanti.
«Mi danno una sensazione di ordine.» rispose la più piccola scrollando le spalle.
«È che vuoi essere tu soltanto al centro dell'attenzione.» scherzò Becky.
«Non è vero! Lo sai che sono timida io...» Steph volle quasi giustificarsi, arrossendo. Becky aveva ragione, l'aveva beccata. Ma alla fotografa non dava fastidio, dopotutto nessuna fotografia era uguale, e poi anche a lei interessava più la modella che tutto il resto.
«Certamente, una ragazza tutta timida e riservata.» Becky le sorrise, provocandola ancora.
Improvvisamente Steph cambiò espressione, tendendo le labbra con bramosia.
«Quindi» disse «vuoi vedermi audace?»
Becky mormorò con fare curioso e compiaciuto.
«Leggimi nella mente attraverso il viso.» quello di Steph parve un avvertimento.
Le rivolse il volto a trequarti, con i capelli scompigliati a trasparirle di poco i tratti delicati. Il naso piccolo, le labbra scure e lucide, folte e scure sopracciglia, che ritratte da così vicino le davano lo sguardo di un maschiaccio. La camicia che le piaceva tanto in bella mostra, alta fino al collo.
E gli occhi? Ecco, Becky non volle crederci fino in fondo, non poteva pensare veramente ad un cosa simile. Erano vitrei e affamati, la stavano sbranando da dietro l'obbiettivo. Pieni di voglia.
Anche se Steph aveva paura, e l'insicurezza le faceva tremare le gambe magre e pallide, l'istinto prevaleva su ogni cosa. Toccarsi la mattina nella vasca da bagno pensando ai baci e al profumo di Becky non bastava più. Steph non si fece poi molti problemi, dopotutto era una cosa di naturale evoluzione, i bisogni corporei delle sue fantasie, e del suo amore. Una signorina aveva per caso pensieri così perversi? Steph si domandò se fosse la sola ragazza al mondo ad avere certi istinti. Lei non aveva un confronto diretto con qualcun'altra quando si parlava di sesso, era totalmente ignorante a qualsiasi tipo di verità. Il discorso era tabù, lei si basava esclusivamente sulle proprie sensazioni.
Tornava a casa sempre con le mutandine di pizzo umide, quando Becky la baciava e le ficcava la lingua in fondo alla bocca.
«Tu» Becky le si avvicinò, in mano la fotografia in bianco e nero che si stava schiarendo «hai in testa tantissime cose.»
Si baciarono dolcemente, e si diressero alla finestra che sporgeva all'orizzonte della città.
Steph si affacciò con dolcezza, flettendo una gamba e sorreggendosi di peso con le braccia. Socchiuse gli occhi e con un sorriso ispirò l'aria pulita che le solleticò le labbra, ancora con il sapore di Becky sopra. Jamie, dal canto suo, non poteva lasciare al caso quello sguardo impresso nella fotografia. Stephanie cercava qualcosa, senza troppe pretese; era alla ricerca di ciò che si immagina e si sente il bisogno di avere, ma che soltanto assieme a qualcuno può essere scoperto.
Becky con tutta calma la abbracciò da dietro, portandole le mani al petto e dondolando assieme lei. Steph le si poggiò con il capo al lato del collo, chiudendo gli occhi e prendendole nuovamente le mani.
Becky le baciò il capo, e poi una delle sue mani iniziò ad accarezzare con delicatezza il viso della ragazza più minuta. Le dita le sfiorarono il mento fino a emanarle caloria sul collo. Stephanie avvampò improvvisamente, socchiudendo le labbra aggrottando la fronte.
La mano ancora sul suo corpo, senza nemmeno farsi notare, si era aperta e aveva iniziato a palpare uno dei piccoli e immaturi seni di Stephanie.
Purtroppo, in quella struttura abbandonata, la signorina Carter venne meno alle proprie promesse matrimoniali.
Emise un forte sospiro, si lasciò cullare dal copro più alto e adulto di Becky, restando ad occhi chiusi. Non aveva la forza di tenerli aperti, non poteva controllare gli altri sensi, tutti erano morti nel calore bagnato in mezzo alle sue cosce.
Becky le baciò il collo, succhiando e leccando la pelle chiara e delicata. Steph si sentì all'inferno, per il calore indicibile nella carne, e poi, con quella lingua così vicina al suo udito, credette di morire di freddo.
«È questo ciò che vuoi Steph?» le domandò Becky a bassa voce.
Steph annuì, si morse il labbro.
«Rispondimi, devi esserne sicura. Non voglio far niente che ti faccia sentire in obbligo.» la voce di Becky era seria e ostinata. Aveva assunto la parte della donna matura e preoccupata, che al primo posto poneva i sentimenti di quella creatura meravigliosa che teneva in pugno.
Steph d'istinto assecondò i propri fianchi, spingendosi con il sedere all'indietro. Urlò disperata un numero infinito di «si», facendo fremere anche Becky.
La ragazza più grande fece scivolare una mano lungo una gamba di Steph, stringendole una mano per tenerla al sicuro e sentirla vicina, di più. Le alzò la gonna, toccandole l'interno coscia. Stephanie si irrigidì, percossa da una scarica elettrica su tutta la spina dorsale.
«Becky!» gemette il suo nome quando i polpastrelli del dito indice e del medio le si poggiarono, attraverso l'intimo, sul clitoride.
Jamie sorrise compiaciuta, passando il viso tra i suoi capelli biondi.
Guidata dall'impazienza di Steph non attese altro, e con le sue mani gentili e sicure superò la biancheria, facendosi spazio nel pulsante sesso dell'amante.
Steph strillò forte, piegandosi tutta un avanti. Divaricò di scatto le anche, poi si mise con il sedere indietro, ancora strinse le gambe per fermare quella presenza tra di esse, e si appoggiò al davanzale per non cadere.
Le dita di Becky si inumidirono immediatamente, e percossero dei giri orari e ben affondati nella vagina di Steph, così da bagnarla completamente.
La ragazza sotto il suo controllo non riuscì a smettere di urlare. Non stava nemmeno respirando, non capiva se fosse in piedi o crollata al suolo. E più Becky si muoveva con maestria perfetta, sapendo cosa fare senza errori, come se lo stesse facendo a se stessa, più Stephanie sentiva come una sottospecie di bruciore, un dolore afrodisiaco.
Con la voce era capace di emettere solamente lamenti, nelle corde vocali rimanevano incastrate parole di supplica, che volevano implorare di smetterla, e di andare così, già, proprio lì, più veloce.
La bocca spalancata, il viso storpiato dal godimento, e le gambe aperte più che poteva a Becky che da dietro rimase senza respiro ad ogni movimento del bacino di Steph sulle sue dita.
Steph non venne una sola volta, piuttosto, non riuscì a capirlo nemmeno lei. Gridò così forte, e si costasse talmente tanto da non poterlo sopportare più. Becky però non si fermava, e continuando si innescava come una reazione a catena.
Steph non poteva nemmeno metterlo a paragone, non era affatto la stessa cosa di quando lo faceva da sola.
Ad un certo punto, quando Becky capì che il magro copro di Stephanie non avrebbe sopportato ancora un altro orgasmo così forte, diminuì la velocità dei suoi affondi, e la accompagnò in un abbraccio a sorreggersi sul davanzale.
La bionda respirò pesantemente, stremata, faticando a reggersi ancora sulle gambe.
Becky le scostò i capelli scompigliati e le baciò la fronte. Anche le guance, poi le labbra, la prese tutta perché Steph era davvero completamente appartenete a lei.
«Becky.» Steph lo bisbigliò con tutte le forze, con il respiro irregolare.
«Sei soddisfatta?» le domandò la mora sorridendo, toccandole l'angolo della bocca con il pollice.
«Fallo ancora ti prego.»
Sul retro della foto scattata in quel giorno scrissero il nome di Edmund Pollard;
Vorrei aver immerso le mie mani di carne
nei fiori tondeggianti e pieni di api,
nello specchiante cuore di fiamma
della luce vitale, un sole d'estasi.
A che servono petali o antere
o le aureole? Larve, illusioni
del cuore profondo, la fiamma centrale!
Tutto è tuo, o giovane che passi;
entra nella sala del banchetto pensandoci;
non sgattaiolarci come perso dal dubbio
se tu sia il benvenuto -il festino è per te!
E non prendere solo un poco, rifiutando il resto
con un timido «grazie» quando sei affamato.
È viva la tua anima? Allora, che possa nutrirsi!
Non lasciare balconi che tu non abbia scalato;
né seni nivei che tu non abbia premuto;
né teste d'oro di cui dividere il guanciale;
né coppe di vino, quando il vino sia dolce;
né delizie del corpo o dell'anima.
Tu morirai, non c'è dubbio, ma morirai vivendo
in profondità azzurre, rapito e accoppiato,
baciando l'ape regina, la Vita!
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